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mercoledì 6 gennaio 2016

FACEBOOK E GIOVANI

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Facebook non piace più agli adolescenti. O almeno, non più come prima.
Nel terzo trimestre del 2015, infatti, si è registrato un calo del 23% dell’utilizzo del social network da parte degli utenti nella fascia di età tra i 14 e i 19 anni.
A comunicare questo ribasso della popolarità di Facebook tra i teeneagers, è stato l’amministratore delegato Davide Ederbam, in una comunicazione agli azionisti in occasione della conference call per l’annuncio dei risultati finanziari del terzo trimestre.

Uno studio di Globalwireindex conferma questo trend. Dall’indagine emerge che gli adolescenti attivi su Facebook nel terzo trimestre sono stati il 59%, in forte calo rispetto al 79% del trimestre precedente.
Secondo Globalwireindex, questa dinamica al ribasso non riguarda solo gli Stati Uniti, bensì tutti i continenti, seppure con notevoli differenze tra singole aree geografiche: risulta più marcata in alcuni Paesi europei come Olanda (-52%), Francia (-44%) e Turchia (-79%), mentre è più sottile nei Paesi dove Facebook si è diffuso solo recententemente come Polonia (-7%), Russia (-6%) e Sud Africa (-1%).

Ma perché di questa improvvisa caduta di popolarità di Facebook tra i teenagers? I motivi sono principalmente due: la maggiore competitività delle altre piattaforme social e la crescente diffusione dei servizi di messagistica istantanea.
I giovani sembrano preferire la comunicazione attraverso dispositivi mobile, potendo interloquire direttamente con uno o più amici, o condividendo foto e video attraverso piattaforme social che valorizzino maggiormente la creatività e che consentano di sfruttare al meglio i sempre più potenti comparti fotografici equipaggiati dai device.
Alcune mobile app registrano un vero e proprio boom tra il primo e il terzo trimestre: WeChat cresce del 1021%, Vine del 639%, Flickr del 254%, Skype del 105%, Facebook Messenger e Instagram dell’85%.

Allo stato attuale, i bambini di ieri che oggi sono diventati adolescenti non trovano allettante iscriversi ad un social in cui i contenuti condivisi sono accessibili anche ai propri genitori, zii, cugini e nonni. Con questa considerazione è peraltro d’accordo Dan Olds, analista del Gabriel Consulting Group. Se chi 10 anni fa era un giovane iscritto a facebook oggi è un genitore con magari figli adolescenti che tende a controllare ciò che condividono sui loro profili.



Anche secondo il sondaggio semestrale condotto da Piper Jaffrays è risultato che la nuova moda online per i giovani sono Instagram e Twitter e che il 45% degli intervistati (ben 7200) non considerano Facebook quale social più “in” su cui condividere i propri post.  Il rapporto dice che l’utilizzo di Instagram negli adolescenti è cresciuto dal 69% al 76% nell’ultimo trimestre. Anche Twitter è stato preferito da più ragazzi rispetto a facebook, con il 59% di essi che lo utilizza.
Il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, non sembra preoccupato di questa possibile minaccia; è consapevole della realtà che si sta delineando, di fatti Facebook ha investito molto proprio per l’acquisto di Instagram. Lo stesso Zuckerberg  ha  pubblicamente riconosciuto la battuta d’arresto della propria creatura dichiarando  “Abbiamo quasi 10 anni, quindi non siamo sicuramente più una cosa di nicchia”.

Se i  giovani non seguiranno facebook e  gli attuali utenti tenderanno ad invecchiare ciò significa che il mercato del Social Network vedrà il declino poiché diminuirà la sua visibilità e di conseguenza meno sponsor alimenteranno la sua sopravvivenza. Il  prezzo delle azioni in borsa crollerà come pure la valutazione dell’azienda. In realtà, altri analisti  fra cui Brian Blau di Gartner, non prevedono questa fine tanto tragica per Facebook posto che, il suo mercato fa appello ad un pubblico più vasto rispetto alla sola fetta dei teenagers, ed inoltre  non solo a persone fisiche ma   aziende, società e realtà commerciali che ormai vedono nel social una vetrina pubblica per la propria attività.

“Facebook ce l’abbiamo tutti ma lo usiamo pochissimo. Instagram ci piace molto, ma il nostro social è Snapchat: è qui che ci possiamo esprimere liberamente senza sentirci giudicati, rimanendo ancorati alla nostra identità sociale. Facebook è come stare a un pranzo di famiglia con tutti i tuoi parenti, dove ti senti un po’ a disagio e non  vedi l’ora di andartene. Su Instagram non sono costretto a seguire tutti quelli che mi seguono. Così il mio feed contiene solo cose che mi interessano…”

I ragazzi  Facebook ce l’hanno solo per le chat istantanee o per rintracciare qualcuno conosciuto in qualche occasione. Non interessa più aggiungere  amici, la maggior parte dei quali conosciuti solo virtualmente, e poi c’è una rinnovata esigenza di privacy. Snapchat non richiede amici o follower. Messaggi e foto inviati rimangono visibili solo per pochi secondi.



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domenica 25 ottobre 2015

LE BAMBINE MAMME

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Quattordici anni. E un bambino tra le braccia. Vero. Troppo grandi perché sia un gioco. Le mamme bambine vivono in India, Sierra Leone, Afghanistan, si chiamano Gita, Fatima, Zuna, Arshi, Darika, Humerya. Facile archiviarle come una questione da Paesi in via di sviluppo. Si chiamano, però, anche Giulia, Diana, Federica, hanno tra i 14 e i 19 anni, e in Italia sono 10 mila.

Una su quattro è minorenne. Al Nord, soprattutto sono straniere. Guardando l’intera penisola, però, l’82 per cento sono ragazze italiane, dice Piccole mamme, l’indagine presentata da Save the Children.

Ormoni incontrollabili dell’adolescenza che fanno scintille con un’educazione sessuale sommaria? Situazioni familiari disastrate? Che mamme saranno? Su che cosa matureranno le bambine che devono accelerare la crescita  nel momento in cui dovrebbero  vivere le esperienze su cui si formano le nostre identità adulte?

Ma basta distribuire preservativi come si è fatto, con tiritere moraliste e polemiche psicologiche, in alcune scuole? O serve un diverso percorso di maturazione di bambine e bambini?

E dopo, quando la bambina si ritrova tra le braccia un bambino, è sufficiente che i nonni si improvvisino nuovi genitori?

Il dato di Save The Children parla oggi di un 61 per cento di ragazze che hanno un figlio ai 17 anni compiuti e di un 95 per cento che resta incinta tra i 16 e i 17 anni.I pediatri parlano di segni di sviluppo sessuale già a sette anni. Si è abbassata l’età della maturazione fisiologica. Si fa sesso prima. Poco e male informate. E ci si scopre incinta.

Qual è, però, il giusto rimedio: abbandonare o rinunciare al bambino? Decidere di diventare madri con una valutazione sommaria delle conseguenze, magari anche da parte dei genitori? Ma che cosa possono pianificare le mamme bambine?

