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venerdì 8 maggio 2015

LA GLACIAZIONE WURMIANA

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Le cause che durante un Era glaciale spingono il clima terrestre ad avere cicli di avanzamento e scioglimento dei ghiacci non sono ancora chiare e sono ancora oggetto di studio, ma hanno sicuramente un ruolo chiave i cambiamenti periodici dell'orbita terrestre intorno al Sole noti come cicli di Milanković, le variazioni dell'attività solare, le eruzioni vulcaniche e l'eventuale impatto di meteoriti. Ecco qualcuna di queste ipotesi.

Le variazioni periodiche dell'eccentricità dell'orbita della Terra, dell'inclinazione dell' asse come pure la sua precessione, fenomeni noti nel loro complesso come cicli di Milanković, non sembrano poter essere identificati come fattori scatenanti di una Era Glaciale, quanto piuttosto in grado di influenzare notevolmente il susseguirsi dei periodi glaciali e soprattutto degli interglaciali all'interno di una singola Era glaciale.
L'ipotesi è che le glaciazioni siano legate ai cicli astronomici relativi alla forma dell'orbita terrestre, all'inclinazione e all'orientamento dell'asse terrestre. In particolare la forma dell'orbita terrestre varia in un periodo di 100 000 anni (lo stesso intervallo esistente fra due glaciazioni successive) da un ellisse a un cerchio, modificando la distanza Terra-Sole. L'inclinazione dell' asse terrestre, che varia con un periodo di 41 000 anni, influisce sull'intensità delle stagioni, per cui maggiore è il valore dell'inclinazione più calde sono le estati e più freddi gli inverni. L'orientamento dell'asse, invece, cambia con un periodo di 23 000 anni, determinando la precessione degli equinozi, il fenomeno per cui in un emisfero si sposta il punto dell'orbita in cui cade l'estate, da più vicino a più lontano rispetto al Sole e viceversa. Sembra però che oltre a queste cause astronomiche concorrano altri fattori, che includono le correnti oceaniche e la concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera.

L'emissione della radiazione solare, conseguenza dell'attività solare, non ha un andamento costante nel tempo, ma segue dei cicli principali di undici anni. In aggiunta a questo andamento naturale vi è la variazione del numero e della quantità delle macchie solari, la cui attività ha un influsso diretto sulla quantità di radiazione inviata verso la terra e di conseguenza sulla temperatura della superficie terrestre.
Tali variazioni da sole non sono in grado di dare l'avvio ad una glaciazione, ma possono dare un contributo alla sua intensità e durata quando sono in coincidenza con alcune delle altre possibili cause già evidenziate.

Recenti studi su una delle ultime glaciazioni, avvenuta circa 74.000 anni fa, ipotizzano un'altra teoria sulle possibili cause di una glaciazione. È possibile, infatti, che un'intensa attività vulcanica o anche una pioggia di meteoriti abbiano innalzato una coltre di gas e polveri in grado di respingere molti dei raggi solari, abbassando così la temperatura.
La presenza di ceneri finissime nell'atmosfera dovute ad importanti eruzioni vulcaniche ridurrebbero drasticamente le radiazioni solari. Tuttavia, per quanto possano essere state intense le eruzioni, non sembra che abbiano interessato l'intera atmosfera, perciò resta difficile spiegare il fatto che le grandi glaciazioni si siano avute contemporaneamente in tutto il pianeta.

Qualcuno ha avanzato l'ipotesi che tra Sole e Terra si siano interposte delle nebulose di tale densità da ridurre l'intensità delle radiazioni, con conseguenti abbassamenti delle temperature. Con tali ipotesi si spiegherebbe la contemporaneità delle glaciazioni in tutto il globo e la loro non periodicità nel manifestarsi. Purtroppo non vi è modo di dimostrare che il fenomeno sia effettivamente accaduto più volte nella vita della Terra.

La forma e la disposizione dei continenti influenzano le correnti marine e la circolazione delle masse d’aria, a loro volta responsabili degli scambi del calore su tutto il pianeta. La tettonica delle placche, quindi, esercita un ruolo importantissimo nell’innescare modificazioni climatiche. Le glaciazioni quaternarie, in particolare, secondo le più recenti teorie sarebbero state innescate dalla separazione dei continenti, in particolare dal distacco dell’Antartide, e dalla conseguente stabilizzazione della corrente circumantartica, che impedisce scambi di calore con le più calde zone equatoriali e tropicali.

Le ipotesi sono tante e di diversa natura, ma nessuna soddisfa alla domanda sui motivi che hanno regolato l'esistenza delle varie glaciazioni.
Probabilmente, come in tanti campi della fisica terrestre inclusa la meteorologia, le cause potrebbero essere diverse e interdipendenti. Il sapere il perché di tanti fenomeni permetterebbe anche di formulare delle previsioni a medio e lungo termine, cominciando dalla meteorologia, che non ci consente, nonostante il monitoraggio continuo di tanti decenni, di far delle previsioni oltre i tre giorni.

