Visualizzazione post con etichetta ormoni. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta ormoni. Mostra tutti i post

lunedì 11 aprile 2016

LA LONGEVITA'

.


La massima estensione della vita umana è da sempre oggetto di interesse culturale e scientifico (antropologico, demografico, genetico, gerontologico, statistico), fa da sfondo a racconti mitologici, si circonda di curiosità e non di rado dà luogo a millanterie. Tuttavia, soltanto dopo l'istituzione della registrazione neonatale è stato possibile, in vari paesi, raccogliere dati in dettaglio sull'incidenza della longevità estrema e riconoscere autentici primati di longevità umana.

A tal fine, le associazioni che si dedicano alla ricerca gerontologica come il Gerontology Research Group - fonte delle informazioni riportate dal Guinness dei primati - dichiarano di svolgere rigorosi accertamenti documentali, sulla cui base individuano le persone più longeve di cui si abbia mai avuto notizia.

La marcia in piu’ dei centenari, la “ricetta” ideale per spegnere cento e passa candeline sta in un mix di genetica ma anche di stili di vita. Le ricerche sulla longevita’ esaminate della Societa’ Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG) dicono che da una parte i geni ereditati in famiglia aiutano, perche’ nei centenari si sono individuati numerosi meccanismi molecolari che cercano di correggere i danni al patrimonio genetico e quindi vivere piu’ a lungo; ma dall’altra le abitudini e soprattutto l’alimentazione modulano l’attivita’ del genoma, allungando l’aspettativa di vita attraverso l’epigenetica, ovvero tramite la modificazione dell’espressione dei geni implicati nella longevita’.
In tutto questo, un ruolo di primo piano sembra riservato ai batteri dell’intestino, il cosiddetto microbioma: per invecchiare bene e’ importante avere una flora batterica intestinale “efficiente“, da nutrire anch’essa con una dieta adeguata e sana. Tutte conoscenze giudicate in modo molto positivo dagli italiani: stando a un’indagine sulla longevita’ condotta da SIGG, oltre il 90% degli italiani giudica positivi i progressi della scienza in questo settore. “La longevita’ sembra poter derivare da una ‘manutenzione’ particolarmente efficiente dell’attivita’ delle cellule e degli organi, che nel tempo potrebbe contrastare l’inevitabile declino funzionale dell’organismo – spiega Giuseppe Paolisso, past presidente SIGG – Alcuni geni sembrano avere un ruolo in tutto cio’ ma sappiamo che, ad esempio, una singola mutazione genetica “favorevole” puo’ allungare la vita al massimo del 40%. Oggi appare percio’ sempre piu’ evidente che e’ l’attivita’ del genoma nel suo complesso a influenzare la longevita’: l’epigenetica, ovvero la modificazione dell’espressione dei geni nel corso della vita a seconda degli “stimoli” a cui e’ sottoposto l’organismo, sta assumendo un peso sempre piu’ rilevante fra i meccanismi che incidono sull’aspettativa di vita. Un esempio classico e’ la restrizione calorica: una riduzione dell’apporto di nutrienti in assenza di malnutrizione si associa a un aumento della durata della vita, anche nei primati e nell’uomo, perche’ in condizioni di scarse risorse energetiche l’attivita’ dei geni “vira” verso una diminuzione delle attivita’ e un conseguente prolungamento della vita. Tutto questo pero’ significa anche che la longevita’ si puo’ “costruire”: se non si nasce con una familiarita’ che aiuta a diventare centenari si puo’ vivere in modo da favorire una speranza di vita prolungata“.
Un recente studio dell’universita’ di Milano condotto da medici dell’Ospedale Maggiore Policlinico e dell’Istituto Auxologico Italiano, ha dimostrato ad esempio che nei processi della longevita’ sono coinvolti una piu’ lenta crescita e un minor metabolismo cellulare e un miglior controllo nella trasmissione dei segnali cellulari. I geni e la loro espressione possono essere “guidati” verso la longevita’ soprattutto dalla dieta, assieme allo stile di vita in generale. “Gli studi indicano ad esempio che la flora batterica intestinale ha un ruolo nell’invecchiamento: con l’andare degli anni si modifica e la capacita’ di mantenere batteri “buoni” e’ strettamente correlata alla possibilita’ di un invecchiamento di successo – osserva Nicola Ferrara, presidente SIGG – La biodiversita’ dei batteri intestinali si riduce nella terza eta’, favorendo la comparsa di infiammazione e squilibri che possono essere l’anticamera di numerose patologie: favorire attraverso una sana alimentazione il mantenimento della biodiversita’ della flora batterica puo’ aiutare ad aumentare l’aspettativa di vita in buona salute“.

