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mercoledì 1 aprile 2015

LE BRIGATE NERE

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Le Brigate Nere erano un corpo paramilitare fascista della Repubblica Sociale Italiana (RSI), che fu operativo in Italia settentrionale dagli inizi di luglio del 1944 fino al termine della seconda guerra mondiale.

La formazione militare fu istituita il 30 giugno 1944 col decreto legislativo 446 XXII con il nome di "Corpo Ausiliario delle Squadre d'Azione delle Camicie Nere" ed era costituita da militanti del Partito Fascista Repubblicano (PFR) arruolatisi in maniera volontaria. Furono costituite 41 brigate, una per provincia, intitolate ciascuna ad un caduto del fascismo. Ad esse si affiancavano sette brigate autonome e otto brigate mobili. Le federazioni provinciali del partito furono convertite in comandi di brigata, diretti dai vari federali, mentre la segreteria nazionale del PFR assumeva le funzioni di Ufficio di Stato Maggiore del Corpo. Comandante generale del corpo fu, sin dall'inizio, il segretario del partito Alessandro Pavolini.

Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 e la costituzione della Repubblica Sociale Italiana, furono costituiti i corpi delle Forze Armate sotto la guida del Generale Rodolfo Graziani comprendenti l'Esercito, la Guardia Nazionale Repubblicana e altre formazioni. Nella prima metà del 1944, a seguito dell'offensiva alleata e dello sfondamento della Linea Gustav, si ebbe un incremento dell'attività della Resistenza partigiana nei territori della RSI e un drastico ridimensionamento della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) da parte dei vertici tedeschi.
Alla fine di agosto del 1944 la consistenza totale della Guardia Nazionale si era ridotta da oltre 130 000 uomini a poco più di 50 000 unità, a causa delle operazioni di disarmo e cattura da parte tedesca degli ex-appartenenti all'Arma dei Carabinieri perché ritenuti inaffidabili dal regime fascista. L'operazione di cattura tedesca non ebbe grande successo perché molti ex-carabinieri riuscirono a darsi alla macchia o unirsi ai partigiani prima dell'arresto, ma comportò lo scioglimento di numerosi presidi territoriali e gravi problemi di controllo del territorio da parte della RSI. La stessa situazione bellica aveva spinto il segretario del partito fascista, Alessandro Pavolini, ad istituire una sorta di "milizia politica" che rispondesse alle esigenze di protezione dei membri del partito e da affiancare alla Guardia Nazionale nei suoi compiti d'istituto, limitatamente ai servizi di ordine pubblico e di sorveglianza del territorio (il decreto istitutivo del corpo non comprendeva i poteri investigativi).

Il Corpo ausiliario delle squadre d’azione di Camicie Nere, le cosiddette "Brigate Nere", dovevano raccogliere le reclute su base volontaria tra gli iscritti al Partito Fascista Repubblicano. Tuttavia né il numero dei volontari né soprattutto la limitatissima disponibilità di armi ed equipaggiamenti permisero di avvicinarsi agli organici previsti. Per fare un esempio, la 22ª Brigata Nera "Antonio Faggion" di Vicenza non superò mai i 400 uomini, meno di un terzo di quanto previsto dagli ordinamenti (1400 uomini, strutturati su una compagnia comando e tre battaglioni operativi di quattro compagnie ciascuno.

Con l'assenso di Benito Mussolini, il 9 maggio 1944 venne creata la Segreteria Militare del PFR, alla guida del Console della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MSVN) Giovanni Riggio. Dapprima egli attese al compito di sovrintendere all'istituzione dei nuclei volontari di fascisti all'interno delle forze armate (Esercito Nazionale Repubblicano, Marina Nazionale Repubblicana, Aviazione Nazionale Repubblicana) e di polizia (Guardia Nazionale Repubblicana e Corpo di Polizia Repubblicana), ma già dalla fine di giugno del 1944 si decise per la trasformazione definitiva del Partito Fascista Repubblicano in un organismo militare.

Secondo il decreto istitutivo delle Brigate Nere l'arruolamento nelle Brigate Nere era riservato ai soli iscritti al Partito e del tutto volontario. Successive circolari applicative specificarono tuttavia che l'iscrizione al Partito Fascista Repubblicano per gli uomini tra i 18 ed i 60 anni di età non già soggetti ad altri obblighi militari era subordinata alla contestuale domanda di arruolamento nelle Brigate Nere, in quanto "non merita l'onore di militare nel partito chi non si senta di servirlo in armi". Allo stesso modo, veniva con forza sottolineato "l'obbligo morale" da parte dei già iscritti ad arruolarsi. Per questi motivi le Brigate Nere divennero un corpo paramilitare formalmente a carattere esclusivamente volontario ma che di fatto comprendeva anche elementi forzati dalle circostanze ad entrarvi.

