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venerdì 12 febbraio 2016

IL CYBERBULLISMO

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Il termine cyberbullying è stato coniato dall'insegnante canadese Bill Belsey. I giuristi anglofoni distinguono di solito tra il cyberbullying (cyberbullismo), che avviene tra minorenni, e il cyberharassment ("cybermolestia") che avviene tra adulti o tra un adulto e un minorenne. Tuttavia nell'uso corrente cyberbullying viene utilizzato indifferentemente per entrambi. Come il bullismo nella vita reale, il cyberbullismo può a volte costituire una violazione del Codice civile e del Codice penale e, per quanto riguarda l'ordinamento italiano, del Codice della Privacy (D.Lgs 196 del 2003).

Oggi il 34% del bullismo è online, in chat, quest'ultimo viene definito cyberbullismo. Pur presentandosi in forma diversa, anche quello su internet è bullismo: far circolare delle foto spiacevoli o inviare mail contenenti materiale offensivo può costituire un danno psicologico. In Inghilterra, più di 1 ragazzo su 4, tra gli 11 e i 19, anni è stato minacciato da un bullo via e-mail o sms. In Italia, secondo l’Indagine nazionale sulla Condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza pubblicata nel 2011 un quinto dei ragazzi ha trovato in Internet informazioni false sul proprio conto: “raramente” (12,9%), “qualche volta” (5,6%) o “spesso” (1,5%). Con minore frequenza si registrano casi di messaggi, foto o video dai contenuti offensivi e minacciosi, ricevuti “raramente”, “qualche volta” o “spesso” dal 4,3% del campione; analoga percentuale (4,7%) si registra anche per le situazioni di esclusione intenzionale da gruppi on-line.

Rispetto al bullismo tradizionale nella vita reale, l'uso dei mezzi elettronici conferisce al cyberbullismo alcune caratteristiche proprie:

Anonimato del molestatore: in realtà, questo anonimato è illusorio: ogni comunicazione elettronica lascia pur sempre delle tracce. Per la vittima, però, è difficile risalire da sola al proprio molestatore; inoltre, a fronte dell'anonimato del cyberbullo, spiacevoli cose sul conto della vittima (spesse volte descritta in modo manifesto, altre in modo solo apparentemente non riconducibile alla sua identità) possono essere inoltrate a un ampio numero di persone.
Difficile reperibilità: se il cyberbullismo avviene via SMS, messaggistica istantanea o mail, o in un forum online privato, ad esempio, è più difficile reperirlo e rimediarvi.
Indebolimento delle remore etiche: le due caratteristiche precedenti, abbinate con la possibilità di essere "un'altra persona" online (a guisa di un gioco di ruolo), possono indebolire le remore etiche: spesso la gente fa e dice online cose che non farebbe o direbbe nella vita reale.
Assenza di limiti spaziotemporali: mentre il bullismo tradizionale avviene di solito in luoghi e momenti specifici (ad esempio in contesto scolastico), il cyberbullismo investe la vittima ogni volta che si collega al mezzo elettronico utilizzato dal cyberbullo (WhatsApp, Facebook, Twitter, blogs, etc.)
Come nel bullismo tradizionale, però, il prevaricatore vuole prendere di mira chi è ritenuto "diverso", solitamente per aspetto estetico, timidezza, orientamento sessuale o politico, abbigliamento ritenuto non convenzionale e così via. Gli esiti di tali molestie sono, com'è possibile immaginarsi a fronte di tale stigma, l'erosione di qualsivoglia volontà di aggregazione ed il conseguente isolamento, implicando esso a sua volta danni psicologici non indifferenti, come la depressione o, nei casi peggiori, ideazioni e intenzioni suicidarie. Spesso i molestatori, soprattutto se giovani, non si rendono effettivamente conto di quanto ciò possa nuocere all'altrui persona.

Il cyberbullismo è un fenomeno molto grave perché in pochissimo tempo le vittime possono vedere la propria reputazione danneggiata in una comunità molto ampia, anche perché i contenuti, una volta pubblicati, possono riapparire a più riprese in luoghi diversi. Spesso i genitori e gli insegnanti ne rimangono a lungo all'oscuro, perché non hanno accesso alla comunicazione in rete degli adolescenti. Pertanto può essere necessario molto tempo prima che un caso venga alla luce.

