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giovedì 10 agosto 2017

COMUNIONE E LIBERAZIONE

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L'origine di Comunione e Liberazione risale al 1954, quando Don Giussani decise di lasciare il magistero presso il seminario di Venegono per insegnare religione cattolica al liceo classico Giovanni Berchet di Milano. In seguito ai quotidiani incontri con gli studenti don Giussani divenne assistente di Azione Cattolica per il ramo di Gioventù Studentesca (GS) che in pochi anni si diffuse all'interno e oltre la diocesi di Milano. La prima comunità fuori Milano ebbe inizio nel '60 a Catania, seguirono Rimini, Rovereto, Trento, Chiavari e Forlì dove GS, come ricorda don Giussani, compì la "prima storica uscita nel settembre del '61 in Campigna", dal gruppo di Forlì ebbe inizio la comunità di Sansepolcro nel '64 prima in Toscana.

Gioventù Studentesca era inserita nell'Azione Cattolica ma la differenza nel metodo ne provocò, attraverso gli anni, il distacco e la crisi. Nel periodo del '68 molti aderenti abbandonarono il movimento ma altri, più fedeli a don Giussani, si organizzarono in Comunione e Liberazione. Il nome deriva da un volantino diffuso da alcuni universitari nel 1969 e rimanda al contrasto col mondo culturale del tempo: mentre la cultura dichiarava che la rivoluzione era il cammino della liberazione dell'uomo, gli aderenti al movimento affermavano che tale cammino è possibile solo nella comunione cristiana, da cui la liberazione; la salvezza è Gesù Cristo e la liberazione della vita e dell'uomo, qui e nell'aldilà, è legata continuamente all'incontro con Lui.

Don Giussani affermava di non aver mai realmente inteso fondare un movimento. In relazione ad una lettera di papa Giovanni Paolo II, aveva affermato a proposito di Comunione e Liberazione: "Non solo non ho mai inteso "fondare" niente, ma ritengo che il genio del movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l'urgenza di proclamare la necessità di tornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta."

Il desiderio di proseguire l'esperienza del movimento in una forma più stabile, da parte degli ex studenti che avevano incontrato don Giussani attraverso la scuola e l'università, si condensò nei primi anni settanta nella Fraternità di Comunione e Liberazione, riconosciuta l'11 febbraio 1982 dalla Chiesa cattolica quale associazione laicale di diritto pontificio. La Fraternità di Comunione e Liberazione si incontra annualmente per gli esercizi spirituali a Rimini.

La presenza di CL nel mondo della scuola ha ancora il nome di Gioventù Studentesca. La sigla CLU (Comunione e Liberazione - Universitari) definisce invece informalmente l'intera presenza di CL nelle università indipendentemente dalle varie forme di associazionismo. Anche il CLU si incontra annualmente per gli esercizi spirituali a Rimini.

Del movimento fanno parte anche esperienze di vita consacrata quali ad esempio i Memores Domini, la Fraternità San Giuseppe e la Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo, le Suore di carità dell'Assunzione, oltre a numerose vocazioni nell'ambito di famiglie religiose già esistenti (carmelitani, benedettini, francescani, trappisti, etc).

Dopo la morte di don Giussani, avvenuta il 22 febbraio 2005, la guida del movimento è passata al sacerdote spagnolo don Julián Carrón. Nel 2014 la Diaconia Centrale di Comunione e Liberazione ha rinnovato a Julián Carrón il mandato di Presidente della Fraternità per un sessennio.

Fin dalle sue origini come Gioventù Studentesca, la vita del movimento di Comunione e Liberazione è centrata sulla preghiera svolta nella liturgia. L'esperienza di vita proposta all'interno di CL valorizza i tre aspetti che don Giussani indicava come fondanti l'esperienza cristiana: cultura, carità e missione.

Un'attività tipica del movimento è la catechesi detta scuola di comunità generalmente sui testi di don Giussani o del Magistero organizzata dalle singole comunità e aperta a tutti.

Fin dai primi tempi di Gioventù Studentesca, don Giussani aveva stabilito come scopo primario l'educazione alla maturità cristiana e la collaborazione alla missione della Chiesa in ogni aspetto della vita. La scuola di comunità intende essere in primo luogo un metodo per verificare la presenza di Cristo nella propria vita, approfondendo il rapporto fede-ragione e di come la ragione umana possa approcciarsi al mistero di Dio e dell'Incarnazione, aiutando chi vi partecipa a prendere coscienza di come possa nascere dalla comunione con Cristo attraverso la Chiesa un'umanità nuova.

Ogni comunità comincia il raduno con una preghiera o un canto; c'è quindi una lettura di un testo di don Giussani. Segue una breve discussione, confrontando quanto letto con la propria esperienza personale, e si conclude con un canto, una preghiera e gli avvisi, ritenuti le "gambe su cui può camminare la comunità".

Don Giussani ha sempre utilizzato per sé e per il movimento semplicemente le preghiere e la liturgia della Chiesa, senza aggiunte o modifiche (all'eccezione dell'Angelus che viene recitato in forma abbreviata con un solo Ave Maria). Nella Messa si utilizzano spesso canti della tradizione della Chiesa (gregoriani, laude medievali, polifonici, etc.). Le celebrazioni eucaristiche, aperte a tutti, sono ridotte all'essenziale: senza "segni" (cioè senza applausi, senza arredi sacri particolari, etc.), senza "monizioni" (né interventi spontanei), secondo quanto permette il Messale Romano.

Don Giussani ha sempre promosso la liturgia delle Ore, che è recitata quasi sempre in gruppo ed in recto tono. Agli inizi degli anni settanta fu compilata una versione semplificata del breviario ambrosiano, racchiusa in un ciclo di una sola "settimana" anziché quattro, che è in uso ancora oggi; i consacrati (Memores Domini, etc.) utilizzano invece il breviario della Chiesa cattolica.

Sulla scia della devozione mariana di don Giussani, la recita del rosario è frequente, e sono raccomandati in modo particolare anche l'Angelus, il Regina Coeli, il Memorare, la preghiera di san Bernardo (presente nel canto XXXIII della Divina Commedia) e l'invocazione allo Spirito (Veni Sancte Spiritus, veni per Mariam).

La passione di don Giussani per la musica ed il canto sono un aspetto essenziale del movimento; secondo don Giussani il canto è "l'espressione più alta del cuore dell'uomo", "la carità più grande di tutte perché il canto rende vicino e visibile il mistero". Giussani stesso racconta che fin «dalla prima Messa di GS, la prima in assoluto» insegnò ai suoi ragazzi i classici della devotio moderna, a cui seguiranno poi canti solisti, popolari o polifonici del Cinquecento e del Seicento. Inizialmente circoscritti all'ambito della sola liturgia, i cori di CL si sono poi formati anche su altri generi (dagli spirituals ai canti degli alpini, dai canti brasiliani al Laudario di Cortona, dai canti gregoriani e ambrosiani ai canti tradizionali spagnoli, irlandesi, sudamericani).

Già nei primissimi tempi dell'insegnamento al Berchet don Giussani faceva ascoltare in classe, nelle sue lezioni di religione, dischi di Beethoven, Chopin, Brahms, e altri: l'ascolto e il commento di musica e canti è rimasto poi come uno dei fattori fondamentali della vita del movimento. Negli ultimi anni della sua vita don Giussani ha fondato e diretto la collana di CD Spirto gentil con i pezzi che riteneva meglio eseguiti, non solo di musica classica (tra cui Beethoven, Haydn, Mozart, Rachmaninov, Pergolesi) ma anche canti e musiche di altre tradizioni (ad esempio laudari medievali, canti popolari russi, canti popolari napoletani, canti baschi).

Non per questo CL rinnega la canzone moderna in quanto tale: anzi, il movimento ha accolto anche compositori, come il cantautore Claudio Chieffo, che don Giussani chiamava semplicemente "il poeta".

L'attenzione alla musica è tale che negli esercizi spirituali, ad eccezione dei momenti degli incontri, c'è sempre l'esecuzione di un canto o di un pezzo di musica classica.

La preoccupazione di don Giussani di presentare la lettura di alcuni testi di personalità cristiane e non cristiane che potessero favorire una migliore comprensione dell'esperienza cristiana cominciò con la proposta del "libro del mese" che continua ancora oggi sotto forma di una collana della BUR, denominata I libri dello spirito cristiano. La proposta sull'ascolto della musica è invece nella collana di CD denominata Spirto gentil. In CL si presta grandissima attenzione all'arte, intesa come una delle espressioni più alte dell'uomo.

Gli aderenti al movimento sono educati alla carità attraverso la "caritativa". Questo impegno settimanale affonda le sue radici nell'abitudine dei primi giessini di riversarsi nel fine settimana nella povera Bassa Milanese per fare compagnia ai bambini, giocare con loro e fare catechismo. La caritativa non è intesa come volontariato o come gesto di solidarietà, ma come strumento di educazione del cuore alla gratuità. Attualmente le forme sono le più disparate: per esempio, dedicare un'ora della settimana a fare compagnia ai carcerati, ai malati, a fare doposcuola ai bambini, ecc.

Tutto il movimento di CL è missionario, nel senso che si propone di portare ad ogni uomo la persona viva di Gesù. L'attenzione alla realtà missionaria propriamente detta è grandissima e affonda le sue radici negli anni sessanta, quando alcuni giessini milanesi partirono per il Brasile (paese cui il movimento sarebbe sempre stato legato) come missionari. Si tratta certamente dell'unico esempio missionario studentesco nella storia della Chiesa. In realtà quasi tutti i ragazzi di GS partiti dopo il '68 passarono nelle file dei movimenti marxisti, abbandonando il movimento, ad eccezione di don Pigi Bernareggi e di Rosetta Brambilla, ancora attualmente in Brasile.

Nell'insegnamento di don Giussani, la fede ha a che fare con ogni aspetto della vita, da cui la nascita in seno al movimento di circoli culturali, opere educative, cooperative di lavoro, attraverso cui Comunione e Liberazione si è diffusa assai più che per il tradizionale ambiente delle parrocchie. Al movimento è legata, ad esempio, l'associazione Compagnia delle Opere, nata nel 1986 e che riunisce migliaia tra imprenditori ed opere di carattere assistenziale ed educative. Una critica relativamente diffusa in ambienti laici verso questa associazione è che essa rappresenterebbe una struttura "tentacolare" volta a trasmettere l'influenza e il potere di CL nella vita economica italiana; i sostenitori del movimento affermano al contrario che la Compagnia ha lo scopo di concretizzare nel mondo l'insegnamento di don Giussani.

Il movimento è presente in circa settanta paesi in tutto il mondo.

Dal 1980 ogni anno, in una settimana della seconda metà di agosto, si svolge a Rimini il Meeting per l'amicizia fra i popoli, manifestazione in cui tramite incontri, eventi, mostre e dibattiti con esponenti del mondo della cultura, della politica, dell'industria e della finanza (sia italiani che stranieri), è evidenziato il coinvolgimento di CL con le più varie realtà religiose, politiche e sociali. Nel 1981 nasce a Milano il Centro Culturale San Carlo dietro un invito rivolto direttamente a don Giussani (oggi CMC Centro Culturale di Milano), per dare vita a un luogo di incontro e cultura, dove potesse emergere il contributo che la ragione può portare all'esperienza della fede, attraverso la condivisione e il dialogo tra diverse esperienze di vita. Da lì nascono, negli stessi anni e in diverse città numerosi Centri Culturali che si riuniscono nell'Associazione Italiana Centri Culturali. A Milano aderirono subito numerosi intellettuali, tra cui Giovanni Testori ed oggi docenti, professionisti, scrittori, come Luca Doninelli, Silvano Petrosino, Giulio Sapelli, Salvatore Carrubba.



Dall'ambiente di CL è nata la fondazione Banco Alimentare, una ONLUS per la raccolta e la redistribuzione delle eccedenze alimentari (a cui si è poi aggiunto il Banco Farmaceutico) e l'AVSI (Associazione dei Volontari per il Servizio Internazionale).

Ancora da CL nasce nel 1982 il Sindacato delle Famiglie (SIDEF), per la promozione dei diritti delle famiglie ed il riconoscimento della loro soggettività sociale, ipotizzando che l'Italia sia uno dei paesi europei che più penalizza le esigenze delle famiglie.

Da CL sono nati anche numerose altre iniziative dei più diversi àmbiti: Club Papillon, Teatro de Gli Incamminati, Consorzio Pan (progetti asili nido), Famiglie per Accoglienza, Associazione Cilla, Euresis, Teatro Elsinor, Federazione Opere Educative, Arcipelago Musica, ecc. L'associazione di fedeli Russia cristiana, d'altra parte, pur con posizioni vicine a CL e annoverando tra i propri aderenti molti ciellini, ha avuto genesi ed evoluzione propria e gode tuttora di una propria fisionomia non direttamente dipendente da CL.

Il movimento di Comunione e Liberazione è presente tra i giovani nelle scuole e nelle Università. Alcuni aderenti al movimento di Comunione e Liberazione partecipano attivamente alla politica universitaria mediante liste universitarie, così come alla politica locale, nazionale ed europea. Questo per seguire l'insegnamento della Chiesa di portare Cristo in tutti gli ambienti della società.

La presenza di CL nelle università inizia a partire dalla fine degli anni sessanta con la sigla informale CLU (Comunione e Liberazione - Universitari) ancora oggi utilizzata per indicare tutti i gruppi universitari ispirati a CL. Tale presenza è stata spesso però vista, soprattutto negli anni 70, solo come un elemento politico, tanto che Giussani stesso, nel febbraio 1976, richiamò i suoi sottolineando che «CL in università è un fatto politico più che un fatto ecclesiale, e questo ci strozza» e indicando un nuovo modo di stare in Università più aderente al messaggio cristiano.

La storia delle liste universitarie nate da aderenti a Comunione e Liberazione ha conosciuto negli anni successi ed insuccessi legati soprattutto al radicamento di CL sul territorio e nelle singole Università e attualmente fa riferimento a sigle come Student Office, Obiettivo Studenti, Lista Aperta per il Diritto allo Studio, Ateneo Studenti, Universitas o ListOne riunite in una federazione nata negli anni novanta e denominata Coordinamento Liste per il Diritto allo Studio (CLDS).

Negli atenei italiani il movimento di CL ha fatto sentire la sua voce con nette prese di posizione, dimostrazioni, volantinaggi, manifestazioni durante incontri pubblici su alcuni temi scottanti della politica italiana ed europea, esprimendosi contro l'aborto, l'utilizzo delle cellule staminali embrionali e a sostegno della legge 40/2004 sulla procreazione assistita, opponendosi al divorzio e al riconoscimento legale di coppie omosessuali e sostenendo la parità dei diritti tra scuole statali e private e per l'insegnamento della religione cattolica. Recentemente, anche negli atenei, CL ha preso posizione per quanto riguarda l'inserimento nel testo della Costituzione Europea del riferimento alle radici cristiane. Nei mesi di settembre, ottobre e novembre 2008, ovvero nei momenti di tensione tra governo da una parte e studenti, ricercatori e professori dall'altra, a causa della legge 133 (che prevedeva tagli orizzontali nell'ambito dell'università pubblica, della ricerca e del settore lavorativo universitario) il movimento di CL ha assunto una posizione generalmente poco critica rispetto alla situazione, assumendo posizioni in parte favorevoli al decreto, in parte contrarie; gli esponenti di CL si sono generalmente astenuti dalle manifestazioni di piazza.