Il Decreto istitutivo:
« D.Lgs. 446/44-XXII:
Art. 1 La struttura politico militare del Partito si trasforma in organismo di tipo militare e costituisce il Corpo Ausiliario delle Squadre d'Azione delle Camicie Nere.
Art. 2 Il Comando del Corpo è costituito dalla trasformazione dell'attuale Direzione del Partito in Ufficio di Stato Maggiore del Corpo Ausiliario delle Squadre d'Azione delle Camicie Nere. Il Ministro Segretario del Partito assume la carica di Comandante del Corpo.
Art. 3 Le Federazioni assumono il nome di "Brigate Nere" del Corpo Ausiliario ed i Commissari Federali la carica di Comandante di Brigata.
Art. 4 Il Corpo sarà sottoposto alla Disciplina Militare e al Codice Penale Militare del tempo di guerra.
Art. 5 Gli iscritti al PFR, di età compresa fra i 18 e i 60 anni e non appartenenti alle altre Forze Armate della Repubblica, entreranno in seguito a domanda volontaria a far parte del Corpo Ausiliario delle Squadre d'Azione delle Camicie Nere che a secondo della loro idoneità fisica provvederà al loro impiego.
Art. 6 Gli appartenenti alle formazioni ausiliarie provenienti dalle Squadre d'Azione e passati alle FF.AA.RR., alla GNR e alla Polizia Repubblicana, iscritti regolarmente al PFR, possono a domanda essere trasferiti nel Corpo Ausiliario delle Squadre d'Azione delle Camicie Nere.
Art. 7 Compito del Corpo è quello del combattimento per la difesa dell'ordine della Repubblica Sociale Italiana, per la lotta contro i banditi e i fuori legge e per la liquidazione di eventuali nuclei di paracadutisti nemici. Il corpo non sarà impiegato per compiti di requisizione, arresti od altri compiti di Polizia. L'impiego delle Brigate Nere nell'ambito provinciale viene ordinato dai Capi delle province. Iniziative ed atti arbitrari compiuti da parte dei singoli e che comunque possano screditare il Partito saranno puniti secondo il Codice Militare del tempo di Guerra.
Art. 8 Ciascuna Brigata Nera porterà il nome di un Caduto per la Causa del Fascismo Repubblicano.
Art. 9 Il servizio prestato nel Corpo è considerato a tutti gli effetti come servizio militare. Al personale del Corpo Ausiliario saranno estesi in diritto tutti i benefici in vigore per il trattamento di quiescenza e le provvidenze per i feriti, i mutilati e i deceduti in combattimento o comunque in servizio.
Art. 10 Il Ministro delle Finanze è autorizzato ad apportare le variazioni di Bilancio necessarie per l'attuazione del presente Decreto.
Art. 11 Il Comandante del Corpo d'intesa con il Ministro delle Finanze e con gli altri Ministri interessati, con successivi decreti emanerà le norme di attuazione del presente decreto fissando gli organici, i trattamenti e le disposizioni regolamentari ed esecutive per il funzionamento del Corpo.
Art. 12 Il Corpo Ausiliario delle Squadre d'Azione delle Camicie Nere si avvarrà per i servizi sussidiari del Servizio Ausiliario Femminile secondo le norme del Decreto 18 aprile 1944 XXII e del Regolamento esecutivo.
Art. 13 Il presente Decreto che entrerà in vigore dal 1º luglio 1944 XXII sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale D'Italia e, munito del sigillo dello Stato inserito nella raccolta ufficiale delle leggi e dei Decreti. »

Sebbene il comandante generale Alessandro Pavolini avesse istruito i Federali del Partito affinché recuperassero ogni arma disponibile dai reparti (soprattutto di ex-Carabinieri) che davano indicazioni di scarsa affidabilità, non fu possibile raggiungere un armamento adeguato alla forza costituenda. La cronica mancanza di armi fu dovuta soprattutto alla mancanza di fiducia da parte tedesca, manifestatasi con il netto rifiuto alla cessione delle armi da parte di Kesselring (comandante delle forze tedesche in Italia) e dal limitato appoggio di Wolff (comandante delle SS e della polizia tedesca nell'Italia settentrionale), che solo all'inizio di luglio autorizzò una cessione di 3 000 fucili italiani Carcano Mod. 91, ai quali in teoria avrebbero dovuto far seguito altre 7 000 armi da fuoco. A queste limitazioni si aggiungevano quelle sui tessuti per confezionare uniformi, generi alimentari, locali adatti ad alloggiare un numero consistente di uomini nonché carburante per i mezzi.
Per quanto riguarda l'armamento individuale, le fonti fotografiche mostrano una grande varietà di modelli tra pistole, fucili e pistole mitragliatrici. Scarsissima o più spesso inesistente la presenza di armi di squadra o reparto (mortai, mitragliatrici etc).
Per quanto riguarda l'uniforme i regolamenti si limitavano a prescrivere la camicia nera, spesso sostituita sul campo da maglioni, giacche o giubbotti dello stesso colore, ed integrate a seconda della reperibilità da elementi di uniforme e buffetterie del Regio Esercito, dell'Esercito Repubblicano o della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale.
Nella fase iniziale non esistevano gradi in senso stretto, ma delle semplici cordelline indossate attorno alla spalla destra come indicatori temporanei di funzione di comando, legati al ruolo rivestito nell'operazione in corso.