Il cyberbullismo è mobbing in Internet, infatti, per designarlo si usano anche i termini cybermobbing e internet mobbing. Viene messo in atto mediante l'uso dei media digitali e consiste nell'invio ripetuto di messaggi offensivi tramite sms, in chat o su facebook per molestare una persona per un lungo periodo.



Gli autori, i cosiddetti «bulli» o il cosiddetto «branco», sono spesso persone che la vittima ha conosciuto a scuola, nel quartiere o in un'associazione. Offendono, minacciano o ricattano le loro vittime direttamente o facendo pressione psicologica su di loro, le diffamano, le mettono alla gogna e diffondono dicerie sul loro conto. Chi ne è vittima può subire conseguenze molto gravi, come la perdita della fiducia in se stesso, stati di ansia e depressione.

Il confine tra un comportamento che resta scherzoso e uno che è percepito come offensivo non è così netto. Il cyberbullismo inizia laddove un individuo si sente importunato, molestato e offeso. Raramente i giovani si rendono conto delle conseguenze delle loro azioni nel momento in cui mettono in rete immagini offensive o le inviano agli amici; spesso lo fanno solo per scherzo. Tuttavia, può trattarsi anche di atti mirati a rovinare una persona.

Le vittime, gli autori e gli spettatori di atti di bullismo in rete hanno spesso remore a parlare. Di conseguenza per i familiari e gli insegnanti è difficile riconoscere il problema. Nonostante gli indizi del cyberbullismo non siano facilmente riconoscibili, vi sono alcuni segnali rivelatori. Non è sempre possibile distinguere chiaramente tra autori e vittime, perché molti giovani rimasti vittime del mobbing lo hanno praticato anche in prima persona.

Il cybermobbing è molto meno frequente del mobbing. Lo rivela uno studio compiuto nel 2012 da EU Kids online, un'iniziativa della Commissione europea: secondo questo studio, il 15 percento dei giovani svizzeri intervistati ha già subito atti di mobbing, il 5 percento ha subito atti di cybermobbing. Il dato allarmante è che i genitori non ne sanno niente. Il rischio di rimanere vittima del cybermobbing aumenta con l'età e le femmine ne sono interessate più frequentemente dei maschi; le reti sociali sono tra i luoghi in cui accade più spesso.

Nell'ambito dello studio JAMES 2014 circa 1200 giovani svizzeri sono stati intervistati sulle loro esperienze. Il 22 per cento ha rivelato di essere già stato vittima di un'aggressione in una chat o su facebook. Al 12 per cento dei giovani è già capitato che in Internet sono stati diffusi contenuti offensivi o notizie false su di loro, al 28 per cento che vi sono state pubblicate foto senza il loro consenso. Affinché si possa parlare di mobbing, occorre tuttavia che questi atti vengano ripetuti più volte.

Spesso i messaggi offensivi si diffondono molto rapidamente fra un bacino di utenti molto vasto. Di conseguenza, le vittime non si sentono più al sicuro da nessuna parte, poiché le vessazioni le raggiungono via Internet persino nelle proprie mura. È inoltre difficile cancellare le offese, che quindi, una volta pubblicate in rete, possono essere rilette e riguardate ripetutamente. Per la vittima è dura dimenticare e superare le violenze subite. Il cybermobbing contribuisce in questo modo a rafforzare la sofferenza della vittima.

Come il bullismo nella vita reale, il cyberbullismo può a volte costituire una violazione del Codice civile e/o del Codice penale.

Tipi di cyberbullismo:

Flaming : messaggi online violenti e volgari mirati a suscitare battaglie verbali in un forum.

"Cyber-stalking" : molestie e denigrazioni ripetute, persecutorie e minacciose mirate a incutere paura.

Molestie: spedizione ripetuta di messaggi insultanti mirati a ferire qualcuno.

Denigrazione : "sparlare" di qualcuno per danneggiare la sua reputazione, via e-mail, messaggistica instantanea, ecc.

Sostituzione di persona: farsi passare per un'altra persona per spedire messaggi o pubblicare testi reprensibili.

Rivelazioni : pubblicare informazioni private e/o imbarazzanti su un'altra persona.

Inganno : ottenere la fiducia di qualcuno con l'inganno per poi pubblicare o condividere con altri le informazioni confidate via mezzi elettronici.