Nell'ultimo decennio diversi studenti provenienti dall'esperienza di CL hanno aderito a partiti, buona parte a Forza Italia, militando nelle sue file e presentando candidati nelle sue liste. Per esempio, a Milano, Lorenzo "Lollo" Malagola, studente di Comunione e Liberazione e rappresentante degli studenti in seno al CNSU, è stato eletto nel 2006 come consigliere comunale nelle liste di Forza Italia, seguendo le orme di Carlo Masseroli, che è stato assessore all'urbanistica del comune di Milano, passando dagli organi universitari fino ai banchi del consiglio comunale.

La posizione delle liste vicine al movimento di CL per quanto riguarda la riforma Moratti sullo stato giuridico della docenza e la struttura dei corsi di laurea è stata di un sostanziale appoggio al Ministro (sia pure con alcuni distinguo), in opposizione ad alcuni settori del mondo accademico (all'interno della CRUI, tra i professori, parte della conferenza dei ricercatori e dei dottorandi) e della sinistra studentesca all'epoca maggioranza in seno al CNSU.

Un altro aspetto rilevante della presenza di CL in Università è rappresentato dalle iniziative cooperative. Nel 1977 alcuni studenti di CL fondarono infatti la Cooperativa Universitaria Studio e Lavoro (CUSL) per offrire servizi di fotocopisteria, libri, materiale di cancelleria, convenzioni con negozi, oltre a gestire con i propri proventi iniziative legate al diritto allo studio con borse e facilitazioni.

Alla fine degli anni settanta le cooperative del Movimento Studentesco (di tradizione comunista) erano le uniche realtà organizzate ad usufruire degli spazi universitari per offrire servizi agli studenti e la CUSL, che per diversi anni aveva operato con "banchetti volanti", acquisì la prima sede stabile solo nell'agosto del 1982, con l'occupazione, la pulizia e l'allestimento in uno scantinato abbandonato del Politecnico di Milano.

Sempre alla sfera di CL appartiene l'associazione culturale Universitas University, con base a Milano e che raccoglie un ampio numero di docenti universitari facenti parte del movimento. Tra i documenti degni di nota si trova la difesa degli estensori della "Lettera ad una professoressa" firmata da 18 docenti dell'Università degli Studi di Milano.

La rivista ufficiale del movimento è il mensile Tracce, pubblicato in undici lingue, tra cui il russo ed il giapponese.

All'esperienza di CL si rifaceva il settimanale Il Sabato (pubblicato tra il 1978 ed il 1993).

Fino agli anni ottanta la casa editrice dei testi legati al movimento è la Jaca Book (che prende nome da una pianta sudamericana, la jaca nota come "pianta del pane"); dalla fine degli anni ottanta i libri di Giussani e di altri autori legati a CL vengono pubblicati da diverse case editrici (principalmente Marietti editore e RCS MediaGroup).

La nascita del movimento viene tipicamente indicata come l'ottobre del 1954, cioè coincidente con l'inizio dell'insegnamento di don Giussani nel liceo Berchet di Milano; il movimento è stato a lungo nell'alveo dell'Azione Cattolica: solo nei primi anni settanta CL diverrà completamente autonoma dall'Azione Cattolica.

Già durante la seconda metà degli anni cinquanta il cardinale di Milano Giovanni Battista Montini (futuro papa Paolo VI) riportò a don Giussani le osservazioni di alcuni preti milanesi secondo i quali GS, contrariamente ai metodi dell'Azione Cattolica in cui era inserita, aveva abolito la tradizionale divisione tra associazioni maschili e femminili ed aveva privilegiato l'apostolato d'ambiente rispetto a quello della parrocchia. Montini però concluse: «io non capisco le sue idee e i suoi metodi, ma vedo i frutti e le dico: vada avanti così».

Agli inizi degli anni sessanta, il vescovo di Crema riportava alcune critiche tra cui «GS non è un movimento della Chiesa, ma di un uomo, destinato a scomparire con lui»; mons. Franco Costa, assistente nazionale della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana), chiese inutilmente a Montini il drastico ridimensionamento di GS o dello stesso don Giussani. Le pressioni di Azione Cattolica e FUCI continuarono, finché nel 1965 GS fu finalmente inserita esplicitamente come movimento d'ambiente nelle strutture di AC (avendo come presidente l'allora studente Luigi Negri, oggi vescovo), ed il quarantatreenne Giussani fu inviato "in esilio" negli USA dal cardinale di Milano Giovanni Colombo per studiare teologia protestante. Giussani fu costretto a rientrare dopo appena cinque mesi per un intervento chirurgico alla cistifellea, e fu quindi incaricato di insegnare "introduzione alla teologia" all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (cattedra che tenne fino al 1990). Nel frattempo l'allora studente Angelo Scola (futuro patriarca di Venezia e arcivescovo di Milano), veniva chiamato alla presidenza della FUCI milanese.

Nel numero di luglio del 1966 della Rivista Diocesana Milanese il cardinale Colombo annunciò di aver stabilito che i vertici di GS fossero i vicepresidenti di Azione Cattolica, e che i ragazzi avviati in GS proseguissero la loro formazione nella FUCI. Nello stesso anno Giuseppe Lazzati chiedeva le dimissioni di tutta la presidenza della GIAC (Gioventù Italiana Azione Cattolica) in quanto troppo legati a GS.

Nel febbraio 1966 vengono denunciati da GS gli autori dell'inchiesta pubblicata da "La zanzara", giornale studentesco del Liceo Parini di Milano, intitolata "Che cosa pensano le ragazze d'oggi", un dibattito sulla condizione femminile e sulla posizione della donna nella nostra società, condotta criticando la famiglia tradizionale e la morale sessuale in termini forti per quell'epoca. GS ribatté con un volantino firmato "Pariniani Cattolici", che pur accusando "la gravità dell'offesa recata alla sensibilità e al costume morale comune", era intitolato Protestiamo! Valori fondamentali della nostra tradizione sono la libertà e la democrazia. Il caso de la zanzara rimbalzò sulle cronache nazionali, dividendo il paese. Democrazia Cristiana e Movimento Sociale Italiano costituirono il "partito della colpevolezza", mentre la sinistra e i cattolici progressisti intervennero in difesa degli studenti. Ne nacque un caso simbolo nella società italiana (seguito anche da Le Monde e dal New York Times), presentato come una questione di sesso tra studenti e rapidamente ripresa dalla stampa di sinistra e dai consiglieri comunali comunisti. Un gruppo di genitori firmò un telegramma di solidarietà al preside della scuola, mentre altri genitori denunciarono alla magistratura gli autori dell'inchiesta, che vennero assolti, così come il preside del Liceo dall'accusa di stampa oscena e corruzione di minorenni.

I rappresentanti di GS presentarono le proprie ragioni il 24 marzo successivo, in una sede del PIME, dove furono raccolte 4.500 firme a sostegno della posizione di GS, inviate ai giornali ed alle autorità di Milano.

Il 17 novembre 1967 esplose il Sessantotto italiano, proprio con un'occupazione all'Università Cattolica milanese, a cui parteciparono anche molti aderenti di GS, AC, FUCI, addirittura passando in alcuni casi a Lotta Continua e al Movimento Studentesco di Mario Capanna: la crisi che il Sessantotto accese in tutto il mondo cattolico cambiò profondamente la fisionomia di tutte le aggregazioni della Chiesa in Italia.

Nonostante la tensione con l'Azione Cattolica, fino ai primissimi anni settanta ai vertici dell'AC vi erano ancora giovani provenienti da GS. Per esempio, nel giugno 1970 Massimo Camisasca venne eletto vicepresidente per il Settore giovani dell'Azione Cattolica della diocesi di Milano, carica che avrebbe mantenuto fino al 1972.

Il 18 giugno 1971 la presidenza nazionale della FUCI emise un comunicato in cui diceva: «Preso atto che CL ha una sua organizzazione e un suo discorso su scala nazionale  è risultato più realistico considerare la FUCI e CL come due realtà distinte»; nell'ottobre successivo il cardinale Colombo andò anche oltre, affermando che «i gruppi di CL non sono un'alternativa all'AC ma sono solo un libero e legittimo movimento di apostolato». Queste prese di posizione portarono in meno di un anno al distacco definitivo di CL da AC, un distacco certamente non voluto da Giussani che fino all'ultimo dichiarò al cardinale Colombo di non aver mai voluto creare una struttura accanto ad altre strutture, ma solo sviluppare la propria opera all'interno delle strutture ecclesiastiche esistenti.

Dal rapporto epistolare tra il cardinale Colombo e Giussani emergerà poi la necessità di dotare CL di una qualche forma statutaria.

Negli anni immediatamente successivi al 1968, un periodo in cui tutte le associazioni ecclesiastiche erano in crisi, presso alcuni ambienti si vedeva con perplessità l'espansione di un movimento che faceva capo non ai vescovi ma ad un sacerdote. Il vescovo Franco Costa, incaricato dalla CEI di tracciare un documento su CL, formulò un'accusa di «integrismo» che a causa dell'importanza dell'estensore rimase a lungo come etichetta di CL.

Nel documento di Costa, l'accusa di «integrismo» coesisteva con un'accusa diametralmente opposta (quella di essere un movimento carismatico) a causa della rapida diffusione di CL in tutta Italia. Giussani ha sempre spiegato tale diffusione nei termini di propagazione di un'amicizia cristiana.

Un primo informale incoraggiamento pontificio al movimento di Comunione e Liberazione venne il 23 marzo 1975 da parte di papa Paolo VI. Dopo un incontro in piazza san Pietro, in cui erano presenti diciottomila ciellini, Paolo VI fermò Giussani per dirgli «questa è la strada: vada avanti così! Coraggio, coraggio, lei e i suoi giovani, perché questa è la strada buona», ripetendo lo stesso incoraggiamento di vent'anni prima.

Paolo VI incaricò esplicitamente l'allora segretario della CEI mons. Enrico Bartoletti di seguire CL. Con Bartoletti sembrò che il riconoscimento fosse vicino, ma la sua morte improvvisa nel marzo 1976 riportò tutto in alto mare per altri quattro anni.

Papa Paolo VI, nell'udienza del 28 dicembre 1977, disse agli universitari di CL presenti: «siamo molto attenti all'affermazione che andate diffondendo del vostro programma, del vostro stile di vita, dell'adesione giovanile e nuova, rinnovata e rinnovatrice, agli ideali cristiani e sociali che vi dà l'ambiente cattolico in Italia», ricordando anche il loro «fondatore» don Giussani. Pochi anni dopo, CL avrebbe ottenuto il riconoscimento pontificio.

Con un decreto dell'11 luglio 1980, infatti, l'abate di Montecassino, Martino Matronola, conferì la personalità giuridica all'associazione laicale denominata "Comunione e liberazione" ed eresse la Fraternità di Comunione e Liberazione, invitando gli altri Ordinari diocesani a che venisse "accolta, aiutata e incoraggiata". Nel novembre successivo il cardinale Ugo Poletti la riconobbe a Roma, e prima della fine dell'anno fu riconosciuta anche a Catania ed in numerose altre diocesi italiane. Il 30 gennaio 1982 una nota del Pontificio Consiglio per i Laici considerò l'approvazione pontificia della Fraternità un fatto compiuto, «anche perché il Santo Padre ha manifestato la sua augusta mens, favorevole alla concessione della personalità giuridica pontificia»; il decreto pontificio di papa Giovanni Paolo II seguì poco meno di due settimane dopo, l'11 febbraio 1982. Come presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione fu nominato don Luigi Giussani.

L'11 febbraio 2002 lo stesso Giovanni Paolo II scrisse a Giussani una lettera per i vent'anni di riconoscimento pontificio, in cui affermò che CL «ha voluto e vuole indicare» all'uomo di oggi «non una strada, ma la strada», e tale strada «è Cristo».

Il 24 marzo 2007 papa Benedetto XVI ha voluto ricevere in udienza in Piazza S.Pietro l'intera comunità di CL in occasione del venticinquesimo anniversario della Fraternità. Agli oltre centomila presenti ha ricordato le parole del predecessore e rinnovato la stima e la benedizione nel cammino verso Cristo.

Secondo l'insegnamento di don Giussani, la fede cristiana ha la forza di dare forma ad ogni aspetto della vita, con ogni espressione umana (religiosa, artistica, politica, etc). Proprio perché CL è un movimento ecclesiale e di carattere educativo su tutta la realtà (così come Giussani ha sempre voluto), i giudizi e l'attività dei singoli, partendo dalla propria esperienza di fede, si sono in vari casi rivolti anche alla sfera politica (per esempio sulla questione dell'aborto). Le prese di posizione e i giudizi sui temi di attualità sono stati al centro di diverse polemiche soprattutto per il dichiarato carattere cristiano che li contraddistingueva.

Un episodio particolarmente significativo avvenne durante un'assemblea alla Cattolica nel 1973, quando il coro di CL cantò La ballata del potere di Claudio Chieffo. Il giornalista Walter Tobagi riporta che nel momento in cui il coro intonò la strofa «forza compagni: rovesciamo tutto e costruiamo un mondo meno brutto», i ragazzi del Movimento Studentesco, che erano rimasti un po' stupiti e un po' ridacchiosi di fronte alla scena cominciarono ad applaudire. Ma l'applauso si trasformò in una fischiata quando il coro arrivò all'ultima strofa: «Ora tu dimmi, come può sperare un uomo, se ha in mano tutto, ma non ha il perdono?».

Le prime timide apparizioni "politiche" di aderenti a CL risalgono all'inizio degli anni settanta, generalmente in appoggio alla Democrazia Cristiana, visto ancora come il "partito cattolico". La prima vera battaglia politica fu il referendum sul divorzio del 12 maggio 1974, in cui il fronte cattolico si presentava diviso: per esempio le Associazioni Cristiane Lavoratori (ACLI) furono favorevoli al divorzio, l'Azione Cattolica non prese una posizione ufficiale, altre formazioni ecclesiali – fra cui CL – si dichiararono contro fin dall'inizio. CL organizzò manifestazioni ed incontri pubblici per promuovere le ragioni del "sì" alla consultazione, ma il referendum fu vinto dai "no"; ciò portò ad una lunga riflessione all'interno di CL sull'efficacia delle manifestazioni e degli incontri.

Un anno dopo, il 29 maggio 1975, nacque il Movimento Popolare ad opera di Roberto Formigoni ed altri membri di CL. Alle amministrative del 15-16 giugno 1975 la formazione guadagnò cinque eletti al comune di Milano, e diversi altri nel resto dell'Italia. Il 27 giugno 1975 il primo comunicato stampa di CL sulle elezioni affermava: «nonostante il calo percentuale della DC, un nuovo movimento cattolico è nato». Il movimento fu denominato Movimento Popolare, senza l'aggettivo "cattolico", perché non si voleva scomodare un riferimento così impegnativo alla Chiesa cattolica.

