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domenica 30 agosto 2015

L'AMORE HA ETA'?

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Le relazioni fra uomini più vecchi e donne più giovani sono meno disapprovate dalle famiglie e dalla società di quanto non lo siano quelle fra uomini giovani e donne più vecchie.

I genitori possono pensare che un uomo con più anni rappresenti una ‘sicurezza' per una giovane figlia; potranno però avere da obiettare sul fatto che la figlia sarà obbligata a curare un uomo vecchio mentre lei sarà ancora giovane.
Per un carattere altruista questo non sarà un problema, ma una ragazza vivace e amante del divertimento potrebbe trovarsi in difficoltà. Un'altra obiezione potrebbe essere quella che lei rischia di diventare una giovane vedova e trovarsi con una famiglia da tirar su.

Le reazioni delle altre donne sue coetanee dipenderanno da come queste giudicano la situazione in confronto alla loro. Se la ritengono migliore potrebbero diventare gelose, altrimenti la compatiranno per essersi legata ad un vecchio.

Le donne sposate con dei coetanei del partner della giovane donna potranno prenderla in uggia se i loro mariti si mostreranno entusiasti di lei.

Essa non avrà molte occasioni di trovarsi con i suoi coetanei, e se le capitasse questi potrebbero pensare di averla facilmente a tiro.

Non è certamente più facile trovare la felicità nella relazione con un partner più vecchio o più giovane che in una relazione convenzionale.



Sia la donna matura che sta con un giovane che la donna giovane che sta con un uomo più vecchio, dovranno affrontare dei problemi insoliti.

Siccome la scelta del partner non è solita, la famiglia e gli amici si sentiranno in diritto di sottolineare tutti gli svantaggi cosa che non farebbero con una coppia tradizionale.

I partner saranno quindi ben coscienti delle difficoltà cui vanno incontro.

Ma se questo tipo di coppia riflette seriamente sulle motivazioni e sui bisogni reciproci, e se giunge alla conclusione che essi si completano e si integrano allora la possibilità di essere felici non dovrebbe essere minore di quella di qualsiasi altra coppia.

La teoria trova dimostrazione nelle scelte di uomini intorno ai cinquant’anni con un reddito e posizione sociale alti; parlamentari e industriali, uomini dello spettacolo e liberi professionisti, rarissimi i pensionati, gli impiegati e gli operai. Il bisogno di applicare la legge dell’inversamente proporzionale delle relazioni di coppia, quella per cui più aumenta l’età maschile più diminuisce quella femminile, si spiega con quella crisi di mezza età che fa venire voglia a molti over 50 di dimostrare a se stessi di essere ancora al top, fisicamente e sessualmente, e di rivivere le sensazioni dei 20/30 anni. Per loro hanno trovato un efficace nome: papi-boys, uomini convinti che la giovinezza si trasmetta come un virus attraverso un rapporto sentimentale con una donna nel fiore degli anni. Salvo eccezioni, il più delle volte la ragazza che si fidanza con un uomo âgè (a volte più anziano del padre) non si getta tra le sue braccia per un innamoramento incontrollabile e spontaneo. L’elenco di italiani con compagne giovanissime potrebbe essere lunghissimo, ma il primo posto lo conquista colui cui si deve anche il neologismo papi-boy, l’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi, seguito dall’onorevole Pierferdinando Casini, e poi da Flavio Briatore marito della giovanissima Elisabetta Gregoraci, e dal cantante Andrea Boccelli fresco di seconde nozze con una donna più giovane di lui di 20 anni. Oltreoceano, fece molto scandalo il matrimonio di Woody Allen con la giovanissima figlia adottiva e molte pagine della cronaca rosa si occuparono del matrimonio “a contratto” tra il brizzolato Michael Douglas e la giovane Catherine Zeta Jones.