Esclusione : escludere deliberatamente una persona da un gruppo online per ferirla.

Molti cyber-bulli agiscono in maniera aggressiva e violenta perché desiderano avere visibilità e fanno di tutto perchè il loro atto venga conosciuto e reso pubblico. La maggior parte dei bulli della Rete infatti, agisce da bullo proprio per attrarre su di sè le attenzioni dei mezzi di informazioni, per ricevere cioè dal mondo esterno tutte quelle attenzioni che non ricevono quotidianamente all'interno della loro famiglia o all'interno del loro gruppo di amici. Più il comportamento violento del bullo viene conosciuto, e più che il bullo ottiene ciò che desidera. Il cyber-bullo agisce non tanto per esercitare una violenza su qualcuno, bensì per attrarre su di sé tutte le attenzioni possibili: con la metodologia del file-sharing oggigiorno è sempre più facile che un video o una notizia venga a conoscenza di tutto il popolo della Rete. Lo sviluppo di siti per la condivisione di file, come quelli video, ha infatti dato un contributo notevole a rinforzare il fenomeno del cyber-bullying. Evitare che tali siti diffondino i video di bullismo sarebbe certamente un passo importante per contrastare il fenomeno.

Fra i vari tipi di cyberbullismo il più diffuso è il flaming. Il nome flaming esprime uno stato di aggressività durante l'interazione con altri utenti del web . La Rete dà infatti la possibilità di inserirsi in nuove situazioni ed ambienti, in cui ogni utente tende a ritagliare un proprio spazio. Con il passare del tempo, l'attaccamento dell'utente al proprio spazio diviene sempre maggiore; spesso si cerca di intensificare la propria presenza nell'ambiente, postando più messaggi (in un forum) o chattando per ore. Ne consegue che per alcuni individui il fatto stesso di trovarsi in quel luogo diventa un vero e proprio bisogno. Quando un altro utente o una situazione particolare mette in discussione lo status acquisito dall'utente, questo si sente minacciato personalmente. La reazione è aggressiva, e a seconda dei casi l'utente decide di abbandonare lo spazio definitivamente (qualora abbia uno spazio alternativo dove poter andare), oppure attua il flaming (qualora ritenga necessario rimanere nel "suo territorio" dove si è faticosamente creato uno status). Ancora più grave ed insidioso per il forum è quando il flame è uno o più degli stessi moderatori, specialmente anziani, che arrivano a ritenere quello spazio come di loro proprietà. La loro azione diviene dura, chiusa ed ostile; tendono a rendere difficoltoso l'esprimersi e l'inserirsi di figure preparate o semplicemente potenzialmente coinvolgenti gli utenti. Tendono ad esasperare conflittualmente i rapporti interni tra moderatore ed l'Admin al punto di mettere in discussione il Forum stesso inducendo o provocando fratture e lacerazioni. Quando non isolati o allontanati in tempo possono portare all'implosione del Forum.



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mercoledì 6 gennaio 2016

FACEBOOK E GIOVANI

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Facebook non piace più agli adolescenti. O almeno, non più come prima.
Nel terzo trimestre del 2015, infatti, si è registrato un calo del 23% dell’utilizzo del social network da parte degli utenti nella fascia di età tra i 14 e i 19 anni.
A comunicare questo ribasso della popolarità di Facebook tra i teeneagers, è stato l’amministratore delegato Davide Ederbam, in una comunicazione agli azionisti in occasione della conference call per l’annuncio dei risultati finanziari del terzo trimestre.

Uno studio di Globalwireindex conferma questo trend. Dall’indagine emerge che gli adolescenti attivi su Facebook nel terzo trimestre sono stati il 59%, in forte calo rispetto al 79% del trimestre precedente.
Secondo Globalwireindex, questa dinamica al ribasso non riguarda solo gli Stati Uniti, bensì tutti i continenti, seppure con notevoli differenze tra singole aree geografiche: risulta più marcata in alcuni Paesi europei come Olanda (-52%), Francia (-44%) e Turchia (-79%), mentre è più sottile nei Paesi dove Facebook si è diffuso solo recententemente come Polonia (-7%), Russia (-6%) e Sud Africa (-1%).

