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giovedì 10 agosto 2017

COMUNIONE E LIBERAZIONE

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L'origine di Comunione e Liberazione risale al 1954, quando Don Giussani decise di lasciare il magistero presso il seminario di Venegono per insegnare religione cattolica al liceo classico Giovanni Berchet di Milano. In seguito ai quotidiani incontri con gli studenti don Giussani divenne assistente di Azione Cattolica per il ramo di Gioventù Studentesca (GS) che in pochi anni si diffuse all'interno e oltre la diocesi di Milano. La prima comunità fuori Milano ebbe inizio nel '60 a Catania, seguirono Rimini, Rovereto, Trento, Chiavari e Forlì dove GS, come ricorda don Giussani, compì la "prima storica uscita nel settembre del '61 in Campigna", dal gruppo di Forlì ebbe inizio la comunità di Sansepolcro nel '64 prima in Toscana.

Gioventù Studentesca era inserita nell'Azione Cattolica ma la differenza nel metodo ne provocò, attraverso gli anni, il distacco e la crisi. Nel periodo del '68 molti aderenti abbandonarono il movimento ma altri, più fedeli a don Giussani, si organizzarono in Comunione e Liberazione. Il nome deriva da un volantino diffuso da alcuni universitari nel 1969 e rimanda al contrasto col mondo culturale del tempo: mentre la cultura dichiarava che la rivoluzione era il cammino della liberazione dell'uomo, gli aderenti al movimento affermavano che tale cammino è possibile solo nella comunione cristiana, da cui la liberazione; la salvezza è Gesù Cristo e la liberazione della vita e dell'uomo, qui e nell'aldilà, è legata continuamente all'incontro con Lui.

Don Giussani affermava di non aver mai realmente inteso fondare un movimento. In relazione ad una lettera di papa Giovanni Paolo II, aveva affermato a proposito di Comunione e Liberazione: "Non solo non ho mai inteso "fondare" niente, ma ritengo che il genio del movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l'urgenza di proclamare la necessità di tornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta."

Il desiderio di proseguire l'esperienza del movimento in una forma più stabile, da parte degli ex studenti che avevano incontrato don Giussani attraverso la scuola e l'università, si condensò nei primi anni settanta nella Fraternità di Comunione e Liberazione, riconosciuta l'11 febbraio 1982 dalla Chiesa cattolica quale associazione laicale di diritto pontificio. La Fraternità di Comunione e Liberazione si incontra annualmente per gli esercizi spirituali a Rimini.

La presenza di CL nel mondo della scuola ha ancora il nome di Gioventù Studentesca. La sigla CLU (Comunione e Liberazione - Universitari) definisce invece informalmente l'intera presenza di CL nelle università indipendentemente dalle varie forme di associazionismo. Anche il CLU si incontra annualmente per gli esercizi spirituali a Rimini.

Del movimento fanno parte anche esperienze di vita consacrata quali ad esempio i Memores Domini, la Fraternità San Giuseppe e la Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo, le Suore di carità dell'Assunzione, oltre a numerose vocazioni nell'ambito di famiglie religiose già esistenti (carmelitani, benedettini, francescani, trappisti, etc).

Dopo la morte di don Giussani, avvenuta il 22 febbraio 2005, la guida del movimento è passata al sacerdote spagnolo don Julián Carrón. Nel 2014 la Diaconia Centrale di Comunione e Liberazione ha rinnovato a Julián Carrón il mandato di Presidente della Fraternità per un sessennio.

Fin dalle sue origini come Gioventù Studentesca, la vita del movimento di Comunione e Liberazione è centrata sulla preghiera svolta nella liturgia. L'esperienza di vita proposta all'interno di CL valorizza i tre aspetti che don Giussani indicava come fondanti l'esperienza cristiana: cultura, carità e missione.

Un'attività tipica del movimento è la catechesi detta scuola di comunità generalmente sui testi di don Giussani o del Magistero organizzata dalle singole comunità e aperta a tutti.

Fin dai primi tempi di Gioventù Studentesca, don Giussani aveva stabilito come scopo primario l'educazione alla maturità cristiana e la collaborazione alla missione della Chiesa in ogni aspetto della vita. La scuola di comunità intende essere in primo luogo un metodo per verificare la presenza di Cristo nella propria vita, approfondendo il rapporto fede-ragione e di come la ragione umana possa approcciarsi al mistero di Dio e dell'Incarnazione, aiutando chi vi partecipa a prendere coscienza di come possa nascere dalla comunione con Cristo attraverso la Chiesa un'umanità nuova.

Ogni comunità comincia il raduno con una preghiera o un canto; c'è quindi una lettura di un testo di don Giussani. Segue una breve discussione, confrontando quanto letto con la propria esperienza personale, e si conclude con un canto, una preghiera e gli avvisi, ritenuti le "gambe su cui può camminare la comunità".

Don Giussani ha sempre utilizzato per sé e per il movimento semplicemente le preghiere e la liturgia della Chiesa, senza aggiunte o modifiche (all'eccezione dell'Angelus che viene recitato in forma abbreviata con un solo Ave Maria). Nella Messa si utilizzano spesso canti della tradizione della Chiesa (gregoriani, laude medievali, polifonici, etc.). Le celebrazioni eucaristiche, aperte a tutti, sono ridotte all'essenziale: senza "segni" (cioè senza applausi, senza arredi sacri particolari, etc.), senza "monizioni" (né interventi spontanei), secondo quanto permette il Messale Romano.

Don Giussani ha sempre promosso la liturgia delle Ore, che è recitata quasi sempre in gruppo ed in recto tono. Agli inizi degli anni settanta fu compilata una versione semplificata del breviario ambrosiano, racchiusa in un ciclo di una sola "settimana" anziché quattro, che è in uso ancora oggi; i consacrati (Memores Domini, etc.) utilizzano invece il breviario della Chiesa cattolica.

Sulla scia della devozione mariana di don Giussani, la recita del rosario è frequente, e sono raccomandati in modo particolare anche l'Angelus, il Regina Coeli, il Memorare, la preghiera di san Bernardo (presente nel canto XXXIII della Divina Commedia) e l'invocazione allo Spirito (Veni Sancte Spiritus, veni per Mariam).

La passione di don Giussani per la musica ed il canto sono un aspetto essenziale del movimento; secondo don Giussani il canto è "l'espressione più alta del cuore dell'uomo", "la carità più grande di tutte perché il canto rende vicino e visibile il mistero". Giussani stesso racconta che fin «dalla prima Messa di GS, la prima in assoluto» insegnò ai suoi ragazzi i classici della devotio moderna, a cui seguiranno poi canti solisti, popolari o polifonici del Cinquecento e del Seicento. Inizialmente circoscritti all'ambito della sola liturgia, i cori di CL si sono poi formati anche su altri generi (dagli spirituals ai canti degli alpini, dai canti brasiliani al Laudario di Cortona, dai canti gregoriani e ambrosiani ai canti tradizionali spagnoli, irlandesi, sudamericani).

Già nei primissimi tempi dell'insegnamento al Berchet don Giussani faceva ascoltare in classe, nelle sue lezioni di religione, dischi di Beethoven, Chopin, Brahms, e altri: l'ascolto e il commento di musica e canti è rimasto poi come uno dei fattori fondamentali della vita del movimento. Negli ultimi anni della sua vita don Giussani ha fondato e diretto la collana di CD Spirto gentil con i pezzi che riteneva meglio eseguiti, non solo di musica classica (tra cui Beethoven, Haydn, Mozart, Rachmaninov, Pergolesi) ma anche canti e musiche di altre tradizioni (ad esempio laudari medievali, canti popolari russi, canti popolari napoletani, canti baschi).

Non per questo CL rinnega la canzone moderna in quanto tale: anzi, il movimento ha accolto anche compositori, come il cantautore Claudio Chieffo, che don Giussani chiamava semplicemente "il poeta".

L'attenzione alla musica è tale che negli esercizi spirituali, ad eccezione dei momenti degli incontri, c'è sempre l'esecuzione di un canto o di un pezzo di musica classica.

La preoccupazione di don Giussani di presentare la lettura di alcuni testi di personalità cristiane e non cristiane che potessero favorire una migliore comprensione dell'esperienza cristiana cominciò con la proposta del "libro del mese" che continua ancora oggi sotto forma di una collana della BUR, denominata I libri dello spirito cristiano. La proposta sull'ascolto della musica è invece nella collana di CD denominata Spirto gentil. In CL si presta grandissima attenzione all'arte, intesa come una delle espressioni più alte dell'uomo.

Gli aderenti al movimento sono educati alla carità attraverso la "caritativa". Questo impegno settimanale affonda le sue radici nell'abitudine dei primi giessini di riversarsi nel fine settimana nella povera Bassa Milanese per fare compagnia ai bambini, giocare con loro e fare catechismo. La caritativa non è intesa come volontariato o come gesto di solidarietà, ma come strumento di educazione del cuore alla gratuità. Attualmente le forme sono le più disparate: per esempio, dedicare un'ora della settimana a fare compagnia ai carcerati, ai malati, a fare doposcuola ai bambini, ecc.

Tutto il movimento di CL è missionario, nel senso che si propone di portare ad ogni uomo la persona viva di Gesù. L'attenzione alla realtà missionaria propriamente detta è grandissima e affonda le sue radici negli anni sessanta, quando alcuni giessini milanesi partirono per il Brasile (paese cui il movimento sarebbe sempre stato legato) come missionari. Si tratta certamente dell'unico esempio missionario studentesco nella storia della Chiesa. In realtà quasi tutti i ragazzi di GS partiti dopo il '68 passarono nelle file dei movimenti marxisti, abbandonando il movimento, ad eccezione di don Pigi Bernareggi e di Rosetta Brambilla, ancora attualmente in Brasile.

Nell'insegnamento di don Giussani, la fede ha a che fare con ogni aspetto della vita, da cui la nascita in seno al movimento di circoli culturali, opere educative, cooperative di lavoro, attraverso cui Comunione e Liberazione si è diffusa assai più che per il tradizionale ambiente delle parrocchie. Al movimento è legata, ad esempio, l'associazione Compagnia delle Opere, nata nel 1986 e che riunisce migliaia tra imprenditori ed opere di carattere assistenziale ed educative. Una critica relativamente diffusa in ambienti laici verso questa associazione è che essa rappresenterebbe una struttura "tentacolare" volta a trasmettere l'influenza e il potere di CL nella vita economica italiana; i sostenitori del movimento affermano al contrario che la Compagnia ha lo scopo di concretizzare nel mondo l'insegnamento di don Giussani.

Il movimento è presente in circa settanta paesi in tutto il mondo.

Dal 1980 ogni anno, in una settimana della seconda metà di agosto, si svolge a Rimini il Meeting per l'amicizia fra i popoli, manifestazione in cui tramite incontri, eventi, mostre e dibattiti con esponenti del mondo della cultura, della politica, dell'industria e della finanza (sia italiani che stranieri), è evidenziato il coinvolgimento di CL con le più varie realtà religiose, politiche e sociali. Nel 1981 nasce a Milano il Centro Culturale San Carlo dietro un invito rivolto direttamente a don Giussani (oggi CMC Centro Culturale di Milano), per dare vita a un luogo di incontro e cultura, dove potesse emergere il contributo che la ragione può portare all'esperienza della fede, attraverso la condivisione e il dialogo tra diverse esperienze di vita. Da lì nascono, negli stessi anni e in diverse città numerosi Centri Culturali che si riuniscono nell'Associazione Italiana Centri Culturali. A Milano aderirono subito numerosi intellettuali, tra cui Giovanni Testori ed oggi docenti, professionisti, scrittori, come Luca Doninelli, Silvano Petrosino, Giulio Sapelli, Salvatore Carrubba.