Niente di nuovo, dunque, ma qual è la vera ragione per cui molti uomini “attempati” preferiscono le donne giovani? E cosa tiene unite queste coppie?
L’esperta: «Molti uomini hanno uno stile di vita sano, fanno sport, mangiano, viaggiano e si divertono. Si può dire che l’aspetto fisico e la mentalità di un uomo di 50 anni di oggi sia simile a quello di un 30enne di qualche decennio fa. Non stupisce, quindi, che un uomo maturo possa scegliere una compagna molto più giovane, né che una ragazza bella e indipendente possa essere felice con uomo dell’età del padre. A differenza di un trentenne, il compagno maturo non ha paura di un legame stabile, anzi è il momento in cui cerca un rapporto di coppia solido, ha raggiunto una sicurezza economica e un livello di vita che difficilmente un trentenne precario o a partita IVA può dare. La pillola blu ha risolto i problemi della “figuraccia” a letto, in più, grazie all’esperienza raggiunta con l’età, riescono a soddisfare i bisogni delle compagne giovani con più generosità dei trentenni. In questi rapporti la carta vincente è lo scambio di esperienze: l’uomo offre la sua maturità e il suo stato sociale, la ragazza ricambia con la freschezza del suo corpo e l’energia vitale della sua età. Con vantaggi reciproci». spiega Alessandra Graziottin, direttrice del Centro di ginecologia e sessuologia medica dell’ospedale San Raffaele Resnati di Milano.

Sono in aumento anche le coppie in cui  la donna è più grande dell’uomo di 10 e più anni.
Un tempo inaccettabili dal punto di vista culturale al punto tale di essere impensabili, ora si stanno tranquillamente diffondendo : sempre di più di frequente ragazzi scelgono partner più adulte non per l’avventura di una sera ma per una storia importante o addirittura  per la  convivenza o matrimonio.

Contrariamente allo stereotipo, le donne non scelgono un uomo più giovane per realizzare un ruolo materno non vissuto o vissuto solo parzialmente.
Quando una donna si innamora di  ragazzo non vede in lui il sostituto del figlio mai avuto  (o già cresciuto e non più bisognoso di cure materne) e  non  cerca nel partner  qualcuno da proteggere e da accudire.
Al contrario, le relazioni con uomini più giovani hanno spesso un effetto rivitalizzante sulla psiche della donna che le vive e la fanno sentire giovane e viva per la prima volta dopo molto tempo.
Spesso le donne che si innamorano perdutamente di un ragazzo più giovane sono donne molto responsabili che hanno fatto delle scelte nella vita  convenzionali.
Non di rado l’incontro con il giovane amante avviene dopo la fine di un matrimonio o di un rapporto importante che hanno lasciato un vissuto di fatica, pesantezza e delusione e  l’incontro rappresenta  una boccata d’aria fresca.
Nel rapporto con l’uomo più  giovane la donna adulta  entra in contatto con  delle parti di sé più libere e spontanee che non ha vissuto pienamente in precedenza o che ha accantonato crescendo.
Riscopre l’entusiasmo, la capacità di sognare, potenzialità ed interessi che sono stati abbandonati nel corso degli anni per far fronte ai dettami della vita adulta.



Il legame con una persona più giovane hai infatti una componente di spontaneità e giocosità che può  essere difficile da trovare in un rapporto con un coetaneo, specialmente se si hanno superato i quarant’ anni.
Un  ragazzo ha un bagaglio esistenziale ed esperienziale più leggero rispetto a quello di un uomo più adulto e questo fa si che affronti la relazione con maggior entusiasmo e spensieratezza.
Per questo motivo  gli amori con un uomo più giovane cominciano spesso con uno slancio ed una carica di romanticismo  che possono mancare in una relazione tra due adulti , specie  se divorziati con figli che devono scrivere insieme le pagine della loro storia con la fatica di rimettersi in gioco e dovendo superare la diffidenza e la paura di soffrire.
Un’altra tipologia di donna attratta da uomini più giovani è quella della donna bambina.
Si tratta di giovani donne ( per esempio trentenni) che hanno paura di crescere e che tendono a rimandare scelte importanti come il matrimonio e la maternità.
L’attrazione per il ragazzo più giovane con cui non è possibile progettare un futuro ( perchè, per esempio lui è ancora uno studente) consente di rimanere ancora per qualche anno in una condizione adolescenziale.
In genere questo sono coppie paritarie, nonostante la differenza d’età, anzi, spesso è lui che è più maturo dei suoi anni, a sentirsi l’adulto della coppia.
In una minoranza dei casi, invece, la scelta di un partner molto  più giovane nasce da problematiche di tipo narcistico e dalla paura di invecchiare.
In casi come questi , si ha bisogno di un fidanzato giovane e prestante da esibire al mondo per rassicurarsi sulle proprie capacità seduttive.