Nel Movimento Popolare confluirono molti dalla CISL, dalla DC, dalle ACLI, dall'Azione Cattolica e da altri ambienti, ma la stampa continuò a considerare il Movimento Popolare come l'espressione politica di CL. Giussani stesso, nel febbraio del 1976, ebbe ancora a lamentarsi che nelle università CL veniva considerata «un fatto politico più che un fatto ecclesiale»; nel maggio successivo Giussani e Formigoni scrissero ufficialmente a tutti i responsabili di CL che «il soggetto pubblico promotore di tutte le iniziative in campagna elettorale deve essere il Movimento Popolare, non CL; ciò al fine di evitare gravi equivoci sulla natura ecclesiale del nostro movimento. Non esistono candidati di CL, né nelle liste DC, né in alcuna altra lista. Esistono nella lista DC dei candidati che liberamente condividono l'esperienza di CL». I responsabili del Movimento Popolare affermarono che «alla radice del nostro modo di fare politica c'è un atteggiamento religioso», ma all'iniziale sostegno dato alla DC si affiancò gradualmente una polemica sul metodo democristiano, in particolare sul tema dell'aborto.

Altre attività del Movimento Popolare riguardarono l'attività a favore dei boat people (in particolare i profughi che fuggirono dal Vietnam del Sud in guerra) e della Polonia di Solidarność. I due anni d'oro del Movimento Popolare furono il 1984 ed il 1985.

Con Tangentopoli e la messa in crisi della DC e della Prima Repubblica, il Movimento Popolare si sciolse il 2 dicembre 1993.

I giudizi politici (l'appoggio alla Democrazia Cristiana, le prese di posizione sul divorzio, etc) fecero guadagnare a CL prima e al Movimento Popolare poi l'antipatia di movimenti politici sia di destra che di sinistra.

Dal 16 marzo 1973 L'espresso pubblicò una serie di articoli evidenziando la consistenza numerica di CL e qualificandola come «gli extraparlamentari della DC»: CL guadagnava così l'attenzione della stampa e degli ambienti della scuola e dell'università. Dal febbraio del 1974 si registrarono a Milano le prime aggressioni agli aderenti di CL sia nella scuola (nello stesso liceo Berchet e all'ITIS Molinari) che all'università (alla Statale) da parte di organizzazioni sia di sinistra (come Avanguardia Operaia e Movimento Studentesco) che di destra (come FUAN e Avanguardia Nazionale).

In vista del referendum sul divorzio (maggio 1974), a causa della posizione dichiaratamente contraria al divorzio da parte dei ciellini, le organizzazioni ostili a CL la definirono «CL organizzazione giovanile della DC», «organizzazione squadristica di CL», «gruppo reazionario clerico-fascista al soldo di DC e padronato»; aumentarono le aggressioni tese ad impedire assemblee e volantinaggi di CL, stavolta anche in altre regioni d'Italia. Nel giugno successivo gli universitari ciellini vengono aggrediti da esponenti del Movimento Studentesco durante una funzione religiosa nella chiesa della Statale di Milano; nei volantinaggi del Movimento Studentesco si chiedeva sempre di «togliere agibilità politica a CL» poiché «CL non ha il diritto di parlare in università». Nel dicembre successivo il manifesto afferma che sarebbero presenti in CL «alcuni squadristi di Ordine Nuovo», dando al Movimento Studentesco il pretesto per ulteriori aggressioni nonostante la smentita di Roberto Formigoni. CL si troverà contro perfino gruppi di ispirazione cristiana come Gioventù ACLIsta e Cristiani per il Socialismo. Un discreto numero di studenti e professori ciellini finirà all'ospedale a seguito delle aggressioni. «È una colpa sociale essere cristiani», commenterà amaramente il cardinale Ugo Poletti sulle pagine de L'Osservatore Romano.

Un volantino delle Brigate Rosse nel dicembre 1975 indica CL come uno strumento della «campagna clerico-fascista scatenata dal Vaticano contro il pericolo comunista» e i ciellini come «provocatori di professione al soldo dell'imperialismo». Ancora nel 1975 Il Messaggero pubblica una notizia intitolata: «Picchiati studenti integralisti di Comunione e Liberazione». Il 14 febbraio 1976 appare contemporaneamente su La Stampa e il manifesto la notizia che CL sarebbe «un'organizzazione politica creata dalla CIA e foraggiata con due miliardi di lire». Nonostante le smentite e la pubblicazione dei dati sull'autofinanziamento di CL e la querela ai due giornali, la notizia viene amplificata dalla stampa e le aggressioni si moltiplicano: già nello stesso febbraio ci furono diversi attacchi con bombe Molotov contro sedi di CL, con lo slogan «le sedi di CL si chiudono col fuoco», devastazioni o distruzioni di locali usati da ciellini, auto, proprietà, aggressioni con spranghe e mazze (il 17 giugno 1979 La Stampa e Il manifesto smentiranno quelle che erano state definite 'assurde calunnie'). Un attentato con bombe Molotov devasterà anche la sede della Jaca Book, una casa editrice che annoverava tra i suoi fondatori alcuni giovani di CL.

Nel luglio 1977 le Brigate Rosse gambizzano Mario Perlini, in quanto «segretario regionale dell'organizzazione di Comunione e Liberazione» (volantino BR del 14 luglio 1977), il 23 ottobre 1977 gambizzano Carlo Arienti, in quanto «uomo di punta di Comunione e Liberazione».

I più noti esponenti politici italiani direttamente legati a CL sono l'ex presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, l'ex vicepresidente del Parlamento Europeo Mario Mauro, il fondatore dell'Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà Maurizio Lupi e, in passato l'ex ministro dei Beni Culturali Rocco Buttiglione.

Con lo scioglimento del Movimento Popolare e la dissoluzione della Democrazia Cristiana, l'attenzione politica degli aderenti al movimento si è, nella maggior parte dei casi, spostata ad alcune componenti della Casa delle Libertà; vi sono state diverse eccezioni, come ad esempio il sostegno di parte del movimento a Democrazia Europea nelle elezioni politiche 2001, e a esponenti di centro-sinistra soprattutto in occasione di elezioni amministrative (per esempio in Campania e Toscana).

Dopo le esplicite prese di posizione in occasione dei referendum sull'aborto e sul divorzio (sui quali il mondo cattolico si era presentato frammentato e diviso), in occasione dei referendum abrogativi del 2005 in materia di procreazione medicalmente assistita l'intero movimento si è compattato attorno alla campagna per l'astensione, che ha visto impegnato la stragrande maggioranza del mondo cattolico italiano; CL si è sempre espressa negativamente sull'uso delle cellule staminali embrionali a scopo di ricerca.

Per le elezioni politiche del 2013 alcuni membri di CL, tra i quali Giorgio Vittadini (fondatore della Compagnia delle Opere) e l'imprenditore Graziano Debellini (leader del movimento ciellino veneto ed ex-presidente della Compagnia delle Opere ), hanno manifestato il loro appoggio per il premier uscente Mario Monti a scapito di Silvio Berlusconi.

Le critiche espresse nei confronti di CL si possono riassumere in tre categorie: quella politica-economica, quella dell'ambito religioso e sociale espressa da ambienti esterni alla Chiesa cattolica, e quella religiosa e sociale espressa da ambienti della Chiesa.

Storicamente, le critiche riguardanti la politica sono venute da destra e da sinistra, con una forte predominanza da quest'ultima a causa della massiccia presenza di liste collegate alla sinistra nelle università (per esempio il Movimento Studentesco, detentore negli anni settanta della maggioranza dei consensi nelle università milanesi, fu il più prolifico di critiche ed attacchi a CL).

Fino a tutti gli anni settanta negli ambienti di GS prima e di CL poi si era utilizzato un linguaggio e uno stile prossimo a quello della sinistra (cfr. ad esempio tra i canti di CL, o tra le pubblicazioni della Jaca Book, o lo stesso termine «liberazione» del nome «Comunione e liberazione», in antitesi agli slogan comunisti dell'epoca). Ciò non poteva che portare a critiche da parte di ambienti di estrema sinistra, storicamente ostili a CL e che hanno sempre criticato tale movimento ecclesiale in termini di politica e di economia, per esempio contestando una presunta "economia parallela" (nella Compagnia delle Opere) capace di portare la sua influenza nel mondo politico italiano.

Nel 2003 scoppiò uno scandalo, legato all'ambiente cooperativo vicino a Comunione e Liberazione. Vennero inquisiti diversi dirigenti e fornitori della società cooperativa di ristorazione "La Cascina" con l'accusa di truffa aggravata, frode in pubbliche forniture, falso ideologico, turbativa d'asta, somministrazione di sostanze alimentari in modo pericoloso per la salute pubblica. Il procedimento si è poi concluso con il proscioglimento degli indagati. La cooperativa, attiva dal 1978, è ancora oggi uno dei leader nazionali nel settore della ristorazione collettiva e si occupa di gestire mense universitarie, scolastiche, ospedaliere e dal 2002 anche la buvette del Senato; la cooperativa si occupa anche della gestione dei buoni pasto Break Time.

Una critica poco visibile è quella rivolta agli esponenti di CL che hanno raggiunto posizioni di rilievo nella società: essa ha ad oggetto l'osservazione che tutti i collaboratori sarebbero scelti tra gli esponenti di CL secondo un'usanza ormai consolidata di occupazione silenziosa e vincente delle posizioni di potere. Secondo i sostenitori di questa tesi, ovunque vi sia una posizione rilevante acquisita anche da un solo esponente di CL seguirà l'occupazione delle poltrone da parte di altri esponenti di CL e la privazione di potere per gli esponenti di qualunque altra idea religiosa o politica.

Un esempio è quello della regione Lombardia, ove, dal momento in cui è divenuto presidente, Formigoni si è circondato nel suo incarico, e quindi in posti di lavoro nell'Ente pubblico, di un gran numero di simpatizzanti e persone interne al movimento, escludendo di fatto gli oppositori.

Un appunto spesso mosso a CL, fin dai primissimi anni del Concilio Vaticano II, è che in CL «non si parla del Concilio». A questa obiezione già all'epoca rispose don Giussani: «Non ne parlavamo, lo vivevamo». Lo stile di CL, che le gerarchie ecclesiastiche indicheranno inizialmente come «movimento di apostolato d'ambiente», per giunta propagatosi attraverso un sacerdote anziché nell'ambito organizzativo dei vescovi, non poteva incontrare immediatamente il gradimento di quanti erano convinti della necessità dell'istituzionalizzazione di ogni movimento cattolico entro il sistema delle parrocchie (in realtà, ciò è storicamente avvenuto solo per l'Azione Cattolica). Giussani stesso ebbe a lamentarsi col cardinale Colombo di sentirsi «emarginato», dichiarando di non aver mai voluto creare una nuova struttura da affiancare alle altre esistenti nelle parrocchie. Solo con il riconoscimento pontificio (e con l'emergere di numerose altre aggregazioni ecclesiali, così come auspicato dal Concilio Vaticano II), si ridurrà questo genere di polemiche.

Come altri movimenti ecclesiali di rapida e grande diffusione, Comunione e Liberazione è stata accusata più o meno velatamente di proselitismo, anche da parte di alcune associazioni cattoliche tradizionali, con particolare riferimento agli ambienti della scuola e dell'università. Da tale accusa CL si difende ricordando la diffusione del movimento attraverso rapporti di amicizia piuttosto che con "discorsi o progetti organizzativi": secondo l'insegnamento di don Giussani, «non si costruisce una realtà nuova con dei discorsi o dei progetti organizzativi, ma vivendo gesti di umanità nuova nel presente» (intervento ad Assago del 1976).

Sempre all'interno della Chiesa, CL fu accusata di modernismo dalle ali più tradizionali e di tradizionalismo da quelle più progressiste. Tali critiche non sono mai state accolte dalla Congregazione per la Dottrina della Fede.

Da ambienti esterni a Comunione e Liberazione provengono critiche di tipo "religioso": c'è per esempio chi ha parlato di una sorta di "americanizzazione" di CL che porterebbe ad un cristianesimo «degenerante per la cultura occidentale»; in questo movimento, infatti, gli Stati Uniti d'America sarebbero visti come un «punto di partenza per rilanciare l'evangelizzazione del mondo». Don Giussani aveva in più occasioni parlato di «svuotare lo Stivale» (cioè diffondere fuori dell'Italia il movimento, in obbedienza alle indicazioni missionarie del papa).

Poiché, secondo gli aderenti, l'impostazione della cultura di CL è la testimonianza dell'incontro cristiano in ogni ambito della vita (scuola, lavoro, impegno sociale e impegno politico), critiche a CL sono giunte anche da questi ambiti. Alcune critiche fanno riferimento alla massiccia presenza di CL negli ambienti scolastici, in particolare, i licei classici. Sono note le polemiche circa la presenza nelle scuole di insegnanti di religione facenti riferimento al movimento e che organizzerebbero le lezioni in classe sullo schema di quanto avviene per la scuola di comunità (preghiere, testi, metodi facenti riferimento alla figura di don Giussani). A ciò si aggiungono accuse di «comunicazione della celebrazione di una Messa» e di «domande strutturate sulla base dei due discorsi del papa» nei confronti di professori e studenti non appartenenti al movimento, in seno all'ambiente scolastico.

Ulteriori critiche a CL sono sorte a seguito di particolari prese di posizione in campo sociale e culturale. CL è stata accusata di revisionismo storico per quanto riguarda il Risorgimento italiano (al Meeting di Rimini, infatti, sono stati presentati negli ultimi anni testi di diversi autori con un punto di vista critico sul Risorgimento).

Nell’omelia per i funerali di Giussani l’allora cardinale Ratzinger, che poche settimane dopo sarebbe stato eletto Papa, nell’affollatissimo duomo di Milano ricordò che nel 1968, quando Cl esisteva già da 14 anni, “la tentazione grande di quel momento era di trasformare il cristianesimo in un moralismo, il moralismo in una politica, di sostituire il credere con il fare”. E Ratzinger spiegò che così facendo “si cade nei particolarismi, si perdono soprattutto i criteri e gli orientamenti, e alla fine non si costruisce, ma si divide”. Eppure la commistione tra il movimento e la politica è sempre stata presente e anche molto evidente, basta rivedere le sfilate di ministri, deputati e senatori agli annuali meeting di Rimini con esponenti di punta nel governo di Enrico Letta, Mario Mauro e Maurizio Lupi, di cui solo quest’ultimo confermato dal premier Matteo Renzi.

Per Ratzinger, che divenuto Papa, e anche da emerito, vivrà insieme a quattro laiche consacrate di Cl, le Memores Domini, “monsignor Giussani, nella forza della fede, ha attraversato imperterrito queste valli oscure e naturalmente, con la novità che portava con sé, aveva anche difficoltà di collocazione all’interno della Chiesa”. Sarà forse proprio per questo che il cardinale di Milano, Angelo Scola, alla vigilia del conclave del 2013, in cui era in pole position, aveva “preso le distanze da Cl”, come affermato da monsignor Luigi Bettazzi, il vescovo che profetizzò le dimissioni di Benedetto XVI. Ora i seguaci di don Giussani attendono fiduciosi la benedizione di Papa Francesco. Dagli archivi di Cl è stato rispolverato un testo in cui l’allora cardinale Bergoglio affermava: “Da molti anni gli scritti di monsignor Giussani hanno ispirato la mia riflessione, mi hanno aiutato a pregare e mi hanno insegnato a essere un cristiano migliore”.