I ricercatori dell’università di Yale hanno svelato il meccanismo d’azione dell’ormone della longevità, capace di allungare la vita del 40% nei topi. Questa molecola presente in tutti i mammiferi, uomo compreso, agisce contrastando l’indebolimento delle difese immunitarie dovuto all’avanzare dell’età. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista dell’Accademia americana delle scienze (Pnas).



L’ormone della longevità si chiama Fgf21 ed è una proteina appartenente alla famiglia dei ‘fattori di crescita dei fibroblasti': viene prodotta dal fegato e anche dal timo, una ghiandola molto importante dove nascono le cellule ‘guardiano’ del sistema immunitario, i linfociti T. Con l’avanzare dell’età, il timo tende a diventare ‘grasso’ e perde la capacità di produrre nuovi linfociti T: questo è uno dei motivi per cui aumenta il rischio di sviluppare infezioni e alcuni tipi di tumore. I ricercatori di Yale, guidati dall’immunobiologo Vishwa Deep Dixit, hanno scoperto che la degenerazione della ghiandola timica può essere arrestata nei topi aumentando i livelli di Fgf21, salvaguardando così la produzione dei linfociti T e le difese immunitarie. La carenza di ormone Fgf21, al contrario, accelera il processo di invecchiamento del timo.

Alla luce di questi dati, i ricercatori ipotizzano che aumentare i livelli dell’ormone della longevità negli anziani e nei malati di cancro sottoposti al trapianto di midollo osseo possa essere una nuova strategia per potenziare le loro difese immunitarie compromesse. Dato che l’ormone Fgf21 viene prodotto anche dal fegato in risposta alla mancanza di cibo (per bruciare le calorie di riserva e aumentare la sensibilità all’insulina), è possibile che in futuro si possa stimolare la sua produzione con farmaci che mimano la restrizione calorica, in modo da favorire la perdita di peso e combattere il diabete di tipo 2.

Il Nordest dell'Italia, il nord della Spagna, e la Francia occidentale e meridionale, Andorra: ecco quali sono le regioni in cui si vive di più in Europa grazie anche alla dieta mediterranea e a uno stile di vita più sano. Sono i risultati di uno studio dell'Università di Porto, pubblicato sul britannico Journal of epidemiology and community health. La ricerca ha preso in esame la percentuale di uomini e donne che nel 2001 avevano tra i 75 e gli 84 anni e che, nel 2011, erano ancora vivi, arrivando agli 85 e 94. Le aree più scure nella mappa sono quelle in cui la percentuale di 'sopravvissuti' è via via più alta e, anche a colpo d'occhio, sembra che siano sia le donne che gli uomini dei Paesi della Loira, Ile de France e Provenza quelli con uno stile di vita più sano. Parimenti lo studio evidenzia anche quelle zone in cui la percentuale si abbassa a livelli preoccupanti: sono le aree industriali del Nord Europa, in particolare in Gran Bretagna, Olanda, Danimarca e Svezia ma anche nel Sud della Spagna. In Italia contrapposte al Veneto e alla Romagna che sono le aree in cui si vive di più, la zona attorno a Napoli in Campania e tra Bari e Foggia in Puglia mostrano una percentuale sensibilmente più bassa di anziani sopravvissuti nel periodo preso in esame.



FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE





http://www.mundimago.org/



domenica 25 ottobre 2015

LE BAMBINE MAMME

.


Quattordici anni. E un bambino tra le braccia. Vero. Troppo grandi perché sia un gioco. Le mamme bambine vivono in India, Sierra Leone, Afghanistan, si chiamano Gita, Fatima, Zuna, Arshi, Darika, Humerya. Facile archiviarle come una questione da Paesi in via di sviluppo. Si chiamano, però, anche Giulia, Diana, Federica, hanno tra i 14 e i 19 anni, e in Italia sono 10 mila.

Una su quattro è minorenne. Al Nord, soprattutto sono straniere. Guardando l’intera penisola, però, l’82 per cento sono ragazze italiane, dice Piccole mamme, l’indagine presentata da Save the Children.