A partire dal Gennaio 1945, il sistema venne abbandonato e vennero istituiti gradi permanenti, analoghi a quelli della Guardia Nazionale Repubblicana.

Non erano previste mostrine o specifiche insegne da berretto, ma i volontari adottarono sistematicamente di propria iniziativa simboli basati principalmente su teschi e fasci repubblicani, in numerosissime varianti spesso di produzione semiartigianale.

Unico distintivo ufficiale (realizzato in metallo o in stoffa ricamata) era una targhetta rettangolare, nei colori Rosso e Nero tagliati in diagonale, riportante il nome della Brigata, da indossare sul lato sinistro del petto al di sopra delle medaglie, anche se sono conosciuti numerosi modelli di distintivo di Brigata non regolamentari di foggia o colori totalmente differenti.

A causa delle limitazioni in armi ed equipaggiamento, le Brigate Nere, che pure avevano avuto un consistente numero di domande di arruolamento sin dall'inizio della loro istituzione, dovettero per forza di cose fortemente limitarsi negli arruolamenti e di conseguenza non potettero raggiungere velocemente la forza teorica prevista, nonostante il progetto prevedesse tre battaglioni per brigata, per una forza totale teorica di 1 400 uomini.

Alla fine del luglio 1944 vi erano 34 Brigate in via di formazione, che schieravano 17 000 militi. Due mesi dopo le Brigate Nere erano 36 (due in più di quelle previste) e contavano su 30 000 volontari, ma solo 12 000 di questi erano effettivamente mobilitabili a causa la scarsità di armamenti. I restanti 18 000 erano considerati riservisti. In occasione della mobilitazione generale, il 2 aprile 1945, il Capo di Stato Maggiore il generale Edoardo Facduelle comunicava la mobilitazione complessiva di 29000 uomini sia in armi che in servizio. A quella data i caduti delle Brigate Nere ammontavano a 11 Comandanti di Brigata, 47 Ufficiali, 1641 Squadristi e 9 ausiliarie.


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LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA

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La Repubblica Sociale Italiana (RSI) era lo Stato guidato da Benito Mussolini e voluto dalla Germania nazionalsocialista al fine di governare parte dei territori italiani controllati militarmente dopo l’8 settembre 1943.

Pur rivendicando tutto il territorio del Regno d'Italia, la RSI esercitò la propria sovranità solo sulle province non soggette all'avanzata alleata e all'occupazione tedesca diretta. Inizialmente la sua attività amministrativa si estendeva nominalmente fino alle province settentrionali della Campania, ritirandosi progressivamente sempre più a nord, in concomitanza con l'avanzata degli eserciti angloamericani. A Nord, inoltre, i tedeschi istituirono due "Zone d'operazioni" comprendenti le province di Trento, Bolzano e Belluno (Zona d'operazioni delle Prealpi), e le provincie di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana (Zona d'operazioni del Litorale adriatico), sottoposte direttamente ai Gauleiter tedeschi del Tirolo e della Carinzia, de facto, anche se non formalmente annesse al Terzo Reich. L'exclave di Campione d'Italia fu inclusa nella Repubblica solo per pochi mesi, prima di essere liberata grazie ad una rivolta popolare appoggiata dai carabinieri.

La RSI fu riconosciuta da Germania, Giappone, Bulgaria, Croazia, Romania, Slovacchia, Ungheria, Cina nazionale, Manciukuò e Thailandia, vale a dire da paesi alleati alle potenze dell'Asse o con truppe dell'Asse presenti al loro interno. Finlandia e Francia di Vichy, pur navigando nell'orbita nazista, non la riconobbero. Relazioni ufficiose furono mantenute con Argentina, Portogallo, Spagna e, tramite agenti commerciali, anche con la Svizzera.