Un movimento ecclesiale, cioè un gruppo organizzato di cristiani che testimoniano la presenza di Cristo nel mondo. Ma è anche una potenza politica ed economica. Ha il suo centro in Lombardia, dove funzionava il più potente e pervasivo apparato politico-imprenditoriale esistente in Italia: quello dell’area ciellina di Roberto Formigoni. «Un sistema di potere come quello di Formigoni, Cl, non esiste in alcun punto del Paese», scrisse Eugenio Scalfari. «Nemmeno la mafia a Palermo ha tanto potere. Negli ospedali, nell’assistenza, nell’università, tutto è diretto da quattro-cinque persone». Le attività imprenditoriali sono coordinate dalla Compagnia delle Opere, associazione che riunisce in tutta Italia 35 mila aziende e più di mille organizzazioni non profit. Giro d’affari complessivo: 70 miliardi l’anno. Slogan: “Un criterio ideale, un’amicizia operativa”.

La galassia di società controllate dalla Regione è il motore di appalti e incarichi sottratti al controllo del consiglio regionale. Infrastrutture Lombarde è la spa creata per realizzare le nuove infrastrutture, ospedali, strade, tutto sotto il comando del presidente. Da Infrastrutture Lombarde viene Guido Della Frera, dal 1994 dirigente di Forza Italia, poi consigliere comunale a Milano e assessore. Ex braccio destro di Formigoni, dal 2004 si è concentrato sulle proprie attività imprenditoriali. Diventa azionista del Polo geriatrico riabilitativo di Cinisello Balsamo: solo cinque mesi dopo ottiene dalla Regione l’accreditamento. Da allora è stata una marcia trionfale: grazie agli accreditamenti garantiti, ha costruito un gruppo (il Gdf Group spa) da 25 milioni di euro di fatturato, con società che vanno dal settore sanitario (degenza, day hospital, emodialisi, radiologia e altro ancora) a quello residenziale e turistico-alberghiero.
Il gruppo ciellino controlla il settore fieristico, importante per Milano
La sanità è poi il settore più ricco tra quelli controllati dalla Regione. E il più militarmente occupato: bisogna essere di area Cl per fare carriera, per ottenere incarichi, direzioni generali, posti da primario.

Ed è possibile che questo sia legato alla Chiesa Cattolica? Sembrerebbe assurdo, eppure è così. Si chiama “Comunione e Liberazione”, è un movimento cattolico che esiste da 50 anni.
Definizioni di terroristi o meno, le critiche cominciarono ad aumentare dopo il 1986, anno della fondazione da parte di un gruppo consistente di ciellini della già citata Compagnia delle Opere (CdO), associazione nazionale non confessionale, ma ispirata alle dottrine cristiane, che nel tempo ha radunato circa 36.000 imprese con CDO-COMPLETO_colore40 sedi in Italia e 16 all’estero.

L’associazione a detta del suo presidente Bernhard Scholz (consulente di direzione e docente per la formazione manageriale) ha lo scopo di “ affrontare le sfide economiche, sociali e culturali in modo costruttivo e innovativo” dando particolare importanza al “senso di responsabilità e al desiderio di contribuire al bene comune presenti in ogni persona”. Ciò dovrebbe avvenire tramite iniziative in ambito profit e no-profit che mettano insieme numerosi imprenditori in un clima sereno di fruttuosa collaborazione per lo sviluppo.

Tuttavia a creare qualche sospetto sulla CdO è la natura del suo fatturato, circa 70 miliardi di euro, e la possibilità per i suoi membri – attraverso il pagamento di una quota di iscrizione – di godere di una rete di relazioni (che permette loro di  farsi amici i maggiori imprenditori del paese) e di alcune convenzioni bancarie, accordi speciali con istituti di credito che offrono ai soci un accesso al credito facilitato (ad esempio l’accordo tra CdO Veneto e Banco Popolare).

Il sospetto che l’organizzazione vada al di là di fini etici presupposti, costituendo un gruppo chiuso di potere ed opportunità, c’è. Ma la stessa perplessità si allarga, per alcuni, all’intera CL, munita anche di un proprio giornale (Tracce), pubblicato in undici lingue, e caratterizzato da un meeting annuale a Rimini che vede la ciclica sfilata di ministri e personalità politiche rilevanti (nel 2013 ci andò anche il premier Letta). In queste riunioni, inoltre, ci sono anche una serie di banchi con scopi prettamente commerciali, poco aderenti allo spirito teorico di CL. L’aria che si respira così, per alcuni critici, sembra essere quella di una sorta di “setta” (com’è sostenuto in questa testimonianza) .

Nulla di certo, è chiaro, ma le critiche sono confluite anche in due inchieste del giornalista Ferruccio Pinotti (che negli anni ha scritto per quotidiani e settimanali come il Sole24 ore, Il Corriere della Sera e L’espresso, oltre ad aver lavorato a New York per la CNN) e dell’attore, documentarista e giornalista Saverio Tommasi, intitolate rispettivamente: “La lobby di Dio” e “Gesù era ricco. Contro Comunione e Liberazione”.

Il primo definisce CL “più potente dell’Opus Dei e più efficiente della massoneria” e ricostruisce i suoi rapporti con la politica riscoprendo un’incredibile vicinanza non solo di esponenti di centro-destra come Lupi, Formigoni, Tremonti e Berlusconi, ma anche di centro-sinistra come Letta, Bersani e Renzi (incredibile a dirsi, ma i tre hanno qualcosa in comune oltre al PD). Inoltre parla del controllo ciellino sull’organizzazione dell' Expo 2015 a Milano. Infine, anche grazie alla testimonianza di un fuoriuscito dal movimento e quella di una psicoterapeuta che ha lavorato con i suoi membri, Pinotti definisce CL come “una lobby di potere che estende i suoi tentacoli dall’economia alla finanza, dalla politica alla società civile fino all’informazione e ai grandi direttori dei giornali”.

Il secondo, invece, come mostra in modo evidente il titolo scelto, mette in evidenza la distanza tra l’etica cristiana e CL sostenendo poi una tesi simile a Pinotti. Comunione e Liberazione sarebbe una lobby con esponenti in posti chiave della società italiana, a partire dai luoghi di formazione di pensiero come le università.

E pensare che alcuni critici non sono mancati nemmeno nelle file della Chiesa. Il primo fu il vescovo Franco Costa, che nel 1968 in un documentò sul movimento lo accusò di “integralismo” riconoscendone però “il carisma”. Tuttavia, a partire da Paolo VI, tutti i papi hanno incoraggiato CL, riconoscendogli ufficialmente nel 1980 la sua “personalità giuridica”. Tra i pontefici che incoraggiarono di più il movimento, troviamo papa Giovanni Paolo II e Benedetto XVI (quest’ultimo anche da diretto esponente).

Grandi sostenitori e grandi critici. Una dialettica aspra, dalla difficile risoluzione, nella quale, però, si pongono delle evidenze incontrovertibili: gli scandali che hanno colpito molti esponenti di CL.

Il primo è lo scandalo de “La Cascina”, una cooperativa di Roma, legata sia a Comunione e Liberazione che alla Compagnia delle opere, che tra il 1999 e il 2003 confezionò cibi scaduti, avariati e putrefatti per le mense degli ospedali e delle scuole baresi in cui venivano serviti malati di fibrosi cistica, tumore, leucemia e molto altro.

Il secondo è riconducibile all’inchiesta “Why Not” dell’ex magistrato Luigi De Magistris, dove vennero intercettati Papa Ratzinger e altri ciellini e fu denunciato un sistema di legami e “favori” che coinvolgeva CL e CdO soprattutto in Calabria.

Il terzo è conosciuto con il nome di “Oil for food” (scoppiato nel 2012), un programma umanitario internazionale per garantire cibo e medicine alla popolazione irachena, che fu violato tramite tangenti per ottenere appalti e petrolio. Nello scandalo finirono Roberto Formigoni, il suo responsabile elettorale Alberto Perego, il suo segretario Fabrizio Rota e l’ex sindaco di Chiavari Marco Mazarino de Petro. Tutti e 4 sono ciellini e i primi 3 addirittura fanno parte dei “Memores Domini”, il cosiddetto “Gruppo adulto” del movimento (uomini e donne che fanno voto di “castità”, “povertà” e “obbedienza” vivendo in case comuni sotto il controllo di un sacerdote).

Il quarto e il quinto riguardano invece rispettivamente l’accusa di appropriazione illecita di fondi nazionali ed europei da parte di 10 vertici dellla CdO del Nord-Est (sempre nel 2012) e quella di abuso su minori da parte di uno dei membri di CL, Monsignor Mauro Inzoli (il presunto “confessore” di Formigoni), chiamato “il prete in Mercedes” per i lussi che si concedeva e gli incontri politicamente rilevanti che aveva.

Ecco che allora la “questione CL” non riguarda solo eventuali critiche di “massoneria” in astratto contro la rivendicazione della purezza del progetto religioso. Di mezzo c’è una “questione etica” rilevante, una questione pratica ed evidente: i membri di CL o vicini ad esso coinvolti nelle bufere citate sono tanti. Troppi davvero per impedire che le critiche emergano.
Chissà se è vero che Giussani pensò che il movimento gli era sfuggito di mano, come sostengono alcuni.
Per la serie predicare bene ma razzolare come si vuole....





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martedì 1 marzo 2016

EBREI E DENARO

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I profeti biblici esortano tutta la gente a condurre una vita giusta. Carità ai bisognosi, benevolenza, fede, compassione per chi soffre, una disposizione ad amare la pace e uno spirito veramente umile e contrito, sono le virtù che i Profeti propongono d'emulare. La lealtà civica, anche verso un governante straniero, viene data come dovere (Ger. 29.7). "Impara a fare del bene" è l'avviso dominante dell'invocazione profetica (Isaia 1:17); in tal modo la fine del tempo sarà una di pace e di giustizia; non ci saranno più guerre (Isaia 2:2 et seq.).

Oltre ad insegnare carità e amore verso il prossimo, fonti ebraiche tendono ad ammonire che è dovere della persona preservare la propria vita (Berachot 32b) e la propria salute. Cibi pericolosi per la salute devono essere evitati ancor più di quelli proibiti ritualmente. L'etica ebraica nega l'umiliazione e l'abbattimento di se stessi: "Chi si sottopone a inutili digiuni e castigazioni, o si nega anche il piacere del vino, è un peccatore" (Taanit 11a, 22b). La persona deve rendere conto di ogni giusto godimento che si rifiuti (Talmud YER. KID. Iv. 66d). La persona deve mostrare rispetto di se stessa per quanto riguarda sia il suo corpo, "onorandolo come immagine di Dio" (Hillel: Midrash Leviticus Rabbah 34), sia i suoi indumenti (Talmud Shabbat 113b; Ned. 81a).

Nella Torah ci sono più comandamenti relativi al casherut (l'idoneità) del proprio denaro che al casherut del cibo. Queste leggi sono sviluppate e ampliate nella Mishnah e Talmud (in particolare nell'Ordine di Nezikin). Il Talmud denuncia come frode tutti i modi di sfruttare l'ignoranza dell'uomo, che sia ebreo o gentile; qualsiasi transazione fraudolenta, qualsiasi guadagno ottenuto con scommesse o gioco d'azzardo, o aumento del prezzo di materie prime mediante speculazione, è un furto (B.B. 90b; Sanhedrin 25b). Il Talmud denuncia vantaggi derivanti da prestiti di denaro o di viveri come usura; qualsiasi violazione di accordi in commercio è un peccato che provoca la punizione di Dio; qualsiasi atto di incuria che espone persone o cose a pericoli e danni è una trasgressione colpevole. Esiste una tradizione ampiamente citata (Talmud Shabbat 31a) che nell'essere giudicati nel Mondo a venire, la prima domanda sarà: "Sei stato onesto in affari?".

Le leggi in materia di etica degli affari sono delineate nei codici più importanti della Legge ebraica (ad esempio, Mishneh Torah, Shulchan Arukh, in particolare Choshen Mishpat). Una vasta gamma di argomenti di "etica degli affari" sono discussi nella letteratura dei responsa. L'etica degli affari ha ricevuto particolare attenzione nell'insegnamento di Rabbi Israel Salanter (XIX secolo), fondatore del Movimento Musar in Europa orientale. L'applicazione delle leggi in materia di corretto trattamento dei lavoratori del settore alimentare è stata fondamentale nell'attività della Commissione Hekhsher Tzedek dell'Ebraismo conservatore e la sua approvazione nel 2008 di un responsum di Rabbi Jill Jacobs, che ha richiesto il pagamento dei lavoratori in conformità alla legge ebraica e il trattamento dei lavoratori con dignità e rispetto.

Il concetto ebraico di giustizia ("Zedaqah", anche intesa come carità) afferma che il possessore di proprietà non ha il diritto di negare ai poveri la loro parte. Secondo Maimonide nella sua Mishneh Torah, il massimo livello di zedaqah è la carità che permetta ai poveri di interrompere il ciclo della povertà e diventare membri indipendenti e produttivi della società. La zedaqah può esser fatta in forma di prestito senza interessi a una persona bisognosa, o nel formare una società con una persona bisognosa, o dando un contributo a una persona disagiata, o trovare un lavoro per una persona disoccupata, purché tale prestiti, sovvenzioni, associazioni, o impiego abbia come risultato che la persona bisognosa non abbia più bisogno di vivere facendo affidamento sugli altri.

Gli ebrei tradizionali comunemente praticano "ma'aser kesafim," la decima del proprio reddito per sostenere chi è indigente. I rabbini hanno decretato (in opposizione alla pratica essena e all'esortazione data Nuovo Testamento) che non si dovrebbe dare via troppa parte o tutti i propri averi. Non aspettavano infatti un salvatore soprannaturale che venisse a prendersi cura dei poveri, e quindi dichiararono che non bisogna rendersi poveri. Dal momento che quasi tutti gli ebrei dell'epoca erano poveri o appartenenti alla classe media (anche i ricchi di allora erano "ricchi" solo in paragone ai poveri), si stabilì che non si doveva dare via in beneficenza più di un quinto del proprio reddito, mentre si era comunque obbligati a fare la carità con un minimo del 10% del proprio reddito.

Molte pagine del Talmud sono dedicate alla promozione della carità (cfr. int. al., BB 9b-11a, 17b AZ,. Pes 8a;. Rosh 4a), e questo tema è al centro di molti libri religiosi e responsa rabbinici.