Ormoni incontrollabili dell’adolescenza che fanno scintille con un’educazione sessuale sommaria? Situazioni familiari disastrate? Che mamme saranno? Su che cosa matureranno le bambine che devono accelerare la crescita  nel momento in cui dovrebbero  vivere le esperienze su cui si formano le nostre identità adulte?

Ma basta distribuire preservativi come si è fatto, con tiritere moraliste e polemiche psicologiche, in alcune scuole? O serve un diverso percorso di maturazione di bambine e bambini?

E dopo, quando la bambina si ritrova tra le braccia un bambino, è sufficiente che i nonni si improvvisino nuovi genitori?

Il dato di Save The Children parla oggi di un 61 per cento di ragazze che hanno un figlio ai 17 anni compiuti e di un 95 per cento che resta incinta tra i 16 e i 17 anni.I pediatri parlano di segni di sviluppo sessuale già a sette anni. Si è abbassata l’età della maturazione fisiologica. Si fa sesso prima. Poco e male informate. E ci si scopre incinta.

Qual è, però, il giusto rimedio: abbandonare o rinunciare al bambino? Decidere di diventare madri con una valutazione sommaria delle conseguenze, magari anche da parte dei genitori? Ma che cosa possono pianificare le mamme bambine?

Difficile continuare a frequentare amichette e amichetti. Il fidanzatino, e “l’amore” che sembrava un gioco eterno nella maggioranza dei casi spariscono. E  il pupo diventa il nuovo figlio dei nonni. Si è letto, a volte, di nonni felici di accogliere la nuova creatura. Spesso però sono più spiazzati che “felici”. La ricerca ci dice che le mamme minorenni restano in famiglia, il 47 per cento con il partner, quando c’è. Ma se lui se l’è data a gambe, è il 95 per cento che resta con mamma e papà. Praticamente “bambina a vita”. E, dopo la felicità dell’evento, la ragazzina scalpita per trovare autonomia, ma non ha un euro, e si ritrova divisa tra paure e amore per il bambino e la  conflittualità diffusa con i nonni alle prese con pannolini e ansie di protezione per figlia e nipote. L’indagine di Save the Children ci dice che lavora il 19 per cento, in genere lavoretti a tempo. Difficile conciliare i tempi. E non stiamo parlando di carriere. Ma di vita. Come potranno trovare un loro posto le mamme teenager? Si può con un  figlio a 16 anni?



Il risultato è che su queste “donne” pesano gli stessi problemi di vita, economia, lavoro, conciliazione dei tempi delle mamme adulte. Con l’aggiunta di essere ancora piccole, spesso, giustamente, immature, con la voglia di discoteca e il pesante richiamo alla responsabilità degli strilli della creatura.

Senza aver avuto neppure il tempo di “sognare” un futuro per sè. Molte chiudono il percorso adolescenziale con la scuola dell’obbligo. I tre quarti della madri minorenni, dice l’indagine, ha conseguito la licenza media inferiore (74 per cento),  il 21 per cento ha raggiunto la licenza media superiore. Interrompono gli studi per restare a casa. E spesso di casa e basta si tratta. Praticamente prigioniere.

In Italia sta crescendo il numero delle ragazze madri, giovani donne che, spesso per errore, restano incinte e portano avanti la gravidanza nonostante la giovane età.

Uno studio informa che circa il 2,1% delle gravidanze in Italia è portato a termine da ragazze madri di età compresa tra i 14 e i 19 anni. Un fenomeno che secondo la SIGO (Società Italiana Ginecologia ed Ostetricia) è destinato a crescere nel nostro paese, e in particolare sta aumentando in una regione all’avanguardia come la Lombardia, mentre qualche anno fa la percentuale di ragazze madri si concentrava in Campania e in Sicilia.

Tuttavia ancora oggi Napoli si aggiudica il triste primato per numero di ragazze che partoriscono tra i 15 e i 19 anni. Solo qui ogni anno  le ragazze madri sono circa mille su un totale nazionale di 7.088  baby mamme.

Il 90% delle ragazze madri sono a loro volta figlie di ragazze madri.
Nonostante l’esperienza della maternità sia un evento speciale nella vita di una donna, queste ragazze a causa della loro giovane età sono esposte a maggiori disagi nell’arco della loro vita. Tralasciando l’aspetto psicologico di una gravidanza durante l’adolescenza, dal punto di vista sociale e professionale, le ragazze madri sono svantaggiate in quanto trovano lavoro più difficilmente degli altri, anche perché spesso abbandonano gli studi e il loro progetto di vita.