Ormai da qualche anno c’è un dibattito sui cambiamenti climatici. Alcuni propendono per un riscaldamento dovuto a cause antropiche, altri pensano invece che ci si stia avviando verso un raffreddamento del clima come già avvenuto storicamente durante il periodo conosciuto come Piccola Era Glaciale (PEG), supportati dal fatto che ora come allora i cicli solari erano estremamente deboli. In effetti da più di diciassette anni il clima non si sta riscaldando ed anzi ci sono segni che la temperatura stia scendendo e ci stiamo avviando verso un raffreddamento la cui durata non è quantificabile ne come calo delle temperature ne come lunghezza temporale. Sappiamo però che sia le piccole che le grandi ere glaciali iniziano nella stessa maniera, con un aumento delle precipitazioni ed un progressivo calo delle temperature.

Per cercare di capire quale potrebbe essere il futuro dell’umanità è importante vedere cosa è accaduto nel passato. È indispensabile rifarsi alla PEG per valutare i fenomeni che si sono manifestati durante il suo avvio ed il suo svolgersi ma in questo caso parlerò di quello che accadde durante l’Era Glaciale che ci ha preceduto e che ha visto l’affermarsi dell’uomo moderno a scapito dell’uomo di Neanderthal. Tutto questo è avvenuto durante l’ultima glaciazione che per noi Europei continentali è conosciuta come glaciale di Würm.

Il tutto cominciò circa 100 mila anni fa alla fine dell’interglaciale Riss-Würm (Riss è il glaciale precedente) un interglaciale più caldo di quello che stiamo vivendo con una fauna da clima temperato caldo. Poi rapidamente iniziò un raffreddamento assolutamente comparabile a quello che avvenne all’inizio della PEG. Un aumento delle precipitazioni e un progressivo calo delle temperature. Questo portò ad un aumento dei ghiacciai alpini ed a un leggero spostamento verso quote più basse della vegetazione e della fauna.
All’inizio, il calo delle temperature fu probabilmente di un paio di gradi. Tutto questo avvenne in cicli successivi come quelli storici dei minimi conosciuti di Wolf-Sporer-Maunder-Dalton alternati da riscaldamenti che però erano successivamente sempre più deboli ed avviando il clima verso un raffreddamento progressivo.
Questa fase si protrasse per migliaia di anni con un calo delle temperature di circa 4° rispetto alle temperature medie moderne ma di circa 6° rispetto all’interglaciale precedente.
A tutto questo contribuì un sicuro calo dell’attività solare con un aumento dei raggi cosmici che oltre ad aumentare la nuvolosità provocarono l’incremento delle precipitazioni sempre più spesso nevose e di conseguenza ad un effetto albedo in continuo aumento.
Il tutto è dimostrato da elementi come l’Ossigeno 18 il ed il berillio 10 ritrovati nelle calotte di ghiaccio prelevate in profondità dai ghiacciai Groenlandesi e Antartici. Si sa infatti che sono i raggi cosmici a formare questi elementi.
Orbene la glaciazione progredì tra alti e bassi ancora per migliaia di anni con un continuo incremento delle masse glaciali ed uno spostamento della calotta artica molto più a sud conglomerando nella banchisa Islanda, Scozia, Norvegia e spingendosi complessivamente più a sud di oltre mille Km.