Ma perché di questa improvvisa caduta di popolarità di Facebook tra i teenagers? I motivi sono principalmente due: la maggiore competitività delle altre piattaforme social e la crescente diffusione dei servizi di messagistica istantanea.
I giovani sembrano preferire la comunicazione attraverso dispositivi mobile, potendo interloquire direttamente con uno o più amici, o condividendo foto e video attraverso piattaforme social che valorizzino maggiormente la creatività e che consentano di sfruttare al meglio i sempre più potenti comparti fotografici equipaggiati dai device.
Alcune mobile app registrano un vero e proprio boom tra il primo e il terzo trimestre: WeChat cresce del 1021%, Vine del 639%, Flickr del 254%, Skype del 105%, Facebook Messenger e Instagram dell’85%.

Allo stato attuale, i bambini di ieri che oggi sono diventati adolescenti non trovano allettante iscriversi ad un social in cui i contenuti condivisi sono accessibili anche ai propri genitori, zii, cugini e nonni. Con questa considerazione è peraltro d’accordo Dan Olds, analista del Gabriel Consulting Group. Se chi 10 anni fa era un giovane iscritto a facebook oggi è un genitore con magari figli adolescenti che tende a controllare ciò che condividono sui loro profili.



Anche secondo il sondaggio semestrale condotto da Piper Jaffrays è risultato che la nuova moda online per i giovani sono Instagram e Twitter e che il 45% degli intervistati (ben 7200) non considerano Facebook quale social più “in” su cui condividere i propri post.  Il rapporto dice che l’utilizzo di Instagram negli adolescenti è cresciuto dal 69% al 76% nell’ultimo trimestre. Anche Twitter è stato preferito da più ragazzi rispetto a facebook, con il 59% di essi che lo utilizza.
Il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, non sembra preoccupato di questa possibile minaccia; è consapevole della realtà che si sta delineando, di fatti Facebook ha investito molto proprio per l’acquisto di Instagram. Lo stesso Zuckerberg  ha  pubblicamente riconosciuto la battuta d’arresto della propria creatura dichiarando  “Abbiamo quasi 10 anni, quindi non siamo sicuramente più una cosa di nicchia”.

Se i  giovani non seguiranno facebook e  gli attuali utenti tenderanno ad invecchiare ciò significa che il mercato del Social Network vedrà il declino poiché diminuirà la sua visibilità e di conseguenza meno sponsor alimenteranno la sua sopravvivenza. Il  prezzo delle azioni in borsa crollerà come pure la valutazione dell’azienda. In realtà, altri analisti  fra cui Brian Blau di Gartner, non prevedono questa fine tanto tragica per Facebook posto che, il suo mercato fa appello ad un pubblico più vasto rispetto alla sola fetta dei teenagers, ed inoltre  non solo a persone fisiche ma   aziende, società e realtà commerciali che ormai vedono nel social una vetrina pubblica per la propria attività.

“Facebook ce l’abbiamo tutti ma lo usiamo pochissimo. Instagram ci piace molto, ma il nostro social è Snapchat: è qui che ci possiamo esprimere liberamente senza sentirci giudicati, rimanendo ancorati alla nostra identità sociale. Facebook è come stare a un pranzo di famiglia con tutti i tuoi parenti, dove ti senti un po’ a disagio e non  vedi l’ora di andartene. Su Instagram non sono costretto a seguire tutti quelli che mi seguono. Così il mio feed contiene solo cose che mi interessano…”

I ragazzi  Facebook ce l’hanno solo per le chat istantanee o per rintracciare qualcuno conosciuto in qualche occasione. Non interessa più aggiungere  amici, la maggior parte dei quali conosciuti solo virtualmente, e poi c’è una rinnovata esigenza di privacy. Snapchat non richiede amici o follower. Messaggi e foto inviati rimangono visibili solo per pochi secondi.



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domenica 3 gennaio 2016

IL LUTTO IN BACHECA

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Tradizionalmente, l'idea di affrontare la morte era legata al mondo reale. Si programmavano i funerali, si dava l’addio al defunto e si era pronti a volare in cielo. Al giorno d’oggi molti di noi hanno un alter ego digitale che sopravviverà alla fisicità terrena. Al momento ci sono più di trenta milioni di deceduti i cui account sono tuttora su Facebook. I loro profili sono la fotografia del lutto del ventunesimo secolo.