Inoltre secondo le statistiche il 68% dei padri lascia il nucleo familiare, rendendo la situazione economica della giovane mamma più complicata, in quanto, oltre a dover portare avanti la gravidanza, deve cercare un modo per mantenere se stessa e il piccolo. Quasi sempre le ragazze madri hanno alle spalle background familiari difficili, il 90% sono a loro volta figlie di ragazze madri, spesso una figura paterna è assente, hanno un livello basso di scolarità e raramente provengono da famiglie benestanti.

L'Italia è l'ultima nella speciale classifica europea per l'uso dei contraccettivi ormonali come pillola, anello vaginale, cerotto. «Siamo al pari delle irachene: solo il 16,2% delle donne del Belpaese li usa», a fronte per esempio del 41,5% delle 'cugine' d'Oltralpe.

E il quadro tracciato a Milano da NicolaSurico, past president della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), che ha presentato la la nuova campagna d'informazione sulla contraccezione 'Love it! Sesso consapevole', dedicata alle under 25 e promossa dalla Sigo in collaborazione con 'lapillolasenzapillola', progetto educazionale di Msd. Italia lontana dagli standard Ue in materia di sesso sicuro. Un gap che pesa soprattutto quando si parla di contraccettivi ormonali, usati regolarmente dal 50% delle donne olandesi, dal 35% delle britanniche e dal 30% delle tedesche. E se il tasso medio della Penisola è del 16,2%, a seconda della regione cambia il rapporto delle donne con questa forma di contraccezione: il primato spetta alla Sardegna, dove quasi una donna su 3 sceglie i contraccettivi ormonali, e mentre il Nord si mantiene sopra la media (tra il 23% della Val d'Aosta e il 16,6% del Friuli), «scendendo a Sud - fa notare Surico - il tasso diminuisce sensibilmente non superando l'8%» e toccando il 7,2% in Campania. In generale il sesso protetto non è la norma in Italia: ancora oggi 6 donne su 10 in età fertile (15-49 anni) non usano alcun metodo contraccettivo, il 15% non ne ha mai fatto uso e il 44% ha smesso di utilizzarlo. Tanto che una gravidanza su 5 è indesiderata e il 42% delle donne rimaste incinte senza averlo scelto non stava usando nessun contraccettivo.



«Innanzitutto conquistare la libertà di scelta significa proteggersi dalle gravidanze indesiderate e dalle malattie sessualmente trasmesse. E la libertà vera è frutto di una scelta consapevole», sottolinea Novella Russo, specialista in ostetricia e ginecologia della Clinica Valle Giulia di Roma. Il rapporto delle donne italiane con la pillola è particolarmente difficile. Molte soffrono in maniera forte l'ansia del contraccettivo ormonale. Il 37% abbandona la pillola per disturbi o problemi legati all'impegno quotidiano di memoria che comporta. A 8 donne su 10 è infatti capitato di dimenticare la pillola, il 30% la teme per eventuali effetti, il 42% dimostra timore di ingrassare o di avere problemi estetici, il 31% guarda con sospetto il suo dosaggio ormonale. «Ma adesso - fa presente Rossella Nappi, professore associato di Ostetricia e Ginecologia dell'università degli Studi di Pavia - è possibile individuare il contraccettivo tagliato su misura per le esigenze e lo stile di vita di ciascuna donna». Il sogno in rosa è un contraccettivo che faccia sentire libere (64%), sicure e tranquille (74%), ben tollerato e pratico da usare (65%).