La RSI venne pertanto voluta e considerata fin dal suo esordio come uno Stato fantoccio. Mussolini ne era consapevole. Tuttavia alcuni storici ed esponenti politici hanno tentato di ridurre o eliminare la portata di tale definizione: a tal proposito si veda il paragrafo La RSI come Stato fantoccio.

La strutturazione giuridico-istituzionale della RSI avrebbe dovuto essere demandata a una assemblea costituente, come richiesto da congresso del PFR (14-16 novembre 1943). Si sarebbe dovuto instaurare una «repubblica ­sociale» in linea con i principi programmatici, a cominciare dalla «socializzazione delle imprese», tracciati nel ­documento noto come Manifesto di Verona e approvato durante i lavori congressuali. Mussolini preferì però rinviare la convocazione della Costituente al dopoguerra e limitandosi a far approvare dal Consiglio dei ministri il 24 novembre la denominazione di RSI.

L’avanzata angloamericana nella primavera del 1945 e l’insurrezione del 25 aprile 1945 determinarono la fine della RSI, la quale cessò ufficialmente di esistere con la resa di Caserta del 29 aprile 1945 (operativa dal 2 maggio) sottoscritta dagli Alleati con il Comando Tedesco Sud-Ovest anche a nome dei corpi militari dello stato fascista in quanto quest'ultimo non riconosciuto dagli Alleati come valido e autonomo.

Fondamenti ideologico-giuridico-economici della Repubblica Sociale Italiana furono il fascismo, il socialismo nazionale, il repubblicanesimo, la socializzazione, la cogestione, il corporativismo e l'antisemitismo.

La creazione di uno stato italiano fascista guidato da Mussolini fu annunciato dallo stesso il 18 settembre 1943 attraverso Radio Monaco. Tre giorni prima l'agenzia ufficiosa del Reich, la DNB, aveva comunicato che Mussolini assumeva «nuovamente la suprema direzione del Fascismo in Italia» diramando i primi cinque fogli d'ordini del duce.

Il 23 settembre veniva costituito presso l'ambasciata tedesca a Roma il nuovo governo Mussolini in assenza di quest'ultimo ancora in Germania. In questa fase viene usata l'espressione "Stato Fascista Repubblicano d'Italia". Il 27 settembre il governo comunica che «si dà inizio al funzionamento del nuovo Stato Fascista Repubblicano».

Il 28 settembre nel suo primo Consiglio dei ministri alla Rocca delle Caminate, presso Forlì, viene usata la denominazione di "Stato Nazionale Repubblicano". La prima Gazzetta Ufficiale a non riportare le insegne e le intestazioni monarchiche fu quella pubblicata il 19 ottobre. Il 20 ottobre il ministro guardasigilli dispone «che la denominazione "Regno d'Italia" negli atti e documenti e in tutte le intestazioni relative a questo Ministero e agli Uffici da esso dipendenti, sia sostituita dalla denominazione: "Stato Nazionale Repubblicano d'Italia"».

Al terzo Cdm del 27 ottobre Mussolini annuncia «la preparazione della Grande Assemblea Costituente, che getterà le solide fondamenta della Repubblica Sociale Italiana», tuttavia lo Stato non cambia nome. Il 17 novembre il Manifesto di Verona approvato dal PFR delinea la creazione di una «Repubblica Sociale». Il 24 novembre il quarto Consiglio dei ministri delibera che «lo Stato nazionale repubblicano prenda il nome definitivo di “Repubblica Sociale Italiana”» a partire dal 1º dicembre 1943.

La RSI fu ben presto nota anche come "Repubblica di Salò", dal nome della località sul lago di Garda sede del Ministero della Cultura Popolare con le agenzie di stampa e degli Esteri, donde per cui la maggior parte dei dispacci ufficiali recavano l'intestazione "Salò comunica...", o "Salò informa", o "Salò dice".

Durante la Seconda guerra mondiale, dopo lo sbarco americano in Sicilia e l'ormai ritenuta inesorabile sconfitta dell'Italia, furono a molti livelli cercate soluzioni per uscire dalla crisi. Il 25 luglio 1943 il Gran Consiglio del Fascismo, organismo costituzionale e direttorio politico del PNF, con l'Ordine del giorno Grandi aveva invitato Mussolini

« a pregare la Maestà del Re  affinché Egli voglia, per l'onore e la salvezza della Patria, assumere - con l'effettivo comando delle Forze Armate  - quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a Lui attribuiscono e che sono sempre state  il retaggio glorioso della nostra Augusta Dinastia di Savoia. »
Nell'approvazione dell'ordine del giorno c'era stato il voto, se non decisivo almeno assai significativo, di Galeazzo Ciano, ex-Ministro degli Esteri e genero del Duce, e di Dino Grandi, importante politico e diplomatico che aveva rappresentato nel mondo il prestigio dell'Italia fascista.