Difficile continuare a frequentare amichette e amichetti. Il fidanzatino, e “l’amore” che sembrava un gioco eterno nella maggioranza dei casi spariscono. E  il pupo diventa il nuovo figlio dei nonni. Si è letto, a volte, di nonni felici di accogliere la nuova creatura. Spesso però sono più spiazzati che “felici”. La ricerca ci dice che le mamme minorenni restano in famiglia, il 47 per cento con il partner, quando c’è. Ma se lui se l’è data a gambe, è il 95 per cento che resta con mamma e papà. Praticamente “bambina a vita”. E, dopo la felicità dell’evento, la ragazzina scalpita per trovare autonomia, ma non ha un euro, e si ritrova divisa tra paure e amore per il bambino e la  conflittualità diffusa con i nonni alle prese con pannolini e ansie di protezione per figlia e nipote. L’indagine di Save the Children ci dice che lavora il 19 per cento, in genere lavoretti a tempo. Difficile conciliare i tempi. E non stiamo parlando di carriere. Ma di vita. Come potranno trovare un loro posto le mamme teenager? Si può con un  figlio a 16 anni?



Il risultato è che su queste “donne” pesano gli stessi problemi di vita, economia, lavoro, conciliazione dei tempi delle mamme adulte. Con l’aggiunta di essere ancora piccole, spesso, giustamente, immature, con la voglia di discoteca e il pesante richiamo alla responsabilità degli strilli della creatura.

Senza aver avuto neppure il tempo di “sognare” un futuro per sè. Molte chiudono il percorso adolescenziale con la scuola dell’obbligo. I tre quarti della madri minorenni, dice l’indagine, ha conseguito la licenza media inferiore (74 per cento),  il 21 per cento ha raggiunto la licenza media superiore. Interrompono gli studi per restare a casa. E spesso di casa e basta si tratta. Praticamente prigioniere.

In Italia sta crescendo il numero delle ragazze madri, giovani donne che, spesso per errore, restano incinte e portano avanti la gravidanza nonostante la giovane età.

Uno studio informa che circa il 2,1% delle gravidanze in Italia è portato a termine da ragazze madri di età compresa tra i 14 e i 19 anni. Un fenomeno che secondo la SIGO (Società Italiana Ginecologia ed Ostetricia) è destinato a crescere nel nostro paese, e in particolare sta aumentando in una regione all’avanguardia come la Lombardia, mentre qualche anno fa la percentuale di ragazze madri si concentrava in Campania e in Sicilia.

Tuttavia ancora oggi Napoli si aggiudica il triste primato per numero di ragazze che partoriscono tra i 15 e i 19 anni. Solo qui ogni anno  le ragazze madri sono circa mille su un totale nazionale di 7.088  baby mamme.

Il 90% delle ragazze madri sono a loro volta figlie di ragazze madri.
Nonostante l’esperienza della maternità sia un evento speciale nella vita di una donna, queste ragazze a causa della loro giovane età sono esposte a maggiori disagi nell’arco della loro vita. Tralasciando l’aspetto psicologico di una gravidanza durante l’adolescenza, dal punto di vista sociale e professionale, le ragazze madri sono svantaggiate in quanto trovano lavoro più difficilmente degli altri, anche perché spesso abbandonano gli studi e il loro progetto di vita.

Inoltre secondo le statistiche il 68% dei padri lascia il nucleo familiare, rendendo la situazione economica della giovane mamma più complicata, in quanto, oltre a dover portare avanti la gravidanza, deve cercare un modo per mantenere se stessa e il piccolo. Quasi sempre le ragazze madri hanno alle spalle background familiari difficili, il 90% sono a loro volta figlie di ragazze madri, spesso una figura paterna è assente, hanno un livello basso di scolarità e raramente provengono da famiglie benestanti.

L'Italia è l'ultima nella speciale classifica europea per l'uso dei contraccettivi ormonali come pillola, anello vaginale, cerotto. «Siamo al pari delle irachene: solo il 16,2% delle donne del Belpaese li usa», a fronte per esempio del 41,5% delle 'cugine' d'Oltralpe.

E il quadro tracciato a Milano da NicolaSurico, past president della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), che ha presentato la la nuova campagna d'informazione sulla contraccezione 'Love it! Sesso consapevole', dedicata alle under 25 e promossa dalla Sigo in collaborazione con 'lapillolasenzapillola', progetto educazionale di Msd. Italia lontana dagli standard Ue in materia di sesso sicuro. Un gap che pesa soprattutto quando si parla di contraccettivi ormonali, usati regolarmente dal 50% delle donne olandesi, dal 35% delle britanniche e dal 30% delle tedesche. E se il tasso medio della Penisola è del 16,2%, a seconda della regione cambia il rapporto delle donne con questa forma di contraccezione: il primato spetta alla Sardegna, dove quasi una donna su 3 sceglie i contraccettivi ormonali, e mentre il Nord si mantiene sopra la media (tra il 23% della Val d'Aosta e il 16,6% del Friuli), «scendendo a Sud - fa notare Surico - il tasso diminuisce sensibilmente non superando l'8%» e toccando il 7,2% in Campania. In generale il sesso protetto non è la norma in Italia: ancora oggi 6 donne su 10 in età fertile (15-49 anni) non usano alcun metodo contraccettivo, il 15% non ne ha mai fatto uso e il 44% ha smesso di utilizzarlo. Tanto che una gravidanza su 5 è indesiderata e il 42% delle donne rimaste incinte senza averlo scelto non stava usando nessun contraccettivo.



«Innanzitutto conquistare la libertà di scelta significa proteggersi dalle gravidanze indesiderate e dalle malattie sessualmente trasmesse. E la libertà vera è frutto di una scelta consapevole», sottolinea Novella Russo, specialista in ostetricia e ginecologia della Clinica Valle Giulia di Roma. Il rapporto delle donne italiane con la pillola è particolarmente difficile. Molte soffrono in maniera forte l'ansia del contraccettivo ormonale. Il 37% abbandona la pillola per disturbi o problemi legati all'impegno quotidiano di memoria che comporta. A 8 donne su 10 è infatti capitato di dimenticare la pillola, il 30% la teme per eventuali effetti, il 42% dimostra timore di ingrassare o di avere problemi estetici, il 31% guarda con sospetto il suo dosaggio ormonale. «Ma adesso - fa presente Rossella Nappi, professore associato di Ostetricia e Ginecologia dell'università degli Studi di Pavia - è possibile individuare il contraccettivo tagliato su misura per le esigenze e lo stile di vita di ciascuna donna». Il sogno in rosa è un contraccettivo che faccia sentire libere (64%), sicure e tranquille (74%), ben tollerato e pratico da usare (65%).