La prima fase del Würm vide come unico elemento umano in Europa l’uomo di Neanderthal un nostro stretto parente.
Era più basso di noi molto robusto e tutt’altro che stupido. Si era progressivamente adattato al clima freddo dell’era glaciale già dalla glaciazione precedente assumendo un fisico compatto che diminuisce la dispersione del calore corporeo, un naso estremamente voluminoso atto a scaldare l’aria prima che questa giungesse ai polmoni.
Era un cacciatore abilissimo che cacciava con lance robuste munite di punte in selce non tanto gettandole ma spingendole nel corpo della selvaggina. Dalle fratture riscontrate sui resti scheletrici del Neanderthal si è notato che corrispondono alle fratture dei cowboy che praticano il rodeo e questo fa pensare che il contatto uomo selvatico fosse molto ravvicinato ed estremamente violento.
Nel frattempo l’uomo moderno era uscito dall’Africa e si stava espandendo in medio oriente e successivamente in Asia. Ma circa 75.000 anni fa accadde un fatto che portò l’uomo sull’orlo dell’estinzione.
Sull’isola di Sumatra si ebbe una super eruzione di un vulcano conosciuto come Toba.
La quantità di cenere e gas sulfurei fu cosi grande che provocò un raffreddamento climatico con l’aggravio di piogge acide durato decenni. Si valuta che l’uomo (sia il Neanderthal, sia il moderno) si sia veramente avvicinato al rischio di estinzione (forse non c’erano più di 10.000 individui in tutto il mondo).
Da qui partì la fase glaciale più acuta.
Le temperature scesero ancora di un altro paio di gradi, i ghiacciai alpini si espansero fino a giungere in pianura Padana e le riprese della temperatura furono limitatissime.
Gli oceani si abbassarono di un ottantina di metri. Si passava a piedi la Manica e lo stretto di Messina, l’Adriatico finiva all’altezza del Molise.
Gli uomini di Neanderthal dovettero spostarsi nel sud della Francia, in Spagna ed in Italia meridionale ma anche sulle coste Liguri. Probabilmente si trattava di poche migliaia di individui. L’ambiente offriva del resto limitatissime risorse, pochissima fauna e la vegetazione anche in Italia era quella che si trova ora nella taiga siberiana.
Il nord Italia in quel periodo veniva frequentato solamente nel periodo estivo ma le fasi di spostamento potevano avvenire solamente in primavera verso nord ed in autunno verso sud in modo che gli immensi acquitrini che si trovavano in val Padana fossero gelati e permettessero il transito dei gruppi di cacciatori. Questo lo si è appurato dallo sviluppo dei denti degli erbivori giovani cacciati, che riportano con esattezza la cattura all’estate ed all’inizio dell’autunno.
Le Alpi ma anche gli Appennini erano, sopra i 300-400 metri di quota, delle praterie alpine con radi alberi di mugo e salici. La fascia collinare era costituita da pinete, abetaie e faggete mentre la pianura Padana era come dicevo una palude alternata da foreste di leccio e betulla.
La fauna di conseguenza si era spostata molto in basso. Le marmotte, il campagnolo delle nevi, il gallo forcello, nonché stambecchi e camosci vivevano sulle prime pendici collinari. Il limite delle nevi perenni era sui 1400mt di quota (ora è sui 3400 mt).
Questo accadeva anche sull’Appennino anche se un poco più in alto di quota.
Da ricerche fatte sul cromosoma Y umano si è appurato che circa 45 mila anni fa l’uomo moderno già esistente in Asia centrale, si era spostato verso l’Europa.
Scelse per farlo un periodo un po’ meno freddo conosciuto come interstadiale di Gottweig (ma ai nostri standard pur sempre freddissimo), attraverso le pianure Russe ed est Europee.
In Italia giunse circa 40 mila anni fa (uno dei primissimi siti Europei si trova a Fumane in provincia di Verona). Portò con se l’arte figurativa, armi molto più efficienti, come la zagaglia, le punte di lancia in corno, un industria litica molto più razionale ed avanzata che sfruttava meglio la selce e soprattutto il getta lancia o propulsore. Un attrezzo a cui veniva agganciata l’estremità posteriore della lancia ed allungando il braccio consentiva di ottenere velocità e gittata maggiori che lo ponevano in netto vantaggio rispetto al cugino Neanderthal.
Ci vollero circa 10 mila anni perché prevalesse sul suo parente meno evoluto. Non sappiamo se ottenne la sua supremazia solo con una miglior tecnologia ed una miglior capacita intellettiva ma fatto è che si trovò senza concorrenti ad affrontare la fase più acuta in assoluto della glaciazione di Würm.
Infatti circa 25-26 mila anni fa le temperature scesero ulteriormente oltre 10 gradi in meno di quelle attuali. Durante l’inverno il catino padano che si estendeva quasi fino al Gargano poteva arrivare a superare i 40° gradi sotto zero. Gli oceani ed i mari si abbassarono di oltre 100 mt. Le calotte si spinsero verso l’equatore di migliaia di Km giungendo quella artica fino alla Bretagna e in America fino a New York.
Sulle Alpi si instaurò un campo di alte pressioni semipermanente ed il clima per la scarsissima evaporazione (dovuta alle basse temperature, alle superfici ghiacciate, alla ridotta superficie degli oceani) divenne estremamente arido.
Dalle pianure Asiatiche giungevano venti freddissimi ed asciutti che depositavano un pulviscolo di terriccio(il Loess) su tutta l’Europa.

Circa 15 mila anni fa il clima cominciò a riscaldarsi e lo fece molto rapidamente. I ghiacciai alpini si sciolsero e con impressionante velocità facendo aumentare la portata dei fiumi a livelli di decine di volte oltre la portata attuale. Questo interstadiale viene chiamato di Allerod. La pianura Padana ed altre pianure costiere aggiunsero decine di metri in spessore ai depositi preesistenti.

Ma non era ancora finita: circa 12 mila anni fa giunse un nuovo rapidissimo raffreddamento.

Le temperature scesero di 5-6 gradi e i ghiacciai ripresero vigore e le conseguenze furono gravissime sia per la fauna, sia per l’uomo.
Questo periodo è conosciuto come Dryas “recente” (Younger Dryas) e durò solo mille anni, pochi sul metro geologico ma tantissimi per chi dovette viverli.
Si estinse così la grande fauna e l’uomo si ridusse in numero.

Poi tutto fini, le temperature si ripresero, finì il paleolitico ed iniziò l’Olocene, ci avviammo verso l’agricoltura e verso le grandi scoperte che portarono l’uomo incontro alla civiltà.

Sono passati quasi 11 mila anni da allora, il tempo medio di durata di un interglaciale (caldo).