Dall'ambiente di CL è nata la fondazione Banco Alimentare, una ONLUS per la raccolta e la redistribuzione delle eccedenze alimentari (a cui si è poi aggiunto il Banco Farmaceutico) e l'AVSI (Associazione dei Volontari per il Servizio Internazionale).

Ancora da CL nasce nel 1982 il Sindacato delle Famiglie (SIDEF), per la promozione dei diritti delle famiglie ed il riconoscimento della loro soggettività sociale, ipotizzando che l'Italia sia uno dei paesi europei che più penalizza le esigenze delle famiglie.

Da CL sono nati anche numerose altre iniziative dei più diversi àmbiti: Club Papillon, Teatro de Gli Incamminati, Consorzio Pan (progetti asili nido), Famiglie per Accoglienza, Associazione Cilla, Euresis, Teatro Elsinor, Federazione Opere Educative, Arcipelago Musica, ecc. L'associazione di fedeli Russia cristiana, d'altra parte, pur con posizioni vicine a CL e annoverando tra i propri aderenti molti ciellini, ha avuto genesi ed evoluzione propria e gode tuttora di una propria fisionomia non direttamente dipendente da CL.

Il movimento di Comunione e Liberazione è presente tra i giovani nelle scuole e nelle Università. Alcuni aderenti al movimento di Comunione e Liberazione partecipano attivamente alla politica universitaria mediante liste universitarie, così come alla politica locale, nazionale ed europea. Questo per seguire l'insegnamento della Chiesa di portare Cristo in tutti gli ambienti della società.

La presenza di CL nelle università inizia a partire dalla fine degli anni sessanta con la sigla informale CLU (Comunione e Liberazione - Universitari) ancora oggi utilizzata per indicare tutti i gruppi universitari ispirati a CL. Tale presenza è stata spesso però vista, soprattutto negli anni 70, solo come un elemento politico, tanto che Giussani stesso, nel febbraio 1976, richiamò i suoi sottolineando che «CL in università è un fatto politico più che un fatto ecclesiale, e questo ci strozza» e indicando un nuovo modo di stare in Università più aderente al messaggio cristiano.

La storia delle liste universitarie nate da aderenti a Comunione e Liberazione ha conosciuto negli anni successi ed insuccessi legati soprattutto al radicamento di CL sul territorio e nelle singole Università e attualmente fa riferimento a sigle come Student Office, Obiettivo Studenti, Lista Aperta per il Diritto allo Studio, Ateneo Studenti, Universitas o ListOne riunite in una federazione nata negli anni novanta e denominata Coordinamento Liste per il Diritto allo Studio (CLDS).

Negli atenei italiani il movimento di CL ha fatto sentire la sua voce con nette prese di posizione, dimostrazioni, volantinaggi, manifestazioni durante incontri pubblici su alcuni temi scottanti della politica italiana ed europea, esprimendosi contro l'aborto, l'utilizzo delle cellule staminali embrionali e a sostegno della legge 40/2004 sulla procreazione assistita, opponendosi al divorzio e al riconoscimento legale di coppie omosessuali e sostenendo la parità dei diritti tra scuole statali e private e per l'insegnamento della religione cattolica. Recentemente, anche negli atenei, CL ha preso posizione per quanto riguarda l'inserimento nel testo della Costituzione Europea del riferimento alle radici cristiane. Nei mesi di settembre, ottobre e novembre 2008, ovvero nei momenti di tensione tra governo da una parte e studenti, ricercatori e professori dall'altra, a causa della legge 133 (che prevedeva tagli orizzontali nell'ambito dell'università pubblica, della ricerca e del settore lavorativo universitario) il movimento di CL ha assunto una posizione generalmente poco critica rispetto alla situazione, assumendo posizioni in parte favorevoli al decreto, in parte contrarie; gli esponenti di CL si sono generalmente astenuti dalle manifestazioni di piazza.

Nell'ultimo decennio diversi studenti provenienti dall'esperienza di CL hanno aderito a partiti, buona parte a Forza Italia, militando nelle sue file e presentando candidati nelle sue liste. Per esempio, a Milano, Lorenzo "Lollo" Malagola, studente di Comunione e Liberazione e rappresentante degli studenti in seno al CNSU, è stato eletto nel 2006 come consigliere comunale nelle liste di Forza Italia, seguendo le orme di Carlo Masseroli, che è stato assessore all'urbanistica del comune di Milano, passando dagli organi universitari fino ai banchi del consiglio comunale.

La posizione delle liste vicine al movimento di CL per quanto riguarda la riforma Moratti sullo stato giuridico della docenza e la struttura dei corsi di laurea è stata di un sostanziale appoggio al Ministro (sia pure con alcuni distinguo), in opposizione ad alcuni settori del mondo accademico (all'interno della CRUI, tra i professori, parte della conferenza dei ricercatori e dei dottorandi) e della sinistra studentesca all'epoca maggioranza in seno al CNSU.

Un altro aspetto rilevante della presenza di CL in Università è rappresentato dalle iniziative cooperative. Nel 1977 alcuni studenti di CL fondarono infatti la Cooperativa Universitaria Studio e Lavoro (CUSL) per offrire servizi di fotocopisteria, libri, materiale di cancelleria, convenzioni con negozi, oltre a gestire con i propri proventi iniziative legate al diritto allo studio con borse e facilitazioni.

Alla fine degli anni settanta le cooperative del Movimento Studentesco (di tradizione comunista) erano le uniche realtà organizzate ad usufruire degli spazi universitari per offrire servizi agli studenti e la CUSL, che per diversi anni aveva operato con "banchetti volanti", acquisì la prima sede stabile solo nell'agosto del 1982, con l'occupazione, la pulizia e l'allestimento in uno scantinato abbandonato del Politecnico di Milano.

Sempre alla sfera di CL appartiene l'associazione culturale Universitas University, con base a Milano e che raccoglie un ampio numero di docenti universitari facenti parte del movimento. Tra i documenti degni di nota si trova la difesa degli estensori della "Lettera ad una professoressa" firmata da 18 docenti dell'Università degli Studi di Milano.

La rivista ufficiale del movimento è il mensile Tracce, pubblicato in undici lingue, tra cui il russo ed il giapponese.

All'esperienza di CL si rifaceva il settimanale Il Sabato (pubblicato tra il 1978 ed il 1993).

Fino agli anni ottanta la casa editrice dei testi legati al movimento è la Jaca Book (che prende nome da una pianta sudamericana, la jaca nota come "pianta del pane"); dalla fine degli anni ottanta i libri di Giussani e di altri autori legati a CL vengono pubblicati da diverse case editrici (principalmente Marietti editore e RCS MediaGroup).

La nascita del movimento viene tipicamente indicata come l'ottobre del 1954, cioè coincidente con l'inizio dell'insegnamento di don Giussani nel liceo Berchet di Milano; il movimento è stato a lungo nell'alveo dell'Azione Cattolica: solo nei primi anni settanta CL diverrà completamente autonoma dall'Azione Cattolica.

Già durante la seconda metà degli anni cinquanta il cardinale di Milano Giovanni Battista Montini (futuro papa Paolo VI) riportò a don Giussani le osservazioni di alcuni preti milanesi secondo i quali GS, contrariamente ai metodi dell'Azione Cattolica in cui era inserita, aveva abolito la tradizionale divisione tra associazioni maschili e femminili ed aveva privilegiato l'apostolato d'ambiente rispetto a quello della parrocchia. Montini però concluse: «io non capisco le sue idee e i suoi metodi, ma vedo i frutti e le dico: vada avanti così».

Agli inizi degli anni sessanta, il vescovo di Crema riportava alcune critiche tra cui «GS non è un movimento della Chiesa, ma di un uomo, destinato a scomparire con lui»; mons. Franco Costa, assistente nazionale della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana), chiese inutilmente a Montini il drastico ridimensionamento di GS o dello stesso don Giussani. Le pressioni di Azione Cattolica e FUCI continuarono, finché nel 1965 GS fu finalmente inserita esplicitamente come movimento d'ambiente nelle strutture di AC (avendo come presidente l'allora studente Luigi Negri, oggi vescovo), ed il quarantatreenne Giussani fu inviato "in esilio" negli USA dal cardinale di Milano Giovanni Colombo per studiare teologia protestante. Giussani fu costretto a rientrare dopo appena cinque mesi per un intervento chirurgico alla cistifellea, e fu quindi incaricato di insegnare "introduzione alla teologia" all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (cattedra che tenne fino al 1990). Nel frattempo l'allora studente Angelo Scola (futuro patriarca di Venezia e arcivescovo di Milano), veniva chiamato alla presidenza della FUCI milanese.

Nel numero di luglio del 1966 della Rivista Diocesana Milanese il cardinale Colombo annunciò di aver stabilito che i vertici di GS fossero i vicepresidenti di Azione Cattolica, e che i ragazzi avviati in GS proseguissero la loro formazione nella FUCI. Nello stesso anno Giuseppe Lazzati chiedeva le dimissioni di tutta la presidenza della GIAC (Gioventù Italiana Azione Cattolica) in quanto troppo legati a GS.

Nel febbraio 1966 vengono denunciati da GS gli autori dell'inchiesta pubblicata da "La zanzara", giornale studentesco del Liceo Parini di Milano, intitolata "Che cosa pensano le ragazze d'oggi", un dibattito sulla condizione femminile e sulla posizione della donna nella nostra società, condotta criticando la famiglia tradizionale e la morale sessuale in termini forti per quell'epoca. GS ribatté con un volantino firmato "Pariniani Cattolici", che pur accusando "la gravità dell'offesa recata alla sensibilità e al costume morale comune", era intitolato Protestiamo! Valori fondamentali della nostra tradizione sono la libertà e la democrazia. Il caso de la zanzara rimbalzò sulle cronache nazionali, dividendo il paese. Democrazia Cristiana e Movimento Sociale Italiano costituirono il "partito della colpevolezza", mentre la sinistra e i cattolici progressisti intervennero in difesa degli studenti. Ne nacque un caso simbolo nella società italiana (seguito anche da Le Monde e dal New York Times), presentato come una questione di sesso tra studenti e rapidamente ripresa dalla stampa di sinistra e dai consiglieri comunali comunisti. Un gruppo di genitori firmò un telegramma di solidarietà al preside della scuola, mentre altri genitori denunciarono alla magistratura gli autori dell'inchiesta, che vennero assolti, così come il preside del Liceo dall'accusa di stampa oscena e corruzione di minorenni.

I rappresentanti di GS presentarono le proprie ragioni il 24 marzo successivo, in una sede del PIME, dove furono raccolte 4.500 firme a sostegno della posizione di GS, inviate ai giornali ed alle autorità di Milano.

Il 17 novembre 1967 esplose il Sessantotto italiano, proprio con un'occupazione all'Università Cattolica milanese, a cui parteciparono anche molti aderenti di GS, AC, FUCI, addirittura passando in alcuni casi a Lotta Continua e al Movimento Studentesco di Mario Capanna: la crisi che il Sessantotto accese in tutto il mondo cattolico cambiò profondamente la fisionomia di tutte le aggregazioni della Chiesa in Italia.