Mamme a 14 anni, zainetto in spalla e biberon in mano. Sono sempre di più le teenager italiane che restano incinte prima di aver raggiunto la maggiore età. «Un fenomeno in crescita che desta preoccupazione nei ginecologi», avverte Nicola Surico, past president della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo). L'esperto, a Milano in occasione del lancio di una nuova campagna di informazione sulla contraccezione - 'Love it! Sesso consapevole', promossa da Sigo in collaborazione con il progetto educazionale di Msd 'lapillolasenzapillola' - racconta di mamme bambine, alle prese con la difficoltà di un parto in un'età non ancora matura, schiacciate dalla responsabilità di un'altra vita quando non sono ancora pienamente responsabili della loro, costrette a dividersi fra i banchi di scuola e un bebè da crescere. «Mi imbatto sempre più spesso in questi casi», spiega Surico. Effetto di una scarsa cultura del sesso sicuro. Oggi il 42% delle under 25 italiane non utilizza alcun metodo contraccettivo durante la prima esperienza sessuale. «La fascia d'età in cui abbiamo osservato un aumento delle gravidanze è quella fra i 14 e i 18 anni, anche se è difficile avere dati precisi sul fenomeno - precisa Surico - Restare incinte da adolescenti non è quasi mai un'esperienza desiderata. Gli altrettanto giovani papà spesso fuggono, i genitori sono restii ad accettare la cosa, anche se poi nella maggior parte dei casi intervengono in aiuto. Di recente mi è capitato di vedere una 16enne in difficoltà. Suo padre non voleva firmare per consentire il riconoscimento del bambino (un atto necessario, trattandosi di una minorenne). C'è voluto l'intervento del magistrato».

«Come mostra l'ultimo rapporto dell'Istituto superiore di sanità, l'età del primo rapporto si è abbassata. Succede anche a 13 anni, ma solo lo 0,3% delle ragazze possiede una buona informazione su questi temi - fa notare Novella Russo, specialista in Ostetricia e ginecologia della Clinica Valle Giulia di Roma - C'è una diffusa immaturità tra i ragazzi e le ragazze che vista la giovane età non hanno avuto il tempo di riflettere sul significato e l'importanza della prima volta». Ragazze «trascinate dagli eventi o dai comportamenti del gruppo dei pari, dal desidero di dimostrare le proprie potenzialità. Ma lo fanno senza i timori di una volta». Lo dimostrano anche le statistiche: «Le giovanissime di oggi - spiega Russo - arrivano a cambiare da 5 a 15 partner all'anno e utilizzano la contraccezione di emergenza in maniera impropria, al bisogno, cioè dopo aver avuto un rapporto a rischio». E così si finisce sotto le lenzuola, «ma secondo una recente indagine Eurisko 8 ragazze su 10 non sono pienamente informate sulla funzione degli ormoni che regolano il ciclo mestruale, 7 su 10 non sanno quali siano i giorni fertili», elenca l'esperta. Non solo: «Da un'altra indagine della Sigo - prosegue Russo - emerge che il 71% delle ragazze si ritiene al riparo dalle malattie». Il dato «allarmante - sottolinea la specialista - è che il 45% delle ragazze fra i 18 e i 26 anni non usa alcun metodo contraccettivo».

Di fronte a una gravidanza indesiderata, non poche teenager scelgono l'aborto. Se nel 2011 il tasso di abortività fra le 15-49enni è risultato di 7,8 Ivg per mille donne in età feconda, la fascia adolescenziale è quella più esposta alle conseguenze negative, anche psicologiche ed emotive, di una maternità precoce e non voluta e di un'eventuale aborto: nel 2010 il 4,2% di interruzioni volontarie di gravidanza sono state eseguite da ragazze under 18. Quello delle minorenni con il pancione, spiega Surico, «è un fenomeno che attraversa la Penisola. Se un anno la patria delle mamme bambine è la Sicilia, quello successivo il primato passa alla Lombardia. Le gravidanze delle teenager vanno prevenute. Ed è un fenomeno che va tenuto d'occhio». Che i tempi siano cambiati, ricorda Surico, lo dimostrano anche le trasmissioni in tv - come quella proposta da Mtv - che mostrano la realtà anche italiana di 16enni con bebè al seguito. Chi sono le mamme bambine? «Sono ragazze che non necessariamente provengono da famiglie disagiate - precisa l'esperto - Anzi, secondo la mia esperienza, spesso il ceto medio è più soggetto a questi casi. Genitori assenti tutto il giorno per lavoro, seconda casa al mare o in montagna a disposizione, capita così». Lo specialista è arrivato a osservare persino una concentrazione di gravidanze indesiderate scatutite da rapporti avuti nei periodi delle feste natalizie e delle vacanze estive.



giovedì 8 ottobre 2015

LE Assenze Scolastiche Ingiustificate



L’obbligo scolastico riguarda i minori compresi nella fascia di età tra 6 e 16 anni.

La legge dice: “L’istruzione impartita per almeno 10 anni è obbligatoria ed è finalizzata a consentire il conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di qualifica professionale di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età”.

Il diritto allo studio è uno di quelli costituzionalmente garantiti anche per i “privi di mezzi”, e questo lo precisa la stessa Costituzione quando dice: “la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso” .

Non va poi dimenticato che, se da un lato la legge prevede un preciso obbligo dei genitori a mantenere, istruire ed educare la prole, dall’altro lato da tale obbligo derivano delle sanzioni in caso di inosservanza, tanto che non far frequentare a un proprio figlio la scuola dell’obbligo, senza un giusto motivo, configura una vera e propria ipotesi di reato.

Nonostante, tuttavia, l’esistenza di precise norme e sanzioni, il fenomeno della dispersione scolastica da parte di molti minori sembra essere in larga diffusione, specie nell’ambito di ceti sociali meno agiati ed in alcune zone d’Italia.

Si tratta di quell’insieme di comportamenti dai quali poi deriva l’assenza ingiustificata e volontaria dei minori nelle scuole.

Non di rado questo fenomeno è causa di situazioni di bullismo, droga e microcriminalità,di asinite acute,lazzaronite cronica, o, nelle ipotesi meno gravi, nella perdita dell’anno scolastico da parte di quei giovani che hanno fatto lunghe assenze nel corso dell’anno con conseguente disagio per gli stessi, poi costretti a rifrequentare le lezioni con compagni di classe più piccoli.

Le responsabilità giuridiche derivanti dalla dispersione scolastica ricadono sempre sui soggetti chiamati all’osservanza dell’obbligo; in particolare i genitori.

Non è sufficiente, infatti, iscrivere un figlio a scuola per essere esonerati dalla responsabilità derivante dalla legge, perché di fatto è necessario vigilare sulla condotta dei propri figli, seguendo anche (ma non solo) le indicazioni degli educatori scolastici. Si tratta di un principio, questo, più volte ribadito dalla Cassazione. Quest’ultima ha affermato che sussiste la responsabilità dei genitori per aver mancato di vigilare, “indipendentemente dal fatto che la scuola segnali le ripetute assenze del figlio”.

La famiglia gioca, quindi, un ruolo decisivo in questo contesto, ma non solo per il dovere imposto istruire ed educare.

È luogo comune, infatti, quello secondo cui solo i figli di famiglie agiate e/o “di cultura” debbano essere indirizzati allo studio. In molti casi, infatti, essi vengono impegnati sin da giovanissimi in attività lavorative a vantaggio della famiglia, ritenendo che il ruolo della scuola vada limito alla semplice alfabetizzazione.