La glaciazione Würm rappresenta l'effetto prodotto dall'ultima glaciazione su una zona specifica come le Alpi, ma per convenzione essa viene estesa anche a livello globale come l'equivalente di ultimo periodo glaciale, il più recente periodo glaciale compreso nell'attuale era glaciale, avvenuto nel Pleistocene, iniziato circa 110.000 anni fa e terminato circa 9.600 - 9.700 a.C. Durante questo periodo ci furono molti mutamenti tra l'avanzamento e l'arretramento dei ghiacciai. La massima estensione della glaciazione avvenne approssimativamente 18.000 anni fa. Mentre il modello generale di raffreddamento globale e l'avanzamento dei ghiacciai fu simile, le differenze locali nello sviluppo dell'avanzamento e arretramento rendono difficile confrontare i dettagli da continente a continente.

L'ultimo periodo glaciale viene talvolta colloquialmente indicato come "ultima era glaciale", sebbene questo uso sia inesatto perché un'era glaciale è un lasso di tempo molto più lungo di temperature fredde in cui i ghiacciai continentali coprono vaste zone della Terra, come la regione antartica. I periodi glaciali invece, si riferiscono a fasi più fredde all'interno di un'era glaciale separati da periodi interglaciali. Perciò, la fine dell'ultimo periodo glaciale non rappresenta necessariamente la fine dell'ultima era glaciale.
La fine dell'ultimo periodo glaciale avvenne circa 12.500 anni fa, mentre la fine dell'ultima era glaciale potrebbe non essere ancora avvenuta: piccole prove indicano un arresto del ciclo glaciale-interglaciale degli ultimi milioni di anni.

L'ultimo periodo glaciale è la parte più conosciuta dell'attuale era glaciale, ed è stato intensivamente studiato nel Nord America, Eurasia settentrionale, Himalaya e in altre regioni che in passato erano ghiacciate.

La glaciazione Würm (o glaciazione di Würm o del Würm) prende il nome dal fiume Würm delle zone alpine della Baviera (Germania), che segna approssimativamente l'avanzamento massimo del ghiacciaio in questo periodo glaciale particolare.

La glaciazione venne così chiamata da A. Penck ed E. Brückner (1901-1909), dal nome di un affluente del Danubio, come le glaciazioni alpine precedenti (Riss, Mindel, Günz e Danubio stessa).

All'inizio del XIX secolo, le Alpi sono state la zona dove venne condotta da Louis Agassiz la prima sistematica ricerca scientifica sulle ere glaciali. Qui fu intensivamente studiata la glaciazione Würm dell'ultimo periodo glaciale. La Palinologia, cioè l'analisi statistica dei pollini di piante fossilizzate trovati nei depositi geologici, fornisce la cronistoria dei mutamenti drammatici nell'ambiente europeo durante la glaciazione Würm. Al suo culmine, circa 24.000–10.000 anni fa, la maggior parte dell'Europa occidentale e centrale e l'Eurasia era una steppa-tundra aperta, mentre le Alpi presentavano compatte calotte glaciali e ghiacciai montani. La Scandinavia e gran parte delle isole Britanniche si trovavano sotto una coltre di ghiaccio.

Durante il Würm, il Ghiacciaio del Rodano copriva l'intero altopiano occidentale della Svizzera, raggiungendo le regioni attuali di Solothurn e Aarau. Nella regione di Berna esso si veniva a fondere con il ghiacciaio dell'Aar. Il ghiacciaio del Reno è attualmente oggetto di studi più dettagliati. I ghiacciai della Reuss e della Limmat avanzavano talvolta fino al Giura. I ghiacciai montani e pedemontani modellavano il territorio asportando via virtualmente tutte le tracce delle precedenti glaciazioni di Günz e Mindel, depositando morene di base e morene terminali di differenti fasi di ritrazione e depositi di loess, e spostando e ri-depositando le ghiaie attraverso i fiumi che scendevano dai ghiacciai. Al di sotto della superficie, essi ebbero un'influenza profonda e duratura sul calore geotermico e sulle tipologie di flusso delle acque sotterranee.

Oggi i ghiacciai occupano 1\10 di tutte le terre emerse,ma durante la storia della Terra hanno avuto superfici più grandi. In particolare nell’ultimo milione di anni per almeno 11 volte si sono estesi per poi contrarsi di nuovo,arrivando ad occupare nel massimo della loro espansione 1\3 della superficie emersa. Durante l'ultima glaciazione, detta del Wurm, che iniziò 75 000 anni fa e conobbe il suo acme intorno a 20 000 anni fa, l'Europa era ricoperta da una coltre di ghiacci spessa 2000-3000 metri che dal polo Nord scendeva fino alla latitudine di Londra.
Nello stesso periodo le Alpi erano coperte sul versante settentrionale da un'unica calotta di ghiaccio che si estendeva fino al Rodano, mentre sul versante italiano le lunghissime lingue dei ghiacciai arrivavano fino alla pianura, scavando gli alvei degli odierni laghi glaciali (Maggiore, d'lseo, di Como, di Garda). In Piemonte allo sbocco della valle di Susa la fronte del ghiacciaio formò con i detriti morenici le colline di Avigliana e Rivoli; mentre il ghiacciaio della Valle d'Aosta giungeva fino all'attuale Ivrea, dove è rimasta intatta la morena laterale sinistra (la Serra d'lvrea). L'immenso ghiacciaio del Garda, invece, ha lasciato come testimonianza della sua massima estensione la morena frontale, che oggi delimita insieme ai detriti di precedenti glaciazioni la riva meridionale.