Nel pomeriggio dello stesso 25 luglio, Mussolini era stato ricevuto dal Re nella sua residenza di Villa Savoia. Dopo un breve colloquio, che si era concluso con la richiesta delle dimissioni da Capo del Governo, Mussolini fu arrestato e condotto, con un'ambulanza della Croce Rossa, presso la caserma della Legione Allievi Carabinieri di via Legnano, a Roma-Prati, ove restò recluso per tre notti prima di essere trasferito altrove.

Non presso la sua residenza di Rocca delle Caminate, come egli sperava. Il 28 luglio fu imbarcato a Gaeta sulla corvetta Persefone e trasferito prima a Ventotene, poi sull'isola di Ponza e, dal 7 agosto, con la corvetta Pantera, sull'isola della Maddalena. Infine dal 28 agosto ai piedi del Gran Sasso, per poi salire il 3 settembre a Campo Imperatore dove restò, controllato da 250 carabinieri e guardie di Pubblica sicurezza, sino alla sua liberazione da parte di un reparto di paracadutisti tedeschi guidati da Otto Skorzeny.

Al posto di Mussolini il Re aveva nominato Pietro Badoglio, il quale subito aveva sedato l'euforia popolare, sorta alla notizia della caduta del capo del fascismo, e spento le speranze di pace con il famoso proclama radiofonico caratterizzato dall'impegno: "La guerra continua". Dopo lunghe trattative, l'8 settembre si giunse alla proclamazione dell'armistizio di Cassibile con gli Alleati (già firmato il 3 settembre). Ne seguì un generale sbandamento, durante il quale la famiglia reale fuggì da Roma insieme a Badoglio, rifugiandosi a Brindisi. Le autorità ed i dirigenti dello Stato, compresi gli stati maggiori delle forze armate, si smembrarono, scomparvero, si resero irreperibili, mentre le truppe tedesche prendevano il controllo del Paese seguendo un preciso piano organizzato mesi prima (Operazione Achse). La penisola restava divisa in due, occupata dalle forze alleate al sud e dalle forze tedesche al centro nord, con Roma tenuta dai tedeschi sino al 4 giugno 1944.

La nascita di un governo fascista nell'Italia occupata dai tedeschi era già stata pianificata segretamente (Operazione Achse) dai vertici di Berlino prima della liberazione di Mussolini: inizialmente si pensò ad un governo con Alessandro Pavolini, Vittorio Mussolini e Roberto Farinacci - esuli in Germania dopo il 25 luglio - ma nessuno dei tre sembrava dare sufficienti garanzie alla Germania, mentre Farinacci rifiutò ogni incarico. Si ventilò allora la possibilità di affidare il governò a Giuseppe Tassinari. La liberazione di Mussolini risolse il problema.

La liberazione di Mussolini era stata minuziosamente organizzata dai tedeschi, per diretto ordine di Hitler, e venne realizzata il 12 settembre da truppe scelte guidate da Kurt Student, Harald-Otto Mors e dal maggiore Otto Skorzeny, che dopo aver preso possesso dei luoghi e liberato il prigioniero, lo condusse a Monaco di Baviera. Qui Mussolini discusse della situazione del nord Italia in una serie di colloqui (durati due giorni) con Hitler dei quali non è giunto alcun verbale. Inizialmente depresso e incerto, Mussolini fu convinto da Hitler, che sembra aver minacciato di ridurre l'Italia "peggio della Polonia", ed accettò di costituire un governo fascista al nord.

Il 15 settembre furono emanate da Monaco le prime direttive per riorganizzare il partito fascista, che nel frattempo si stava ricostituendo spontaneamente dopo la dissoluzione sotto il peso degli avvenimenti dell'Armistizio, e della MVSN, in parte rimasta armi al piede. Riprendendo il programma dei Fasci italiani di combattimento del 1919, richiamandosi a Mazzini ed enfatizzando le origini e i contenuti repubblicani e socialista, il 17 settembre Mussolini proclamò attraverso Radio Monaco (un'emittente captata in buona parte dell'Italia settentrionale) la prossima costituzione del nuovo Stato fascista. Questa sarebbe stata formalizzata il giorno 23, insediando la prima riunione del Governo della Repubblica Sociale Italiana a Roma.