Solo una frequenza scolastica completa può consentire ai giovani non solo di non cadere in situazioni pericolose, spesso fonte di errori difficilmente rimediabili, ma anche di saper guardare alle loro reali aspirazioni, di ritenere possibile la realizzazione dei loro progetti per il futuro, o anche di essere in grado di far progredire (anche con la conoscenza delle nuove tecnologie) un’attività familiare già avviata.

Ed in questo anche la scuola gioca un ruolo essenziale: non solo perché deve essere in grado di capire le situazioni di maggior disagio e segnalarle alle famiglie, ma anche di saper individuare le attitudini dei minori e indirizzarli così agli studi futuri o alle attività professionali più in linea con le loro aspirazioni.

Le Istituzioni, poi, hanno un ruolo non meno importante: adottare politiche economiche di incentivo alle famiglie che sappia rendere effettivo il diritto allo studio per tutti e riuscire a ridurre il fenomeno del precariato di molti docenti, spesso demotivati, per tale motivo, rispetto al compito di grande responsabilità cui sono chiamati come, ad esempio, quello di sostegno all’insegnamento per i giovani con difficoltà fisiche o cognitive.

Ai sensi del D.lgs 76/05 (Definizione delle norme generali sul diritto-dovere all’istruzione e alla formazione) sono soggetti deputati all’osservanza degli obblighi: il genitore o il Tutore del minore, il Sindaco del Comune di residenza, il Dirigente scolastico (se il minore è a scuola), il Responsabile del centro per l’impiego cui fa capo l’alunno, il Responsabile dell’Agenzia formativa (nel caso frequenti un corso formativo), il Responsabile e il Tutor dell’azienda (se il minore sta facendo apprendistato al fine di acquisire una qualifica professionale.

La scuola primaria, in quanto scuola dell’obbligo, non ammette assenze dalle lezioni se non per motivate ragioni di famiglia o di salute. Qualora l’assenza dell’alunno da scuola sia dovuta a ragioni di salute e comporti una assenza continuativa che si prolunga oltre i cinque giorni, occorre, di norma, che l’alunno giustifichi l’assenza.

Qualora le assenze da scuola siano frequenti e non giustificate, il dirigente provvede ad avvisare le famiglie sollecitandole a un comportamento di maggiore cooperazione con la scuola per non vanificare il diritto all’istruzione che la Costituzione della Repubblica Italiana garantisce a tutti i cittadini.
Nel caso in cui la famiglia non ottemperi all’obbligo di istruzione dei figli (frequenza gravemente saltuaria o addirittura non frequenza alle lezioni), il dirigente provvede a segnalare alla magistratura la violazione della specifica norma del codice civile.

Nella scuola secondaria di I grado, ai fini della validità dell’anno scolastico e per la valutazione degli alunni, e richiesta la frequenza di almeno tre quarti dell’orario annuale personalizzato ai sensi dell’articolo 11, comma 1, del Decreto legislativo n. 59 del 2004, e successive modificazioni. Le motivate deroghe in casi eccezionali, previsti dal medesimo comma 1, sono deliberate dal collegio dei docenti, a condizione che le assenze complessive non pregiudichino la possibilità di procedere alla valutazione stessa. L’impossibilita di accedere alla valutazione comporta la non ammissione alla classe successiva o all’esame finale del ciclo. Tali circostanze sono oggetto di preliminare accertamento da parte del consiglio di classe e debitamente verbalizzate.
Riferimento normativo: Decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009 n. 122, art. 2, comma 10

b. Frequenza scolastica e limite assenze- Scuola secondaria di secondo grado
Ai fini della validità degli anni scolastici - compreso l’ultimo anno di corso - per procedere alla valutazione finale di ciascuno studente, è richiesta la frequenza di almeno tre quarti dell’orario annuale personalizzato. Le istituzioni scolastiche possono stabilire, per casi eccezionali, analogamente a quanto previsto per il primo ciclo, motivate e straordinarie deroghe al suddetto limite. Tale deroga è prevista per assenze documentate e continuative, a condizione che tali assenze non pregiudichino, a giudizio del consiglio di classe, la possibilità di procedere alla valutazione degli alunni interessati. Il mancato conseguimento del limite minimo di frequenza, comprensivo delle deroghe riconosciute, comporta l’esclusione dallo scrutinio finale e la non ammissione alla classe successiva o all’esame finale di ciclo.
Riferimento normativo: Decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009 n. 122, art. 14, comma 7.

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giovedì 24 settembre 2015

IL BULLISMO

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Per bullismo si intendono tutte quelle azioni di sistematica prevaricazione e sopruso messe in atto da parte di un bambino/adolescente, definito “bullo” (o da parte di un gruppo), nei confronti di un altro bambino/adolescente percepito come più debole, la vittima.

Secondo le definizioni date dagli studiosi del fenomeno , uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto deliberatamente da uno o più compagni.
Non si fa quindi riferimento ad un singolo atto, ma a una serie di comportamenti portati avanti ripetutamente, all’interno di un gruppo, da parte di qualcuno fa o dice cose per avere potere su un’altra persona.

Il termine si riferisce al fenomeno nel suo complesso e include i comportamenti del bullo, quelli della vittima e anche di chi assiste (gli osservatori).
E’ possibile distinguere tra bullismo diretto (che comprende attacchi espliciti nei confronti della vittima e può essere di tipo fisico o verbale) e bullismo indiretto (che danneggia la vittima nelle sue relazioni con le altre persone, attraverso atti come l’esclusione dal gruppo dei pari, l’isolamento, la diffusione di pettegolezzi e calunnie sul suo conto, il danneggiamento dei suoi rapporti di amicizia). Quando le azioni di bullismo si verificano attraverso Internet (posta elettronica, social network, chat, blog, forum), o attraverso il telefono cellulare si parla di cyberbullismo.

Perché si possa parlare di bullismo è necessario che siano soddisfatti alcuni requisiti:
i protagonisti sono sempre bambini o ragazzi, in genere in età scolare, che condividono lo stesso contesto, più comunemente la scuola;
gli atti di prepotenza, le molestie o le aggressioni sono intenzionali, cioè sono messi in atto dal bullo (o dai bulli) per provocare un danno alla vittima o per divertimento;
c’è persistenza nel tempo: le azioni dei bulli durano nel tempo, per settimane, mesi o anni e sono ripetute;
c’è asimmetria nella relazione, cioè uno squilibrio di potere tra chi compie l’azione e chi la subisce, ad esempio per ragioni di età, di forza, di genere e per la popolarità che il bullo ha nel gruppo di suoi coetanei;
la vittima non è in grado di difendersi, è isolata e ha paura di denunciare gli episodi di bullismo perché teme vendette.

A partire da queste premesse, è importante ricordare che il bullismo non è:
uno scherzo: nello scherzo l’intento è di divertirsi tutti insieme, non di ferire l’altro;
un conflitto fra coetanei: il conflitto, come può essere un litigio, è episodico, avviene in determinate circostanze e può accadere a chiunque, nell’ambito di una relazione paritaria tra i ragazzi coinvolti.