La cultura del cordoglio online è uno degli effetti collaterali più interessanti dei social media, poiché permette (anche se limitatamente) di interagire con una persona anche quando questa smette di esistere fisicamente. Oltre a spostare l’attenzione su quello che vogliamo far vedere delle nostre vite e su ciò che si potrebbe definire una sorta di eredità online, la mania della vita digitale ha generato una nuova industria che ruota intorno al discorso della morte su Internet.
Il modo in cui affrontiamo il lutto è influenzato dalle nostre vite, e non c'è dubbio che Internet e i social media abbiano il loro peso. Il modo in cui piangiamo la morte di qualcuno sia molto influenzato da questi nuovi mezzi; d'altra parte, si tratta di un evento che ha sempre avuto una dimensione spazio-temporale specifica. Oggi i social network ci consentono di condividere le memorie di chiunque; ogni pagina può diventare un luogo in cui parenti e amici pubblicano i loro ricordi. È un'interessante variante del tipico forum pubblico, slegato dal tempo e dallo spazio. Chiunque, senza restrizioni di luogo, potrà ricordare questa persona e avere uno spazio virtuale dove farlo. È affascinante che il deceduto possa continuare a fare da ponte tra altre persone anche dopo la morte, continuando ad avere un impatto sul mondo reale.

Con strumenti come il profilo Facebook assistiamo alla nascita di un nuovo spazio per vivere il lutto. I commenti diventano un nuovo modo di ricordare e, in un certo senso, costituiscono una nuova tradizione.

In paesi come il Giappone o la Cina, è che non c’è più spazio per le sepolture. Hanno costruito cimiteri online dove si possono creare tombe virtuali. Hanno creato un servizio gratuito che offre una barca virtuale per spargere le ceneri in mare, usando il memoriale digitale come mezzo alternativo per onorare la tradizione e prendersi cura degli avi defunti. È un modo interessante di affrontare il problema dello spazio, nel momento in cui le masse sono sempre più numerose e c’è sempre meno spazio per seppellire i morti.

Saremo ricordati diversamente già solo per il fatto che l’avvento dei social media ha portato con sé l’idea che sia giusto condividere tutto. Vent’anni fa non avremmo mai messo un annuncio sul giornale per raccontare la serata. Ma con Facebook e Twitter si può dire a tutti ciò che si ha fatto e queste informazioni vivranno più a lungo di noi. È un cambiamento drastico. In tutto questo c'è una buona parte di effimero, certo, ma se al posto di un profilo dovessimo gestire gli oggetti di un morto probabilmente butteremmo via molte delle sue cose, mentre sui social ciò che è stato condiviso resterà comunque.

Ciò rappresenta un’enorme opportunità per tutti, tanto di essere ricordati quanto di avere una storia molto più ricca. Tra centinaia di anni potrebbe esistere un'intera branca dell’archeologia dedicata all’indagine sui resti digitali della nostra generazione. La Library of Congress, negli Stati Uniti, sta già tenendo un archivio Twitter. Si avrebbe una visione molto più completa della vita quotidiana delle persone.
Ed è importantissimo assicurarsi di proteggere le nostre informazioni digitali, perché anche se attualmente potrebbero sembrare insignificanti e senza futuro, ci sono buone possibilità che un giorno tutti i nostri tweet su iniziative politiche o azioni militari possano essere rilevanti tanto quanto le lettere dal fronte di quattrocento o cinquecento anni fa.

Non ci si rende conto di creare un’eredità a lungo termine quando è sui social. Gli utenti sanno che ciò che condividono può arrivare molto lontano. Però questo non significa che abbiano capito che questa diffusione potrà costituire la storia della loro vita. Tutto ciò ci riporta al problema di fondo dell’essere umano, cioè il rifiuto della mortalità. Pensare a ciò che si lascia equivale ad accettare la propria morte.



I becchini di facebook sono quelli che scrivono post in cui si annuncia la morte di una persona vicino a loro. Si dividono in tante categorie spesso differenziate da meri criteri cronologici.