Nonostante la tensione con l'Azione Cattolica, fino ai primissimi anni settanta ai vertici dell'AC vi erano ancora giovani provenienti da GS. Per esempio, nel giugno 1970 Massimo Camisasca venne eletto vicepresidente per il Settore giovani dell'Azione Cattolica della diocesi di Milano, carica che avrebbe mantenuto fino al 1972.

Il 18 giugno 1971 la presidenza nazionale della FUCI emise un comunicato in cui diceva: «Preso atto che CL ha una sua organizzazione e un suo discorso su scala nazionale  è risultato più realistico considerare la FUCI e CL come due realtà distinte»; nell'ottobre successivo il cardinale Colombo andò anche oltre, affermando che «i gruppi di CL non sono un'alternativa all'AC ma sono solo un libero e legittimo movimento di apostolato». Queste prese di posizione portarono in meno di un anno al distacco definitivo di CL da AC, un distacco certamente non voluto da Giussani che fino all'ultimo dichiarò al cardinale Colombo di non aver mai voluto creare una struttura accanto ad altre strutture, ma solo sviluppare la propria opera all'interno delle strutture ecclesiastiche esistenti.

Dal rapporto epistolare tra il cardinale Colombo e Giussani emergerà poi la necessità di dotare CL di una qualche forma statutaria.

Negli anni immediatamente successivi al 1968, un periodo in cui tutte le associazioni ecclesiastiche erano in crisi, presso alcuni ambienti si vedeva con perplessità l'espansione di un movimento che faceva capo non ai vescovi ma ad un sacerdote. Il vescovo Franco Costa, incaricato dalla CEI di tracciare un documento su CL, formulò un'accusa di «integrismo» che a causa dell'importanza dell'estensore rimase a lungo come etichetta di CL.

Nel documento di Costa, l'accusa di «integrismo» coesisteva con un'accusa diametralmente opposta (quella di essere un movimento carismatico) a causa della rapida diffusione di CL in tutta Italia. Giussani ha sempre spiegato tale diffusione nei termini di propagazione di un'amicizia cristiana.

Un primo informale incoraggiamento pontificio al movimento di Comunione e Liberazione venne il 23 marzo 1975 da parte di papa Paolo VI. Dopo un incontro in piazza san Pietro, in cui erano presenti diciottomila ciellini, Paolo VI fermò Giussani per dirgli «questa è la strada: vada avanti così! Coraggio, coraggio, lei e i suoi giovani, perché questa è la strada buona», ripetendo lo stesso incoraggiamento di vent'anni prima.

Paolo VI incaricò esplicitamente l'allora segretario della CEI mons. Enrico Bartoletti di seguire CL. Con Bartoletti sembrò che il riconoscimento fosse vicino, ma la sua morte improvvisa nel marzo 1976 riportò tutto in alto mare per altri quattro anni.

Papa Paolo VI, nell'udienza del 28 dicembre 1977, disse agli universitari di CL presenti: «siamo molto attenti all'affermazione che andate diffondendo del vostro programma, del vostro stile di vita, dell'adesione giovanile e nuova, rinnovata e rinnovatrice, agli ideali cristiani e sociali che vi dà l'ambiente cattolico in Italia», ricordando anche il loro «fondatore» don Giussani. Pochi anni dopo, CL avrebbe ottenuto il riconoscimento pontificio.

Con un decreto dell'11 luglio 1980, infatti, l'abate di Montecassino, Martino Matronola, conferì la personalità giuridica all'associazione laicale denominata "Comunione e liberazione" ed eresse la Fraternità di Comunione e Liberazione, invitando gli altri Ordinari diocesani a che venisse "accolta, aiutata e incoraggiata". Nel novembre successivo il cardinale Ugo Poletti la riconobbe a Roma, e prima della fine dell'anno fu riconosciuta anche a Catania ed in numerose altre diocesi italiane. Il 30 gennaio 1982 una nota del Pontificio Consiglio per i Laici considerò l'approvazione pontificia della Fraternità un fatto compiuto, «anche perché il Santo Padre ha manifestato la sua augusta mens, favorevole alla concessione della personalità giuridica pontificia»; il decreto pontificio di papa Giovanni Paolo II seguì poco meno di due settimane dopo, l'11 febbraio 1982. Come presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione fu nominato don Luigi Giussani.

L'11 febbraio 2002 lo stesso Giovanni Paolo II scrisse a Giussani una lettera per i vent'anni di riconoscimento pontificio, in cui affermò che CL «ha voluto e vuole indicare» all'uomo di oggi «non una strada, ma la strada», e tale strada «è Cristo».

Il 24 marzo 2007 papa Benedetto XVI ha voluto ricevere in udienza in Piazza S.Pietro l'intera comunità di CL in occasione del venticinquesimo anniversario della Fraternità. Agli oltre centomila presenti ha ricordato le parole del predecessore e rinnovato la stima e la benedizione nel cammino verso Cristo.

Secondo l'insegnamento di don Giussani, la fede cristiana ha la forza di dare forma ad ogni aspetto della vita, con ogni espressione umana (religiosa, artistica, politica, etc). Proprio perché CL è un movimento ecclesiale e di carattere educativo su tutta la realtà (così come Giussani ha sempre voluto), i giudizi e l'attività dei singoli, partendo dalla propria esperienza di fede, si sono in vari casi rivolti anche alla sfera politica (per esempio sulla questione dell'aborto). Le prese di posizione e i giudizi sui temi di attualità sono stati al centro di diverse polemiche soprattutto per il dichiarato carattere cristiano che li contraddistingueva.

Un episodio particolarmente significativo avvenne durante un'assemblea alla Cattolica nel 1973, quando il coro di CL cantò La ballata del potere di Claudio Chieffo. Il giornalista Walter Tobagi riporta che nel momento in cui il coro intonò la strofa «forza compagni: rovesciamo tutto e costruiamo un mondo meno brutto», i ragazzi del Movimento Studentesco, che erano rimasti un po' stupiti e un po' ridacchiosi di fronte alla scena cominciarono ad applaudire. Ma l'applauso si trasformò in una fischiata quando il coro arrivò all'ultima strofa: «Ora tu dimmi, come può sperare un uomo, se ha in mano tutto, ma non ha il perdono?».

Le prime timide apparizioni "politiche" di aderenti a CL risalgono all'inizio degli anni settanta, generalmente in appoggio alla Democrazia Cristiana, visto ancora come il "partito cattolico". La prima vera battaglia politica fu il referendum sul divorzio del 12 maggio 1974, in cui il fronte cattolico si presentava diviso: per esempio le Associazioni Cristiane Lavoratori (ACLI) furono favorevoli al divorzio, l'Azione Cattolica non prese una posizione ufficiale, altre formazioni ecclesiali – fra cui CL – si dichiararono contro fin dall'inizio. CL organizzò manifestazioni ed incontri pubblici per promuovere le ragioni del "sì" alla consultazione, ma il referendum fu vinto dai "no"; ciò portò ad una lunga riflessione all'interno di CL sull'efficacia delle manifestazioni e degli incontri.

Un anno dopo, il 29 maggio 1975, nacque il Movimento Popolare ad opera di Roberto Formigoni ed altri membri di CL. Alle amministrative del 15-16 giugno 1975 la formazione guadagnò cinque eletti al comune di Milano, e diversi altri nel resto dell'Italia. Il 27 giugno 1975 il primo comunicato stampa di CL sulle elezioni affermava: «nonostante il calo percentuale della DC, un nuovo movimento cattolico è nato». Il movimento fu denominato Movimento Popolare, senza l'aggettivo "cattolico", perché non si voleva scomodare un riferimento così impegnativo alla Chiesa cattolica.

Nel Movimento Popolare confluirono molti dalla CISL, dalla DC, dalle ACLI, dall'Azione Cattolica e da altri ambienti, ma la stampa continuò a considerare il Movimento Popolare come l'espressione politica di CL. Giussani stesso, nel febbraio del 1976, ebbe ancora a lamentarsi che nelle università CL veniva considerata «un fatto politico più che un fatto ecclesiale»; nel maggio successivo Giussani e Formigoni scrissero ufficialmente a tutti i responsabili di CL che «il soggetto pubblico promotore di tutte le iniziative in campagna elettorale deve essere il Movimento Popolare, non CL; ciò al fine di evitare gravi equivoci sulla natura ecclesiale del nostro movimento. Non esistono candidati di CL, né nelle liste DC, né in alcuna altra lista. Esistono nella lista DC dei candidati che liberamente condividono l'esperienza di CL». I responsabili del Movimento Popolare affermarono che «alla radice del nostro modo di fare politica c'è un atteggiamento religioso», ma all'iniziale sostegno dato alla DC si affiancò gradualmente una polemica sul metodo democristiano, in particolare sul tema dell'aborto.

Altre attività del Movimento Popolare riguardarono l'attività a favore dei boat people (in particolare i profughi che fuggirono dal Vietnam del Sud in guerra) e della Polonia di Solidarność. I due anni d'oro del Movimento Popolare furono il 1984 ed il 1985.

Con Tangentopoli e la messa in crisi della DC e della Prima Repubblica, il Movimento Popolare si sciolse il 2 dicembre 1993.

I giudizi politici (l'appoggio alla Democrazia Cristiana, le prese di posizione sul divorzio, etc) fecero guadagnare a CL prima e al Movimento Popolare poi l'antipatia di movimenti politici sia di destra che di sinistra.

Dal 16 marzo 1973 L'espresso pubblicò una serie di articoli evidenziando la consistenza numerica di CL e qualificandola come «gli extraparlamentari della DC»: CL guadagnava così l'attenzione della stampa e degli ambienti della scuola e dell'università. Dal febbraio del 1974 si registrarono a Milano le prime aggressioni agli aderenti di CL sia nella scuola (nello stesso liceo Berchet e all'ITIS Molinari) che all'università (alla Statale) da parte di organizzazioni sia di sinistra (come Avanguardia Operaia e Movimento Studentesco) che di destra (come FUAN e Avanguardia Nazionale).

In vista del referendum sul divorzio (maggio 1974), a causa della posizione dichiaratamente contraria al divorzio da parte dei ciellini, le organizzazioni ostili a CL la definirono «CL organizzazione giovanile della DC», «organizzazione squadristica di CL», «gruppo reazionario clerico-fascista al soldo di DC e padronato»; aumentarono le aggressioni tese ad impedire assemblee e volantinaggi di CL, stavolta anche in altre regioni d'Italia. Nel giugno successivo gli universitari ciellini vengono aggrediti da esponenti del Movimento Studentesco durante una funzione religiosa nella chiesa della Statale di Milano; nei volantinaggi del Movimento Studentesco si chiedeva sempre di «togliere agibilità politica a CL» poiché «CL non ha il diritto di parlare in università». Nel dicembre successivo il manifesto afferma che sarebbero presenti in CL «alcuni squadristi di Ordine Nuovo», dando al Movimento Studentesco il pretesto per ulteriori aggressioni nonostante la smentita di Roberto Formigoni. CL si troverà contro perfino gruppi di ispirazione cristiana come Gioventù ACLIsta e Cristiani per il Socialismo. Un discreto numero di studenti e professori ciellini finirà all'ospedale a seguito delle aggressioni. «È una colpa sociale essere cristiani», commenterà amaramente il cardinale Ugo Poletti sulle pagine de L'Osservatore Romano.