Sono molti gli stereotipi sul rapporto tra la cultura giudaica il mondo della finanza. A partire da quello legato al prestito di denaro. Tutti strettamente connessi alle attività economiche di questa comunità, anziché alla sua religione.
È la frase che il grande economista Milton Friedman pronunciò durante una conferenza all'Università di Chicago nel lontano 1976, poco dopo essere stato insignito del Premio Nobel per le sue celebri teorie sulla moneta, le stesse che poi hanno ispirato il pensiero neo-liberista dei successivi 30 anni. Fu nel corso di quella conferenza che Friedman, nato a Brooklyn nel 1912 da una famiglia ebrea poverissima, emigrata negli Stati Uniti dall'Europa Orientale, analizzò il complesso rapporto che lega lo spirito dell'economia moderna all'etica e alle tradizioni di un popolo (quello ebraico, appunto) capace di dare un contributo fondamentale alla cultura dell'intero Occidente. Secondo il celebre sociologo tedesco Werner Sombart, per esempio, l'etica ebraica ha addirittura posto le basi per la nascita del capitalismo moderno, favorendo nel corso dei secoli l'affermazione della libertà individuale nello svolgimento delle attività economiche (un ruolo che Max Weber, amico e "collega" di Sombart, attribuiva, invece, al cristianesimo protestante). Nella sua conferenza, Friedman ribaltò di fatto il ragionamento di Sombart: non è il capitalismo a essere debitore degli ebrei, ma è il popolo ebraico a essere debitore del capitalismo. Per quale ragione? Perché, sottolineò Friedman, la moderna economia capitalista si fonda sempre sulla concorrenza e sul mercato che, a differenza dei monopoli, non fanno mai distinzioni tra razze, colori della pelle o convinzioni religiose. Se c'è vera concorrenza, infatti, i consumatori acquistano un determinato prodotto soltanto perché lo ritengono migliore degli altri, indipendentemente da chi lo vende o da chi lo produce, sia esso un ebreo, un bianco, un nero, un cinese o un americano. È proprio grazie all'economia di mercato, dunque, che molti ebrei hanno potuto affermarsi nella società, in diverse epoche, nonostante il ruolo di perseguitati assegnato dal destino ai figli d'Israele.

Zedakah è una parola ebraica che significa giustizia ma che viene comunemente usata anche per indicare la carità. Secondo il medico e giurista ebreo Maimonide, la forma più alta di Zedaqah consiste nel fare donazioni, ma anche prestiti che rendano i destinatari indipendenti economicamente, in modo da non dover più chiedere l'elemosina. Nella tradizione ebraica è sempre stata considerata come un elemento positivo. Le fonti rabbiniche, per esempio, hanno sempre promosso la concorrenza anche nell'insegnamento delle sacre scritture.
Damim significa denaro, è il plurale della parola dam, che significa anche sangue. Il valore (vitale) del denaro, come per il sangue, consiste nella sua capacità di circolare nel modo giusto. Nell'etica ebraica, c'è però una condanna dell'uso sbagliato del denaro, della cupidigia, mentre la parsimonia e l'oculatezza hanno un valore positivo. Nonostante i luoghi comuni sulla figura dell'ebreo-usuraio, la concessione di soldi in prestito in cambio di interessi viene condannata in diverse parti del Vecchio Testamento (nell'Esodo, nel Levitico e anche del Deuteronomio). Le attività bancarie cui si dedicarono con successo gli ebrei, sin dal Medioevo, hanno origine piuttosto dal fatto che ai membri della comunità giudaiche era vietato l'esercizio di altre professioni.



Ragioni storiche, più che affinità etiche, hanno spinto dunque l'ebraismo e la comunità degli affari a trovare spesso molti punti di contatto, nel corso dei secoli. Fin dal Medioevo, per esempio, gli ebrei erano gli unici a poter esercitare legalmente la pratica dell'usura, che invece era vietata ai cristiani. Molti membri delle comunità giudaiche divennero, infatti, degli usurai soltanto perché, contemporaneamente, si vedevano precluso l'accesso ad altre attività economiche: non potevano ad esempio effettuare lavori agricoli, né far parte di alcuna corporazione, mentre una bolla del 1205 di papa Innocenzo III (Etsi Iudaeos) li aveva posti nella condizione di «perpetua servitù». Alle comunità giudaiche medievali, dunque, restavano ben poche scelte: o si dedicavano ad alcune forme di artigianato e di commercio oppure svolgevano quella che era per loro un'attività lecita, proibita ai cristiani, cioè la concessione di denaro in prestito. Come ha ricordato il biblista Pietro Stefani (nel saggio Gli Ebrei, Edizioni il Mulino, 2006) i membri delle comunità giudaiche non furono però gli unici a praticare l'usura: erano piuttosto i soli a farlo alla luce del sole, cioè in maniera pubblica e regolata delle autorità civili, mentre alcuni cristiani vi si dedicavano clandestinamente. Nonostante questo "dettaglio" tutt'altro che trascurabile, nel corso della storia si è affermato comunque uno stereotipo che ha dato vita a non poche farneticazioni antisemite. È lo stereotipo dell'ebreo-strozzino, avido di ricchezze, che trova spazio persino nella letteratura di William Shakespeare, con il personaggio di Shylock, il ricco usuraio giudeo disprezzato dai cristiani, che è uno dei protagonisti de Il Mercante di Venezia.

A ben guardare, anche nell'etica ebraica, la pratica dell'usura ha suscitato non poche discussioni teologiche. Nell'Antico Testamento, c'è infatti un passo importante che afferma: «Allo straniero potrai dare denaro in prestito, ma non a tuo fratello» (Deuteronomio 23,20). Fu così che nel XII secolo, come ricorda Stefani nella sua opera, una delle più importanti autorità rabbiniche francesi, Rabbenu Tam, si appellò a questo principio per giustificare la pratica dell'usura da parte degli ebrei, visto che la loro condizione di minorità sociale impediva appunto l'esercizio di altre professioni. In questo filone, si inserisce anche il pensiero del medico e giurista ebreo spagnolo Maimonide, che definiva la concessione di denaro in prestito o il dare un lavoro a un povero come la forma migliore di assistenza, ancor più dell'elemosina. Tra gli studiosi, c'è chi attribuisce a queste interpretazioni dei testi sacri la genesi di una spiccata propensione della comunità ebraica per gli affari e la finanza. Analizzando il passo biblico sopra citato, però, emerge comunque che anche nella tradizione religiosa ebraica, almeno in quella delle origini, l'usura non viene vista particolarmente di buon occhio. Anzi, è considerata addirittura una pratica peccaminosa, se viene praticata tra fratelli e non è giustificata da particolari ragioni e da determinate circostanze storiche, come appunto le persecuzioni.

Sono dunque le persecuzioni contro le comunità giudaiche nel corso dei millenni, che spiegano il perché vi siano così tanti punti di contatto tra gli ebrei e le attività finanziarie e commerciali. Si tratta di un aspetto messo in evidenza anche dall'economista Alberto Heimler, studioso della concorrenza, il quale ha sottolineato le notevoli differenze esistenti tra le comunità ebraiche sefardite della penisola iberica e quelle sviluppatesi invece nell'Europa centrale. I sefarditi - scacciati dalla Spagna nel 1492 dalle persecuzioni di Isabella di Castiglia e dell'Inquisizione - ebbero un ruolo importantissimo nel commercio internazionale e svilupparono, secondo Heimler, una doppia identità: un forte attaccamento alla loro tradizione e alle loro comunità di origine, ma anche un senso di appartenenza ai Paesi che li avevano accolti e integrati, soprattutto quelli dell'Impero Ottomano di fede musulmana. Questa fitta rete di relazioni tra ebrei e non ebrei, fu un terreno fertile per la nascita di un ricco tessuto di scambi commerciali e per la genesi di uno spirito proto-capitalistico, che sta alla base dell'economia moderna. Al contrario dei sefarditi, invece, le comunità ebraiche dell'Europa centrale vissero isolate fino quasi al '700, facendo propria la tradizione di alcuni scritti rabbinici dei secoli precedenti (in particolare del '500 e del '600), che disprezzavano l'accumulo di ricchezze e persino il lavoro, subordinandoli entrambi allo studio dei testi sacri. Heimler (che ha messo in evidenza questa differenza storica nel Dizionario di economia e finanza edito da Treccani), ricorda per esempio che lo stesso giurista Maimonide consigliava agli uomini di dedicare al lavoro ben dodici ore al giorno, di cui solo tre avevano però come scopo le esigenze materiali, cioè il sostentamento personale, mentre le altre nove dovevano essere destinate all'interpretazione delle sacre scritture. Fu così che fino al XVIII secolo, mentre i sefarditi facevano affari nel Mediterraneo, le attività economiche degli ebrei centro-europei rimasero molto circoscritte (anche per volontà del potere politico) e si limitarono al commercio di stracci e di bestiame, oltre che all'erogazione di credito. Per analizzare in maniera approfondita il rapporto tra l'ebraismo e le vicende dell'economia o della finanza, dunque, bisogna studiare bene le storie delle diverse comunità israelitiche nel mondo ed evitare di sposare molti luoghi comuni, che guardano alla storia ebraica come un corpo unico e indistinto. Sono gli stessi luoghi comuni che anche Friedman, nella conferenza di Chicago del 1976 cercò di smentire citando un episodio della sua carriera. Una volta, invitato a parlare di fronte a un consesso di banchieri e top manager finanziari di tutto il mondo, il celebre premio Nobel fece un rapido sondaggio e appurò che soltanto una persona su cento, tra le quelle che lo ascoltavano, era di origine ebraica. Stando ai risultati di quella brevissima indagine, dunque, ha torto chi ritiene che la finanzia mondiale sia da sempre in mano, del tutto o in parte, a una lobby ebraica.


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domenica 6 dicembre 2015

SAN NICOLA



La sera del 5 dicembre i bambini dell'Italia Settentrionale mettono sul davanzale calze e scarpe. Nelle strade, le vetrine piene di giocattoli, libri, dolci, splendono di addobbi... Nella notte "San Nicolò" distribuirà tutte quelle belle cose nelle calzature dei bambini buoni, come fa la Befana a gennaio. San Nicola, si racconta, venne a sapere che tre povere bambine della sua città, sarebbero state vendute come schiave, perché la famiglia non poteva assegnare loro una dote con la quale, divenute grandi, si sarebbero potute sposare. Allora il vescovo andò solo nella notte, fino alla casa delle povere bambine e posò sulla finestra tre sacchetti pieni d'oro.

Il suo amore per i piccoli é ricordato anche da un miracolo: resuscitò tre bambini durante le persecuzioni degli ariani.

San Nicola di Bari, noto anche come san Nicola di Myra, san Nicola dei Lorenesi, san Nicola Magno, san Niccolò e san Nicolò nacque probabilmente a Pàtara di Licia, fra il 261 ed il 280, da Epifanio e Giovanna che erano cristiani e benestanti. Cresciuto in un ambiente di fede cristiana, perse, secondo le fonti più diffuse, prematuramente i genitori a causa della peste. Divenne così erede di un ricco patrimonio che distribuì tra i poveri e perciò ricordato come grande benefattore.

In seguito lasciò la sua città natale e si trasferì a Myra dove venne ordinato sacerdote. Alla morte del vescovo metropolita di Myra, venne acclamato dal popolo come nuovo vescovo. Imprigionato ed esiliato nel 305 durante la persecuzione di Diocleziano, fu poi liberato da Costantino nel 313 e riprese l'attività apostolica.

Non è certo che sia stato uno dei 318 partecipanti al Concilio di Nicea del 325: secondo la tradizione, comunque, durante il concilio avrebbe condannato duramente l'Arianesimo, difendendo l'ortodossia, ed in un momento d'impeto avrebbe preso a schiaffi Ario. Gli scritti di Andrea di Creta e di Giovanni Damasceno confermerebbero la sua fede radicata nei principi dell'ortodossia cattolica. Ottenne dei rifornimenti durante una carestia a Myra e la riduzione delle imposte dall'Imperatore.

San Nicola è uno dei santi più venerati ed amati al mondo. Egli è certamente una delle figure più grandi nel campo dell’agiografia. Tra il X e il XIII secolo non è facile trovare santi che possano reggere il confronto con lui quanto a universalità e vivacità di culto.
Ogni popolo lo ha fatto proprio, vedendolo sotto una luce diversa, pur conservandogli le caratteristiche fondamentali, prima fra tutte quella di difensore dei deboli e di coloro che subiscono ingiustizie. Egli è anche il protettore delle fanciulle che si avviano al matrimonio e dei marinai, mentre l’ancor più celebre suo patrocinio sui bambini è noto soprattutto in Occidente.

Prima dell’VIII secolo nessun testo parla del luogo di nascita di Nicola. Tutti fanno riferimento al suo episcopato nella sede di Myra, che appare così come la città di San Nicola. Il primo a parlarne è Michele Archimandrita verso il 710 d. C., indicando in Patara la città natale del futuro grande vescovo. Il modo semplice e sicuro con cui riporta la notizia induce a credere che la tradizione orale al riguardo fosse molto solida.
Di Patara parla anche il patriarca Metodio nel testo dedicato a Teodoro e ne parla il Metafraste. La notizia pertanto può essere accolta con elevato grado di probabilità.

Di S. Nicola di Bari, si sa ben poco della sua infanzia. Le fonti più antiche non ne fanno parola. Il primo a parlarne è nell’VIII secolo un monaco greco (Michele Archimandrita), il quale, spinto anche dall’intento edificante, scrive  che Nicola sin dal grembo materno era destinato a santificarsi. Sin dall’infanzia dunque avrebbe cercato di mettere in pratica le norme che la Chiesa suggerisce a chi si avvia alla vita religiosa.
Nicola nacque nell’Asia Minore, quando questa terra, prima di essere occupata dai Turchi, era di cultura e lingua greca. La grande venerazione che nutrono i russi verso di lui ha indotto alcuni in errore, affermando che sarebbe nato in Russia. Non è mancato chi lo facesse nascere nell’Africa, a motivo del fatto che a Bari si venerano alcune immagini col volto del Santo piuttosto scuro (“S. Nicola nero”). In realtà, Nicola nacque intorno all’anno 260 dopo Cristo a Patara, importante città marittima della Licia, penisola della costa meridionale dell’Asia Minore (oggi Turchia). Nel porto di questa città aveva fatto scalo anche S. Paolo in uno dei suoi viaggi.
Il fatto che l’Asia Minore fosse di lingua e cultura greca, sia pure all’interno dell’Impero Romano, fa sì che Nicola possa essere considerato “greco”. Il suo nome, Nikòlaos, significa popolo vittorioso, e, come si vedrà, il popolo avrà uno spazio notevole nella sua vita.
Da alcuni episodi (dote alle fanciulle, elezione episcopale) si potrebbe dedurre che i genitori, di cui non si conoscono i nomi, fossero benestanti, se non proprio aristocratici. In alcune Vite essi vengono chiamati Epifanio e Nonna (talvolta Teofane e Giovanna), ma questi, come vari altri episodi, si riferiscono ad un monaco Nicola vissuto (480-556) due secoli dopo nella stessa regione. Questo secondo Nicola, nato a Farroa, divenne superiore del monastero di Sion e poi vescovo di Pinara (onde è designato anche come Sionita o di Pinara).
Amante del digiuno e della penitenza, quando era ancora in fasce, Nicola era già osservante delle regole relative al digiuno settimanale, che la Chiesa aveva fissato al mercoledì ed al venerdì. Il suddetto monaco greco narra che il bimbo succhiava normalmente il latte dal seno materno, ma che il mercoledì ed il venerdì, proprio per osservare il digiuno, lo faceva soltanto una volta nella giornata.
Man mano che il bimbo cresceva, dava segni di attaccamento alle virtù, specialmente alla virtù della carità. Egli rifuggiva dai giochi frivoli dei bambini e dei ragazzi, per vivere più rigorosamente i consigli evangelici. Molto sensibile era anche nella virtù della castità, per cui, laddove non era necessario, evitava di trascorrere il tempo con bambine e fanciulle.