In molti casi gli uomini che si sentono attratti da una lei più adulta sono più maturi della loro età e hanno una forte spinta verso l’autorealizzazione e un  grande desiderio di autonomia dalla famiglia d’origine.
Nella scelta di una partner più vecchia di parecchi anni c’è l’iniziazione ad un mondo più adulto.
La donna più grande affascina perché ha già conquistato certe tappe ( per esempio abita da sola)  ed  è più indipendente e autonoma rispetto ad una coetanea.
Un’altra delle ragioni per cui un ragazzo sceglie una donna più grande è che questa viene percepita come più rassicurante rispetto ad una ragazza della stessa età.
La donna più adulta generalmente  è più paziente , meno aggressiva ed esigente di una coetanea e capace di essere all’occorrenza un po’ mamma. E’ spesso questo mix di caratteristiche tra indipendenza, senso materno e una sessualità rassicurante  ed esperta a sedurre il cuore di un giovane uomo.

Le statistiche non sono favorevoli alla durata delle unioni in cui tra i due partner c’è molta differenza di età  specialmente se ad essere più grande è la donna.
Ma la vita non è una statistica ed è triste rinunciare ad un grande amore o vivere una storia a metà perchè un giorno potrebbe finire.
Sulla durata di queste coppie incide  molto l’ entità della differenza di età , la maturità personale e la qualità del rapporto che si è costruito insieme.

Lasciare ad un  uomo i suoi spazi è di vitale importanza, tanto più se lui è  giovanissimo. Non poche  donne si sentono inquiete quando  lui esce con i suoi amici ventenni, nessuno dei quali ha l’ombra di un rapporto stabile, a fare bravate per tutta la notte. L’amore, però, si basa sulla fiducia e queste uscite goliardiche non vanno ostacolate perché rappresentano una valvola di sfogo. Se non si consente al partner di vivere la sua età e si pretende da lui una maturità superiore a quella che può avere, si creano le premesse per un futuro pieno di problemi.

Le coppie in cui c’è una differenza di età, a causa del biasimo sociale che riscuotono,  tendono ad isolarsi nel loro mondo fatto di passione e tenerezza.  Ma l’innamoramento prima o poi passa e per durare nel tempo  una coppia ha bisogno di stimoli, di amicizie e di progetti che facciano da collante, soprattutto nei momenti in cui l’intesa è un po’ in crisi

Nelle coppie con differenza di età  gli argomenti sul futuro della coppia vengono spesso evitati, anche dopo anni insieme, per paura di sollevare conflitti insanabili.
Cosi lei , ormai sui 35 anni spera che quando lui avrà  trovato lavoro voglia sposarsi e mettere su famiglia .
Lui, invece, non sente l’esigenza di paternità e per sposarsi vorrebbe aspettare ancora qualche anno per avere una situazione più solida.
Gli argomenti sul futuro insieme andrebbero affrontati in modo approfondito in modo da poter decidere di conseguenza.