Un volantino delle Brigate Rosse nel dicembre 1975 indica CL come uno strumento della «campagna clerico-fascista scatenata dal Vaticano contro il pericolo comunista» e i ciellini come «provocatori di professione al soldo dell'imperialismo». Ancora nel 1975 Il Messaggero pubblica una notizia intitolata: «Picchiati studenti integralisti di Comunione e Liberazione». Il 14 febbraio 1976 appare contemporaneamente su La Stampa e il manifesto la notizia che CL sarebbe «un'organizzazione politica creata dalla CIA e foraggiata con due miliardi di lire». Nonostante le smentite e la pubblicazione dei dati sull'autofinanziamento di CL e la querela ai due giornali, la notizia viene amplificata dalla stampa e le aggressioni si moltiplicano: già nello stesso febbraio ci furono diversi attacchi con bombe Molotov contro sedi di CL, con lo slogan «le sedi di CL si chiudono col fuoco», devastazioni o distruzioni di locali usati da ciellini, auto, proprietà, aggressioni con spranghe e mazze (il 17 giugno 1979 La Stampa e Il manifesto smentiranno quelle che erano state definite 'assurde calunnie'). Un attentato con bombe Molotov devasterà anche la sede della Jaca Book, una casa editrice che annoverava tra i suoi fondatori alcuni giovani di CL.

Nel luglio 1977 le Brigate Rosse gambizzano Mario Perlini, in quanto «segretario regionale dell'organizzazione di Comunione e Liberazione» (volantino BR del 14 luglio 1977), il 23 ottobre 1977 gambizzano Carlo Arienti, in quanto «uomo di punta di Comunione e Liberazione».

I più noti esponenti politici italiani direttamente legati a CL sono l'ex presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, l'ex vicepresidente del Parlamento Europeo Mario Mauro, il fondatore dell'Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà Maurizio Lupi e, in passato l'ex ministro dei Beni Culturali Rocco Buttiglione.

Con lo scioglimento del Movimento Popolare e la dissoluzione della Democrazia Cristiana, l'attenzione politica degli aderenti al movimento si è, nella maggior parte dei casi, spostata ad alcune componenti della Casa delle Libertà; vi sono state diverse eccezioni, come ad esempio il sostegno di parte del movimento a Democrazia Europea nelle elezioni politiche 2001, e a esponenti di centro-sinistra soprattutto in occasione di elezioni amministrative (per esempio in Campania e Toscana).

Dopo le esplicite prese di posizione in occasione dei referendum sull'aborto e sul divorzio (sui quali il mondo cattolico si era presentato frammentato e diviso), in occasione dei referendum abrogativi del 2005 in materia di procreazione medicalmente assistita l'intero movimento si è compattato attorno alla campagna per l'astensione, che ha visto impegnato la stragrande maggioranza del mondo cattolico italiano; CL si è sempre espressa negativamente sull'uso delle cellule staminali embrionali a scopo di ricerca.

Per le elezioni politiche del 2013 alcuni membri di CL, tra i quali Giorgio Vittadini (fondatore della Compagnia delle Opere) e l'imprenditore Graziano Debellini (leader del movimento ciellino veneto ed ex-presidente della Compagnia delle Opere ), hanno manifestato il loro appoggio per il premier uscente Mario Monti a scapito di Silvio Berlusconi.

Le critiche espresse nei confronti di CL si possono riassumere in tre categorie: quella politica-economica, quella dell'ambito religioso e sociale espressa da ambienti esterni alla Chiesa cattolica, e quella religiosa e sociale espressa da ambienti della Chiesa.

Storicamente, le critiche riguardanti la politica sono venute da destra e da sinistra, con una forte predominanza da quest'ultima a causa della massiccia presenza di liste collegate alla sinistra nelle università (per esempio il Movimento Studentesco, detentore negli anni settanta della maggioranza dei consensi nelle università milanesi, fu il più prolifico di critiche ed attacchi a CL).

Fino a tutti gli anni settanta negli ambienti di GS prima e di CL poi si era utilizzato un linguaggio e uno stile prossimo a quello della sinistra (cfr. ad esempio tra i canti di CL, o tra le pubblicazioni della Jaca Book, o lo stesso termine «liberazione» del nome «Comunione e liberazione», in antitesi agli slogan comunisti dell'epoca). Ciò non poteva che portare a critiche da parte di ambienti di estrema sinistra, storicamente ostili a CL e che hanno sempre criticato tale movimento ecclesiale in termini di politica e di economia, per esempio contestando una presunta "economia parallela" (nella Compagnia delle Opere) capace di portare la sua influenza nel mondo politico italiano.

Nel 2003 scoppiò uno scandalo, legato all'ambiente cooperativo vicino a Comunione e Liberazione. Vennero inquisiti diversi dirigenti e fornitori della società cooperativa di ristorazione "La Cascina" con l'accusa di truffa aggravata, frode in pubbliche forniture, falso ideologico, turbativa d'asta, somministrazione di sostanze alimentari in modo pericoloso per la salute pubblica. Il procedimento si è poi concluso con il proscioglimento degli indagati. La cooperativa, attiva dal 1978, è ancora oggi uno dei leader nazionali nel settore della ristorazione collettiva e si occupa di gestire mense universitarie, scolastiche, ospedaliere e dal 2002 anche la buvette del Senato; la cooperativa si occupa anche della gestione dei buoni pasto Break Time.

Una critica poco visibile è quella rivolta agli esponenti di CL che hanno raggiunto posizioni di rilievo nella società: essa ha ad oggetto l'osservazione che tutti i collaboratori sarebbero scelti tra gli esponenti di CL secondo un'usanza ormai consolidata di occupazione silenziosa e vincente delle posizioni di potere. Secondo i sostenitori di questa tesi, ovunque vi sia una posizione rilevante acquisita anche da un solo esponente di CL seguirà l'occupazione delle poltrone da parte di altri esponenti di CL e la privazione di potere per gli esponenti di qualunque altra idea religiosa o politica.

Un esempio è quello della regione Lombardia, ove, dal momento in cui è divenuto presidente, Formigoni si è circondato nel suo incarico, e quindi in posti di lavoro nell'Ente pubblico, di un gran numero di simpatizzanti e persone interne al movimento, escludendo di fatto gli oppositori.

Un appunto spesso mosso a CL, fin dai primissimi anni del Concilio Vaticano II, è che in CL «non si parla del Concilio». A questa obiezione già all'epoca rispose don Giussani: «Non ne parlavamo, lo vivevamo». Lo stile di CL, che le gerarchie ecclesiastiche indicheranno inizialmente come «movimento di apostolato d'ambiente», per giunta propagatosi attraverso un sacerdote anziché nell'ambito organizzativo dei vescovi, non poteva incontrare immediatamente il gradimento di quanti erano convinti della necessità dell'istituzionalizzazione di ogni movimento cattolico entro il sistema delle parrocchie (in realtà, ciò è storicamente avvenuto solo per l'Azione Cattolica). Giussani stesso ebbe a lamentarsi col cardinale Colombo di sentirsi «emarginato», dichiarando di non aver mai voluto creare una nuova struttura da affiancare alle altre esistenti nelle parrocchie. Solo con il riconoscimento pontificio (e con l'emergere di numerose altre aggregazioni ecclesiali, così come auspicato dal Concilio Vaticano II), si ridurrà questo genere di polemiche.

Come altri movimenti ecclesiali di rapida e grande diffusione, Comunione e Liberazione è stata accusata più o meno velatamente di proselitismo, anche da parte di alcune associazioni cattoliche tradizionali, con particolare riferimento agli ambienti della scuola e dell'università. Da tale accusa CL si difende ricordando la diffusione del movimento attraverso rapporti di amicizia piuttosto che con "discorsi o progetti organizzativi": secondo l'insegnamento di don Giussani, «non si costruisce una realtà nuova con dei discorsi o dei progetti organizzativi, ma vivendo gesti di umanità nuova nel presente» (intervento ad Assago del 1976).

Sempre all'interno della Chiesa, CL fu accusata di modernismo dalle ali più tradizionali e di tradizionalismo da quelle più progressiste. Tali critiche non sono mai state accolte dalla Congregazione per la Dottrina della Fede.

Da ambienti esterni a Comunione e Liberazione provengono critiche di tipo "religioso": c'è per esempio chi ha parlato di una sorta di "americanizzazione" di CL che porterebbe ad un cristianesimo «degenerante per la cultura occidentale»; in questo movimento, infatti, gli Stati Uniti d'America sarebbero visti come un «punto di partenza per rilanciare l'evangelizzazione del mondo». Don Giussani aveva in più occasioni parlato di «svuotare lo Stivale» (cioè diffondere fuori dell'Italia il movimento, in obbedienza alle indicazioni missionarie del papa).

Poiché, secondo gli aderenti, l'impostazione della cultura di CL è la testimonianza dell'incontro cristiano in ogni ambito della vita (scuola, lavoro, impegno sociale e impegno politico), critiche a CL sono giunte anche da questi ambiti. Alcune critiche fanno riferimento alla massiccia presenza di CL negli ambienti scolastici, in particolare, i licei classici. Sono note le polemiche circa la presenza nelle scuole di insegnanti di religione facenti riferimento al movimento e che organizzerebbero le lezioni in classe sullo schema di quanto avviene per la scuola di comunità (preghiere, testi, metodi facenti riferimento alla figura di don Giussani). A ciò si aggiungono accuse di «comunicazione della celebrazione di una Messa» e di «domande strutturate sulla base dei due discorsi del papa» nei confronti di professori e studenti non appartenenti al movimento, in seno all'ambiente scolastico.

Ulteriori critiche a CL sono sorte a seguito di particolari prese di posizione in campo sociale e culturale. CL è stata accusata di revisionismo storico per quanto riguarda il Risorgimento italiano (al Meeting di Rimini, infatti, sono stati presentati negli ultimi anni testi di diversi autori con un punto di vista critico sul Risorgimento).

Nell’omelia per i funerali di Giussani l’allora cardinale Ratzinger, che poche settimane dopo sarebbe stato eletto Papa, nell’affollatissimo duomo di Milano ricordò che nel 1968, quando Cl esisteva già da 14 anni, “la tentazione grande di quel momento era di trasformare il cristianesimo in un moralismo, il moralismo in una politica, di sostituire il credere con il fare”. E Ratzinger spiegò che così facendo “si cade nei particolarismi, si perdono soprattutto i criteri e gli orientamenti, e alla fine non si costruisce, ma si divide”. Eppure la commistione tra il movimento e la politica è sempre stata presente e anche molto evidente, basta rivedere le sfilate di ministri, deputati e senatori agli annuali meeting di Rimini con esponenti di punta nel governo di Enrico Letta, Mario Mauro e Maurizio Lupi, di cui solo quest’ultimo confermato dal premier Matteo Renzi.