Carità e castità sono le due virtù che fanno da sfondo ad uno egli episodi più celebri della sua vita. Anzi, a questo episodio si sono ispirati gli artisti, specialmente occidentali, per individuare il simbolo che caratterizza il nostro Santo. Quando si vede, infatti, una statua o un quadro raffigurante un santo vescovo dell’antichità è facile sbagliare sul chi sia quel santo (Biagio, Basilio, Gregorio, Ambrogio, Agostino, e così via). Ed effettivamente anche in libri di alta qualità artistica si riscontrano spesso di questi errori. Il devoto di S. Nicola  ha però un segno infallibile per capire se si tratta di S. Nicola o di uno fra questi altri santi. Un vescovo che ha in mano o ai suoi piedi tre palle d’oro è sicuramente S. Nicola, e non può essere in alcun modo un altro Santo. Le tre palle d’oro sono infatti una deformazione artistica dei sacchetti pieni di monete d’oro, che sono al centro di questa storia.
L’episodio si svolge a Mira, città marittima ad un centinaio di chilometri da Patara, ove probabilmente Nicola con i suoi genitori si era trasferito. Secondo alcune versioni i suoi genitori erano morti ed egli era divenuto un giovane pieno di speranze e di mezzi. Secondo altre, i genitori erano ancora vivi e vegeti e Nicola dipendeva ancora da loro. Quale che sia la verità, alle sue orecchie giunse voce che una famiglia stava attraversando un brutto momento. Un signore, caduto in grave miseria, disperando di poter offrire alle figlie un decoroso matrimonio, aveva loro insinuato l’idea di prostituirsi allo scopo di raccogliere il denaro sufficiente al matrimonio.
Alla notizia di un tale proposito, Nicola decise di intervenire, e di farlo secondo il consiglio evangelico: non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra. In altre parole, voleva fare un’opera di carità, senza che la gente lo notasse e lo ammirasse. La sua virtù doveva essere nota solo a Dio, e non agli uomini, in quanto se fosse emersa e avesse avuto gli onori degli uomini, avrebbe perduto il merito della sua azione. Decise perciò di agire di notte. Avvolte delle monete d’oro in un panno, uscì di casa e raggiunse la dimora delle infelici fanciulle. Avvicinatosi alla finestra, passò la mano attraverso l’inferriata e lasciò cadere il sacchetto all’interno. Il rumore prese di sorpresa il padre delle fanciulle, che raccolse il denaro e con esso organizzò il matrimonio della figlia maggiore.
Vedendo che il padre aveva utilizzato bene il denaro da lui elargito, Nicola volle ripetere il gesto. Si può ben immaginare la gioia che riempì il cuore del padre delle fanciulle. Preso dalla curiosità aveva cercato invano, uscendo dalla casa, di individuare il benefattore. Con le monete d’oro, trovate nel sacchetto che Nicola aveva gettato attraverso la finestra, poté fare realizzare il sogno della seconda figlia di contrarre un felice matrimonio.
Intuendo la possibilità di un terzo gesto di carità, nei giorni successivi il padre cercò di dormire con un occhio solo. Non voleva che colui che aveva salvato il suo onore restasse per lui un perfetto sconosciuto. Una notte, mentre ancora si sforzava di rimanere sveglio, ecco il rumore del terzo sacchetto che, cadendo a terra, faceva il classico rumore tintinnante delle monete. Nonostante che il giovane si allontanasse rapidamente, il padre si precipitò fuori riuscendo ad individuarne la sagoma. Avendolo rincorso, lo raggiunse e lo riconobbe come uno dei suoi vicini. Nicola però gli fece promettere di non rivelare la cosa a nessuno. Il padre promise, ma a giudicare dagli avvenimenti successivi, con ogni probabilità non mantenne la promessa. E la fama di Nicola come uomo di grande carità si diffuse ancor più nella città di Mira.

Intorno all’anno 300 dopo Cristo, anche se il cristianesimo non era stato legalizzato nell’Impero e non esistevano templi cristiani, le comunità che si richiamavano all’insegnamento evangelico erano già notevolmente organizzate. I cristiani si riunivano nelle case di aristocratici che avevano abbracciato la nuova fede, e quelle case venivano chiamate domus ecclesiae, casa della comunità. Per chiesa infatti si intendeva la comunità cristiana. E questa comunità partecipava attivamente all’elezione dei vescovi, cioè di quegli anziani addetti alla cura e all’incremento della comunità nella fede e nelle opere. Questi divenivano capi della comunità e la rappresentavano nei concili, cioè in quelle assemblee che avevano il compito di analizzare e risolvere i problemi, e quindi di varare norme che riuscissero utili ai cristiani di una o più province.
Solitamente erano eletti dei presbiteri (sacerdoti), laici che abbandonavano lo stato laicale per consacrarsi al bene della comunità. L’imposizione delle mani da parte dei vescovi dava loro la facoltà di celebrare l’eucarestia, e questo li distingueva dai laici. Non mancano però casi, e Nicola è uno di questi, in cui l’eletto non è un presbitero, ma un laico. Il che non significa che passava direttamente al grado episcopale, ma che in pochi giorni gli venivano conferiti i vari ordini sacri, fino al presbiterato che apriva appunto la via all’episcopato.
In questo contesto ebbe luogo l’elezione di Nicola, che lo scrittore sacro descrive in una cornice che ha del miracoloso. Essendo morto il vescovo di Mira, i vescovi dei dintorni si erano riuniti in una domus ecclesiae per individuare il nuovo vescovo da dare alla città. Quella stessa notte uno di loro ebbe in sogno una rivelazione: avrebbero dovuto eleggere un giovane che per primo all’alba sarebbe entrato in chiesa. Il suo nome era Nicola. Ascoltando questa visione i vescovi compresero che l’eletto era destinato a grandi cose e, durante la notte, continuarono a pregare. All’alba la porta si aprì ed entrò Nicola. Il vescovo che aveva avuto la visione gli si avvicinò e chiestogli come si chiamasse, lo spinse al centro dell’assemblea e lo presentò agli astanti. Tutti furono concordi nell’eleggerlo e nel consacrarlo seduta stante vescovo di Mira.
L’episodio forse avvenne diversamente, anche perché, come si è detto, all’elezione dei vescovi partecipava sempre il popolo. Ma l’agiografo, vissuto in un’epoca in cui i vescovi avevano un potere più autonomo rispetto al laicato, narrando così l’episodio intendeva esprimere due concetti: Nicola fu fatto vescovo da laico e la sua elezione era il risultato non di accordi umani, ma soltanto della  volontà di Dio.

Nel 303 d.C. l’imperatore Diocleziano mise fine alla sua politica di tolleranza verso i cristiani e scatenò una violenta persecuzione. Questa durò un decennio, anche se i momenti di crudeltà si alternarono con momenti di pausa. Nel 313 gli imperatori Costantino e Licinio a Milano si accordarono sulle sfere di competenza, prendendosi il primo l’occidente, il secondo l’oriente. Essi emanarono anche l’editto che dava libertà di culto ai cristiani. Sei anni dopo (319), in contrasto con la politica costantiniana filocristiana, Licinio riaprì la persecuzione contro i cristiani.
Nelle fonti nicolaiane antiche (anteriori al IX secolo) non si trova alcun riferimento alla persecuzione. Considerando però che il vescovo di Patara Metodio affrontò coraggiosamente la morte, sembra probabile che anche il nostro Santo abbia dovuto patire il carcere ed altre sofferenze, non ultima quella di vedere il suo gregge subire tanti patimenti.  
Alcuni scrittori, come il Metafraste verso il 980 d.C., specificavano che Nicola aveva sofferto la persecuzione di Diocleziano, finendo in carcere. Qui, invece di abbattersi, il santo vescovo avrebbe sostenuto ed incoraggiato i fedeli a resistere nella fede e a non incensare gli dèi. Il che avrebbe spinto il preside della provincia a mandarlo in esilio. Autori successivi hanno voluto posticipare la persecuzione patita da Nicola, individuandola in quella di Licinio, piuttosto che in quella di Diocleziano. Ciò per ovviare al fatto che durante la persecuzione Nicola era già vescovo e, secondo loro,  sarebbe stato consacrato vescovo fra il 308 ed il 314.
Lo storico bizantino Niceforo Callisto, per rendere più viva l’impressione di un Nicola vicino al martirio e con i segni delle torture ancora nelle carni, scriveva: Al concilio di Nicea molti splendevano di doni apostolici. Non pochi, per essersi mantenuti costanti nel confessare la fede, portavano ancora nelle carni le cicatrici e i segni, e specialmente fra i vescovi, Nicola vescovo dei Miresi, Pafnuzio e altri.

L’imperatore Costantino, con la sua politica a favore dei cristiani, il 23 giugno dell’anno 318 emanava un editto col quale concedeva a coloro che erano stati condannati dalle normali magistrature di presentare appello al vescovo. Ma, mentre la Chiesa con simili provvedimenti si rafforzava nella società pagana, ecco che un’opinione intorno alla natura di Gesù Cristo come Figlio di Dio (se uguale o inferiore a quella del Padre) suscitò una polemica tale da spaccare l’impero in due partiti contrapposti. A scatenare lo scisma fu il prete alessandrino Ario (256-336), coetaneo di S. Nicola. Per risolvere la questione e riportare la pace l’imperatore convocò la grande assemblea (concilio) a Nicea nel 325.
Data l’ubicazione in Asia Minore ben pochi furono i vescovi occidentali che vi presero parte, mentre quelli orientali furono quasi tutti presenti. Qualcuno ha voluto mettere in dubbio la partecipazione di Nicola a questo primo ed importantissimo concilio ecumenico. Ma se è vero che il suo nome (come quello di S. Pafnuzio) non compare in diverse liste, è anche vero che compare in quella redatta da Teodoro il Lettore verso il 515 d.C., ritenuta autentica dal massimo studioso di liste dei padri conciliari (Edward Schwartz).
Una delle preghiere più note della liturgia orientale si rivolge a Nicola con queste parole: O beato vescovo Nicola, tu che con le tue opere ti sei mostrato al tuo gregge come regola di fede (kanòna pìsteos) e modello di mitezza e temperanza, tu che con la tua umiltà hai raggiunto una gloria sublime e col tuo amore  per la povertà le ricchezze celesti, intercedi presso Cristo Dio per farci ottenere la salvezza dell’anima.
Questa antica preghiera viene solitamente collegata proprio al ruolo svolto da Nicola al concilio di Nicea. Alla carenza di documentazione sulle sue azioni a Nicea suppliscono alcune leggende, la più nota delle quali (attribuita in verità anche a S. Spiridione) è quella del mattone. Dato che a provocare lo scisma era stato Ario, che non ammetteva l’uguaglianza di natura fra il Dio creatore e Gesù Cristo, il problema consisteva nel dimostrare come fosse possibile la fede in un solo Dio se anche Cristo era Dio. Considerando poi che la formula battesimale inseriva anche lo Spirito Santo, Nicola si preoccupò di dimostrare la possibilità della coesistenza di tre enti in uno solo. Preso un mattone, ricordò agli astanti la sua triplice composizione di terra, acqua e fuoco.  Il che stava a significare che la divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo non intaccava la verità fondamentale che Dio è uno. Mentre illustrava questa verità, ecco che una fiammella si levò dalle sue mani, alcune gocce caddero a terra e nelle sue mani restò soltanto terra secca.
Ancor più nota a livello popolare è la leggenda dello schiaffo ad Ario, legata all’usanza dei pittori di raffigurare agli angoli in alto il Cristo e la Vergine in atto di dare l’uno il vangelo l’altra la stola. Secondo questa leggenda Nicola, acceso di santo zelo, udendo le bestemmie di Ario che si ostinava a negare la divinità di Cristo, levò la destra e gli diede uno schiaffo. Essendo stata riferita la cosa a Costantino, l’imperatore ne ordinò la carcerazione, mentre i vescovi lo privavano dei paramenti episcopali. I carcerieri dal canto loro lo insultavano  e beffeggiavano in vari modi. Uno di loro giunse anche a bruciargli la barba. Durante la notte Nicola ebbe la visita di Cristo e della Madonna che gli diedero il vangelo (segno del magistero episcopale) e la stola o omophorion (segno del ministero sacramentale). Quando andò per celebrare la messa, indotto da spirito di umiltà, Nicola evitò di indossare i paramenti vescovili, ma alle prime sue parole ecco scendere dal cielo la vergine con la stola e degli angeli con la mitra. Ed appena terminata la celebrazione ecco rispuntargli folta la barba che la notte precedente i carcerieri gli avevano bruciata.
Queste però sono tutte leggende posteriori, poiché, a parte la sua presenza in quel concilio (sull’autorità di Teodoro il Lettore ed alcune liste del VII-VIII secolo), non si sa nulla di ciò che fece Nicola a quel concilio. Certo è che fu dalla parte di Atanasio e dell’ortodossia, altrimenti la liturgia non l’avrebbe chiamato regola di fede.

Il silenzio degli antichi scrittori sul ruolo di Nicola a quel concilio si spiega forse col fatto che Nicola ebbe un atteggiamento diverso da quello del capo del partito cattolico ortodosso, Atanasio di Alessandria. Pur avendo un carattere altrettanto energico, Nicola era più sensibile alla ricomposizione dell’armonia nella Chiesa. Non si fermava come Atanasio alla difesa ad oltranza delle fede, ma tentava anche tutte le vie per riportare gli erranti (eretici) nel grembo della Chiesa. Un atteggiamento che dovette apparire ad Atanasio come troppo incline al compromesso, e di conseguenza non degno di essere ricordato fra i difensori della fede. Questa “damnatio memoriae” da parte di Atanasio (che pure menziona molti vescovi) si spiega anche col fatto che quasi certamente Nicola militava politicamente nel “partito” opposto. Mentre infatti Atanasio parla di Ablavio, prefetto di Costantino, come “amato da Dio”, l’antico biografo di Nicola lo definisce “perverso e malvagio” (come ritiene anche il grande storico Eusebio di Cesarea e tutti gli storici pagani). Né la cosa deve sorprendere più di tanto. Anche oggi infatti persone degnissime militano politicamente su versanti opposti.
Che in S. Nicola si incontrassero il grande amore per la retta fede col grande amore dell’armonia nella Chiesa, è testimone S. Andrea di Creta, il quale scrive: Come raccontano, passando in rassegna i tralci della vera vite, incontrasti quel Teognide di santa memoria, allora vescovo della Chiesa dei Marcianisti. La disputa procedette in forma scritta fino a che non lo convertisti e riportasti all’ortodossia. Ma poiché fra voi due era forse intervenuta una sia pur minima asprezza, con la tua voce sublime citasti quel detto dell’Apostolo  dicendo: “Vieni, riconciliamoci, o fratello, prima che il sole tramonti sulla nostra ira”.
Nonostante il riferimento ai Marcianisti (talvolta è scritto Marcioniti), il vescovo Teognide è quasi certamente il vescovo di Nicea al tempo del Concilio di cui si è parlato. Simpatizzante dell’eretico Ario, Teognide si lasciò tuttavia convincere e alla fine firmò gli atti del concilio. Quasi certamente Nicola si era messo in contatto con lui già in precedenza e dovette avere un certo ruolo nel farlo decidere a firmare gli atti. In realtà Teognide successivamente non mutò atteggiamento verso Atanasio, che continuò ad avversare decisamente. Dopo un esilio di tre anni in Gallia, al ritorno continuò a criticare il termine “consustanziale” col quale Atanasio e la Chiesa definivano il rapporto fra Padre e Figlio. Nel 336 contribuì a fare esiliare S. Atanasio.
Come si può vedere, l’antichità cristiana non fa eccezione. Anche all’interno di sostenitori della retta fede si formarono “partiti” diversi. Il che comportò persino giudizi contrapposti sul piano della spiritualità. E’ il caso di Teognide, da S. Andrea di Creta ritenuto di “santa memoria”, da altri pur sempre un eretico. Ed è il caso di Teodoreto (storico della Chiesa), dalla chiesa greca considerato un eresiarca, dalla russa un “beato” (blažennyj). Ed è pure il caso del patriarca Anastasio (729-752), dalla chiesa latina ritenuto un iconoclasta, da quella greca “di santa memoria” perché pentito, dopo essere stato salvato proprio da S. Nicola dall’annegamento.