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martedì 17 febbraio 2015

RAZZISMO NELLA STORIA

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 L'ONU condannò il razzismo con la Dichiarazione sulla razza dell'UNESCO (1950) e con una Convenzione del 1965 che definì discriminazione razziale ogni differenza, esclusione e restrizione dalla parità dei diritti in base a razza, colore della pelle e origini nazionali ed etniche. Nel 2000 il 21 marzo fu proclamato giornata mondiale contro il razzismo, in memoria dell'eccidio di 69 neri nel 1960 a Sharpeville (Sudafrica). Organizzazioni umanitarie non governative, come SOS Razzismo, nata in Francia ma operante in tutto il mondo, anche in Italia (dal 1989), si battono per sconfiggere il razzismo e ogni forma di discriminazione. Da anni l'Unione Europea invita con direttive gli Stati membri a dotarsi di leggi antidiscriminazione.La prima teoria 'scientifica' della differenziazione biologica dell'umanità in razze fu la classificazione in base al colore della pelle operata da C. Linneo nel 1735. Il testo che diede un impulso decisivo alla diffusione delle idee razziste fu il Saggio sull'ineguaglianza delle razze umane (1853-55) di J.-A. de Gobineau, che sostenne la superiorità biologica e spirituale della razza ariana germanica. Per H.S. Chamberlain (I fondamenti del 19° secolo, 1900) la storia era un'eterna lotta tra ariani, razza spiritualmente nobile, ed ebrei, ignobili e meschini. L'antiebraismo religioso si era trasformato in antisemitismo razzista, diffuso in gran parte d'Europa, dalla Russia dei pogrom alla Francia dell'affaire Dreyfus. Anche l'evoluzionismo di C. Darwin fu strumentalizzato per cercare di avvalorare le tesi razziste sostenendo che il dominio imperialistico sul mondo dimostrerebbe la superiorità biologica della razza bianca, più adatta ad affrontare la lotta per la vita e la selezione naturale. Inoltre, furono condotte misurazioni antropometriche che avrebbero dovuto rivelare la maggior intelligenza, vitalità e moralità della razza bianca e furono avanzate teorie eugenetiche che invitavano a preservare i caratteri migliori della razza impedendo il meticciato e la riproduzione degli individui peggiori. C. Lombroso, infine, sostenne che gli italiani meridionali sono biologicamente più predisposti alla delinquenza dei settentrionali.

Il termine razzismo, nella sua definizione più semplice, si riferisce ad un'idea, spesso preconcetta e comunque scientificamente errata, come dimostrato dalla genetica delle popolazioni e da molti altri approcci metodologici, che la specie umana (la cui variabilità fenotipica, l'insieme di tutte le caratteristiche osservabili di un vivente, è per lo più soggetta alla continuità di una variazione clinale) possa essere suddivisibile in razze biologicamente distinte, caratterizzate da diverse capacità intellettive, valoriali o morali, con la conseguente convinzione che sia possibile determinare una gerarchia secondo cui un particolare, ipotetico, raggruppamento razzialmente definito possa essere definito superiore o inferiore a un altro.
A livello colloquiale, il termine razza riferito alla specie umana provoca frequenti fraintendimenti, anche per l'utilizzo differente da quello della lingua inglese che possiede termini come race (anche in senso generico), kind (tipo, razza), breed (nel senso di ceppo zoologico) e progeny (nel senso di progenie, schiatta); con la traduzione nel differente contesto linguistico italiano, si verificano facilmente slittamenti di senso. In senso scientifico (di scienza attuale) ed in lingua italiana le razze umane non esistono, e quelle zoologiche sono confinate nel campo zootecnico degli animali domestici. La specie umana, come diverse altre, è soggetta ad una continua variazione clinale, senza soluzione di continuità da un gruppo ad un altro.

Il concetto di cline è stato variamente utilizzato in campo scientifico anche per lo studio di popolazioni del passato. Il clustering genetico, la possibilità di analisi matematica (Cluster analysis) dei parametri biologici di una popolazione e del grado di somiglianza dei dati genetici tra individui e gruppi per inferire strutture di popolazione e quindi assegnare gli individui a gruppi, che spesso corrispondono alla loro discendenza geografica auto-identificata, è fattibile, anche utilizzando l'analisi delle componenti principali. Ci possono essere molteplici varianti di dati geni nella popolazione umana (polimorfismo). Molti geni non sono invece polimorfici, che significa che solo un singolo allele è presente nella popolazione. Queste ed altre tecniche permettono di riunire gli individui in gruppi arbitrari, utili ad esempio per lo studio di determinate patologie, e di identificare incidenze delle stesse, differenti in gruppi differenti. Questi fatti non implicano minimamente una reale suddivisione della specie, continua ed interfeconda.