Ci sono i becchini-lampo: si gettano a capofitto su facebook per essere i primi a dare la novella. In breve tempo i becchini-lampo vengono sopraffatti dai becchini-sul-pezzo. I becchini-sul-pezzo sono l'evoluzione dei precedenti. Non vanno subito su facebook a dare la notizia perché prima vogliono approfondire la questione. Desiderano, come i primi, far rimbalzare la notizia, ma l'arricchiscono con un minimo di informazione in più. Esempio:
"E' morto XXXXX YYYYYYYY" (becchino lampo)
"E' morto XXXXX YYYYYYYY , è andato fuoristrada mentre tornava a casa" (becchino sul pezzo)

A questo punto la notizia è già diffusa e viene a galla la necessità di far vedere di essere scioccati. Il problema è che su facebook è ancora troppo presto per piangere perché non è ancora matura l'onda emotiva. Si affacciano timidamente i becchini-sentenziosi. Quelli che pubblicano una foto del personaggio scomparso accompagnata da una frase concisa ma emotivamente pregna.
"Ciao XXXXX, riposa in pace"
"Addio XXXXX, ci mancherai"
"E' morto XXXXX, nessuno come lui"

In brevissimo tempo facebook si riempie di emotività ed anche i più timidi, ossia quelli che aspettavano che si commuovessero tutti prima di addolorarsi in prima persona, scendono in campo per dire la loro. Ne consegue un'epica lotta all'ultimo sangue in cui si abusa di sentimenti in offerta 3x2, frasi fatte e citazioni terrificanti. Il terreno è pronto per i becchini-addolorati. Ovvero, coloro che scrivono cose agghiaccianti tirando in ballo angeli, fiori e paradisi.
"Gli angeli in cielo..."
"è stato strappato il fiore più bello..."
"dal Paradiso ci starai guardando e starai dicendo... "
Il culmine si raggiunge quando i produttori di link professionali, sfruttando l'ondata emotiva, sono costretti a pensare per la prima volta una frase con la loro testa senza poterla scopiazzare da qualche autore classico. Ne derivano sgrammaticature urticanti che però tutti i sottoscrittori compulsivi condividono istantaneamente:
"Oggi moriva XXXXX, i suoi performans ci anno insegnato a vivere la vita con pienutidine"

Ultimi in ordine cronologico, ma possibilmente tra i peggiori in assoluto, arrivano i becchini-citazionisti, ovvero coloro che non avendo partecipato pienamente al rimbalzo della notizia desiderano evidenziarsi incollando una frase epica attribuita allo scomparso. Appaiono così frasi che nessuno conosceva ma che tutti, appena lette, sono pronti a diffondere senza minimamente preoccuparsi di verificarle. "fate questo in memoria di me" (il morto del giorno)

Nei commenti appaiono puntuali:
"sarai nella memoria di tutti"
"era un grande, ci mancherà"
"ha vissuto la vita fino all'ultimo secondo"
"sarai sempre nei nostri cuori"

Ecco... "sarai sempre nei nostri cuori"... un must.
Nessuno scrive "sarai sempre nel MIO cuore". No! Casomai nei NOSTRI cuori. Il becchino addolorato di facebook non si emoziona se non in condivisione. Non può scrivere che lui è addolorato, deve sentirsi parte di un gruppo di addolorati ed in tal caso lotta fino allo stremo per dimostrare che è il più addolorato di tutti.

Tempo 24 ore ed il dolore si placa fino scomparire del tutto. I becchini di ogni specie tornano a pubblicare video di gatti, canzoni di Jovanotti e citazioni di Camorra&Love.

È più coerente con un punto di vista psicologico chiedersi per esempio quanto le manifestazioni di cordoglio siano il corrispettivo di un proprio vissuto emotivo o quanto sia un contagio virale a cui sembra brutto sottrarsi nella piazza virtuale dei social network (così come sembra male in una piazza reale ignorare la presenza di un funerale comportandosi in modo “irrispettoso”).

Quel che da un punto di vista psicologico è interessante notare è che il tam tam mediatico e la gara alla manifestazione luttuosa più sentita o originale ha come effetto paradossale una sorta di allontanamento dall’emozione dolorosa che un lutto comporta: è una sorta di difesa mediatica, un modo con cui si esorcizza la notizia postandola in bacheca come si fa con i selfie con gli amici, le foto delle vacanze e altri file di varia natura.