Per Ratzinger, che divenuto Papa, e anche da emerito, vivrà insieme a quattro laiche consacrate di Cl, le Memores Domini, “monsignor Giussani, nella forza della fede, ha attraversato imperterrito queste valli oscure e naturalmente, con la novità che portava con sé, aveva anche difficoltà di collocazione all’interno della Chiesa”. Sarà forse proprio per questo che il cardinale di Milano, Angelo Scola, alla vigilia del conclave del 2013, in cui era in pole position, aveva “preso le distanze da Cl”, come affermato da monsignor Luigi Bettazzi, il vescovo che profetizzò le dimissioni di Benedetto XVI. Ora i seguaci di don Giussani attendono fiduciosi la benedizione di Papa Francesco. Dagli archivi di Cl è stato rispolverato un testo in cui l’allora cardinale Bergoglio affermava: “Da molti anni gli scritti di monsignor Giussani hanno ispirato la mia riflessione, mi hanno aiutato a pregare e mi hanno insegnato a essere un cristiano migliore”.

Un movimento ecclesiale, cioè un gruppo organizzato di cristiani che testimoniano la presenza di Cristo nel mondo. Ma è anche una potenza politica ed economica. Ha il suo centro in Lombardia, dove funzionava il più potente e pervasivo apparato politico-imprenditoriale esistente in Italia: quello dell’area ciellina di Roberto Formigoni. «Un sistema di potere come quello di Formigoni, Cl, non esiste in alcun punto del Paese», scrisse Eugenio Scalfari. «Nemmeno la mafia a Palermo ha tanto potere. Negli ospedali, nell’assistenza, nell’università, tutto è diretto da quattro-cinque persone». Le attività imprenditoriali sono coordinate dalla Compagnia delle Opere, associazione che riunisce in tutta Italia 35 mila aziende e più di mille organizzazioni non profit. Giro d’affari complessivo: 70 miliardi l’anno. Slogan: “Un criterio ideale, un’amicizia operativa”.

La galassia di società controllate dalla Regione è il motore di appalti e incarichi sottratti al controllo del consiglio regionale. Infrastrutture Lombarde è la spa creata per realizzare le nuove infrastrutture, ospedali, strade, tutto sotto il comando del presidente. Da Infrastrutture Lombarde viene Guido Della Frera, dal 1994 dirigente di Forza Italia, poi consigliere comunale a Milano e assessore. Ex braccio destro di Formigoni, dal 2004 si è concentrato sulle proprie attività imprenditoriali. Diventa azionista del Polo geriatrico riabilitativo di Cinisello Balsamo: solo cinque mesi dopo ottiene dalla Regione l’accreditamento. Da allora è stata una marcia trionfale: grazie agli accreditamenti garantiti, ha costruito un gruppo (il Gdf Group spa) da 25 milioni di euro di fatturato, con società che vanno dal settore sanitario (degenza, day hospital, emodialisi, radiologia e altro ancora) a quello residenziale e turistico-alberghiero.
Il gruppo ciellino controlla il settore fieristico, importante per Milano
La sanità è poi il settore più ricco tra quelli controllati dalla Regione. E il più militarmente occupato: bisogna essere di area Cl per fare carriera, per ottenere incarichi, direzioni generali, posti da primario.

Ed è possibile che questo sia legato alla Chiesa Cattolica? Sembrerebbe assurdo, eppure è così. Si chiama “Comunione e Liberazione”, è un movimento cattolico che esiste da 50 anni.
Definizioni di terroristi o meno, le critiche cominciarono ad aumentare dopo il 1986, anno della fondazione da parte di un gruppo consistente di ciellini della già citata Compagnia delle Opere (CdO), associazione nazionale non confessionale, ma ispirata alle dottrine cristiane, che nel tempo ha radunato circa 36.000 imprese con CDO-COMPLETO_colore40 sedi in Italia e 16 all’estero.

L’associazione a detta del suo presidente Bernhard Scholz (consulente di direzione e docente per la formazione manageriale) ha lo scopo di “ affrontare le sfide economiche, sociali e culturali in modo costruttivo e innovativo” dando particolare importanza al “senso di responsabilità e al desiderio di contribuire al bene comune presenti in ogni persona”. Ciò dovrebbe avvenire tramite iniziative in ambito profit e no-profit che mettano insieme numerosi imprenditori in un clima sereno di fruttuosa collaborazione per lo sviluppo.

Tuttavia a creare qualche sospetto sulla CdO è la natura del suo fatturato, circa 70 miliardi di euro, e la possibilità per i suoi membri – attraverso il pagamento di una quota di iscrizione – di godere di una rete di relazioni (che permette loro di  farsi amici i maggiori imprenditori del paese) e di alcune convenzioni bancarie, accordi speciali con istituti di credito che offrono ai soci un accesso al credito facilitato (ad esempio l’accordo tra CdO Veneto e Banco Popolare).

Il sospetto che l’organizzazione vada al di là di fini etici presupposti, costituendo un gruppo chiuso di potere ed opportunità, c’è. Ma la stessa perplessità si allarga, per alcuni, all’intera CL, munita anche di un proprio giornale (Tracce), pubblicato in undici lingue, e caratterizzato da un meeting annuale a Rimini che vede la ciclica sfilata di ministri e personalità politiche rilevanti (nel 2013 ci andò anche il premier Letta). In queste riunioni, inoltre, ci sono anche una serie di banchi con scopi prettamente commerciali, poco aderenti allo spirito teorico di CL. L’aria che si respira così, per alcuni critici, sembra essere quella di una sorta di “setta” (com’è sostenuto in questa testimonianza) .

Nulla di certo, è chiaro, ma le critiche sono confluite anche in due inchieste del giornalista Ferruccio Pinotti (che negli anni ha scritto per quotidiani e settimanali come il Sole24 ore, Il Corriere della Sera e L’espresso, oltre ad aver lavorato a New York per la CNN) e dell’attore, documentarista e giornalista Saverio Tommasi, intitolate rispettivamente: “La lobby di Dio” e “Gesù era ricco. Contro Comunione e Liberazione”.

Il primo definisce CL “più potente dell’Opus Dei e più efficiente della massoneria” e ricostruisce i suoi rapporti con la politica riscoprendo un’incredibile vicinanza non solo di esponenti di centro-destra come Lupi, Formigoni, Tremonti e Berlusconi, ma anche di centro-sinistra come Letta, Bersani e Renzi (incredibile a dirsi, ma i tre hanno qualcosa in comune oltre al PD). Inoltre parla del controllo ciellino sull’organizzazione dell' Expo 2015 a Milano. Infine, anche grazie alla testimonianza di un fuoriuscito dal movimento e quella di una psicoterapeuta che ha lavorato con i suoi membri, Pinotti definisce CL come “una lobby di potere che estende i suoi tentacoli dall’economia alla finanza, dalla politica alla società civile fino all’informazione e ai grandi direttori dei giornali”.

Il secondo, invece, come mostra in modo evidente il titolo scelto, mette in evidenza la distanza tra l’etica cristiana e CL sostenendo poi una tesi simile a Pinotti. Comunione e Liberazione sarebbe una lobby con esponenti in posti chiave della società italiana, a partire dai luoghi di formazione di pensiero come le università.

E pensare che alcuni critici non sono mancati nemmeno nelle file della Chiesa. Il primo fu il vescovo Franco Costa, che nel 1968 in un documentò sul movimento lo accusò di “integralismo” riconoscendone però “il carisma”. Tuttavia, a partire da Paolo VI, tutti i papi hanno incoraggiato CL, riconoscendogli ufficialmente nel 1980 la sua “personalità giuridica”. Tra i pontefici che incoraggiarono di più il movimento, troviamo papa Giovanni Paolo II e Benedetto XVI (quest’ultimo anche da diretto esponente).

Grandi sostenitori e grandi critici. Una dialettica aspra, dalla difficile risoluzione, nella quale, però, si pongono delle evidenze incontrovertibili: gli scandali che hanno colpito molti esponenti di CL.

Il primo è lo scandalo de “La Cascina”, una cooperativa di Roma, legata sia a Comunione e Liberazione che alla Compagnia delle opere, che tra il 1999 e il 2003 confezionò cibi scaduti, avariati e putrefatti per le mense degli ospedali e delle scuole baresi in cui venivano serviti malati di fibrosi cistica, tumore, leucemia e molto altro.

Il secondo è riconducibile all’inchiesta “Why Not” dell’ex magistrato Luigi De Magistris, dove vennero intercettati Papa Ratzinger e altri ciellini e fu denunciato un sistema di legami e “favori” che coinvolgeva CL e CdO soprattutto in Calabria.

Il terzo è conosciuto con il nome di “Oil for food” (scoppiato nel 2012), un programma umanitario internazionale per garantire cibo e medicine alla popolazione irachena, che fu violato tramite tangenti per ottenere appalti e petrolio. Nello scandalo finirono Roberto Formigoni, il suo responsabile elettorale Alberto Perego, il suo segretario Fabrizio Rota e l’ex sindaco di Chiavari Marco Mazarino de Petro. Tutti e 4 sono ciellini e i primi 3 addirittura fanno parte dei “Memores Domini”, il cosiddetto “Gruppo adulto” del movimento (uomini e donne che fanno voto di “castità”, “povertà” e “obbedienza” vivendo in case comuni sotto il controllo di un sacerdote).

Il quarto e il quinto riguardano invece rispettivamente l’accusa di appropriazione illecita di fondi nazionali ed europei da parte di 10 vertici dellla CdO del Nord-Est (sempre nel 2012) e quella di abuso su minori da parte di uno dei membri di CL, Monsignor Mauro Inzoli (il presunto “confessore” di Formigoni), chiamato “il prete in Mercedes” per i lussi che si concedeva e gli incontri politicamente rilevanti che aveva.

Ecco che allora la “questione CL” non riguarda solo eventuali critiche di “massoneria” in astratto contro la rivendicazione della purezza del progetto religioso. Di mezzo c’è una “questione etica” rilevante, una questione pratica ed evidente: i membri di CL o vicini ad esso coinvolti nelle bufere citate sono tanti. Troppi davvero per impedire che le critiche emergano.
Chissà se è vero che Giussani pensò che il movimento gli era sfuggito di mano, come sostengono alcuni.
Per la serie predicare bene ma razzolare come si vuole....





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venerdì 14 ottobre 2016

OBIETTORI DI COSCIENZA

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L'obiezione di coscienza in Italia fa riferimento ad alcuni istituti giuridici volti a regolare l'esercizio dell'obiezione di coscienza.

Fino alla promulgazione di una legge che regolamentasse la fattispecie, l'obiezione di coscienza in Italia fu sempre trattata alla stessa stregua della renitenza alla leva (mancata presentazione al distretto militare per le visite di leva, o alla destinazione assegnata per lo svolgimento del servizio), oppure alla diserzione (rifiuto di proseguire il servizio di leva dopo averlo intrapreso).

Il primo obiettore italiano ufficialmente documentato fu Remigio Cuminetti, un Testimone di Geova che, nel 1916, in piena Grande Guerra, finì sotto processo per diserzione a causa del suo rifiuto di indossare l'uniforme. Nel 1940, ancora vigente il regime fascista, 26 Testimoni di Geova furono processati e condannati perché rifiutarono l'obbligo militare.