Non ci sono due esseri umani geneticamente identici. Anche i gemelli monozigoti, che sviluppano da uno zigote, hanno frequenti differenze genetiche dovute a mutazioni che si verificano durante lo sviluppo. Le differenze tra gli individui, anche strettamente correlati, sono la chiave per tecniche come il fingerprinting genetico. I principali elementi di variazione biologica umana hanno distribuzioni indipendenti e non possono essere compresi se l'ipotetica esistenza di "razze" viene assunta come punto di partenza.

Più analiticamente si possono distinguere diverse accezioni del termine:

storicamente rappresenta un insieme di teorie con fondamenti anche molto antichi (ma smentite dalla scienza moderna) e manifestatesi in ogni epoca con pratiche di oppressione e segregazione razziale, che sostengono che la specie umana sarebbe un insieme di razze, biologicamente differenti, e gerarchicamente ineguali. Tra gli ispiratori ideologici degli aspetti contemporanei di questa teoria vi fu l'aristocratico francese Joseph Arthur de Gobineau, autore di un Essai sur l'inégalité des races humaines (Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane, 1853-1855). Nel XIX secolo quello che sarebbe stato poi definito razzismo nel secolo successivo ebbe rilevanza scientifica, al punto da venire oggi chiamata dagli storici razzismo scientifico.
Intorno al 1850 il razzismo esce dall'ambito scientifico e assume una connotazione politica, diventando l'alibi con cui si cerca di giustificare la legittimità di prevaricazioni e violenze verso etnie, raggruppamenti culturali, ed altro, diversi dai propri. Alcune delle massime espressioni di questo uso sono stati il nazionalsocialismo in Europa e il Ku Klux Klan nel Nuovo Mondo.
In senso colloquiale definisce ogni atteggiamento attivo di intolleranza (che può tradursi in minacce, discriminazione, violenza) verso gruppi di persone identificabili attraverso la loro cultura, religione, etnia, sesso, sessualità, aspetto fisico o altre caratteristiche. In tale senso, però, sarebbero più corretti, anche se sono raramente usati nel linguaggio popolare corrente, termini come xenofobia o meglio ancora etnocentrismo.
In senso più lato, e di uso non appropriato, comprende anche ogni atteggiamento passivo di insofferenza, pregiudizio, discriminazione verso persone che si identificano attraverso la loro regione di provenienza, cultura, religione, etnia, sesso, sessualità, aspetto fisico, accento dialettale o pronuncia difettosa, abbigliamento, abitudini, modo di socializzarsi o altre caratteristiche.

Tradizionalmente, con il termine razzismo si riconduceva alla composizione di razza, dal latino generatio oppure ratio, con il significato di natura, qualità e ismo, suffisso latino -ismus di origine greca -ισμός (-ismòs), con il significato di "classificazione" o "categorizzazione", qui inteso come astratto collettivo, sistema di idee, fazione e, per estensione, partito politico che può sottintendere significati differenti. Oggi l'etimologia viene in genere interpretata in modo diverso, in quanto si suppone che il termine razza italiano, così come gli equivalenti nelle altre lingue neolatine, derivi dal francese antico haraz o haras, allevamento di cavalli; per falsa divisione del termine unito all'articolo, l'haraz diventa così la razza.
Grazie alla genetica, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, la biologia considera ormai assodato il fatto che tutti i componenti della specie Homo sapiens sapiens costituiscano un solo insieme omogeneo e che due gruppi etnici qualsiasi, il cui aspetto sia stato modificato dall'adattamento ad ambienti esterni diversi, possano essere apparentemente molto diversi, ma, in realtà, assai vicini dal punto di vista genetico. Al contrario, popolazioni che condividono un aspetto simile possono essere geneticamente più distanti rispetto a popolazioni di "razze" diverse.
Il termine razza non è in ogni modo utilizzato in biologia per la classificazione tassonomica ma solo in zootecnia e viene applicato solamente agli animali domesticati.