I ghiacciai rappresentano una riserva di acqua dolce «fissata» in forma solida, che pertanto viene sottratta al normale ciclo che lega i mari all'atmosfera e ai continenti attraverso i processi di evaporazione e di precipitazione. Di conseguenza durante le glaciazioni i mari regrediscono, mentre il contrario avviene nei periodi postglaciali. Al culmine dell'ultima glaciazione l'abbassamento marino arrivò fino a 100 metri, tant'è che 20000 anni fa laddove oggi troviamo lo stretto di Bering una continuità di terre collegava l'America settentrionale all' Asia.
In Italia la pianura padana si estendeva per tutta la parte settentrionale dell' Adriatico.

L'inversione climatica che dette l'avvio all'attuale periodo postglaciale, chiamato Olocene, iniziò secondo la maggior parte degli scienziati circa 15 000 anni fa. L'anno 8300 a. C. segna convenzionalmente per i climatologi la fine dell'ultima glaciazione.

Negli ultimi diecimila anni dell' attuale periodo postglaciale il clima ha subìto delle variazioni, a cui i ghiacciai hanno risposto con fasi alterne di avanzate e ritiri. L'iniziale aumento di temperatura dell'Olocene raggiunse l'acme nel 5000 a. C., quando la Terra conobbe l'optimum climatico, il clima più mite mai registrato fino a oggi. È quella l'epoca delle grandi civiltà del bacino del Mediterraneo, dagli Egiziani agli Ittiti. Successivamente, intorno all'anno 1000 a. c., il clima divenne più fresco e più umido, con una leggera avanzata dei ghiacciai. Questa situazione permase fino all' 800 dell'era Cristiana, quando il clima divenne più mite e i ghiacciai tornarono a ritirarsi. Cinquecento anni dopo, intorno al 1300 d. c.,la temperatura si abbassò di nuovo e iniziò il periodo più freddo di tutto l'Olocene: la «piccola età glaciale» che durò tre secoli (1590-1850).
In questo periodo si ebbe un' avanzata dei ghiacciai, che nei territori alpini invasero i terreni coltivati e distrussero case e villaggi. Il clima influì tristemente sull'agricoltura (nelle estati più fredde il grano non giungeva a maturazione e la spiga verde marciva sullo stelo), provocando carestie che ridussero di un terzo la popolazione dell'Europa. A metà del secolo scorso un'inversione climatica fece registrare un aumento della temperatura che portò all'inizio di questo secolo a un nuovo piccolo optimum climatico con una conseguente brusca regressione dei ghiacciai. La situazione permase invariata fino al 1960, quando iniziò una nuova espansione in seguito alla quale il ghiacciaio della Brenva sul Monte Bianco avanzò di 400 metri in 20 anni. Dal 1986 questa' tendenza pare attenuarsi e alcuni ghiacciai sono in regressione.




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sabato 18 aprile 2015

LA GROTTA DI ANGERA



Il progressivo scioglimento dei ghiacciai portò alla creazione dei laghi alpini.
Le prime attestazioni della presenza dell’Uomo nel territorio di Angera sono state individuate nel corso di scavi e indagini in una grotta naturale nota come Tana del Lupo, di proprietà privata e chiusa al pubblico, collocata nella parete sud-occidentale della altura che ospita la Rocca Borromeo.

Una campagna di scavi condotti presso la Tana del Lupo, grotta attualmente non accessibile al pubblico e ubicata sul pendio che conduce alla Rocca Borromeo di Angera, ha portato alla luce tracce della presenza dell’uomo risalenti al paleolitico finale, cioè databili tra 20.000 e 12.000 anni fa.