Nel secondo dopoguerra, spiccano anche i casi di Rodrigo Castello, di Pietrelcina (BN), cristiano pentecostale condannato dal Tribunale militare e successivamente tornato in libertà a seguito di amnistia, e di Enrico Ceroni, altro Testimone di Geova che, dopo perizia psichiatrica, fu condannato a 5 mesi e 20 giorni di reclusione con il beneficio della condizionale. Tra il 1946 e il 1959 ci furono 179 giovani tra i Testimoni di Geova che rifiutarono di indossare la divisa militare. Il primo processo penale di notevole risonanza fu quello a Pietro Pinna, svoltosi nel 1949. Pietro Pinna, che si appellava semplicemente ai principi della non violenza, fu condannato a 10 mesi di reclusione con il beneficio della condizionale. La notorietà che assunse il caso Pinna portò alla prima presentazione del progetto di legge relativo al riconoscimento dell'obiezione di coscienza (onorevole Colosso, Deputato del PSI, e onorevole Iginio Giordani, Deputato della DC) e permise l'avvio di un dibattito ventennale - non privo di asprezze, polemiche e accuse di viltà, scarso patriottismo e alto tradimento - sull'obiezione di coscienza, che sfociò con la legge summenzionata.

Il 1950 vede il processo di Eveloine Santi, obiettore di fede valdese. Negli anni sessanta si terranno poi i processi agli obiettori cattolici, Giuseppe Gozzini e Fabrizio Fabbrini. A questo si aggiunsero le forti prese di posizione in favore dell'obiezione di coscienza da parte di padre Ernesto Balducci e di don Lorenzo Milani che trattò l'argomento nella sua opera L'Obbedienza non è più una virtù subendo anche un processo.

Su proposta del Sen. Anderlini nel 1970 viene presentata in Parlamento, insieme ai colleghi democristiani Giovanni Marcora e Carlo Fracanzani, una proposta di legge per legalizzare l'obiezione di coscienza. La proposta viene approvata dal Parlamento due anni dopo, con l'istituzione del servizio civile obbligatorio per chi rifiuta di prestare il servizio militare.

La prima norma nell'ordinamento italiano a disciplinare l'obiezione di coscienza fu la legge 15 dicembre 1972 n. 772 (la cosiddetta Legge Marcora dal nome del suo relatore) seguita dal relativo regolamento di attuazione di cui al D.P.R. 28 novembre 1977 n. 1139 ("Norme di attuazione della legge 15 dicembre 1972, n. 772, sul riconoscimento dell'obiezione di coscienza").
Tale legge permise agli obiettori di scegliere il servizio civile sostitutivo obbligatorio, di durata di 8 mesi superiore alla durata del servizio che si sarebbe dovuto svolgere (all'epoca 15 mesi per l'esercito, ridottisi successivamente a 12 ed infine a 10 nel 1997, 22 per la Marina Militare, ridottisi poi a 18). Tale periodo aggiuntivo fu ritenuto, in tempi più recenti, incostituzionale (sentenza 470 del 1989). È stato abolito quindi il comma 1 dell'art. 5 della legge che prevedeva una durata di 8 mesi oltre alla durata del servizio militare.

Per protestare contro una legge giudicata non equa, nel gennaio del 1973 venne fondata la Lega degli obiettori di coscienza (LOC) per iniziativa del Partito Radicale, di Pietro Pinna divenuto fondatore con Aldo Capitini del Movimento Nonviolento, del Senatore Luigi Anderlini e del valdese Giorgio Peyrot, esponente del gruppo cristiano Movimento Internazionale di Riconciliazione (MIR).

La durata superiore del servizio civile sostitutivo di quello armato fu dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 470 del 1989 che considerava la maggior durata del servizio alternativo a quello armato una:
« sanzione conseguente ad una particolare espressione della persona, nel più aperto contrasto sia con il principio di eguaglianza che con il diritto di libera manifestazione del pensiero, dando vita ad un'ingiustificata valutazione deteriore delle due forme di servizio alternativo a quello armato. »
Una disciplina organica della materia però si ebbe solo con la legge 8 luglio 1998 n. 230 che, abrogando la precedente legge n. 772/1972, e riconobbe compiutamente per la prima volta il diritto all'obiezione di coscienza, configurando la stessa non più come un beneficio concesso dallo Stato, bensì come un diritto della persona.

Con la sospensione delle chiamate al servizio militare di leva in Italia ad opera della legge 23 agosto 2004 n. 226 (a partire dal 1º gennaio 2005), risultò sospesa di fatto anche l'opzione del servizio civile obbligatorio per obiezione di coscienza.

L'essere obiettori di coscienza al servizio militare obbligatorio comportava tuttavia alcune conseguenze sullo stato giuridico, come conseguenza l'irrinunciabilità di tale status e l'impossibilità, vita natural durante, di ottenere il porto d'armi e di essere reclutato nelle forze armate italiane e nelle altre forze di polizia italiane (es. polizia municipale). Tali limitazioni permasero tuttavia con la riforma del 1998, benché altre disposizioni che potessero essere ritenute discriminatorie siano state comunque eliminate da tale legge. Inoltre, l'essersi dichiarati obiettori poteva rendere molto difficile lavorare nel campo dell'industria della difesa.



L'emanazione della legge 2 agosto 2007 n. 130 ha reso tuttavia possibile esercitare la rinuncia allo stato di obiettore: infatti la norma ha modificato la legge del 1998, stabilendo che l'obiettore ammesso al servizio civile, decorsi almeno cinque anni dalla data in cui è stato collocato in congedo secondo le norme previste per il servizio di leva, possa rinunziare allo status di obiettore di coscienza presentando apposita dichiarazione, non revocabile, da inoltrare all'Ufficio nazionale per il servizio civile, facendo così venire meno le limitazioni residue di cui alla legge n. 230/1998 e ponendo fine in modo effettivo a talune discriminazioni cui obiettivamente andavano incontro i cittadini, che avessero scelto di prestare il servizio civile in luogo di quello di leva. Il d.lgs 5 marzo 2010 n. 66 (Codice dell'arruolamento militare) dispone che agli obiettori di coscienza che sono stati ammessi a prestare servizio civile è vietato partecipare ai concorsi per qualsiasi impiego (pubblico o privato) che comporti l'uso delle armi e comunque partecipare a qualsiasi procedura per l'arruolamento nelle forze armate italiane e nelle forze di polizia italiane ad ordinamento militare o per l'assunzione nelle Forze di polizia a ordinamento civile, facendo però salva la possibilità di rinuncia allo status di obiettore.

La legge 12 ottobre 1993, n. 413 in materia di Norme sull'obiezione di coscienza alla sperimentazione animale riconosce il diritto all'obiezione di coscienza nei confronti della sperimentazione animale.

Qualsiasi ente che svolga sperimentazione animale deve obbligatoriamente rendere noto agli operatori la possibilità dell'obiezione di coscienza e tale scelta non deve avere in alcun modo conseguenze sfavorevoli.

L'obiezione di coscienza per i professionisti sanitari è prevista per l'interruzione volontaria di gravidanza (IVG): introdotta in Italia dalla legge 22 maggio 1978 n. 194. Il medico può esercitare l'obiezione in qualsiasi momento della sua pratica, ma nel caso in cui partecipi attivamente ad una procedura di IVG (anche soltanto consigliando dove eseguirla) lo stato di obiettore decade irrevocabilmente comportando l'impossibilità per il medico di esercitare nuovamente l'obiezione.

Lo status di obiettore non esonera il professionista sanitario dall'assistenza antecedente e conseguente all'intervento. Il SSN è tenuto a assicurare che l'IVG si possa svolgere nelle varie strutture ospedaliere deputate a ciò, e quindi qualora il personale assunto sia costituito interamente da obiettori dovrà supplire a tale carenza in modo da poter assicurare il servizio, ad es. tramite trasferimenti di personale.

Il professionista sanitario, anche se obiettore, non può invocare l'obiezione di coscienza qualora l'intervento sia indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo (esempio: donna che giunge presso il pronto soccorso ospedaliero con grave emorragia in atto a causa di un aborto clandestino: il medico, anche se obiettore, ha in tale situazione l'obbligo di portare a termine la procedura di aborto se questo è indispensabile per salvare la vita della donna).

Molti specialisti hanno fatto questa scelta davvero per ragioni morali. Per altri il motivo del rifiuto non ha a che fare con la coscienza ma con questioni pratiche, a volte legate alla carriera o alla reputazione.  

Capita quindi che una donna si trovi costretta a spostarsi dalla propria città per arrivare nel posto in cui la legge dello stato viene applicata regolarmente. Per le minorenni che hanno voluto nascondere la situazione ai propri genitori e hanno ottenuto un permesso dal giudice del Tribunale dei Minori l’iter sarà quindi ancora più complicato.  
  
Secondo una relazione del ministero della Salute risalente allo scorso anno, in Italia ben 7 ginecologi su 10 si rifiutano di effettuare interventi di aborto volontario per motivi etici.  
  
Rispetto al 2005, quasi il 12% in più di questi medici ha sentito nella propria coscienza il bisogno di non prendere parte all’espletamento di un diritto sancito per legge. In alcune regioni poi, quasi la totalità dei ginecologi si dichiara obiettore di coscienza.  

Nel Molise sono obiettori il 93,3% dei ginecologi, il 92,9% nella PA di Bolzano, il 90.2% in Basilicata, l’87,6% in Sicilia, l’86,1% in Puglia, l’81,8% in Campania, l’80,7% nel Lazio e in Abruzzo. 

Meno accentuata, ma sempre molto alta la percentuale di anestesisti obiettori che, in media, è pari al 49,3%. Anche in questo caso i valori più elevati si osservano al Sud, con un massimo di 79,2% in Sicilia, 77,2% in Calabria, 76,7% in Molise e 71,6% nel Lazio. Mentre il personale medico obiettore raggiunge valori intorno al 46,6% con un massimo di 89,9% in Molise e 85,2% in Sicilia. 
  
In pratica su 94 ospedali con un reparto di ostetricia e ginecologia, solo 62 effettuano interruzioni volontarie di gravidanza. Cioè solo il 65,5% del totale. 

Alcune parti del nostro paese rimangono quasi completamente scoperte. La relazione del ministero della Salute non si è spinta oltre questi freddi numeri, ritenuti dal dicastero tutto sommato accettabili.  

Ma se si vanno a spulciare i dati Istat appare subito evidente lo sforzo che viene richiesto a moltissime donne per portare avanti la loro scelta difficile: nel 2012 21mila donne su 100mila si sono rivolte a strutture di altre province. Di queste il 40% è stata costretta a cambiare addirittura regione.  

Di fatto nelle province di Isernia, Benevento, Crotone, Carbonia-Iglesias e Fermo, è praticamente impossibile abortire.  
  
In Francia tutti gli ospedali pubblici hanno l’obbligo per legge di rendere disponibili i servizi di interruzione della gravidanza.  

In Inghilterra è obiettore solo il 10% dei medici ed esistono centri di prenotazione aperti 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. Non solo. Tutti gli operatori che decidono di lavorare nelle strutture di pianificazione familiare non possono dichiararsi obiettori.  

In Svezia il diritto all’obiezione di coscienza non esiste proprio. Gli specializzandi in ginecologia e ostetricia che pensano che l’aborto sia una cosa sbagliata vengono indirizzati verso altre specializzazioni.

Altre prassi biomediche di recente emerse all’attenzione del legislatore per le evidenti implicazioni etiche che comportano sono l’eutanasia e il suicidio assistito, la fecondazione artificiale e le manipolazioni genetiche, la sperimentazione su embrioni umani e la diagnosi prenatale con finalità eugenetica che, potendo avere come esito la morte del concepito, violano il principio del «non uccidere». Delicata è anche la posizione di medici e farmacisti di fronte alla possibilità di prescrivere e somministrare farmaci abortivi, configurandosi la fattispecie in presenza della quale si legittima il diritto di appellarsi alla ‘clausola di coscienza’, dato il riconosciuto rango costituzionale dello scopo di tutela del concepito che motiva l’astensione (Corte cost., sent. 35/1997).