La definizione che dà del bullismo Olweus, uno dei massimi studiosi di questo fenomeno, unitamente alla descrizione del bullo Franti nel libro Cuore sono indicativi di tale problematica e di come sia antica. Dalla definizione di Olweus si possono trarre le seguenti caratteristiche presenti in un comportamento di bullismo:

Azioni individuali o collettive di tipo:
fisico: prendere a pugni o calci, prendere o maltrattare gli oggetti personali della vittima;
verbale: insultare, deridere, offendere;
indirette: fare pettegolezzi, isolare dal gruppo.

Dura nel tempo (settimane o mesi)
La vittima è impossibilitata a difendersi
Come abbiamo visto da queste caratteristiche il bullismo può essere attuato da un singolo individuo o da un gruppo e la vittima può essere, a sua volta, un singolo individuo o un gruppo. Si può distinguere una forma di bullismo diretto, che si manifesta in attacchi relativamente aperti nei confronti della vittima, e di bullismo indiretto, caratterizzato da una forma di isolamento sociale ed in una intenzionale esclusione dal gruppo. Per quanto riguarda la manifestazione degli atti di bullismo si può affermare che la scuola è senza dubbio il luogo in cui questi si manifestano con maggiore frequenza, soprattutto durante i momenti di ricreazione, e nell' uscita da scuola. Proprio a causa di ciò, le vittime dei bulli spesso rifiutano di andare a scuola. Rimproverati e rimproverandosi continuamente di "attirare" le prepotenze dei loro compagni, perdono sicurezza e autostima. Questo disagio può influire sulla loro concentrazione e sul loro apprendimento. Spesso ragazzi con sintomi da stress, mal di stomaco e mal di testa, incubi o attacchi d'ansia, o che marinano la scuola o, peggio ancora, hanno il timore di lasciare la sicurezza della propria casa, sono le vittime prescelte dal bullo. Le conseguenze di tale situazione sono spesso gravi e possono provocare strascichi anche in età di molto successive a quelle del sopruso stesso.Generalmente le vittime sono più deboli fisicamente della media dei ragazzi. Anche l'aspetto fisico (ad esempio l'obesità) può giocare un ruolo nella designazione della vittima, anche se non è determinante.



Le vittime sono, per lo più, soggetti sensibili e calmi, anche se al contempo sono ansiosi ed insicuri. Se attaccati, reagiscono chiudendosi in se stessi o, se si tratta di bambini piccoli, piangendo. Talvolta soffrono anche di scarsa autostima ed hanno un'opinione negativa di sé e della propria situazione. Le vittime sono caratterizzate da un modello reattivo ansioso o sottomesso, associato, soprattutto se maschi, ad una debolezza fisica, modello che viene rinforzato negativamente dalle conseguenze dei comportamenti sopraffattori. Tali conseguenze sono sempre a svantaggio della vittima perché non possiede le abilità per affrontare la situazione o, se le possiede, le padroneggia in maniera inefficace. Solitamente le vittime vivono a scuola una condizione di solitudine, di isolamento e di abbandono. Manifestano particolari preoccupazioni riguardo al proprio corpo: hanno paura di farsi male, sono incapaci nelle attività di gioco o sportive, sono abitualmente non aggressivi e non prendono in giro i compagni, ma hanno difficoltà ad affermare se stessi nel gruppo dei coetanei. Il rendimento scolastico è di vario tipo e tende a peggiorare nella scuola media. Queste caratteristiche sono tipiche delle vittime definite passive o sottomesse, che segnalano agli altri l'insicurezza, l'incapacità, l'impossibilità o difficoltà di reagire di fronte agli insulti ricevuti; così le ripetute aggressioni non fanno altro che peggiorare questo quadro di incertezza sulle proprie capacità.

La caratteristica più evidente del comportamento da bullo è chiaramente quella dell'aggressività rivolta verso i compagni, ma molto spesso anche verso i genitori e gli insegnanti. I bulli hanno un forte bisogno di dominare gli altri e si dimostrano spesso impulsivi. Vantano spesso la loro superiorità, vera o presunta, si arrabbiano facilmente e presentano una bassa tolleranza alla frustrazione. Manifestano grosse difficoltà nel rispettare le regole e nel tollerare le contrarietà e i ritardi. Tentano a volte di trarre vantaggio anche utilizzando l'inganno. Si dimostrano molto abili nelle attività sportive e di gioco e sanno trarsi d'impaccio anche nelle situazioni difficili. Al contrario di ciò che generalmente si pensa, non presentano ansia o insicurezze. Sono caratterizzati quindi da un modello reattivo-aggressivo associato, se maschi, alla forza fisica che, suscitando popolarità, tende ad auto-rinforzarsi negativamente raggiungendo i propri obiettivi. I bulli hanno generalmente un atteggiamento positivo verso l'utilizzo di mezzi violenti per ottenere i propri scopi e mostrano una buona considerazione di se stessi. Il rendimento scolastico è vario ma tende ad abbassarsi con l'aumentare dell'età e, parallelamente a questa, si manifesta un atteggiamento negativo verso la scuola. L'atteggiamento aggressivo prevaricatore di questi giovani sembra essere correlato con una maggiore possibilità, nelle età successive, ad essere coinvolti in altri comportamenti problematici, quali la criminalità o l'abuso da alcool o da sostanze. All'interno del gruppo vi possono essere i cosiddetti bulli passivi, ovvero i seguaci o sobillatori che non partecipano attivamente agli episodi di bullismo. È frequente che questi ragazzi provengano da condizioni familiari educativamente inadeguate, il che potrebbe provocare un certo grado di ostilità verso l'ambiente. Questo fatto spiegherebbe in parte la soddisfazione di vedere soffrire i loro compagni. Questo tipo di atteggiamento è rinforzato spesso da un accresciuto prestigio.



Esiste un' "incrocio" tra vittima e bullo: le vittime provocatrici, caratterizzate da una combinazione di modalità di reazione ansiose e aggressive. Possono essere iperattivi, inquieti e offensivi. Tendono a controbattere e possono essere sgraditi anche agli adulti. Hanno la tendenza a prevaricare i compagni più deboli. Non è raro che il loro comportamento provochi reazioni negative da parte di molti compagni o di tutta la classe. Questo tipo di vittima è meno frequente rispetto alle precedenti e le vittime del primo tipo risultato maggiormente esposte a rischio di depressione. Le vittime presentano sin dall'infanzia un atteggiamento prudente e una forte sensibilità.