« Lo Stato che noi vogliamo instaurare sarà nazionale e sociale nel senso più lato della parola: sarà cioè fascista nel senso delle nostre origini. »
(Benito Mussolini, dal discorso di Radio Monaco del 18 settembre 1943.)
A novembre fu istituita un'ambasciata della RSI in Germania: fu nominato ambasciatore Filippo Anfuso, che presentò le sue credenziali ad Hitler il giorno 13. Il Reich ricambiò inviando a Salò Rudolf Rahn, già ambasciatore a Roma prima dell'armistizio, che si presentò a Mussolini l'11 dicembre, anniversario della firma del Patto Tripartito. Le sedi degli organi istituzionali, dei ministeri e delle forze armate della RSI vennero distribuite in tutto il nord Italia.

Il circondario di Salò, sede di alcuni dei maggiori uffici governativi, non era solo di grande bellezza paesaggistica, ma era anche strategicamente assai importante: oltre alla vicinanza con le fabbriche d'armi (ad esempio a Gardone Val Trompia, ove avevano sede la Beretta ed altre fabbriche minori) e con le industrie siderurgiche, vantava la prossimità a Milano ed alla frontiera tedesca e, oltre ad essere riparato dall'arco alpino, risultava equidistante dalla Francia e dall'Adriatico. Era nel cuore dell'ultima parte dell'Italia ancora in grado di svolgere la produzione e dunque capace di creare merci da poter vendere, ancorché sottoprezzo e soltanto alla Germania.

La Repubblica Sociale Italiana ebbe un governo de facto, ovvero un esecutivo che operava in mancanza di una Costituzione, la quale pur essendo stata redatta non venne mai discussa e approvata.

Tale organo, pur sembrando possedere tutte le prerogative essenziali per essere considerato sovrano (potere legislativo, autorità sul territorio, esclusività della moneta e disponibilità di forze armate) le esercitò de facto, ma non de iure. Benito Mussolini fu - sia pure mai proclamato - Capo della Repubblica (così il Manifesto di Verona definiva la figura del capo dello Stato, mentre nel citato progetto di Costituzione si parla di "Duce della Repubblica"), capo del Governo e ministro degli Esteri. Il Partito Fascista Repubblicano (PFR) fu retto da Alessandro Pavolini. Erede di ciò che rimaneva al nord della MVSN, dell'Arma dei Carabinieri e della Polizia dell'Africa Italiana, fu creata la Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) con compiti di polizia giudiziaria e di polizia militare, posta sotto il comando di Renato Ricci.

Il 13 ottobre 1943 fu annunciata l'imminente convocazione di un'Assemblea Costituente, che avrebbe dovuto redigere una Carta costituzionale nella quale la sovranità sarebbe stata attribuita al popolo. Dopo la prima assemblea nazionale del PFR, svoltasi a Verona il 14 novembre 1943, questo annuncio fu annullato da Mussolini, avendo deciso di convocare detta Assemblea Costituente a guerra conclusa. Il 20 dicembre 1943 il Consiglio dei Ministri della Repubblica Sociale Italiana decise di soprastampare i francobolli con effigie di Vittorio Emanuele III affinché venissero usati nei propri territori. Solo alla fine del 1944 verrà emessa una serie con vignette appositamente illustrate.



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mercoledì 25 febbraio 2015

SFORZA

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La famiglia Sforza acquisì notevole importanza dalla fine del XIV secolo, lasciando un segno nella storia italiana ed europea.Il nome della famiglia deriva dal soprannome del suo fondatore, Muzio Attendolo (Cotignola, 1369 - vicino Ravenna, 1424), un capitano di ventura della Romagna al servizio dei re Angioini di Napoli, chiamato Sforza (Forte) per la sua prestanza. Fu la dinastia di condottieri italiani che ebbe maggior fortuna.

Il primo duca di Milano fu il figlio maggiore di Muzio Attendolo, Francesco (1401-1466), che acquisì il titolo ducale grazie al suo matrimonio con Bianca Maria Visconti, ultima erede del duca Filippo Maria Visconti, morto nel 1447. Da questo matrimonio originò il ramo principale della famiglia. Il successore di Francesco I fu Galeazzo Maria (1444-1476), duca dal 1466 alla morte, che sposò Bona di Savoia. Fra le sue figlie illegittime va segnalata Caterina Sforza, che sposò dapprima Girolamo Riario, divenendo signora di Forlì ed Imola, e fu poi la madre di Giovanni dalle Bande Nere.