Per i testimoni di Geova le trasfusioni di sangue sono vietate dalle loro convinzioni religiose. In questo, ed in altri simili casi, è indiscutibile che l'obiettore si assuma la responsabilità in prima persona, senza coinvolgere altri soggetti. Tuttavia, in alcuni casi, il soggetto, se in pericolo di vita, può essere indotto a subire la trasfusione.



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domenica 25 ottobre 2015

LE BAMBINE MAMME

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Quattordici anni. E un bambino tra le braccia. Vero. Troppo grandi perché sia un gioco. Le mamme bambine vivono in India, Sierra Leone, Afghanistan, si chiamano Gita, Fatima, Zuna, Arshi, Darika, Humerya. Facile archiviarle come una questione da Paesi in via di sviluppo. Si chiamano, però, anche Giulia, Diana, Federica, hanno tra i 14 e i 19 anni, e in Italia sono 10 mila.

Una su quattro è minorenne. Al Nord, soprattutto sono straniere. Guardando l’intera penisola, però, l’82 per cento sono ragazze italiane, dice Piccole mamme, l’indagine presentata da Save the Children.

Ormoni incontrollabili dell’adolescenza che fanno scintille con un’educazione sessuale sommaria? Situazioni familiari disastrate? Che mamme saranno? Su che cosa matureranno le bambine che devono accelerare la crescita  nel momento in cui dovrebbero  vivere le esperienze su cui si formano le nostre identità adulte?

Ma basta distribuire preservativi come si è fatto, con tiritere moraliste e polemiche psicologiche, in alcune scuole? O serve un diverso percorso di maturazione di bambine e bambini?

E dopo, quando la bambina si ritrova tra le braccia un bambino, è sufficiente che i nonni si improvvisino nuovi genitori?

Il dato di Save The Children parla oggi di un 61 per cento di ragazze che hanno un figlio ai 17 anni compiuti e di un 95 per cento che resta incinta tra i 16 e i 17 anni.I pediatri parlano di segni di sviluppo sessuale già a sette anni. Si è abbassata l’età della maturazione fisiologica. Si fa sesso prima. Poco e male informate. E ci si scopre incinta.

Qual è, però, il giusto rimedio: abbandonare o rinunciare al bambino? Decidere di diventare madri con una valutazione sommaria delle conseguenze, magari anche da parte dei genitori? Ma che cosa possono pianificare le mamme bambine?

Difficile continuare a frequentare amichette e amichetti. Il fidanzatino, e “l’amore” che sembrava un gioco eterno nella maggioranza dei casi spariscono. E  il pupo diventa il nuovo figlio dei nonni. Si è letto, a volte, di nonni felici di accogliere la nuova creatura. Spesso però sono più spiazzati che “felici”. La ricerca ci dice che le mamme minorenni restano in famiglia, il 47 per cento con il partner, quando c’è. Ma se lui se l’è data a gambe, è il 95 per cento che resta con mamma e papà. Praticamente “bambina a vita”. E, dopo la felicità dell’evento, la ragazzina scalpita per trovare autonomia, ma non ha un euro, e si ritrova divisa tra paure e amore per il bambino e la  conflittualità diffusa con i nonni alle prese con pannolini e ansie di protezione per figlia e nipote. L’indagine di Save the Children ci dice che lavora il 19 per cento, in genere lavoretti a tempo. Difficile conciliare i tempi. E non stiamo parlando di carriere. Ma di vita. Come potranno trovare un loro posto le mamme teenager? Si può con un  figlio a 16 anni?



Il risultato è che su queste “donne” pesano gli stessi problemi di vita, economia, lavoro, conciliazione dei tempi delle mamme adulte. Con l’aggiunta di essere ancora piccole, spesso, giustamente, immature, con la voglia di discoteca e il pesante richiamo alla responsabilità degli strilli della creatura.

Senza aver avuto neppure il tempo di “sognare” un futuro per sè. Molte chiudono il percorso adolescenziale con la scuola dell’obbligo. I tre quarti della madri minorenni, dice l’indagine, ha conseguito la licenza media inferiore (74 per cento),  il 21 per cento ha raggiunto la licenza media superiore. Interrompono gli studi per restare a casa. E spesso di casa e basta si tratta. Praticamente prigioniere.

In Italia sta crescendo il numero delle ragazze madri, giovani donne che, spesso per errore, restano incinte e portano avanti la gravidanza nonostante la giovane età.

Uno studio informa che circa il 2,1% delle gravidanze in Italia è portato a termine da ragazze madri di età compresa tra i 14 e i 19 anni. Un fenomeno che secondo la SIGO (Società Italiana Ginecologia ed Ostetricia) è destinato a crescere nel nostro paese, e in particolare sta aumentando in una regione all’avanguardia come la Lombardia, mentre qualche anno fa la percentuale di ragazze madri si concentrava in Campania e in Sicilia.

Tuttavia ancora oggi Napoli si aggiudica il triste primato per numero di ragazze che partoriscono tra i 15 e i 19 anni. Solo qui ogni anno  le ragazze madri sono circa mille su un totale nazionale di 7.088  baby mamme.

Il 90% delle ragazze madri sono a loro volta figlie di ragazze madri.
Nonostante l’esperienza della maternità sia un evento speciale nella vita di una donna, queste ragazze a causa della loro giovane età sono esposte a maggiori disagi nell’arco della loro vita. Tralasciando l’aspetto psicologico di una gravidanza durante l’adolescenza, dal punto di vista sociale e professionale, le ragazze madri sono svantaggiate in quanto trovano lavoro più difficilmente degli altri, anche perché spesso abbandonano gli studi e il loro progetto di vita.

Inoltre secondo le statistiche il 68% dei padri lascia il nucleo familiare, rendendo la situazione economica della giovane mamma più complicata, in quanto, oltre a dover portare avanti la gravidanza, deve cercare un modo per mantenere se stessa e il piccolo. Quasi sempre le ragazze madri hanno alle spalle background familiari difficili, il 90% sono a loro volta figlie di ragazze madri, spesso una figura paterna è assente, hanno un livello basso di scolarità e raramente provengono da famiglie benestanti.

L'Italia è l'ultima nella speciale classifica europea per l'uso dei contraccettivi ormonali come pillola, anello vaginale, cerotto. «Siamo al pari delle irachene: solo il 16,2% delle donne del Belpaese li usa», a fronte per esempio del 41,5% delle 'cugine' d'Oltralpe.

E il quadro tracciato a Milano da NicolaSurico, past president della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), che ha presentato la la nuova campagna d'informazione sulla contraccezione 'Love it! Sesso consapevole', dedicata alle under 25 e promossa dalla Sigo in collaborazione con 'lapillolasenzapillola', progetto educazionale di Msd. Italia lontana dagli standard Ue in materia di sesso sicuro. Un gap che pesa soprattutto quando si parla di contraccettivi ormonali, usati regolarmente dal 50% delle donne olandesi, dal 35% delle britanniche e dal 30% delle tedesche. E se il tasso medio della Penisola è del 16,2%, a seconda della regione cambia il rapporto delle donne con questa forma di contraccezione: il primato spetta alla Sardegna, dove quasi una donna su 3 sceglie i contraccettivi ormonali, e mentre il Nord si mantiene sopra la media (tra il 23% della Val d'Aosta e il 16,6% del Friuli), «scendendo a Sud - fa notare Surico - il tasso diminuisce sensibilmente non superando l'8%» e toccando il 7,2% in Campania. In generale il sesso protetto non è la norma in Italia: ancora oggi 6 donne su 10 in età fertile (15-49 anni) non usano alcun metodo contraccettivo, il 15% non ne ha mai fatto uso e il 44% ha smesso di utilizzarlo. Tanto che una gravidanza su 5 è indesiderata e il 42% delle donne rimaste incinte senza averlo scelto non stava usando nessun contraccettivo.



«Innanzitutto conquistare la libertà di scelta significa proteggersi dalle gravidanze indesiderate e dalle malattie sessualmente trasmesse. E la libertà vera è frutto di una scelta consapevole», sottolinea Novella Russo, specialista in ostetricia e ginecologia della Clinica Valle Giulia di Roma. Il rapporto delle donne italiane con la pillola è particolarmente difficile. Molte soffrono in maniera forte l'ansia del contraccettivo ormonale. Il 37% abbandona la pillola per disturbi o problemi legati all'impegno quotidiano di memoria che comporta. A 8 donne su 10 è infatti capitato di dimenticare la pillola, il 30% la teme per eventuali effetti, il 42% dimostra timore di ingrassare o di avere problemi estetici, il 31% guarda con sospetto il suo dosaggio ormonale. «Ma adesso - fa presente Rossella Nappi, professore associato di Ostetricia e Ginecologia dell'università degli Studi di Pavia - è possibile individuare il contraccettivo tagliato su misura per le esigenze e lo stile di vita di ciascuna donna». Il sogno in rosa è un contraccettivo che faccia sentire libere (64%), sicure e tranquille (74%), ben tollerato e pratico da usare (65%).

Mamme a 14 anni, zainetto in spalla e biberon in mano. Sono sempre di più le teenager italiane che restano incinte prima di aver raggiunto la maggiore età. «Un fenomeno in crescita che desta preoccupazione nei ginecologi», avverte Nicola Surico, past president della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo). L'esperto, a Milano in occasione del lancio di una nuova campagna di informazione sulla contraccezione - 'Love it! Sesso consapevole', promossa da Sigo in collaborazione con il progetto educazionale di Msd 'lapillolasenzapillola' - racconta di mamme bambine, alle prese con la difficoltà di un parto in un'età non ancora matura, schiacciate dalla responsabilità di un'altra vita quando non sono ancora pienamente responsabili della loro, costrette a dividersi fra i banchi di scuola e un bebè da crescere. «Mi imbatto sempre più spesso in questi casi», spiega Surico. Effetto di una scarsa cultura del sesso sicuro. Oggi il 42% delle under 25 italiane non utilizza alcun metodo contraccettivo durante la prima esperienza sessuale. «La fascia d'età in cui abbiamo osservato un aumento delle gravidanze è quella fra i 14 e i 18 anni, anche se è difficile avere dati precisi sul fenomeno - precisa Surico - Restare incinte da adolescenti non è quasi mai un'esperienza desiderata. Gli altrettanto giovani papà spesso fuggono, i genitori sono restii ad accettare la cosa, anche se poi nella maggior parte dei casi intervengono in aiuto. Di recente mi è capitato di vedere una 16enne in difficoltà. Suo padre non voleva firmare per consentire il riconoscimento del bambino (un atto necessario, trattandosi di una minorenne). C'è voluto l'intervento del magistrato».