Mamme a 14 anni, zainetto in spalla e biberon in mano. Sono sempre di più le teenager italiane che restano incinte prima di aver raggiunto la maggiore età. «Un fenomeno in crescita che desta preoccupazione nei ginecologi», avverte Nicola Surico, past president della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo). L'esperto, a Milano in occasione del lancio di una nuova campagna di informazione sulla contraccezione - 'Love it! Sesso consapevole', promossa da Sigo in collaborazione con il progetto educazionale di Msd 'lapillolasenzapillola' - racconta di mamme bambine, alle prese con la difficoltà di un parto in un'età non ancora matura, schiacciate dalla responsabilità di un'altra vita quando non sono ancora pienamente responsabili della loro, costrette a dividersi fra i banchi di scuola e un bebè da crescere. «Mi imbatto sempre più spesso in questi casi», spiega Surico. Effetto di una scarsa cultura del sesso sicuro. Oggi il 42% delle under 25 italiane non utilizza alcun metodo contraccettivo durante la prima esperienza sessuale. «La fascia d'età in cui abbiamo osservato un aumento delle gravidanze è quella fra i 14 e i 18 anni, anche se è difficile avere dati precisi sul fenomeno - precisa Surico - Restare incinte da adolescenti non è quasi mai un'esperienza desiderata. Gli altrettanto giovani papà spesso fuggono, i genitori sono restii ad accettare la cosa, anche se poi nella maggior parte dei casi intervengono in aiuto. Di recente mi è capitato di vedere una 16enne in difficoltà. Suo padre non voleva firmare per consentire il riconoscimento del bambino (un atto necessario, trattandosi di una minorenne). C'è voluto l'intervento del magistrato».

«Come mostra l'ultimo rapporto dell'Istituto superiore di sanità, l'età del primo rapporto si è abbassata. Succede anche a 13 anni, ma solo lo 0,3% delle ragazze possiede una buona informazione su questi temi - fa notare Novella Russo, specialista in Ostetricia e ginecologia della Clinica Valle Giulia di Roma - C'è una diffusa immaturità tra i ragazzi e le ragazze che vista la giovane età non hanno avuto il tempo di riflettere sul significato e l'importanza della prima volta». Ragazze «trascinate dagli eventi o dai comportamenti del gruppo dei pari, dal desidero di dimostrare le proprie potenzialità. Ma lo fanno senza i timori di una volta». Lo dimostrano anche le statistiche: «Le giovanissime di oggi - spiega Russo - arrivano a cambiare da 5 a 15 partner all'anno e utilizzano la contraccezione di emergenza in maniera impropria, al bisogno, cioè dopo aver avuto un rapporto a rischio». E così si finisce sotto le lenzuola, «ma secondo una recente indagine Eurisko 8 ragazze su 10 non sono pienamente informate sulla funzione degli ormoni che regolano il ciclo mestruale, 7 su 10 non sanno quali siano i giorni fertili», elenca l'esperta. Non solo: «Da un'altra indagine della Sigo - prosegue Russo - emerge che il 71% delle ragazze si ritiene al riparo dalle malattie». Il dato «allarmante - sottolinea la specialista - è che il 45% delle ragazze fra i 18 e i 26 anni non usa alcun metodo contraccettivo».

Di fronte a una gravidanza indesiderata, non poche teenager scelgono l'aborto. Se nel 2011 il tasso di abortività fra le 15-49enni è risultato di 7,8 Ivg per mille donne in età feconda, la fascia adolescenziale è quella più esposta alle conseguenze negative, anche psicologiche ed emotive, di una maternità precoce e non voluta e di un'eventuale aborto: nel 2010 il 4,2% di interruzioni volontarie di gravidanza sono state eseguite da ragazze under 18. Quello delle minorenni con il pancione, spiega Surico, «è un fenomeno che attraversa la Penisola. Se un anno la patria delle mamme bambine è la Sicilia, quello successivo il primato passa alla Lombardia. Le gravidanze delle teenager vanno prevenute. Ed è un fenomeno che va tenuto d'occhio». Che i tempi siano cambiati, ricorda Surico, lo dimostrano anche le trasmissioni in tv - come quella proposta da Mtv - che mostrano la realtà anche italiana di 16enni con bebè al seguito. Chi sono le mamme bambine? «Sono ragazze che non necessariamente provengono da famiglie disagiate - precisa l'esperto - Anzi, secondo la mia esperienza, spesso il ceto medio è più soggetto a questi casi. Genitori assenti tutto il giorno per lavoro, seconda casa al mare o in montagna a disposizione, capita così». Lo specialista è arrivato a osservare persino una concentrazione di gravidanze indesiderate scatutite da rapporti avuti nei periodi delle feste natalizie e delle vacanze estive.



giovedì 1 ottobre 2015

LGBT

.


Il termine transgender ha assunto nella lingua italiana diversi significati a seconda degli ambiti in cui è usato.