Per fare un esempio, la diffusione di un determinato allele in popolazioni diverse può presentarsi con maggiori somiglianze fra una popolazione europea ("bianca") ed una africana, che fra due popolazioni europee. Le differenze tra le cosiddette "razze" umane riguardano infatti unicamente l'aspetto esteriore, modificato per adattarsi all'ambiente man mano che la specie umana si diffondeva per tutto il mondo; ed ovviamente l'aspetto esteriore è il dato che salta maggiormente all'occhio. Tuttavia esso coinvolge una frazione relativamente insignificante dell'intero genoma dell'uomo. Ecco perché individui che discordano vistosamente su pochi geni, relativi al colore della pelle o al taglio degli occhi, possono poi condividere caratteristiche genetiche molto più complesse ed importanti, anche se non altrettanto vistose.

Anzi, se c'è un aspetto che caratterizza l'Homo sapiens sapiens al paragone con molte specie animali, esso è semmai la straordinaria omogeneità genetica, causata dal fatto che tutti gli esseri umani discendono da un numero ristretto di antenati, evolutisi in un tempo assai recente (circa centomila anni fa), e rimescolatisi di continuo nel corso della loro storia. Eventuali differenze fenotipiche esteriori, si possono al più collocare nella cosiddetta variazione geografica o cline, nello studio strettamente tecnico riguardante la genetica delle popolazioni.

Il discorso, di tipo generale, è ugualmente estendibile ad aspetti di ambito medico quali la distribuzione nella popolazione delle patologie, o la relativa diversa sensibilità ai farmaci.

Questa premessa non era e non è condivisa dal razzismo. Secondo l'ideologia razzista, le differenze di aspetto rispecchiano la divisione effettiva in razze della specie umana. Particolare non secondario, il razzismo professa sempre la superiorità di una "razza" rispetto ad altre, sostenendo che la "razza" superiore è quella a cui appartiene il sostenitore del razzismo, e giustificando così un'eventuale discriminazione e/o oppressione di coloro i quali sono considerati inferiori.

Il razzismo, inteso come teoria pseudoscientifica, fu una delle giustificazioni ideologiche del colonialismo del XIX e XX secolo, del mantenimento della schiavitù nel XIX secolo, oltre che della discriminazione di gruppi sociali in condizioni di inferiorità, come per esempio nel caso dell'apartheid.
Il razzismo scientifico è stato preceduto e seguito da altre forme di razzismo organizzato, detto anche pre-scientifico. Nel merito di quest'ultimo la parola "razza" non è sempre riferita a un tipo biologico, ma al senso più generale di "categoria" o "genere". Quest'altra forma di razzismo non è meno importante, e in dettaglio prende molti nomi specifici a seconda dell'oggetto della discriminazione: classismo se riferito alla discriminazione in base alla classe sociale, casteismo se in base alla casta di appartenenza, sessismo se in base al sesso, ecc.

Tesi dominante oggi, che tenta di spiegare le cause del razzismo organizzato e scientifico, è quella utilitarista: il razzismo, cioè, nascerebbe prevalentemente da motivi di utilità politica, a difesa dei privilegi, dell'economia e del potere di una fazione contro l'altra.

Il razzismo "individuale" invece è considerato dalla psicologia un grave disturbo mentale di tipo narcisistico, come anche la xenofobia.

Le teorie razziste nacquero nel Medioevo allorché i sovrani cristiani vollero impadronirsi dei beni dei banchieri ebrei; si svilupparono poi nel XVI secolo, quando Spagna e Portogallo impiegarono schiavi Africani per le loro colonie. Esse assunsero un'importanza politica nel XIX secolo quando cominciò a diffondersi il mito della razza ariana. Questa ipotetica razza servì a Joseph Arthur de Gobineau per giustificare i privilegi dell'aristocrazia e spiegare l'antagonismo tra essa e le masse popolari. Però la maggior parte delle suddivisioni storiche datano l'inizio della storia moderna al 1492, e anche le radici del razzismo moderno si legano a questa data.
A seguito dell'unificazione delle corone spagnole, il 31 marzo 1492 Ferdinando II d'Aragona ed Isabella di Castiglia firmano il decreto che espelle tutti gli Ebrei dalla Spagna. L'inquisizione spagnola, personificata nella figura di Tomás de Torquemada diventa il braccio attivo della politica della corona nell'attuazione della epurazione.
Si crea il concetto di purezza del sangue, base ideologica degli statuti di limpieza de sangre promulgati alla fine del secolo.
Nello spirito di questi statuti, tesi a analizzare la stirpe originaria della persona, non il suo credo religioso attuale, si riconoscono infine quelli promulgati nel 1496 da Papa Alessandro VI dove si approva un codice di purezza anche per gli ordini monastici, come quello dei Hieronymiti.
Questi sono primi esempi classici di razzismo ideologico con profonde radici utilitaristiche. Durante il periodo dell'espulsione di alcune centinaia di migliaia di persone, le vittime furono numerose. Con questo atto si pose fine a una lunghissima convivenza produttiva sul territorio iberico di tutte le etnie del mediterraneo. Il massacro di Lisbona del 17 aprile 1506, viene ricordato come un'altra vicenda atroce (migliaia di morti in poche ore, molti dei quali arsi vivi) della penisola Iberica, figlia delle conseguenze delle leggi razziali dell'epoca.