Vari studi hanno evidenziato alcuni fattori che sembrano essere alla base del comportamento aggressivo. Sicuramente un ruolo importante è da attribuire al temperamento del bambino. Un atteggiamento negativo di fondo, caratterizzato da mancanza di calore e di coinvolgimento, da parte delle persone che si prendono cura del bambino in tenera età, è un ulteriore fattore importante nello sviluppo di modalità aggressive nella relazione con gli altri. Anche l'eccessiva permissività e tolleranza verso l'aggressività manifestata verso i coetanei e i fratelli crea le condizioni per lo sviluppo di una modalità aggressiva stabile. Un ruolo importante è ricoperto anche dal modello genitoriale nel gestire il potere. L'uso eccessivo di punizioni fisiche porta il bambino ad utilizzarle come strumento per far rispettare le proprie regole. E' importante che siano espresse le regole da rispettare e da seguire ma non è educativo ricorrere soltanto alla punizione fisica. Queste non sono sicuramente le uniche cause del fenomeno, anzi, si può dire che esso è inserito in un reticolo di fattori concatenati tra loro. È, comunque, certo che le condotte inadeguate si verifichino, con maggior probabilità quando i genitori non sono a conoscenza di ciò che fanno i figli o quando non hanno saputo fornire adeguatamente i limiti oltre i quali certi comportamenti non sono consentiti. Gli stili educativi rappresentano infatti un fattore cruciale per lo sviluppo o meno delle condotte inadeguate. È interessante sottolineare come il grado di istruzione dei genitori, il livello socio-economico non sembrano essere correlate con le condotte aggressive dei figli. A livello sociale si è visto come anche i fattori di gruppo favoriscano questi episodi. All'interno del gruppo c'è un indebolimento del controllo e dell'inibizione delle condotte negative e si sviluppa una riduzione della responsabilità individuale. Questi fattori fanno sì che in presenza di ragazzi aggressivi anche coloro che generalmente non lo sono lo possano diventare. Per evitare che un bambino ansioso e insicuro diventi una vittima è importante che i genitori lo aiutino a trovare una migliore autostima, una maggiore autonomia e gli forniscano degli strumenti adeguati per affermarsi nel gruppo dei coetanei.

Risulta poco utile agire sul disturbo e sulla psicopatologia ormai conclamata. La specificità di un intervento preventivo è quindi rivolto a tutti gli alunni e non direttamente ai "bulli" e alle loro vittime, perché, al fine di un cambiamento stabile e duraturo, risulta maggiormente efficace agire sulla comunità degli spettatori. È importante sottolineare questo punto perché, come indicato in letteratura, è inefficace l'intervento psicologico individuale sul "bullo". Infatti il "bullo" non è motivato al cambiamento in quanto le sue azioni non sono percepite da lui come un problema, e queste sono un problema soltanto per la vittima, gli insegnanti e il contesto. L'intervento diretto sulla vittima, pur efficace a fini individuali, non lo è per quanto riguarda la riduzione del fenomeno del "bullismo". Quella vittima cesserà di essere tale e il bullo ne cercherà presto un'altra nel medesimo contesto. Quindi, la prevenzione deve interessare gli alunni, gli insegnanti e i genitori. Questi possono farsi carico dei problemi attivando una programmazione contro le prepotenze e promuovendo interventi tesi a costruire una cultura del rispetto e della solidarietà tra gli alunni e tra alunni ed insegnanti. Si è evidenziato che l'intervento con bambini e ragazzi, deve essere preventivo rispetto a segnali più o meno sommersi del disagio e rispetto alle fisiologiche crisi evolutive. Per questi motivi è necessario attuare un programma di intervento pluriennale di carattere preventivo e diretto al gruppo classe/scuola. Questo intervento rappresenta un'occasione di crescita per il gruppo classe stesso che, attraverso un maggiore dialogo ed una maggiore consapevolezza di pensieri, emozioni ed azioni, diventerà risorsa e sostegno per ciascun membro della classe. È inutile sottolineare che per rendere efficace e duraturo questo tipo di prevenzione, è necessario che gli insegnanti, gli educatori e le famiglie collaborino, come modelli e come soggetti promotori di modalità adeguate di interazione, affinché l'esempio possa essere acquisito e diventare uno stile di vita per i ragazzi. Il compito degli insegnanti è quindi quello di intervenire precocemente finché permangono le condizioni per modificare gli atteggiamenti inadeguati. Per migliorare la collaborazione con le famiglie è importante che si spieghi anche ai genitori che i loro figli possono assumere diversi atteggiamenti a seconda degli ambienti in cui si trovano. Questo è utile per prevenire la sorpresa delle famiglie nello scoprire modalità di comportamento differenti a casa e a scuola.
Il "bullismo femminile" viene poco considerato perchè molto meno vistoso rispetto a quello maschile, ma a causa di ciò più subdolo. Esso si manifesta meno "fisicamente" e di più "verbalmente" ed "indirettamente". Di solito la "bulla" s'atteggia ad "ape regina" e si circonda di altre api isolando che non le è gradita. Inoltre mette in atto nei confronti dell' "esclusa" un vero e proprio comportamento persecutorio fatto di pettegolezzi e falsità infondate. Per la vittima diventa difficile chiedere aiuto, perchè il comportamento bullistico e poco evidente e si tende ad attribuire l'isolamento della vittima ad una sua eventuale timidezza. Si può facilmente immaginare quali possano essere gli esiti per la propria autostima, esiti che possono anche comportare quei disturbi del comportamento alimentare tanto frequenti fra le ragazze.



Negli ultimi anni in Italia sono stati condotti molti studi e ricerche sul bullismo, con l’intento di definire quale sia la diffusione del fenomeno in Italia. Manca però un sistema unitario e permanente di monitoraggio del fenomeno. Secondo l’Indagine nazionale sulla Condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza pubblicata nel 2011 le forme di prevaricazione più comunemente messe in atto da bambini e ragazzi sono la diffusione di informazioni false o cattive sul proprio conto (25,2%), provocazioni e prese in giro ripetute (22,8%), essere ripetutamente oggetto di offese immotivate (21,6%). Il 10,4% degli intervistati ha detto di subire una continua esclusione/isolamento dal gruppo dei pari. Le forme di bullismo indiretto (verbale e relazionale) appaiono quindi molto più diffuse rispetto alle forme di bullismo fisico. Rispetto a parametri quali sesso ed età, emerge che il bullismo riguarda sia i maschi che le femmine, con una prevalenza per queste ultime di episodi di diffusione di informazioni false o cattive sul proprio conto.

Il grande risalto che i mezzi di comunicazione di massa hanno dato - soprattutto a partire dagli anni 2000 - hanno fatto si che una sempre maggiore attenzione si sia sviluppata sul fenomeno. Sono pensieri o opinioni sul bullismo essenzialmente errati, ma troppo spesso radicati:

credere che sia soltanto un fenomeno facente parte della crescita;
pensare che sia una semplice "ragazzata";
ritenere che si riscontri soltanto delle zone abitative più povere e arretrate (ipotesi dimostratasi falsa e inutile, alcune volte, ragazzi benestanti, perseguitano ragazzi più poveri)
giudicare colpevole la vittima, poiché non in grado di sapersi difendere.
ritenere che il bullo sia un ragazzo insicuro e che ha problemi in famiglia e che quindi non vada punito ma aiutato (i maggiori studiosi del bullismo hanno dimostrato l'esatto opposto: che i bulli sono ragazzi spavaldi e con molta autostima e spesso viziati dai genitori).
Per contrastare il bullismo, è di fondamentale importanza, infatti, che l'opinione pubblica riconosca la gravità degli atti di bullismo e delle loro conseguenze per il recupero sia delle piccole vittime, che nutrono una profonda sofferenza, sia dei propri prevaricatori, che corrono il rischio di intraprendere percorsi caratterizzati da devianza e delinquenza.