La sua origine è da identificarsi all'interno del movimento LGBT, nato negli Stati Uniti d'America intorno ai primi anni ottanta, per indicare un movimento politico che contesta la logica eterosessista e genderista secondo la quale i sessi dell'essere umano sono solo due, che l'identità di genere di una persona debba necessariamente combaciare con il sesso biologico e che il tutto debba restare immodificabile dagli esseri umani.

Il termine "transgender", quindi, nasce come termine ombrello dentro cui si possono identificare tutte le persone che non si sentono racchiuse dentro lo "stereotipo di genere" normalmente identificato come "maschile" e "femminile".

Il transgenderismo sostiene che l'identità di genere di una persona non è una realtà duale "maschio/femmina", ma un continuum di identità ai cui estremi vi sono i concetti di "maschio" e "femmina".

In questo senso il transgenderismo è da considerarsi come un movimento politico/culturale che propone una visione dei sessi e dei generi fluida e che rivendica il diritto di ogni persona di situarsi in qualsiasi posizione intermedia fra gli estremi "maschio/femmina" stereotipati senza per questo dover subire stigma sociale o discriminazione.

Da questo punto di vista sotto il termine "ombrello" di "transgender" possono identificarsi:

la persona transessuale operata (che ha raggiunto a tutti gli effetti e in tutto e per tutto il genere sentito proprio).
la persona transessuale non operata o parzialmente operata (che ha lasciato integri i genitali di origine ma ha effettuato altri interventi di modifica fisica o estetica).
la persona genderqueer (femmina genetica o maschio genetico di qualsiasi orientamento sessuale) che non si riconosce nel binarismo/dicotomia uomo/donna, rifiutando così lo stereotipo di genere che la società e la cultura locale impone ai due sessi. In questo senso e in questa accezione del termine, che però è la meno conosciuta in Italia, alcuni ritengono che transgender e "queer" siano due termini-ombrello fra loro sovrapponibili.
la persona crossdresser, termine che tende a sostituirsi sempre più alla dicitura "travestito" perché associato, quest'ultimo, alla parafilia. In questo senso il crossdresser è una persona che si traveste, in privato e/o pubblicamente, senza implicazioni di eccitazione sessuale, per esprimere la propria identità di genere e/o il proprio ruolo di genere interiore; il crossdressing può essere praticato sia da una donna che da un uomo, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale.



Nel tempo e nella trasposizione del termine nella cultura italiana la parola transgender ha assunto diversi ed altri significati che poco hanno a che vedere con l'origine del termine inteso come "movimento politico culturale". Questa seconda accezione è ormai diventata più popolare di quella originale.

La traduzione italiana di transgender sarebbe transgenere, ma questo termine non si è radicato nell'uso comune e quindi un termine "importato" dall'inglese e lasciato in prevalenza immutato.

Nella terminologia psicologica, psichiatrica, endocrinologica e legale il termine "transgender" viene utilizzato in termini semplificativi per indicare una persona transessuale non operata ai genitali. Secondo questa accezione del termine quindi transgender diventa un termine per indicare solamente una sottocategoria delle persone transessuali, e per separare il/la transessuale operato/a (ai genitali) da quello/a non operato/a.
Così come per il transessualismo anche per il termine "transgender" vi è una totale e netta differenziazione sulla declinazione al maschile o al femminile fra mondo accademico e movimento transgender/transessuale.
Analogamente al transessualismo, i testi medici e legali declinano (salvo rarissime eccezioni) il termine al maschile per le persone che effettuano una transizione da maschio a femmina (androginoide) e al femminile per le persone che effettuano una transizione da femmina a maschio (ginoandroide).
Dando così la prevalenza alla genetica rispetto all'identità di genere della persona.
Tale utilizzo della declinazione è fortemente contestato dal movimento transgender e transessuale (e dal movimento GLBTQ) in quanto ritiene che sia da far prevalere l'identità di genere della persona sul mero dato biologico di nascita.
Semplificando: la persona nata maschio che assume l'identità femminile e di conseguenza anche un nome femminile (poniamo ad esempio "Anna") per la cultura scientifica è "il" transgender Anna, per il movimento è invece "la" transgender Anna.