Costantino aveva lasciato libertà di culto ai pagani, tuttavia è chiaro che almeno a partire dal 318, coi poteri giurisdizionali ai vescovi, i cristiani ebbero uno spazio privilegiato all’interno dell’impero. Non pochi vescovi, e sembra che Nicola sia stato fra di essi, si impegnarono per quanto possibile a cancellare dalle loro città i segni della religione pagana fino ad abbattere alcuni templi. La tradizione ci fa vedere Nicola impegnato in tal senso. Andrea di Creta nel suo celebre Encomio di S. Nicola, rivolgendosi al nostro Santo esclama: Hai dissodato, infatti,  i campi spirituali di tutta la provincia della Licia, estirpando le spine dell’incredulità. Con i tuoi insegnamenti hai abbattuto altari di idoli e luoghi di culto di dèmoni abominevoli e al loro posto hai eretto chiese a Cristo. Pur rimanendo molto vicino al testo di Andrea, Michele Archimandrita, “concretizzava” l’opera di Nicola facendo riferimento non alle armi della parola e dell’insegnamento, ma a vere e proprie spranghe di ferro per abbattere il tempio di Diana, che si ergeva imponente. Era questo il maggiore di tutti i templi sia per altezza che per varietà di decorazioni, oltre che per presenza di demoni.
Che Michele Archimandrita si fosse documentato su fonti miresi dirette è dimostrato proprio da queste sue parole. Se non avesse fatto ricorso a tali documenti difficilmente avrebbe potuto sapere di questo ruolo preminente del tempio di Diana. Dopo recenti scavi archeologici è risultato infatti che nel 141 questo tempio era stato restaurato ed ampliato dal mecenate licio Opramoas di Rodiapoli. Una conferma, questa, che quanto dice il monaco Michele riflette i racconti che si narravano a Mira nell’VIII secolo.
E’ probabile che la verità sia quella di Andrea di Creta, che ci mostra un Nicola che abbatte il paganesimo con le armi della parola. Tuttavia, a giudicare dal carattere energico del vescovo di Mira (dimostrato in altre occasioni), non è impossibile che sia avvenuto secondo il racconto dell’Archimandrita. Ciò che li accomuna, ed era una credenza molto diffusa a livello popolare, è il particolare dei demoni che abitavano in questi templi pagani, per cui quando questi venivano demoliti, i demoni venivano a trovarsi senza un tetto ed erano costretti a cercarsi altre dimore.

Il santo vescovo era impegnato però non soltanto nella diffusione della verità evangelica, ma anche nell’andare incontro alle necessità dei poveri e dei bisognosi. La parola della fede era seguita dalla messa in pratica della carità.
Al tempo del suo episcopato mirese scoppiò una grave carestia, che mise in ginocchio la popolazione. Pare che Nicola prendesse varie iniziative per sovvenire ai bisogni del suo gregge, e l’eco di queste attraversò i secoli, rimanendo nella memoria dei Miresi. Una leggenda lo vede apparire in sogno a dei mercanti della Sicilia, suggerendo loro un viaggio sino alla sua città per vendere il grano, ed aggiungendo che lasciava loro una caparra. Quando i mercanti si resero conto di aver avuto la stessa visione e trovarono effettivamente la caparra, subito fecero vela per Mira e rifornirono la popolazione di grano.
Ancor più noto è l’episodio delle navi che da Alessandria d’Egitto fecero sosta nel porto di Mira. Nicola accorse e, salito su una delle navi, chiese al capitano di sbarcare una certa quantità di grano. Quello rispose che era impossibile, essendo quel grano destinato all’imperatore ed era stato misurato nel peso. Se fosse stato notato l’ammanco avrebbe potuto passare i guai suoi. Nicola gli rispose che si sarebbe addossato la responsabilità, e alla fine riuscì a convincerlo. Il frumento fu scaricato e la popolazione trovò grande sollievo, non solo perché si procurò il pane necessario, ma anche perché arò i terreni e seminò il grano che restava e poté raccoglierlo anche negli anni successivi. Quanto alle navi “alessandrine”, queste giunsero a Costantinopoli e, come il capitano aveva temuto, il tutto dovette passare per il controllo del peso. Quale non fu la sua gioia e meraviglia quando vide che il peso non era affatto diminuito, ma era risultato lo stesso della partenza delle navi da Alessandria.
Questo miracolo è all’origine non solo di tanti quadri che lo raffigurano, ma anche di tante tradizioni popolari legate al pane di S. Nicola. A Bari, anche per facilitarne il trasporto nei paesi d’origine, ai pellegrini che giungono nel mese di maggio vengono date “serte” di taralli, tenuti insieme da una funicella.

Tutti gli episodi sinora narrati hanno subìto l’incuria del tempo. Essi venivano narrati dai miresi e da nonni a nipoti giunsero fino all’VIII-IX secolo. Il lungo travaglio orale fece loro perdere i connotati della “storia” per apparire piuttosto come “tradizione” o come “leggenda”. I nomi dei protagonisti delle vicende si perdettero quasi del tutto. E’ vero che in tante Vite di S. Nicola si trovano i nomi dei genitori, dello zio archimandrita, del suo predecessore sulla cattedra di Mira, del nocchiero che l’avrebbe condotto in pellegrinaggio in Egitto e in Terra Santa, e così via. Ma si tratta di nomi che nulla hanno a che fare col nostro Nicola. Bisogna rassegnarsi alla realtà che, ad eccezione del concilio di Nicea e del vescovo Teognide, nessun nome compare nella vita del nostro Santo prima della storia dei tre innocenti salvati dalla decapitazione.
Questa storia, insieme a quella successiva dei generali bizantini (Praxis de stratelatis), è il pezzo forte di tutta la vicenda nicolaiana. Nell’antichità, per esprimere il concetto che questa narrazione era la più importante di tutte quelle che riguardavano S. Nicola, spesso non veniva indicata come Praxis de stratelatis (racconto intorno ai generali) ma semplicemente come Praxis tou agiou Nikolaou (storia di S. Nicola), quasi che tutti gli altri racconti non rivestissero alcuna importanza a paragone con questo.
In occasione della sosta di alcune navi militari nel porto di Mira, nel vicino mercato di Placoma scoppiarono dei tafferugli, in parte provocati proprio dalla soldataglia che sfogava così la tensione di una vita di asperità. In quei disordini le forze dell’ordine catturarono tre cittadini miresi, i quali dopo un processo sommario furono condannati a morte. Nicola si trovava in quel momento a colloquio con i generali dell’esercito Nepoziano, Urso ed Erpilio, i quali gli stavano dicendo della loro imminente missione militare contro i Taifali, una tribù gotica che stava suscitando una rivolta in Frigia. Invitati da S. Nicola, i generali riuscirono a fare riportare l’ordine. Ma ecco che alcuni cittadini accorsero dal vescovo, riferendogli che  il preside Eustazio aveva condannato a morte quei tre innocenti.
Seguito dai generali, Nicola prese il cammino per Mira. Giunto al luogo detto Leone, incontrò alcuni che gli dissero che i condannati erano nel luogo detto Dioscuri. Nicola procedette così fino alla chiesa dei santi martiri Crescente e Dioscoride. Qui apprese che i condannati erano già stati portati a Berra, il luogo ove solitamente venivano messi a morte i condannati. Ben sapendo che solo lui, in quanto vescovo, avrebbe potuto fermare il carnefice, accelerò il passo e vi giunse, aprendosi la strada fra la folla che faceva da spettatrice. Il carnefice era già pronto, e i condannati stavano già col collo sui ceppi, quando Nicola si avvicinò e tolse la spada al carnefice.
Avendo liberato gli innocenti dalla decapitazione, Nicola si recò al palazzo del preside Eustazio, entrandovi senza farsi annunciare. Giunto dinanzi al preside l’apostrofò accusandolo di ingiustizie, violenze e corruzione. Quando minacciò di riferire la cosa all’imperatore, Eustazio rispose che era stato indotto in errore da due notabili di Mira, Simonide ed Eudossio. Ma Nicola, senza contestare il particolare, gli rinfacciò nuovamente la corruzione e, giocando sulle parole, gli disse che non Simonide ed Eudossio, ma  Crisaffio (oro) e Argiro (argento) l’avevano corrotto. Avendo così ristabilita la verità e la giustizia, Nicola non infierì ma perdonò al preside pentito.

Edificati dal comportamento del santo vescovo,  tre generali ripresero il mare e raggiunsero la Frigia, ove riuscirono a sottomettere le forze ribelli all’impero. Un po’ per il successo dell’impresa un po’ perché Nepoziano era parente dell’imperatore, il loro ritorno a Costantinopoli avvenne in un’atmosfera di vero e proprio trionfo. Tuttavia la gloria e gli onori durarono poco, perché queste sono spesso accompagnate da gelosie ed invidie.
Gli agiografi parlano di malevoli suggerimenti del diavolo, certo è che ben presto si formò un partito avverso a Nepoziano e compagni. I componenti di questo partito riuscirono a coinvolgere il potente prefetto Ablavio, il quale convinse l’imperatore che i tre generali stavano complottando per rovesciarlo dal trono. Convinto o meno dell’attendibilità della notizia, Costantino preferì non correre rischi, e li fece mettere in prigione. Dopo alcuni mesi i seguaci di Nepoziano si stavano organizzando su come liberare i generali. Per cui i loro avversari, col denaro promesso a suo tempo, tornarono da Ablavio e lo convinsero a suggerire all’imperatore un provvedimento più drastico. Infatti, Costantino diede ordine di sopprimerli quella notte stessa.
Appresa la notizia, il carceriere Ilarione corse ad avvertire i generali, che furono presi da grande angoscia. Sentendosi prossimo alla morte, Nepoziano si sovvenne dell’intervento in extremis del vescovo Nicola a favore dei tre innocenti. Allora levò al Signore questa preghiera: Signore, Dio del tuo servo Nicola, abbi compassione di noi, grazie alla tua misericordia e all’intercessione del tuo servo Nicola. Come, per i suoi meriti, hai avuto compassione dei tre uomini condannati ingiustamente salvandoli da sicura morte, così ora rida’ la vita anche a noi, mosso a misericordia dall’intercessione di questo santo vescovo.
Il Signore esaudì la preghiera di Nepoziano, fatta propria dai compagni. Quella notte S. Nicola apparve in sogno all’imperatore minacciandolo: Costantino, alzati e libera i tre generali che tieni in prigione, poiché vi furono rinchiusi ingiustamente. Se non fai come ho detto, conferirò con Cristo, il re  dei re, e susciterò una guerra e darò in pasto i tuoi resti a fiere ed avvoltoi. Spaventato, Costantino chiese chi fosse: Sono Nicola, vescovo peccatore, e risiedo a Mira, metropoli della Licia.
Nicola apparve minaccioso anche ad Ablavio, e quando l’imperatore lo mandò a chiamare, entrambi pensarono ad un’opera di magia. Mandarono a prendere i tre generali per chiedere spiegazioni. Il colloquio aveva preso il binario della “magia”, quando Costantino chiese a Nepoziano se conoscesse un tale di nome Nicola. Nepoziano si illuminò, accorgendosi che la sua preghiera era stata esaudita. E narrò tutto all’imperatore, che seduta stante ne ordinò la liberazione. Anzi, volle che andassero a Mira a ringraziare il santo vescovo ed a portargli da parte sua preziosi doni, fra cui un Vangelo tutto decorato d’oro e candelieri ugualmente d’oro. Altri autori aggiungono che giunti a Mira si tagliarono i capelli in segno di gratitudine e di devozione verso il Santo.

E’ difficile dire quanto ci sia di vero e quanto sia stato il parto della fantasia di un popolo consapevole di aver avuto un “progenitore” ed un difensore. Per i Miresi Nicola era colui che aveva riportato la retta fede, la giustizia ed il benessere alla loro città. Non per nulla, secondo la testimonianza sia della Vita Nicolai Sionitae sia dell’Encomio di Andrea di Creta, essi istituirono la festa delle “rosalie del nostro progenitore S. Nicola”.
Fra le tante iniziative del Santo a favore della popolazione, intorno al VII secolo si narrava il suo intervento per fare ridurre le tasse per i Miresi (Praxis de tributo).
E’ nota a diversi storici la tendenza di Costantino a gravare le popolazioni dell’impero con tasse esorbitanti. Ed anche se i cristiani cercavano delle attenuanti, i pagani come Zosimo ricordavano che Costantino era costretto a una pesante politica tributaria a causa della sua eccessiva prodigalità. L’anonimo scrittore che compose l’Epitome de Caesaribus descriveva così la sua politica tributaria: Per dieci anni eccellente, nei dodici anni successivi predone, negli ultimi dieci fu chiamato pupillo per le eccessive prodigalità.
Quando anche la città di Mira si trovò a dover pagare tasse esorbitanti, i rappresentanti del popolo si rivolsero a Nicola affinché scrivesse all’imperatore. Nicola fece di più. Partì alla volta di Costantinopoli e chiese udienza. L’anonimo scrittore qui si lascia prendere la mano e, non tenendo conto che Nicola era vissuto al tempo di Costantino, immagina i vescovi della capitale che gli rendono omaggio riunendosi nel tempio della Madre di Dio alle Blacherne, chiedendogli la benedizione. A parte l’esagerazione di una simile accoglienza, quel tempio sarebbe stato costruito un secolo dopo la morte del Santo.
L’abbellimento agiografico si nota anche al momento dell’arrivo di Costantino. Prima che cominciasse il colloquio, l’imperatore gettò il suo mantello ed ecco che questo, incrociando un raggio di sole, rimase sospeso ad esso. Il prodigio rese timoroso e benevolo l’imperatore. Quando Nicola gli riferì come i Miresi fossero oppressi dalle tasse, chiedendogli di apportare una sensibile riduzione, l’imperatore chiamò il notaio ed archivista Teodosio, e secondo il desiderio di Nicola operò una netta  riduzione a soli cento denari.
Nicola prese la carta su cui era registrata questa concessione e legatala ad una canna, la gettò in mare. Per volere di Dio la canna giunse nel porto di Mira e pervenne nelle mani dei funzionari del fisco, i quali furono molto sorpresi ma si adeguarono. Intanto però a Costantinopoli i consiglieri di Costantino fecero notare all’imperatore che forse la concessione era stata un tantino esagerata. Per cui l’imperatore chiamò nuovamente Nicola per correggere la somma della tassa che i Miresi dovevano pagare. Il Santo gli rispose che da tre giorni la carta era pervenuta a Mira. Essendo ciò impossibile, Costantino promise che se le cose stavano veramente così avrebbe confermato la precedente concessione. I nunzi, da lui inviati per verificare quel che era accaduto, tornarono e riferirono che Nicola aveva detto la verità. Mantenendo la promessa, l’imperatore confermò la concessione.