Non esiste un normativa europea di riferimento, e i giudici degli Stati membri identificano la legge applicabile in base all'interpretazione analogica di norme già esistenti, che riconducono il bullismo ad altre fattispecie di reato.

Il bullismo non è di per sé un reato, può portare alla commissione di percosse o lesioni (art. 581 e 582 codice penale), minacce (art. 612), ingiuria o diffamazione (art. 594 e 595), furto (art. 624) o danneggiamento di cose (art. 635), molestia o disturbo (art. 660), stupro (art. 609), interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis). Il razzismo e i futili motivi sono un'aggravante per tutte le fattispecie di reato. Il bullismo è spesso sanzionato con pene maggiori dovute all'aggravante dei futili motivi. Il reato di stupro sussiste non solo in presenza di lesioni o concupiscenza, ma di un generico gesto verso la zona genitale con l'intenzione di affermare una superiorità del bullo sulla vittima. Procedimento civile e penale possono essere unificati, se la vittima è maggiorenne.

L'azione penale si esercita dietro querela di parte, presentata dai famigliari di una delle vittime. Non è possibile un procedimento avviato di ufficio, nemmeno in presenza di lesioni gravi, molestie o minacce gravi rilevate dagli organi di polizia. Il bullo può essere sottoposto a carcerazione preventiva. Tuttavia, per il codice penale minorile, il carcere deve essere l'extrema ratio. In alternativa, l'istituto dell'ordine interdittivo, previsto per reati similari come lo stalking verso le donne, non è contemplato per reati connessi al bullismo, nemmeno nei confronti di minori, né fra i poteri del giudice né del dirigente scolastico, il quale con la sospensione può allontanare uno studente dall'istituto, ma non da parti di esso (i locali dove frequenta la vittima di bullismo), ovvero trasferire "di autorità" studenti potenziali protagonisti di bullismo.



Il genitore che intervenga a difesa del figlio minore, anche contro minori, potrebbe invocare la legittima difesa anche se non è direttamente il destinatario dell'azione aggressiva, purché esista il emanue è pericolo di un'offesa ingiusta e minacciata, e la necessità di difendere un diritto. Esiste una responsabilità civile dei genitori dei "bulli" per il risarcimento dei danni alle vittime, essendo i minori sprovvisti di autonomia patrimoniale. Se l'imputato non è maggiorenne, non è ammesso l'esercizio dell'azione civile per la restituzione e risarcimento del danno cagionato dal reato, e sono necessari un procedimento civile e uno penale, distinti.

Per l'azione penale, è competente la Procura della Repubblica presso il tribunale dei minori. Il minorenne non ha legittimazione attiva o passiva ad agire in giudizio: non ha valore la denuncia del minore, se non sottoscritta anche dai famigliari. Anche in corso di anno scolastico, lo studente può chiedere il trasferimento ad altra classe dello stesso istituto, o ad altra scuola. Se adeguatamente motivato, il dirigente dell'istituto di provenienza deve concedere il nulla-osta. Tuttavia, non è previsto un termine per il silenzio-assenso, né un automatismo specifico per episodi di bullismo.

Docenti e collaboratori scolastici non sono tenuti dai contratti collettivi di lavoro (e quindi non sanzionabili sul profilo disciplinare) a segnalare a presidi e famiglie episodi di bullismo. In capo al personale scolastico, esiste:

una responsabilità civile (patrimoniale), solidale e non alternativa a quella dei genitori del bullo per culpa in educando ex art. 2048 c.c.(Cassazione Civile Sez. III sentenza n. 12501/2000). Per il personale scolastico la culpa in vigilando, per il preside la culpa in organizzando;
una responsabilità penale: generica quali cittadini (art. 43 cod. penale), in quanto dipendenti pubblici (art. 28 della Costituzione) e per lo specifico obbligo contrattuale di vigilanza sugli alunni minori (art. 61 legge n. 312/ 1980), in presenza di dolo o colpa grave (negligenza, imprudenza, imperizia), o di atti contra ius volontari e coscienti.
L'amministrazione scolastica (non il danneggiato) deve dare la prova liberatoria che ha adottato la vigilanza e questa era diligente in misura idonea ad impedire il fatto; il danneggiato deve solo provare che il fatto è avvenuto nel periodo dal momento dell'ingresso a quello di uscita dalla scuola (Cassazione n. 6331/1998). Viceversa, non c'è presunzione di colpa e quindi l'onere è interamente del danneggiato, per azioni promosse contro i dirigenti scolastici(art. 2043 c.c.).

L'amministrazione scolastica surroga la responsabilità civile del personale soltanto per culpa in vigilando I(anticipa il pagamento danni, salvo successiva rivalsa della Corte dei Conti), mentre per ipotesi diverse il dipendente pubblico risponde direttamente e personalmente col suo patrimonio (Cassazione Sez. Unite 7454/1).



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martedì 18 agosto 2015

I Sempre Odiati Compiti delle Vacanze

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«Ballate senza vergogna e sognate la vostra vita. Non dite parolacce e siate sempre gentili. Almeno una volta, andate a vedere l’alba». Sono i compiti che non t’aspetti. I non-compiti per le vacanze, consegne per la vita. Esortazioni che un giovane insegnante - Cesare Catà di Porto San Giorgio (Fermo) - ha postato su Facebook e dilagate nel web. «Leggete e sognate il vostro futuro. Se vi sentite tristi o spaventati, non vi preoccupate: l’estate, come tutte le cose meravigliose, mette in subbuglio l’anima. Provate a scrivere un diario (a settembre, se vi va, lo leggeremo insieme)».

Nella polemica stagionale compiti sì-compiti no, si insinua dunque un nuovo modo di intendere la pausa tra un anno scolastico e l’altro. Un’interruzione, quella estiva, troppo lunga secondo il ministro del lavoro Giuliano Poletti, che in marzo aveva suggerito di riempirla di esperienze di lavoro o formative. Ma, attenzione, avverte l’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna: «le vacanze scolastiche estive sono per gli adolescenti «un tempo fertile, necessario allo sviluppo della persona». Un tempo «transitorio, anche di riposo, talvolta anche vuoto, durante il quale, in assenza di impegni stabiliti e programmati dal sistema scolastico, i giovani possono avere l’occasione di pensare, interrogarsi, fantasticare sul proprio futuro, capire se stessi e i propri desideri».

«Ma staccare la spina per tanto tempo significa spesso dimenticare molto di quello che si è appreso durante l’anno», avverte Giuseppe Di Mauro, presidente della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale. Che ha preparato un decalogo di consigli per i genitori: «Finita la scuola, stacco completo per almeno 20 giorni. Poi suddividete il carico, un’ora al giorno, alternando le materie e lasciando più tempo possibile per attività all’aria aperta. Rendete i compiti di matematica e di grammatica come dei giochi a quiz, delle parole crociate, mostrando voi stessi interesse a trovare il giusto risultato». Spazio, poi, anche ai giochi al computer e a quelli insieme agli amici. E rendere più divertente il momento dei compiti, organizzando «gruppi di studio», magari con il vicino di casa o di ombrellone.