L'utilizzo accademico della coniugazione del termine peraltro spesso fatto proprio dal giornalismo e dai media ha la controindicazione di determinare veri e propri "salti mortali" nella lingua italiana. Esemplificando: "IL" transgender Anna è andato o è andata a fare la spesa"? Il nome Anna si coniuga in genere al femminile, ma per una persona transessuale o transgender lo si coniuga al maschile con ciò determinando una sorta di discrimine fra la "Anna" donna genetica e la "Anna" transessuale o transgender.
Ed è proprio per questo fatto che la declinazione utilizzata dal mondo accademico viene contestata dal movimento transgender e transessuale in tutto il mondo ed anche in Italia.

Una terza accezione del termine "transgender" è quella che sostituisce il termine "transessuale", sovrapponendosi ad esso.
La ragione, anch'essa nata all'interno del movimento LGBT o GLBT è da trovarsi nel fatto che il termine "transessuale" è di per sé impreciso, se non errato dal punto di vista clinico. In realtà qualsiasi persona operi una transizione sessuale, agisce sul "gender", sul genere sessuale e non sul sesso che, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, è e resta immutabile.
Quindi transgender può anche essere usato al posto di transessuale, peraltro cancellando la dicotomia fra "operati" e non operati che poco interessa il "gender" ma molto invece interessa il "sesso" di una persona.



Un uomo su 40 mila e una donna su 150 mila soffrono di un disturbo dell’identità di genere. In Italia si fanno all’anno 24 interventi per diventare femmina e 7 per diventare maschio.

Le cause oltre a quelle psicologiche, ambientali e familiari, i nuovi studi sostengono che vi sia una anomala azione degli ormoni materni durante la gravidanza. Analizzando cervelli di transessuali con la risonanza magnetica è stato osservato che queste persone presentano strutture più simili a quelle del genere psicologico rispetto a quelle del sesso fisico. Rispetto al passato si esce maggiormente allo scoperto, perché si è appoggiati dalla legge e da specialisti competenti che lavorano in centri di riferimento pubblici. In Italia nel 1982 la legge ha approvato gli interventi per il cambio di genere sessuale.

Chi decide di cambiare sesso, deve seguire un percorso delineato dalle linee guida dell’Onig (osservatorio nazionale sull’identità di genere). Per sei mesi rimane in osservazione con colloqui psicologici e indagini ormonali, cui segue un periodo di “test di vita reale” e somministrazione di ormoni. A quel punto medici e psicologi, consegnano le relazioni al tribunale di residenza, che può avvalersi di un consulente (Ctu). Una sentenza consentirà l’intervento di rassegnazione chirurgica dei caratteri sessuali e l’adeguamento dei dati anagrafici.

La trasformazione dei genitali esterni maschili in caratteri femminili comporta un periodo demolitivo (asportazione dei testicoli e del pene) e uno ricostruttivo (creazione di una vagina e di genitali esterni simili a quelli femminili).
La cute scrotale viene usata per la creazione delle grandi labbra e negli ultimi anni è stata studiata una tecnica che permette di ricostruire il clitoride, collocandolo nella sede naturale. Sotto al clitoride viene sistemata l’uretra e sotto ancora la neovagina che però non ha una lubrificazione autonoma.
Per quanto riguarda il seno molti decidono di farlo sviluppare con la terapia ormonale, anziché ricorrere alla chirurgia.

La trasformazione da donna a uomo è molto più complicata e prevede vari tempi operatori.
La prima fase consiste nella riduzione mammaria (prima ormonale e poi chirurgica per dare l’aspetto di un torace maschile). Poi segue l’Istero–annessectomia con un unico intervento chirurgico di asportazione di utero e ovaie. La vagina, in genere, non viene rimossa perché tende a ridursi spontaneamente e, se richiesto, può essere asportata successivamente. A questo punto è necessaria la falloplastica (un intervento opzionale che non tutte le persone con Disturbo dell'Identità di Genere vogliono effettuare).
Esistono diversi metodi chirurgici a seconda di ciò che si vuole ottenere:
realizzazione di un organo di forma cilindrica simile al pene per una funzione estetica;
costruzione di neouretra che permetta la fuoriuscita dell’urina all’apice dell’organo costruito per una funzione urinaria;
inserimento nel fallo di una protesi del tipo di quelle usate per l’impotenza con possibilità di rendere rigido l’organo costruito e idoneo a rapporti sessuali con penetrazione per una funzione sessuale.



FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE





http://www.mundimago.org/



Post più popolari

Elenco blog AMICI