Un fattore da considerare in una prospettiva storica, è che il razzismo è un fenomeno connesso all'età coloniale, quando le grandi potenze europee svilupparono ideologie razziste per risolvere la dissonanza tra valori cristiani di eguaglianza e carità e lo sfruttamento delle popolazioni indigene in America come in Africa.

Prima di quest'epoca la xenofobia può spesso esprimersi direttamente come tale: l'altro è inferiore in quanto "non è come noi" e ci è "quindi" ostile (in greco antico ξενός, "xenos", significa sia "straniero" che "nemico"), perché parla una lingua diversa dalla nostra ("barbaro" in greco significa letteralmente "il balbettante"), perché non professa la nostra religione, perché non si veste come noi (in molte lingue i concetti di "straniero", "strano" ed "estraneo" hanno la stessa radice linguistica, che in italiano è quella del latino "extra": "che viene da fuori").

Tuttavia la società antica preferisce stratificare l'umanità in base a concetti castali, più che razziali: il nobile è ovviamente superiore al plebeo, e il plebeo libero è superiore allo schiavo. Ed ovviamente le caratteristiche dell'individuo inferiore (il suo modo di parlare, di vestire, di comportarsi) "giustificano" pienamente la sua condizione sociale inferiore. Inoltre non va dimenticato che per la gran parte le società premoderne (come ancora molte delle società moderne) sono sessiste, ritenendo cioè che tutti i maschi della razza umana siano biologicamente superiori (più forti, più intelligenti, più morali...), per il solo fatto di essere tali, a tutte le femmine della razza umana.

Ciò detto, la mentalità premoderna in generale non avrebbe giudicato uno schiavo bianco superiore a un nobile - ad esempio - arabo in base alla sua sola appartenenza a una presunta "razza". Se si cercava una superiorità, essa veniva trovata nella cultura, nell'etnia, nella religione: ogni cristiano è superiore ad ogni infedele, dunque anche uno schiavo cristiano è, "moralmente", ma non socialmente, superiore a un principe musulmano. Ma se il principe musulmano si converte al Cristianesimo, viene meno tale inferiorità e prevale nuovamente la superiorità sociale di casta.

La società premoderna considera insomma la "razza" non come un dato immutabile e di primo piano, ma come un dato transitorio e secondario, destinato ad annacquarsi col passare delle generazioni: si ebbero così papi discendenti da famiglie ebraiche convertite, o bastardi di nobili generati con schiave nere (quindi mulatti) legittimati dai loro genitori (per esempio, Alessandro de' Medici detto "il Moro"), come pure ex schiavi "mori" nordafricani (come per esempio Leone Medici/Leone Africano) adottati da nobili famiglie.

Tutto ciò non implica accettazione del diverso: la società antica ha anzi un vero orrore per le novità e la non-conformità; implica però che la diversità motivata dall'appartenenza razziale appare ai nostri avi meno importante di altre diversità, come quelle legate al "rango sociale" o di altro tipo, che invece per la mentalità moderna sono meno importanti. Non a caso il razzismo in quanto ideologia pseudoscientifica sorge nel momento in cui questo antico criterio di valutazione è ormai in piena crisi dopo la Rivoluzione francese, e non è un caso che uno dei suoi fondatori, de Gobineau, sostenga la superiorità della razza germanica solo per giustificare la superiorità della classe sociale che secondo lui ne discende in Francia (la nobiltà, che è la classe a cui egli appartiene ed il cui monopolio assoluto del potere egli vuole giustificare in questo modo).