Successore di Galeazzo Maria fu il figlio Gian Galeazzo (1469-1494), che, a causa della sua debolezza ed inettitudine, in pratica non governò mai direttamente, egli sposò Isabella d'Aragona. La reggenza del ducato fu fin dall'inizio nelle mani di Ludovico Sforza detto il Moro, che ebbe il titolo di duca solo a partire dalla morte del nipote; Ludovico il Moro sposò Beatrice d'Este. A riprova del prestigio goduto dal casato milanese in quel periodo vi è il matrimonio celebrato tra Bianca Maria, sorella di Gian Galeazzo e l’imperatore Massimiliano I d’Asburgo. Ludovico il Moro governò sul Ducato di Milano fino al 1500, anno in cui fu definitivamente sconfitto e preso prigioniero dai francesi. Dopo che i francesi furono cacciati dall'esercito di mercenari svizzeri dell'impero (1512), il ducato di Milano tornò per alcuni anni nelle mani dei figli di Ludovico il Moro, Massimiliano (1493-1530) e Francesco II (1495-1535), che sposò Cristina di Danimarca, nipote dell'imperatore Carlo V. Costoro, coinvolti nelle guerre tra Francia ed Impero, regnarono ad intervalli e sotto la protezione degli Asburgo, ai quali, dopo la morte di Francesco II senza eredi, passò il ducato.

Da Giovanni Paolo (1497-1535), figlio naturale di Ludovico il Moro e di Lucrezia Crivelli, discese il ramo dei Marchesi di Caravaggio, estinto nel 1717. Da Sforza Secondo, figlio naturale di Francesco I, discese il ramo dei conti di Borgonovo Val Tidone, estinto nel 1680; da Jacopetto, figlio naturale di Sforza Secondo, discese il ramo dei Conti di Castel San Giovanni, che giunse fino al XX secolo e a cui appartenne il ministro Carlo Sforza.



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lunedì 23 febbraio 2015

ANDIAMO IN BORSA

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L.O.V.E., comunemente nota come “Il Dito” è una scultura posta al centro di Piazza degli Affari a Milano, opera dell’artista italiano Maurizio Cattelan. L’opera è collocata di fronte a Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa. Il nome è un acronimo di libertà, odio, vendetta, eternità. La scultura è alta 4 metri e 60, che diventano 11 complessivi contando il basamento, ed è realizzata in marmo di Carrara.

L'opera raffigura una mano intenta nel saluto fascista ma con tutte le dita mozzate - come se erose dal tempo - eccetto il dito medio. Il gesto irriverente, che contrasta ironicamente con lo stile classico e monumentale dell’opera, sembra così rivolgersi sia all’architettura del ventennio di Palazzo Mezzanotte sia al mondo della finanza che esso rappresenta. È stata inaugurata il 24 settembre 2010 dal sindaco Letizia Moratti. Inizialmente si era previsto che la scultura rimanesse nella piazza soltanto per due settimane, ma nel 2012 la giunta Pisapia decise di lasciare la sua collocazione nel cuore della finanza italiana, grazie all’intervento dell’assessore alla cultura Stefano Boeri.

La scultura è stata spesso associata ai temi della crisi economica e della protesta contro l'alta finanza, associazione che Cattelan non ha mai avallato esplicitamente. Il 23 febbraio 2013, in occasione della Settimana della moda, degli attivisti di Greenpeace hanno coperto il dito con un guanto verde per chiedere all’industria della moda maggiore attenzione ai temi ambientalisti.

La borsa valori di Milano è sorta nel 1808 per volontà del napoleonico viceré del Regno d'Italia Eugenio di Beauharnais e venne inizialmente collocata presso il Palazzo del Monte di Pietà. Sebbene le contrattazioni fossero ridotte, lo spazio era troppo ristretto e così già nel settembre del 1809 si decise di trasferire gli scambi in Piazza Mercanti presso il Palazzo dei Giureconsulti, oggi sede della Camera di Commercio di Milano e che ospitò la Borsa di Milano per quasi un secolo.

Dopo il periodo napoleonico Milano ritornò a essere controllata dagli Austriaci, parte del Regno Lombardo-Veneto e un decreto imperiale del maggio 1816 ribadì i compiti e finalità della Borsa.

Con la nascita dell'Italia unita, sulla Borsa vennero quotate, con l'intermediazione di banche su base azionaria come il Credito Mobiliare e la Banca Generale e molte case bancarie private milanesi, come Achille Villa, Burocco Casanova, Giulio Belinzaghi, Zaccaria Pisa, Vonviller & C., Weill-Schott, ingenti quantità di titoli di debito statali, necessari a ripagare gli sforzi finanziari sostenuti per l'unificazione, a cui si aggiunsero titoli di poche grandi società private come banche, compagnie ferroviarie e assicurazioni.

Tra i maggiori titoli industriali tra il 1862 e il 1894 le azioni e le obbligazioni Società per le strade ferrate meridionali, Società ferrovie del mediterraneo, Navigazione generale italiana, Acciaierie e fonderie di Terni, Società generale immobiliare, cui si aggiungevano i titoli della Banca Nazionale nel Regno d'Italia e del Credito Mobiliare.