La grotta, detta anche “Antro di Mitra” era già nota per i rinvenimenti di testimonianze archeologiche di epoca preistorica e romana, ma non era mai stata oggetto di ricerche scientifiche sistematiche.
Gli studi condotti dalla direttrice del Museo di Angera, Prof.ssa Serena Massa, hanno immediatamente suscitato l’interesse della famiglia Borromeo, proprietaria del sito, che ha promosso e sostenuto le ricerche ottenendo anche il contributo finanziario della Regione Lombardia.
Il progetto di ricerca, che ha portato alla campagna di scavi, è stato diretto dalla Dott.ssa Barbara Grassi della Soprintendenza Archeologica della Lombardia e dal Prof. Maurizio Tosi, Direttore del Dipartimento di Archeologia dell’Università “Alma Mater Studiorum” di Bologna.
Nel corso delle indagini, a seguito delle operazioni di pulitura eseguite dalla restauratrice Lucia Miazzo, si è notato qualcosa che finora nessuno aveva potuto osservare; lungo le pareti e sul soffitto della caverna, dalle superfici molto tormentate da fenomeni di erosione, infestazioni biologiche e concrezioni, sono venute alla luce tracce di colore rosso e nero.
Un’indagine più attenta ha rivelato che i resti di pitture interessano gran parte delle pareti e del soffitto. Alcuni di questi segni, esaminati dal Prof. Angelo Fossati dell’Università Cattolica di Milano, sono quasi certamente impronte di dita intinte nell’ocra e “stampate” sulla parete della caverna, fenomeno ampiamente noto in area franco-cantabrica, ma molto più raro nel resto dell’Europa.
Dunque questa scoperta assume particolare rilievo nell’ambito del panorama europeo, anche se molto lavoro deve ancora essere fatto per attribuire una cronologia precisa ai diversi segni. Ma certamente alcune delle pitture possono essere state eseguite all’epoca in cui gruppi di cacciatori-raccoglitori frequentavano la caverna, cioè alla fine del Paleolitico.
In Italia sono rarissime le testimonianze di arte parietale e questa di Angera sarà certamente oggetto di ulteriori campagne di scavo e ricerche per riportare alla luce una testimonianza che desta grande interesse, non solo per l’espressione artistica e per la conoscenza degli stili di vita e dell’ambiente tardiglaciale in Lombardia, ma per gli aspetti legati al contenuto simbolico e misterioso del messaggio che intendeva trasmettere.
Altri Istituti coinvolti nella ricerca sono il DISTART (Dipartimento di Ingegneria delle Strutture, dei Trasporti, delle Acque, del Rilevamento, del Territorio dell’Alma Mater Studiorum di Bologna), che ha realizzato il rilievo topografico tridimensionale della grotta con tecnologia laser (direzione Prof. Luca Vittuari), il CNR di Faenza per analisi archeometriche (Dr. Bruno Fabbri, Dott.ssa Sabrina Gualtieri), il laboratorio di archeobiologia del Museo di Como (Prof. Lanfredo Castelletti); Dottor Francesco Genchi e Professor Massimiliano David dell’Università di Bologna.

La grotta di Angera è l’unico mitreo conosciuto fino ad oggi in Lombardia e al suo esterno sono ancora visibili antiche incisioni legate ai culti misterici oltre a diversi incavi rettangolari predisposti per accogliere lapidi e rilievi votivi. Dio guerriero, strettamente legato al sole e forse proprio per questo venerato negli antri della terra, Mitra, il cui nome significa “amico”, rappresenta il giorno con la sua luce e con esso l’aspetto benevolo della divinità. A questa caratteristica è probabilmente dovuta la leggenda secondo cui la grotta sarebbe da sempre abitata da una stirpe di fate buone e bellissime, custodi di una magica porta, invisibile e metafisica, che solo ogni cento anni si dice aprirsi all’entrata della grotta.

Secondo l’antica narrazione, questo misterioso passaggio rappresenterebbe un’apertura verso altre dimensioni, una porta d’accesso a mondi paralleli che solo gli iniziati potevano oltrepassare. Finora tuttavia, ancora nessuno è mai riuscito a scoprire quale sia il giorno esatto in cui la magica porta apra i suoi misteri.

Questa cavità, che si trova ai piedi dell’arroccato castello di Angera.
Essa era chiamata Tana del Lupo, Antro di Mitra e Grotta delle Fate.
All’esterno sono ancora presenti delle tracce di rilievi alquanto misteriosi legati ad antichi rituali e incavi che dovevano contenere lapidi o oggetti votivi.
E’ un’apertura naturale della roccia di 7,50 metri x 4,70 con un’altezza di circa 5 metri.

Nessuno ha mai varcato la soglia affinchè potesse raccontare cosa questo mistico
luogo nasconda.

La leggenda potrebbe essere un’interpretazione “popolare” del percorso iniziatico che gli adepti ai culti di Mitra dovevano intraprendere.
E’ possibile che il Tempio sia stato utilizzato per questo tipo di culto fino a tempi relativamente recenti ed è anche presumibile che “l’attraversamento della porta” di un iniziato, un rituale semplicemente mistico, doveva essere visto dal contadino di turno come un evento fortemente magico.
Il Dio Mitra da sempre è il riflesso pagano di Cristo, per via delle notevoli somiglianze.
Anche Mitra nasce da una vergine in una grotta, ecco perché i luoghi a Lui dedicati
sono simili a quello di Angera.
E’ la divinità del sole e della luce con lo scopo di sconfiggere il male e salvare l’umanità e anticamente veniva festeggiato il 25 dicembre.
Mitra muore a 33 anni ed è sempre affiancato da 12 compagni.



LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/04/le-citta-del-lago-maggiore-angera.html


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lunedì 16 marzo 2015

IL LAGO DI ARSERIO

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Il lago di Alserio è un lago situato in provincia di Como, Brianza, Lombardia. Bagna i comuni di Erba, Albavilla, Alserio e Monguzzo. Il lago è contenuto nel Parco regionale della Valle del Lambro. Lungo la riva orientale è situata la Riserva regionale orientata Riva orientale del Lago di Alserio.