A questa generalizzazione si oppone la già citata "limpieza de sangre" "purezza di sangue" che la nobiltà iberica propone nel tardo Rinascimento per respingere l'ascesa degli ebrei e dei moriscos convertiti al cristianesimo, e quindi (teoricamente) integrati nella società spagnola dell'epoca. Quindi, una volta di più, il razzismo quattro-cinquecentesco è un'ideologia escogitata da una casta endogama, e non da una "razza", intesa in senso biologico.

Il concetto di "limpieza de sangre" sarebbe stato applicato anche ai danni delle popolazioni indigene dell'America prima, ed agli schiavi neri ivi importati poi, nonché degli iberici spagnoli che si erano mescolati con essi, creando una società in cui la stratificazione sociale era legata anche al gruppo etnico di appartenenza. Una società estremamente conscia dell'appartenenza razziale, al punto da conoscere non solo concetti come quello di "mulatto" o "meticcio", ma anche quelli di quarteron e octavon, cioè di persona con solo un quarto o un ottavo di sangue nero, o di zambo, cioè meticcio metà nero e metà indio, e via via con ulteriori sottodivisioni.

Paradossalmente, però, tale acuta coscienza delle differenze "razziali", che certo non è sbagliato definire "razzista", fu la reazione a un diffusissimo fenomeno di "mescolamento" delle razze da parte degli iberici non appartenenti alla nobiltà, i cui effetti si osservano agevolmente ancora oggi in tutta l'America Latina. Non mancò neppure qualche nobile che non disdegnò il matrimonio con i discendenti della nobiltà indigena India, per acquisire maggiore legittimità nel suo dominio agli occhi della popolazione dominata.

Questo fenomeno mostra quanto il razzismo ("non scientifico") iberico fosse qualitativamente diverso dal successivo razzismo ottocentesco, che fra i suoi primi scopi dichiarati ebbe appunto quello di impedire il mescolamento fra le razze umane, sempre nocivo per la razza "superiore" (cioè i bianchi).
Da questo punto di vista, un passo avanti verso il vero e proprio razzismo, inteso come teoria scientifica, si ebbe piuttosto negli Usa, dove nel dibattito infuocato relativo all'abolizione della schiavitù a metà del XIX secolo, uno degli argomenti azzardati dai suoi sostenitori fu che neri (e indiani) non fossero "davvero" esseri umani, ma andassero catalogati in una categoria diversa, alla quale non si potevano applicare le argomentazioni umanitarie proposte dagli abolizionisti. Non essendo i neri uomini, non aveva senso essere "umanitari" con loro.

In Europa i nazisti riuscirono quasi a imporre un dogma mitologico, prima contro gli ebrei poi contro i polacchi, che privava tutti coloro che venivano definiti non ariani dei diritti civili e del lavoro. Questo aspetto ricalca in parte lo stesso che i polacchi applicavano precedentemente contro la popolazione ebraica. Il governo polacco in esilio, il suo esercito, i suoi rappresentanti ufficiali conservarono immutati questi pregiudizi. Durante l'occupazione, infatti, i polacchi aiutarono il nemico nel maltrattamento e nel massacro degli ebrei. Un polacco ebbe a dire: «La fortuna è venuta a noi tramite Hitler. Egli ci sta preparando una Polonia senza Ebrei». Vi furono, tuttavia, alcune nobili eccezioni. Dopo la liberazione la maggior parte della popolazione conservò un'opinione positiva della repressione. Nel luglio 1946 uno spaventoso pogrom antisemitico nella città polacca di Kielce costò la vita a quarantun ebrei. In Polonia persino dopo la guerra, alcuni membri della Chiesa cattolica continuarono ad avere una parte di primo piano nell'incoraggiare e nel mantenere vivo l'antisemitismo

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