La seconda rivoluzione industriale in Italia si manifestò con un po' di ritardo anche a causa della mancanza di materie prime e della non facilità di capitali mobilitabili. Nonostante questo gli ultimi due decenni dell'Ottocento, in particolare dal 1895, furono caratterizzati da una crescita economica e industriale molto intensa, sospinta dal governo e coadiuvata da banche milanesi come la Banca Commerciale Italiana (1894-5), il Credito Italiano (1895) e altre banche e banchieri; la Borsa venne scelta quale via per il coinvogliamento di capitali nelle grandi imprese e alcune banche si specializzarono appunto in questa funzione di intermediazione e garanzia verso il pubblico. Così i titoli azionari quotati a Milano aumentarono da 23 del 1895 a 54 del 1900, per toccare i 160 titoli nel 1913.

La rapida crescita del mercato mobiliare già sul finire del XIX secolo, rese il Palazzo dei Giureconsulti non più sufficiente ad accogliere tutti gli operatori, così fu deciso di realizzare un nuovo edificio specificatamente destinato a questo in Piazza Cordusio. Palazzo Broggi (opera di Luigi Broggi, oggi sede centrale milanese delle Poste Italiane) venne inaugurato nel 1901.

Nel corso del XIX secolo si erano diffuse anche piazze di scambio minori e con funzione prettamente regionale come la Borsa Valori di Roma, la Borsa Valori di Torino, la Borsa Valori di Bologna, la Borsa Valori di Genova e la Borsa Valori di Firenze.

La Borsa di Milano emerse su tutte le altre poiché su di essa erano quotate le principali società industriali italiane, e per questo i volumi degli scambi aumentarono ancora considerevolmente. Alla metà degli anni venti Palazzo Broggi si decise che non bastava più e nel 1928 venne assegnata a Paolo Mezzanotte la realizzazione della nuova (e ultima) sede: Palazzo Mezzanotte (1932) in Piazza Affari.

La forte riduzione della liquidità, attuata dalla Banca d'Italia su ordine del governo, a partire dall'estate del 1927 tuttavia iniziò a riverberarsi sull'economia e sulla Borsa. La crisi finanziaria del 1929 e seguenti depresse foremente i valori dei titoli industriali, rivalutando il reddito fisso. La volontà del governo di indirizzare il risparmio privato verso il titoli del debito pubblico si realizzò negli anni seguenti al 1929.

Con l'avvento dello stato imprenditore e banchiere (IRI e più tardi IMI) e con altri provvedimenti dirigistici, tra cui la chiusura dell'Italia nei confronti del mercato internazionale dei capitali, la funzione della Borsa quale intermediaria del capitale privato per le imprese perse di importanza, fatti salvi ancora alcuni titoli come Edison, Bastogi, Fiat, Pirelli, Ras, Assicurazioni generali.

Nel dopoguerra il paese visse il boom economico e anche la borsa milanese per tutti gli anni cinquanta visse un periodo di ritrovata espansione domestica, nonostante il fatto che l'Italia perseguisse la continuazione della chiusura al mercato internazionale di capitali; in cui questa fase si assistette anche alla comparsa di rampanti speculatori come Michelangelo Virgillito (scalate alla Liquigas, Lanerossi, Assicuratrice Italiana) e poi la vicenda di Michele Sindona. Sia in parte per la responsabilità di personaggi del genere, sia di più per la perdurante disattenzione del governo ai temi dell'investimento borsistico in titoli industriali che di fatto privilegiava i titoli del debito pubblico, cui si aggiungevano i perduranti ostacoli normativi alla libertà di movimento di capitali, nei due decenni successivi la borsa vide una fase di stagnazione.

Nel 1978 su impulso della Banca d'Italia nasce Monte Titoli con lo scopo di avere un deposito unico degli strumenti finanziari di diritto italiano.

Nel 1983 furono quotati i primi fondi comuni di investimento di diritto italiano, pratica diffusa in tutti i maggiori Paesi del mondo Occidentale.

Nel 1991 venne approvata la riforma della Borsa che tra le varie innovazione portò agli scambi telematici e alla definitiva abolizione del mercato gridato nel 1994 e all'accorpamento, nel 1997, di tutte le piazze finanziarie italiane in una sola società privata: Borsa Italiana con sede a Milano.

I provvedimenti delle parziali (Eni, Enel, etc) o totali privatizzazioni (Telecom) e quelli sui movimenti internazionali dei capitali dettero nuove possibilità alla borsa.




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