Nato in seguito al ritiro degli antichi ghiacciai che circa 20000 anni fa ricoprivano gran parte delle montagne lombarde arrivando ad affacciarsi fino in pianura, il lago è situato in un piccolo angolo dell’Alta Brianza, nei pressi della città di Erba, ed è sbarrato su tre lati da colline che lo racchiudono, mentre per la restante parte è delimitato dalla vasta area pianeggiante della Piana d'Erba, costruita dalle alluvioni del fiume Lambro che si sono succedute nei millenni seguenti il ritiro dei ghiacciai quaternari.
A causa della sua ancora elevata naturalità, il lago è stato individuato Sito di Importanza Comunitaria (SIC) da parte dell'Unione Europea: i vasti canneti che circondano lo specchio d'acqua rappresentano un'importante area umida, in cui trova rifugio una ricca avifauna (stanziale e di passo), oltre a specie animali e vegetali che, a causa della progressiva cementificazione e impermeabilizzazione del suolo legate alla civiltà moderna, in gran parte della nostra Regione sono estinti o in via di estinzione (fra tutti, gli anfibi).

Il lago di Alserio negli ultimi cinquant'anni ha visto preoccupanti fenomeni di inquinamento, legati a comportamenti non sempre corretti collegati all'urbanizzazione e industrializzazione del territorio, i quali hanno richiesto interventi di riqualificazione finanziati Unione Europea (Progetti LIFE) che, negli anni a cavallo del cambio di secolo, hanno permesso di invertire la rotta, andando ad iniziare a risanare una situazione che era oramai diventata insostenibile.
Tra i vari progetti di recupero e sensibilizzazione alle tematiche ambientali, l'Ente Parco ha ritenuto opportuno avviare un Progetto di Educazione Ambientale legato al lago, in modo da far conoscere e, conseguenza, amare e rispettare, a sempre più persone questo piccolo gioiello incastonato tra gli ultimi colli della Brianza e i primi rilievi prealpini.


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domenica 8 marzo 2015

IL BREMBO

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Il fiume Brembo (Brèmb in dialetto bergamasco) è un corso d'acqua di 74 km della Lombardia; è un affluente di sinistra dell'Adda che scorre completamente nel territorio della Provincia di Bergamo.

Il Brembo nasce da quattro rami sorgentizi. Il principale sgorga ai piedi del Pizzo del Diavolo di Tenda, presso l'omonimo laghetto, nelle prealpi Orobiche, ed è denominato Brembo di Carona. Un altro ramo proviene dal bacino del Pizzo Rotondo ed è denominato Confluente di Cambrembo. Il terzo ramo ha origine dal bacino del Corno, a nord di Foppolo. Il Confluente di Cambrembo e il Brembo di Foppolo si congiungono presso Valleve, originando il Brembo di Valleve. Il Brembo di Valleve si unisce al Brembo di Carona, presso Branzi, originando il Brembo Orientale o Brembo di Branzi. Il Brembo di Branzi riceve inoltre le acque del torrente Valsecca. A Lenna il Brembo di Branzi si unisce al Brembo Occidentale o Brembo di Olmo, che nasce ai piedi del Monte Azzarini, presso Mezzoldo. Il Brembo di Olmo è poi alimentato dai torrenti Mora (che proviene dal Passo di San Marco) e Stabina; quest'ultimo percorre la Valtorta. A Lenna si può dire che inizi il "vero" Brembo, visto che tutti i rami sorgentizi che lo formano si sono riuniti. Il Brembo prosegue percorrendo la Val Brembana, dove viene alimentato da diversi corsi d'acqua, i più importanti dei quali per la loro portata sono il Parina, l'Enna o Taleggia che scende dalla Val Taleggio e si congiunge al Brembo nel centro abitato di San Giovanni Bianco, l'Ambria, che scende dalla Valle Serina, il Brembilla che forma la Valle Brembilla e sfocia nel Brembo presso i ponti di Sedrina, l'Imagna, presso Villa d'Almè, ed il Dordo, nell'Isola bergamasca.

Il Brembo è un affluente di sinistra dell'Adda, dove finisce il suo percorso nei pressi di Crespi d'Adda, esattamente tra i comuni di Capriate San Gervasio, Canonica d'Adda e Vaprio d'Adda, sul confine tra le province di Bergamo e Milano. Il Brembo rappresenta il maggior affuente dell'Adda per portata.

Nel corso dei secoli il fiume ha dato luogo a diverse disastrose alluvioni. La prima di cui si ha notizia è avvenuta il 17 ottobre 1230, se ne ricordano altre di violente nel 1493, 1523, 1646, 1793, 1830, 1882 e l'ultima nel 1987 che causò ingenti danni ai paesi brembani. La più disastrosa fu quella del 30 agosto 1493 che distrusse 24 ponti, lasciando in valle solo quello di Sedrina (allora chiamato ponte di Zogno).

Milioni di anni fa albeggiava in Valle Brembana un caldo sole tropicale.Il ritrovamento di testimonianze fossile che lo attestano richiama l'attenzione di numerosi ricercatori che studiano l'avvicendamento delle ere geologiche.