Considerando la tradizione secondo la quale era già anziano al tempo del concilio di Nicea, con ogni probabilità il nostro Santo morì in un anno molto prossimo al 335 dopo Cristo. Come della sua nascita, anche della sua morte non si sa alcunché. Gli episodi e i particolari che si leggono in alcune Vite non riguardano il nostro Nicola, ma un santo monaco vissuto due secoli dopo nella stessa regione.

Nel 1087 una spedizione navale partita dalla città di Bari si impadronì delle spoglie di San Nicola, che nel 1089 vennero definitivamente poste nella cripta della Basilica eretta in suo onore. L’idea di trafugare le sue spoglie venne ai baresi nel contesto di un programma di rilancio dopo che la città, a causa della conquista normanna, aveva perduto il ruolo di residenza del catepano e quindi di capitale dell’Italia bizantina. In quei tempi la presenza in città delle reliquie di un santo importante era non solo una benedizione spirituale, ma anche mèta di pellegrinaggi e quindi fonte di benessere economico.

Secondo la leggenda, le reliquie furono depositate là dove i buoi che trainavano il carico dalla barca si fermarono. Alcune colonne del tempio, poi, seguirono la nave dei marinai baresi fino a Bari. Si trattava in realtà della chiesa dei benedettini (oggi chiesa di San Michele Arcangelo) sotto la custodia dell'abate Elia, che in seguito sarebbe diventato vescovo di Bari. L'abate promosse tuttavia l'edificazione di una nuova chiesa dedicata al santo, che fu consacrata due anni dopo da Papa Urbano II in occasione della definitiva collocazione delle reliquie sotto l'altare della cripta. Da allora san Nicola divenne compatrono di Bari assieme a San Sabino e le date del 6 dicembre (giorno della morte del santo) e 9 maggio (giorno dell'arrivo delle reliquie) furono dichiarate festive per la città. Il santo era anche presente, fino al XIX secolo, sullo stemma della città tramite un cimiero.

È poco noto che Venezia spartisce con Bari la custodia delle reliquie di San Nicola. I Veneziani, infatti, non si erano rassegnati all'incursione dei Baresi e nel 1099-1100, durante la prima crociata, approdarono a Myra, dove fu loro indicato il sepolcro vuoto dal quale i baresi avevano prelevato le ossa. Tuttavia qualcuno rammentò di aver visto celebrare le cerimonie più importanti, non sull'altare maggiore, ma in un ambiente secondario. Fu in tale ambiente che i veneziani rinvennero una gran quantità di minuti frammenti ossei che i baresi non avevano potuto prelevare. Questi vennero traslati nell'abbazia di San Nicolò del Lido.

San Nicolò venne quindi proclamato protettore della flotta della Serenissima e la chiesa divenne un importante luogo di culto. San Nicolò era infatti venerato come protettore dei marinai, non a caso la chiesa era collocata sul Porto del Lido, dove finiva la laguna e cominciava il mare aperto. A San Nicolò del Lido terminava l'annuale rito dello sposalizio del Mare.

Solo in tempi recenti, l'autenticità delle spoglie veneziane è stata accertata, ponendo fine a una secolare contesa fra le due città.

Nel gennaio 2003 la Chiesa cattolica di Rimini, d’intesa con il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, faceva dono di un frammento dell'òmero sinistro di San Nicola alla Diocesi Greco-Ortodossa di Dimitriade (la greca Volos), che ne aveva inoltrato richiesta. Secondo la tradizione, l’òmero di San Nicola giunse a Rimini in modo piuttosto rocambolesco nella seconda metà del XII secolo. Protagonista della vicenda sarebbe stato un vescovo tedesco, che aveva trafugato la reliquia a Bari. Nel 1177, papa Alessandro III si fermò a Rimini venendo da Venezia; il pontefice volle sottoporre la reliquia alla prova del fuoco per accertarsi della sua originalità: "le fiamme non la bruciarono, anzi, emanarono un profumo intenso". San Nicola fu proclamato co-patrono di Rimini nel 1633. Il primo indizio sull'autenticità della tradizione è l'assenza, fra le reliquie baresi, proprio dell'òmero sinistro. La prova definitiva che si tratta della parte mancante a quanto dello scheletro è venerato Bari, è giunta dalla ricognizione anatomica e lo studio antropometrico (di Luigi Martino) e dalla ricognizione antropologica (di Fiorenzo Facchini), effettuate in occasione della donazione del 2003. La reliquia riminese è custodita nella chiesa di San Nicolò al Porto, nella cappella detta "celestina" dai Padri Celestini, cui appartenne l'edificio dal XIV al XVIII secolo. La chiesa medievale fu praticamente rasa al suolo durante la seconda guerra mondiale; sopravvissero solo il campanile e la "cappella celestina"; in entrambi, ma soprattutto nella seconda, sono visibili affreschi della scuola riminese del '300.

Dopo l'arrivo in Lorena nel 1087 di una reliquia del santo, la mano destra alzata in segno di benedizione (falange della mano destra), riportata da Bari dal signore Aubert di Varangéville, il villaggio di Port, un possesso del signor di Varangéville, diventa Saint-Nicolas-de-Port e dispone a partire dal 1093 di una prima chiesa dedicata al santo patrono della Lorena, San Nicola dei Lorenesi.

«Intorno al 1230, il cavaliere di Lorena Cunon de Réchicourt, al seguito dell'imperatore Federico II di Svevia, è fatto prigioniero durante la sesta crociata. Avrebbe pregato il 5 dicembre 1240 San Nicola prima di addormentarsi nella sua cella. La mattina, si sarebbe svegliato ancora attaccato, sui gradini della chiesa di Saint-Nicolas-de-Port, le catene gli caddero da sé durante l'ufficio che ha poi seguito.»

Da allora, ogni anno il sabato prima della festa di San Nicola, si celebra una processione in memoria del famoso "miracolo".

Nel 1429, prima di lasciare il suo paese per salvare la Francia, Giovanna d'Arco andò a visitare la tomba del santo a Saint-Nicolas-de-Port.

Alla fine del XV secolo per ringraziare san Nicola per avere salvato il Ducato di Lorena contro il duca di Borgogna Carlo il Temerario (morto durante la battaglia di Nancy il 5 gennaio 1477), il duca di Lorena Renato II ricostruisce la chiesa della città di Saint-Nicolas-de-Port. Una volta iniziati i lavori, nel 1481 essa diventerà una maestosa basilica di stile gotico fiammeggiante quasi grande come Notre-Dame di Parigi. Nel 1622 il duca Enrico II di Lorena ottiene dal Papa Gregorio XV (153-1623) l’erezione di una chiesa per i suoi sudditi che vivono a Roma. Questa bella chiesa barocca si trova vicino a Piazza Navona; è naturalmente dedicata al santo patrono della nazione lorenese e si chiama Chiesa di San Nicola dei Lorenesi. Più generalmente, in ogni città o villaggio in Lorena il 5 o 6 dicembre si tiene una processione in onore di San Nicola.

San Nicola visita le case la notte tra il 5 e il 6 dicembre, spesso accompagnato dal suo asino e regala dolci e caramelle ai bambini che cantano il famoso “lamento di San Nicola”. Nella parte di lingua tedesca della Lorena, San Nicola (Sankt Nikolaus) è accompagnato tradizionalmente dal suo assistente Rüpelz o Ruprecht (equivalente spauracchio).

In Italia il culto di san Nicola è radicato tanto nelle regioni meridionali quanto al nord.

In Venezia Giulia, in Carnia, in Cadore, in Agordino, in Alpago, in Trentino-Alto Adige, ma anche in altre località settentrionali come Lecco, è particolarmente sentita la vigilia della ricorrenza liturgica del 6 dicembre. La leggenda secondo la quale il santo regalò a tre bambini poveri tre mele rosse che nottetempo si tramutarono in oro si riflette nella tradizione che prevede che i bambini scrivano una letterina al santo e la lascino in casa: l'indomani, al posto della letterina, trovano una mela, dei mandarini, dei dolci e alcuni doni, oppure del carbone, per i più bricconcelli. In questa occasione a Trieste si canta la filastrocca:
« San Nicolò de Bari
xe la festa de i scolari
se i scolari no i ga festa
i ghe taierà la testa. »
Altrettanto radicato è il culto del santo nel Mezzogiorno: a Bari, oltre che il 6 dicembre, il santo è festeggiato dal 7 al 9 maggio, nella ricorrenza della traslazione delle ossa da Myra, quando un lungo corteo storico ripercorre gli eventi del 1086 e la statua del santo è condotta in processione su una barca e poi lasciata in piazza per il culto pubblico. In questa occasione, la città è raggiunta da numerosi pellegrini, provenienti tanto dalle altre regioni italiane (Abruzzo e Calabria, soprattutto) quanto dalla Russia e dagli altri Paesi ortodossi.

A Capitignano (AQ), la festività religiosa si mescola al culto pagano dei morti. Il 6 dicembre decine di bambini bussano alle porte delle abitazioni per chiedere "il pane di San Nicola", nel dialetto locale "le cacchiette de Santu Nicola", pronunciando la frase "Sia benedetta l'anima dei morti". La famiglia che ha spalancato loro la porta della propria casa, risponde con l'espressione "Dio lo faccia", mettendosi in tal modo in contatto sovrannaturale con i propri defunti.

A Castelpoto (Bn), si conserva un imponente scultura lignea policromata di san Nicola datata 1687, è costruita con legno di pero e fu benedetta dal Cardinale Orsini, futuro Papa Benedetto XIII, all'epoca Arcivescovo di Benevento. Il simulacro è molto pesante, non viene mai portato in processione se non per qualche ricorrenza speciale, e proviene dall'antica chiesa del paese distrutta col terremoto del 1688. Nel 1992 il simulacro di san Nicola fu restaurato e ne riemersero gli antichi colori originali che tuttora si possono ammirare. La devozione a san Nicola a Castelpoto è attestata intorno alla fine del X secolo. Infatti il culto del Santo a Benevento e nel Sannio era già diffuso prima della traslazione delle sue reliquie a Bari. Per questo la Parrocchia di Castelpoto porta ancora il nome di san Nicola da Myra. Papa Innocenzo XII nel 1698 e Papa Clemente XI nel 1717 diedero e rinnovarono l'indulgenza plenaria ai fedeli che visitano la chiesa di Castelpoto nel giorno di san Nicola. I festeggiamenti in suo onore sono organizzati dai giovani dell'Oratorio Padre Isaia Columbro della stessa Parrocchia: la sera del 6 dicembre, prima della Messa solenne, si snoda una fiaccolata che va dalla chiesa fino alla piazza principale del paese, mentre al termine della Messa, secondo la tradizione, si recita la preghiera di affidamento del paese al Santo Patrono, si benedicono i bambini, Babbo Natale porta loro i regali, si benedicono i fedeli con la manna del Santo, si distribuiscono le pagnotte di san Nicola ed infine si svolge sul tetto della chiesa uno spettacolo di fuochi pirotecnici con un magnifico incendio delle quattro nicchie del campanile. L'antica campana maggiore della chiesa presenta l'effigie di san Nicola.

A Forino (AV), la statua di San Nicola è custodita nella chiesa della frazione Castello. Ogni anno l'ultimo giovedì di luglio (o il primo giovedì di agosto quando l'ultimo giovedì di luglio coincide con la festa di Sant'Anna della frazione Celzi) la statua viene portata nella chiesa dedicata a Santo Stefano a Forino. Il santo viene accolto in paese con falò che lo accompagnano lungo il percorso. Due domeniche dopo viene fatta la processione per le vie del paese per poi ritornare a Castello l'ultima domenica del settembre. Il 6 dicembre da Castello,come da tradizione, una carrozza trainata da un cavallo porta Babbo Natale per le vie del paese a distribuire caramelle ai bambini.

A Gallo di Comiziano (NA) la festa del 6 dicembre è preceduta dai falò, attorno ai quali si balla e si intonano canti della tradizione.

Anche a Gesualdo (AV) san Nicola viene festeggiato il 6 dicembre, con la recita dell'atto di affidamento della città al santo.

A Lettomanoppello (PE) i festeggiamenti sono ad ottobre, in ricordo del salvataggio del paese dalle incursioni saracene quando gli abitanti, che imploravano la protezione del santo circondandone la statua esposta al culto sul sagrato della chiesa, apparvero agli invasori come un numeroso esercito e li misero così in fuga.

San Nicola di Myra è venerato come patrono anche nell'eparchia di Lungro, di rito bizantino: nel paese di Lungro i tre giorni antecedenti il 6 dicembre sono contraddistinti dall'accensione dei falò, dalla distribuzione del pane benedetto e dalla processione della statua del santo. La tradizionale distribuzione del pane è presente anche a Cerzeto (CS), dove la festa patronale è il 9 maggio, ricorrenza della traslazione, mentre il 6 dicembre si tiene una fiera. La tradizione di Cardinale (CZ) vuole che durante lo spostamento di una statua del santo, i buoi che ne trainavano il carro furono impediti dal proseguire oltre: l'evento fu interpretato come la predilezione di san Nicola per quel paese.

A Stefanaconi viene venerato nella chiesa matrice eretta in suo onore dopo il terremoto del 1905 egli infatti è il patrono del paese, la statua viene portata in processione il 6 dicembre nei giorni prima la festa è preceduta dalla novena.

A Vastogirardi (IS) i festeggiamenti vengono celebrati il 6 dicembre e il 3 luglio, il giorno dopo la rappresentazione Il volo dell'angelo.

San Nicola è anche considerato santo patrono della Lorena, della città di Amsterdam e della Russia ( in Siberia, tra le tribù dei Nenci convertite al cristianesimo l'antico Dio dei padri è stato sostituito dalla figura di San Nicola, da loro chiamato Mikkulai, oggetto di profonda venerazione).

Nelle località dell'Arco Alpino (Svizzera, Austria, Alto Adige) San Nicolò è solitamente accompagnato da un personaggio chiamato Krampus (Knecht Ruprecht nelle località più settentrionali) una sorta di diavolo a cui si attribuisce il ruolo di rapitore di bambini. San Nicola è molto popolare anche in altri paesi Europei (Paesi Bassi, Francia, Belgio, Austria, Svizzera, Germania, Estonia e Repubblica Ceca).

Nei Paesi Bassi, in Belgio e in Lussemburgo, Sinterklaas (Kleeschen in lussemburghese) viene festeggiato due settimane prima del 5 dicembre, data in cui distribuisce i doni (il suo compleanno risulta essere il 6 dicembre). Il culto di san Nicola fu portato a Nuova Amsterdam (New York) dai coloni olandesi (è infatti il protettore della città di Amsterdam), sotto il nome di Sinterklaas, dando successivamente origine al mito nordamericano di Santa Claus, che in Italia è quindi diventato Babbo Natale.

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