Sembra che Facebook (e altri social network) diano l’illusione di  poter elaborare un lutto in modo diverso, una sorta di auto mutuo aiuto condiviso con gli altri utenti e rendendo “immortale” la persona scomparsa.



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lunedì 5 ottobre 2015

MINORI E SOCIAL NETWORK

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Non passa giorno senza che i nostri bimbi facciano qualcosa che meriti di essere immortalato con il vostro smartphone: la prima parola, il primo disegno comprensibile, la faccia imbrattata di omogeneizzato. Nell’ansia di cristallizzare ogni momento si scattano foto, si registrano video che poi, senza pensarci troppo, condividiamo su Facebook e su altri social network.

Un numero crescente di genitori americani negli ultimi mesi, ha cominciato a togliere immagini, filmati e informazioni sui propri figli dal social network più famoso del mondo. Secondo questi genitori archiviare l’esperienza di genitore su Facebook può risultare controproducente per una serie di motivi.

Le immagini, i video e le informazioni (compleanno, feste scolastiche etc.) espongono la prole a qualsiasi genere di malintenzionato, che con un paio di click può essere in grado di sapere che faccia  ha il bimbo e dove va a scuola.

Non è dato sapere con esattezza come il social network utilizzerà l’immagine e le informazioni dei bambini.
Non è detto che il bambino sarà entusiasta, una volta raggiunta l’età per iscriversi a Facebook, di sapere che frammenti della sua imbarazzante infanzia sono stati dispersi ai quattro venti della rete.

Ma se da un lato il numero di genitori accorti sta crescendo, dall’altro la fetta di chi condivide materiale sui propri figli a tutto spiano rimane grande. Stando a una ricerca condotta nel 2011 dal University of Michigan's Institute for Social Research, il 66% dei genitori americani nati tra gli anni ’60 e ’70 condivide senza remore la vita dei propri bambini online.



Naturalmente, Facebook mette a disposizione una serie di strumenti che dovrebbero consentire di mantenere un controllo effettivo sui contenuti condivisi, ma alcuni genitori non si fidano.

Volendo guardare come lo scandalo NSA ha influito sui sistemi di messaggistica, è ragionevole immaginare che, se questa tendenza continua ad aumentare, presto spunteranno nuovi social network che promettono una privacy blindata, studiati su misura per i genitori più premurosi.

PUBBLICARE le foto dei propri bambini su Facebook o comunque su Internet è pericoloso e sconsigliabile, almeno secondo Valentina Sellaroli, Pubblico Ministero presso il Tribunale per i minorenni di Torino con competenza su Piemonte e Valle d'Aosta. Anche se la nuova funzione Scrapbook del noto social network sembra migliorare l'attuale situazione sarebbe bene essere a conoscenza di quali sono i rischi.

Scrapbook (trad. "album") sarà disponibile a breve negli Stati Uniti e più avanti probabilmente negli altri paesi. Si tratta di un gestore di foto che organizza in maniera più efficiente tutti i propri scatti sfruttando specifici TAG. "Se scegli di taggare tuo figlio in una foto questa sarà aggiunta in un album personalizzabile", "E le foto che decidi di taggare potranno essere condivise con i tuoi amici o gli amici della tua compagna/o".

In pratica la condivisione è più restrittiva a garanzia della propria privacy, come d'altronde consente anche la pagina Facebook principale  -  se non costringesse a perdere la testa dietro alle opzioni di personalizzazione. Dopodiché il TAG può essere effettuato solo dai genitori e non da amici o estranei. Il rischio di esporsi a situazioni rischiose però non cambia.

"Il primo invito alla prudenza viene banalmente dalla diffusività del mezzo. Pubblicare su internet la foto dei propri bambini è di per sé atto che potenzialmente può raggiungere un numero di persone, conosciute e non, indiscutibilmente più ampio che non il semplice gesto di mettere la foto dei propri figli più o meno in mostra sulla propria scrivania", sottolinea il PM Sellaroli.



"Significa, cioè, esporli realisticamente ad un numero esponenzialmente maggiore di persone che possono anche non avere buone intenzioni e magari interessarsi a loro in maniera poco ortodossa. Non è così frequente ma neppure irrealistico il rischio che persone di questo genere (genericamente pedofili o persone comunque interessate in modi non del tutto lecite ai bambini) possano avvicinarsi ai nostri bambini dopo averli magari visti più volte in foto online".