Tutto si può ricondurre a 20 milioni di anni fa, quando il mare Mediterraneo era assai più vasto di oggi ed era collegato in modo esteso ed aperto con gli oceani Atlantico e Indiano. L'Italia non esisteva e l'Europa e l'Africa erano più piccole di oggi essendo costituite solo dal loro nucleo centrale. In particolare l'Europa era formata dalle attuali pianure della Russia europea, della Polonia, della Germania e della Francia. Questo stato di cose si conservò in modo abbastanza stabile fino a 50 milioni di anni fa, allorché iniziò il graduale scivolamento del continente africano verso quello europeo.

Ciò portò ad un corrugamento delle superfici terrestri e alla nascita delle catene montuose dei Pirenei, delle Alpi e dei Balcani. Gli Appennini sorsero dalle acque dell'antico Mediterraneo qualche milione di anni dopo. In modo contemporaneo questo scivolamento produsse anche l'effetto di chiudere il Mediterraneo verso Gibilterra e verso la Siria e la Turchia trasformandolo in un immenso lago salato asciutto. Solo pochi milioni di anni fa, sempre a causa dell'avvicinamento dell'Africa all'Europa, si aprì una profonda fessura verso Gibilterra e le acque dell'Atlantico si riversarono nel Mediterraneo riempendolo e conferendogli in mille anni di tempo un aspetto simile a quello odierno. L'ultimo assestamento importante risale a circa 20.000 anni fa allorché uno sprofondamento del Bosforo mise in collegamento il nuovo Mediterraneo con il mar Nero, anche se in misura più limitata rispetto ad epoche remote. Le acque fredde e dolci del nord della Russia attraverso il mar Nero e l'Egeo confluirono nel Mediterraneo abbastandone la temperatura e la salinità. Con questo evento il bacino del Mediterraneo assunse una configurazione geografica e climatica vicina a quella odierna e divenne adatto ad ospitare l'uomo primitivo più evoluto, HOMO SAPIENS, da cui attraverso vicende preistoriche e storiche abbastanza note si sviluppò la civiltà umana sino ai nostri giorni. Riesce difficile immaginare quali siano state le condizioni della Terra prima della comparsa dell'uomo specie in epoche tanto lontane nel tempo da risultare quasi inconcepibili per la mente umana. Eppure a grandi linee queste gigantesche trasformazioni sono veramente accadute e alcune importantissime prove di queste evoluzioni si sono rinvenute anche in Valle Brembana e in modo particolare a partire dal 1976 nel territorio di Zogno. Si tratta del ritrovamento di numerosi pesci, rettili e vegetali fossili, ricondotti dagli esperti a circa 220 milioni di anni fa (Triassico Superiore) che dimostrano come in epoche tanto lontane in Valle Brembana, e segnatamente a Zogno, vi fossero un mare non molto profondo, piuttosto caldo e salato, con coste frastagliate e lotti lussureggianti di vegetazione del tutto simili a quelli che si trovano presso le scogliere coralline negli attuali oceani Atlantico e Pacifico. I pesci e i rettili man mano morivano, si depositavano sul fondo dell'antico Mediterraneo.

Poiché questo fenomeno si prolungò nel tempo per molti milioni di anni ciò produsse strati di depositi organici spessi decine di metri e in certi casi anche di centinaia di metri che nel corso dei millenni si pietrificarono grazie alle sostanze chimiche presenti nell'acqua. Quando 50 milioni di anni fa, per le cause già descritte, incominciò a nascere la catena Alpina, gli strati di roccia più profondi, che costituivano per così dire le radici delle Alpi, sollevandosi sollevarono anche gli strati di roccia sedimentaria soprastanti, cioè il fondo del mare contenente i fossili. In modo irregolare zone di questi strati fossiliferi furono portate in superficie a contatto con l'aria.

L'azione dei ghiacciai, dei fiumi e delle piogge nel corso dei millenni raschiò la superficie o pelle di questi strati fino a far affiorare le impronte degli organismi pietrificati. Al di sopra di questi strati più profondi, che hanno potuto raggiungere la superficie in modo occasionale e solo in pochi punti della Val Brembana (oltre a Zogno ci sono limitati affioramenti anche in Valle Brembilla e in Valle Imagna), ci sono altri strati sedimentari che si sono depositati in tempi successivi, quindi si tratta di strati meno antichi. Alcuni di questi come epoca si depositarono pochi milioni di anni prima che incominciassero a innalzarsi le Alpi da fondo dell'antico Mediterraneo.

Questo è il motivo per cui in tutte le Prealpi Orobiche, in modo speciale in tutta la Val Brembana, si trovano facilmente fossili di conchiglie di svariatissimi tipi, lumachelle, gasteropodi di ogni dimensione, ricci di mare, piccoli coralli e altri invertebrati. Abbastanza noti, molto belli e di grandi dimensioni (circa 80 cm) sono vari gasteropodi presenti nei monti che fiancheggiano i cosiddetti Piani di Scalvino poco a valle del paese di Lenna. Il bilancio della ricerca legittima l'auspicio che tutti i fossili della Valle Brembana si possano raccogliere in un'unica istituzione museale, capace di attivare lo studio e la ripresa sistematica degli scavi nei giacimenti fossiliferi che promettono la scoperta di altre importanti testimonianze scientifiche.

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