"Genitori allarmati, preoccupati e super-stressati perché non sanno come comportarsi con il loro bambino che vedono stanco, provato dalle fatiche scolastiche e che meriterebbe il giusto riposo  -  spiega Leo Venturelli, pediatra di famiglia della Asl di Bergamo, responsabile per l'educazione alla salute e per la comunicazione della Sipps, la Società italiana di pediatria preventiva sociale, - ma al tempo stesso costretto a mettersi a studiare anche durante la pausa estiva per non perdere le nozioni acquisite. Oggi i genitori nella loro ansia di non voler sbagliare, tendono a medicalizzare anche il problema dei compiti, e noi pediatri oltre a preoccuparci della salute globale del bambino, dobbiamo trasformarci in psicologi per aiutare la coppia a gestire il tempo libero dei figli".
I pediatri ribadiscono che le vacanze estive sono un periodo estremamente importante per la salute dei più piccoli, necessarie al bambino per ricaricare il corpo e la mente. Ma come vanno gestite, bisogna dare un ricostituente al piccolo, farlo mangiare di più, e quando ricominciare a studiare?

La Sipps proprio per aiutare i genitori a mettere in atto i migliori comportamenti, ha stilato una manciata di raccomandazioni. Eccole:

Prime settimane solo per riposare. Le prime settimane di vacanza vanno dedicate interamente al riposo, il bambino ha bisogno di uno "stacco" completo dalla vita di tutti i giorni. Il modello cui attenersi è quello tipicamente vacanziero: niente impegni a orari fissi, fare una colazione abbondante e in tutta tranquillità, incontrare gli amichetti, ... insomma il dolce far niente;

Dormire. Il sonno è estremamente importante. Lasciarlo in piedi un po' più tardi la sera non deve essere un problema, però al mattino deve dormire più a lungo, niente sveglia, niente corse e magari, se ci si riesce, una pennichella dopo il pranzo.

Giocare. Il gioco è fondamentale ma senza stress, mandarlo in piscina, al campo estivo o a lezione di pianoforte per sottoporlo a un ulteriore lavoro fisico e psicologico non è raccomandabile, le attività ludiche devono essere il più semplici possibile, amate dal bambino e anche diversificate nel corso dei giorni.

A metà agosto si pensa ai compiti. A metà agosto si può ricominciare a pensare allo studio ma senza farne un problema e soprattutto senza ossessionare il piccolo ad ogni momento della giornata. Il consiglio è iniziare con una lettura. Leggere deve essere un piacere e se il bambino è abituato in una famiglia dove si maneggiano libri tutto sarà più facile.

I libri. Prima tappa, scegliere uno dei libri suggeriti dall’insegnante oppure andare in libreria con il bambino per pescare un racconto che a lui piaccia particolarmente. Si comincia insieme, sfogliando il libro, e gradualmente si inizia con il leggere qualche riga ciascuno, poi proseguirà da solo. E’ consigliabile farsi raccontare quello che ha letto e commentarlo.

La seconda tappa è suddividere i compiti da fare nell'arco delle settimane e bilanciare l’impegno dedicando non più di cinque giorni a settimana e non più di un’ora e mezza al giorno, quest’ultima volendo potrà essere suddivisa tra il mattino e il pomeriggio.

Studiare giocando. Naturalmente l’organizzazione dello studio dipende molto dal tipo di vacanza scelta dalla famiglia. Studiare giocando è sempre un buon sistema per affrontare serenamente e con leggerezza i compiti. A questo proposito, mamme e papà, e qualche volta i nonni, dovranno imparare ad attrezzarsi, escogitando giochi simpatici per risolvere i problemi di matematica, ripassare le tabelline o svolgere i temi di italiano, per questi ultimi, un’idea può essere quella di raccontare in un testo una giornata tipo in vacanza, una visita al museo o in una bella città italiana, o semplicemente una passeggiata allo zoo locale, accompagnati dai genitori, oppure la passione per una particolare attività sportiva magari nata proprio quell’estate.

Seguire i bambini senza ansia. Non sostituirsi mai ai bambini nel fare i compiti ma seguirli senza ansia. Creare gruppetti di studio, in casa o in vacanza con i vecchi compagni o con i nuovi amichetti conosciuti magari sotto l’ombrellone e che hanno gli stessi problemi. E’ bello riunirli, con una buona merenda, ciascuno impegnato nel compito da svolgere. E’ un modo per condividere un impegno comune e magari darsi una mano.



Quello dei compiti per le vacanze è un tema che ogni anno attira su di se' una grande attenzione e basta girare nel web per accorgersi come esso interessi, tra le altre cose, i grandi gruppi dei docenti sui social network. L’assegno dei compiti estivi e' tipico della scuola primaria e in qualche caso interessa anche  la scuola secondaria di primo grado. Nelle scuole superiori, invece, appare inutile proporre compiti per le vacanze che nessuno farà!

Ma è giusto o no assegnare compiti per la vacanze? Qual è la loro importanza? Perchè non lasciare il bambino libero di rilassarsi? A queste domande sono state date da sempre le risposte più disparate.
Qualcuno sostiene che l’esercizio continuo anche in estate consenta al bambino di arrivare preparato all’inizio dell’anno scolastico successivo e soprattutto di rafforzare le competenze già acquisite.
 
Il rischio potrebbe essere, però, quello di non attuare quello stacco necessario tra l’attività scolastica e il momento del riposo. Succede spesso che ci siano insegnanti, soprattutto alla primaria, che assegnano enormi quantità di compiti, come se i due mesi estivi dovessero essere trascorsi in attività di esercizio giornaliero.

C’è da chiedersi, allora, quale sia la via di mezzo tra qualcosa che tenga gli alunni in esercizio e qualcosa che non li sottoponga a stress e a pressioni derivanti dal “dovere del compito”.

Circa il 75% dei pediatri sostiene che “i compiti per le vacanze sono una contraddizione, un assurdo logico, ancor prima che pedagogico, giacchè le vacanze sono tali perchè liberano dagli affanni feriali”. Andare a scuola, alzarsi presto la mattina, prestare attenzione durante le ore di lezione, fare i compiti, sottoporsi allo stress delle interrogazioni, determinano una forte tensione emotiva in bambini e ragazzi. Tensione che deve essere necessariamente interrotta in modo netto durante i mesi estivi, in quanto una situazione di stress che si perpetua potrebbe diventare particolarmente dannosa per organismi in fase di sviluppo e crescita.

Ma i compiti estivi costituiscono un tema controverso anche in altri Paesi. In Francia, ad esempio, se ne chiede l’abolizione, mentre negli Stati Uniti se ne ritiene la loro utilità. Una ricerca della Johns Hopkins University ha evidenziato che il 66% dei docenti impiega a settembre tra le 3 e le 4 settimane di ripasso per riportare la classe ai livelli di prima. Per questo motivo le scuole statunitensi organizzano corsi estivi di allenamento per gli studenti, con i quali fanno fronte al “summer brain drain”, la fuga estiva dei cervelli.

In Italia? Ogni docente fa ciò che ritiene opportuno. Ci sono docenti che assegnano compiti in modo massivo e ce ne sono altri che ritengono che la vacanza sia tale e, per questo, libera da impegni e doveri.




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