«Come mostra l'ultimo rapporto dell'Istituto superiore di sanità, l'età del primo rapporto si è abbassata. Succede anche a 13 anni, ma solo lo 0,3% delle ragazze possiede una buona informazione su questi temi - fa notare Novella Russo, specialista in Ostetricia e ginecologia della Clinica Valle Giulia di Roma - C'è una diffusa immaturità tra i ragazzi e le ragazze che vista la giovane età non hanno avuto il tempo di riflettere sul significato e l'importanza della prima volta». Ragazze «trascinate dagli eventi o dai comportamenti del gruppo dei pari, dal desidero di dimostrare le proprie potenzialità. Ma lo fanno senza i timori di una volta». Lo dimostrano anche le statistiche: «Le giovanissime di oggi - spiega Russo - arrivano a cambiare da 5 a 15 partner all'anno e utilizzano la contraccezione di emergenza in maniera impropria, al bisogno, cioè dopo aver avuto un rapporto a rischio». E così si finisce sotto le lenzuola, «ma secondo una recente indagine Eurisko 8 ragazze su 10 non sono pienamente informate sulla funzione degli ormoni che regolano il ciclo mestruale, 7 su 10 non sanno quali siano i giorni fertili», elenca l'esperta. Non solo: «Da un'altra indagine della Sigo - prosegue Russo - emerge che il 71% delle ragazze si ritiene al riparo dalle malattie». Il dato «allarmante - sottolinea la specialista - è che il 45% delle ragazze fra i 18 e i 26 anni non usa alcun metodo contraccettivo».

Di fronte a una gravidanza indesiderata, non poche teenager scelgono l'aborto. Se nel 2011 il tasso di abortività fra le 15-49enni è risultato di 7,8 Ivg per mille donne in età feconda, la fascia adolescenziale è quella più esposta alle conseguenze negative, anche psicologiche ed emotive, di una maternità precoce e non voluta e di un'eventuale aborto: nel 2010 il 4,2% di interruzioni volontarie di gravidanza sono state eseguite da ragazze under 18. Quello delle minorenni con il pancione, spiega Surico, «è un fenomeno che attraversa la Penisola. Se un anno la patria delle mamme bambine è la Sicilia, quello successivo il primato passa alla Lombardia. Le gravidanze delle teenager vanno prevenute. Ed è un fenomeno che va tenuto d'occhio». Che i tempi siano cambiati, ricorda Surico, lo dimostrano anche le trasmissioni in tv - come quella proposta da Mtv - che mostrano la realtà anche italiana di 16enni con bebè al seguito. Chi sono le mamme bambine? «Sono ragazze che non necessariamente provengono da famiglie disagiate - precisa l'esperto - Anzi, secondo la mia esperienza, spesso il ceto medio è più soggetto a questi casi. Genitori assenti tutto il giorno per lavoro, seconda casa al mare o in montagna a disposizione, capita così». Lo specialista è arrivato a osservare persino una concentrazione di gravidanze indesiderate scatutite da rapporti avuti nei periodi delle feste natalizie e delle vacanze estive.



domenica 8 marzo 2015

RICORDANDO SEVESO.....

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Il disastro di Seveso è avvenuto il 10 luglio 1976 nell'azienda ICMESA di Meda, che causò la fuoriuscita e la dispersione di una nube della diossina TCDD, una sostanza chimica fra le più tossiche.

Il veleno investì una vasta area di terreni dei comuni limitrofi della bassa Brianza, particolarmente quello di Seveso.

Verso le 12:37 di sabato 10 luglio 1976, nello stabilimento della società ICMESA sito nel territorio del comune di Meda, al confine con quello di Seveso, il sistema di controllo di un reattore chimico destinato alla produzione di triclorofenolo, un componente di diversi diserbanti, andò in avaria e la temperatura salì oltre i limiti previsti. La causa prima fu probabilmente l'arresto volontario della lavorazione senza che fosse azionato il raffreddamento della massa, e quindi senza contrastare l'esotermicità della reazione, aggravato dal fatto che nel processo di produzione l'acidificazione del prodotto veniva fatta dopo la distillazione, e non prima.

L'esplosione del reattore venne evitata dall'apertura delle valvole di sicurezza, ma l'alta temperatura raggiunta aveva causato una modifica della reazione che comportò una massiccia formazione di 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD), sostanza comunemente nota come diossina, una delle sostanze chimiche più tossiche. La TCDD fuoriuscì nell'aria in quantità non definita e venne trasportata dal vento verso sud. Si formò quindi una nube tossica, che colpì i comuni di Meda, Seveso, Cesano Maderno e Desio. Il comune maggiormente colpito fu Seveso, in quanto situato immediatamente a sud della fabbrica.

Le prime avvisaglie furono un odore acre e infiammazioni agli occhi. Non vi furono morti, ma circa 240 persone vennero colpite da cloracne, una dermatosi provocata dall'esposizione al cloro e ai suoi derivati, che crea lesioni e cisti sebacee. Quanto agli effetti sulla salute generale, essi sono ancora oggi oggetto di studi. I vegetali investiti dalla nube si disseccarono e morirono a causa dell'alto potere diserbante della diossina, mentre migliaia di animali contaminati dovettero essere abbattuti. La popolazione dei comuni colpiti venne però informata della gravità dell'evento solamente otto giorni dopo la fuoriuscita della nube. Nell'area più inquinata, il terreno fu depositato in vasche. Fu apportato un nuovo terreno proveniente da zone non inquinate ed effettuato un rimboschimento, che ha dato origine al Parco Naturale Bosco delle Querce.

All'indomani del disastro fu aperto un processo giudiziario intentato dalla Regione Lombardia contro l'ICMESA sia una procedimento penale che una causa civile, avviato dalla Procura della repubblica di Monza.
Il 25 marzo 1980, dopo una trattativa iniziata da oltre un anno, dal presidente della Regione, Cesare Golfari, il sottosegretario agli interni Bruno Kessler e il nuovo presidente della Giunta Regionale Giuseppe Guzzetti raggiunsero un accordo con il presidente del Consiglio d´amministrazione della Givaudan Jean Jacques de Puryi, per far sì che la società pagasse la somma di Lire 103 miliardi e 634 milioni per il "disastro di Seveso". La transazione trattava un rimborso di 7 miliardi e mezzo allo Stato Italiano e 40 miliardi e mezzo alla Regione Lombardia per le spese di bonifica, mentre 47 miliardi furono destinati ai programmi di bonifica e 23 miliardi destinati alla sperimentazione. Fu deciso di costituire una Fondazione per ricerche ecologiche, a cui la Givaudan partecipò con mezzo miliardo. La transazione escludeva i danni imprevedibili successivi. L'accordo di risolvere i processi per via bonaria, favorirono la Givaudan evitandole i procedimenti giudiziari che furono annullati.

I danni subiti dai privati furono liquidati dalla multinazionale tramite il proprio ufficio di Milano. Nel giro di tre anni de Puryi, liquidò oltre 7000 pratiche con pagamenti effettuati direttamente ai privati e con una spesa complessiva di circa 200 miliardi di lire.

Il territorio del Seveso fu suddiviso in tre zone a decrescente livello di contaminazione sulla base delle concentrazioni di TCDD nel suolo: zona A, B, e R. Le abitazioni comprese nella zona A, la più colpita, furono demolite e il primo strato di terreno venne rimosso; gli abitanti furono evacuati e ospitati in strutture alberghiere. La zona A venne presidiata dalle forze dell'ordine per impedire a chiunque di entrarvi. La zona B, contaminata in minor misura, e la zona R, ovvero zona di rispetto, vennero tenute sotto controllo e vi fu imposto il divieto di coltivazione e di allevamento.

Successivamente, vennero create due enormi vasche di contenimento, costantemente monitorate, nelle quali venne riposto tutto ciò che era presente nella zona A, il terreno rimosso e anche i macchinari utilizzati per la demolizione e gli scavi. Al di sopra di queste due vasche poi sorse il Parco Naturale Bosco delle Querce, oggi aperto alla popolazione.

Ricerche effettuate verso la fine degli anni novanta sulla popolazione femminile hanno mostrato, a venti anni di distanza, una relazione tra esposizione alla TCDD in periodo prepuberale e alcuni disturbi.
Uno studio pubblicato nel 2008 ha evidenziato come ancora a 33 anni di distanza dal disastro gli effetti, misurati su un campione statisticamente ampio di popolazione siano elevati. Nello studio, in sintesi, la probabilità di avere alterazioni neonatali ormonali conseguenti alla residenza in zona A delle madri è 6,6 volte maggiore che nel gruppo di controllo. Le alterazioni ormonali vertono sul TSH, la cui alterazione, largamente studiata in epidemiologia ambientale, è causa di difetti fisici ed intellettuali durante lo sviluppo.

È stato rilevato inoltre che negli anni novanta sono nate molte più bambine che bambini. Ciò è stato correlato al fatto che molti dei genitori di questi neonati erano adolescenti all'epoca del disastro e quindi si presume che la diossina abbia in qualche modo alterato lo sviluppo dell'apparato riproduttivo, prevalentemente quello maschile.

L'ipotesi dell'aumento di tumori riscontrati nella zona è invece controversa. All'epoca del disastro, molti scienziati avevano sollevato la possibilità di un considerevole aumento dei casi tumorali nell'area, ma ricerche scientifiche hanno evidenziato invece che il numero di morti per tumore si sia mantenuto relativamente nella media della Brianza; i risultati di tali ricerche sono però contestati da alcuni comitati civici.

La diossina è una sostanza altamente teratogena, capace quindi di creare gravi malformazioni ai feti. Nonostante all'epoca del disastro in Italia l'aborto fosse praticamente vietato, fatte salve alcune deroghe concesse dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 27 del 1975, nelle quali non rientrava comunque il caso delle ipotetiche malformazioni ai feti, il 7 agosto 1976 i due esponenti democristiani l'allora Ministro della sanità Luciano Dal Falco e quello della giustizia Francesco Paolo Bonifacio, ottenuto il consenso del Presidente del consiglio Giulio Andreotti, autorizzarono aborti terapeutici per le donne della zona che ne avessero fatto richiesta. Aborti vennero praticati presso la clinica Mangiagalli di Milano e presso l'ospedale di Desio. I resti degli aborti furono inviati in Germania, a Lubecca, per gli opportuni controlli. La risposta ufficiale giunse nel 1977: pur non essendo evidenti i segni di malformazioni, non era possibile stabilire se queste si sarebbero sviluppate, dato che: «Alcune anomalie congenite, in particolari quelle minori a carico di certi organi – per esempio il cervello – non sono identificabili nelle prime fasi di sviluppo. Inoltre, le conclusioni che si possono trarre da questi studi devono tenere conto del numero limitato di casi studiati, del fatto che gli embrioni erano di diversa età e fase di sviluppo, e del fatto che nella maggior parte dei casi l'embrione non era integro». Altre donne portarono a termine le loro gravidanze senza problemi, i loro figli non mostrarono segni di malformazioni evidenti.

All'epoca uniche voci importanti di dissenso furono Il Giornale di Indro Montanelli che scrisse: «Il rischio è per i bambini, non per la madre: si tratta di aborto eugenetico, e non terapeutico» e il cardinale di Milano, Giovanni Colombo, che disse: «Non uccidete i vostri figli, le famiglie cattoliche sono pronte a prendersi cura di eventuali bambini handicappati». Il dibattito sulla necessità di una regolamentazione dell'aborto attraverso leggi dello stato da anni interessava l'opinione pubblica, acquistando vigore proprio da questo evento e dal dramma che stavano vivendo le donne della zona contaminata. Si arrivò pertanto all'emanazione della Legge 194 del 22 maggio 1978, confermata poi dal referendum del 1981.


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