Esiste anche una seconda preoccupazione che nasce da condotte criminose anche più frequenti. "Quelle di soggetti che taggano le foto di bambini online e, con procedimenti di fotomontaggio più o meno avanzati, ne traggono materiale pedopornografico di vario genere, da smerciare e far circolare tra gli appassionati", prosegue il sostituto procuratore della Repubblica, Valentina Sellaroli.

"Questo genere di condotta non è affatto così infrequente nella realtà, specie se parliamo non di singoli 'appassionatì del genere ma di circoli e giri di pedopornografici che producono immagini di questo tipo per uno scopo di lucro o comunque per un interesse personale di scambio su larga scala. Si pensi infatti al valore aggiunto che hanno immagini moltiplicate più e più volte a partire dagli stessi bambini reali (e dunque senza troppi rischi materiali) ma giungendo ad ottenere un numero assai significativo di immagini pedopornografiche che sembrano 'nuove' e dunque più appetibili". Da sottolineare che anche la pratica del fotomontaggio è punita come quella di coloro che producono queste foto con bambini reali e "non sempre serve che le pose siano sessualmente lascive o esplicite, come veniva richiesto un tempo".

"Infatti la legge di ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale (cd. Convenzione di Lanzarote), nel 2012, ha modificato la norma del nostro codice penale che punisce la pedopornografia minorile introducendone una nozione esplicita". "Per la prima volta: si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore degli anni diciotto per scopi sessuali".

Come spiega in dettaglio il Pubblico Ministero la decisione quadro del Consiglio Europeo n. 2004/68/GAI del 22.12.03, relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini, esplicitamente intendeva per pornografia infantile anche, all'art. 1 n. 3 "immagini realistiche di un bambino inesistente implicato o coinvolto nella suddetta condotta". "È punita dunque anche la realizzazione virtuale di una immagine che veda bambini o comunque minorenni coinvolti in immagini esplicite (ove per esplicito potrebbe bastare anche la nudità degli organi sessuali) utilizzate per scopi sessuali da chi le produce, le cede, le riceve o le detiene".

Infine da rilevare un altro rischio che riguarda i casi di adozione o di affidamento di bambini allontanati da famiglie pericolose, maltrattanti o abusanti. "Se il bambino era già abbastanza grande quando è stato allontanato, rischiano di avere un canale di ricerca in più per raggiungere i bambini e le loro nuove famiglie che così non possono più essere tutelati nella loro riservatezza ed anche nella incolumità personale", conclude il pubblico ministero Sellaroli.


Questi genitori non hanno idea del funzionamento del social network. Forse non sanno che, se non cambiano le loro opzioni sulla privacy, chiunque, compresi pedofili, potranno vedere le foto dei loro figli. Inoltre molti di loro condividono altre informazioni che potrebbero mettere in pericolo i propri figli. Indirizzi, targhe di auto, nome della scuola. Sapranno inoltre che le immagini, una volta inserite su Facebook, appartengono al social network? Che potrebbe usarle come meglio crede?

Esempio pratico: Sono un pedofilo, e siccome adescare bambini per strada non è molto sicuro, li cerco online. Facebook è pieno di account di bambini, molti di loro hanno il profilo pubblico. In più mi aiutano i loro genitori. Oggi è il primo giorno di scuola, quindi su Facebook è la “fiera del bambino”, uso le tre parole chiave e mi appaiono centinaia di foto, collegate ad altrettanti profili pubblici. Individuo un bambino della mia città (poniamo Paperopoli), Filippo. In una delle foto è indicato il nome della scuola e classe del bambino. Vado su google, cerco l’indirizzo, so dove il bimbo va a scuola, (Scuola Primaria Mario Rossi – Via Don C. Bianchi 18, Telefono: 080 537****). Ma ho anche riconosciuto la via dove abita. So dove va a calcio (tra le foto pubbliche ce n’è una dell’attestato della scuola calcio). So i nomi di papà, mamma, zio Mario. So che abita a un piano terra, e con un po’ di fatica posso sapere in quale palestra va la mamma, gli orari di lavoro del papà, e così via. (Tutti i nomi di persone e luoghi sono inventati.)» Marta Marchesini, A scuola col pedofilo. (o dare in pasto i propri figli su Facebook)



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