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sabato 25 aprile 2015

SANT ' AMBROGIO OLONA

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Sant'Ambrogio è un quartiere della città di Varese posto nel quadrante nordoccidentale dell'area urbana.

Il primo nome del rione fu Segocio, in quanto le cronache del tempo affermano che la Madonna vergine madre di Dio apparve a Sant'Ambrogio nel luogo di "Segocio" (la zona centrale del rione) che in seguito fu chiamato Sant'Ambrogio Olona in onore del Santo Vescovo ed al fiume che scorre nella zona.

Sotto l'impero Romano, anche Segocio, come tanti altri punti strategici circostanti della zona varesina allo sbocco delle valli, venne interessata dalla costruzione di un sistema difensivo formato da presidi di vedetta realizzati con grossi conci di pietra e collegati fra loro attraverso alcune strade, che arrivavano fin sulla cima del Sacro Monte.

Fu così che venne innalzata la torre (oggi campanile), che fece delle poche case che la circondavano il primo vero nucleo di quello che sarebbe diventata l'attuale frazione di Sant'Ambrogio Olona.

Registrato agli atti del 1751 come un borgo di 345 abitanti, nel 1786 Sant'Ambrogio entrò per un quinquennio a far parte dell'effimera Provincia di Varese, per poi cambiare continuamente i riferimenti amministrativi nel 1791, nel 1798 e nel 1799. Alla proclamazione del Regno d'Italia nel 1805 risultava avere 400 abitanti. Nel 1809 il comune fu soppresso su risultanza di un regio decreto di Napoleone che lo annesse a Velate, ma l'autonomia municipale di Sant'Ambrogio fu poi ripristinata con il ritorno degli austriaci. L'abitato crebbe poi discretamente, tanto che nel 1853 risultò essere popolato da 600 anime, salite a 698 nel 1871. Nel frattempo, dal 1863, il governo aveva cambiato la denominazione del comune in Sant'Ambrogio Olona. Una sensibile crescita demografica nella seconda metà del XIX secolo portò poi ai 1201 residenti del 1921. Fu quindi il fascismo a decidere nel 1927 la nuova e definitiva soppressione del municipio locale, stabilendo l'annessione dell'abitato a Varese.

In seguito all’unione temporanea delle province lombarde al regno di Sardegna, in base al compartimento territoriale stabilito con la legge 23 ottobre 1859, il comune di Sant’Ambrogio Olona con 622 abitanti, retto da un consiglio di quindici membri e da una giunta di due membri, fu incluso nel mandamento I di Varese, circondario II di Varese, provincia di Como.
Alla costituzione nel 1861 del Regno d’Italia, il comune aveva una popolazione residente di 640 abitanti (Censimento 1861). Sino al 1863 il comune mantenne la denominazione di
Sant’Ambrogio e successivamente a tale data assunse la denominazione di Sant’Ambrogio Olona (R.D. 8 febbraio 1863, n. 1192). In base alla legge sull’ordinamento comunale del 1865 il comune veniva amministrato da un sindaco, da una giunta e da un consiglio. Nel 1867 il comune risultava incluso nello stesso mandamento, circondario e provincia (Circoscrizione amministrativa 1867). Popolazione residente nel comune: abitanti 698 (Censimento 1871); abitanti 775 (Censimento 1881); abitanti 880 (Censimento 1901); abitanti 1.064 (Censimento 1911); abitanti 1.201 (Censimento 1921). Nel 1924 il comune risultava incluso nel circondario di Varese della provincia di Como. In seguito alla riforma dell’ordinamento comunale disposta nel 1926 il comune veniva amministrato da un podestà. Nel 1927 il comune venne aggregato alla provincia di Varese. Nel 1927 il comune di Sant’Ambrogio Olona venne aggregato al comune di Varese (R.D. 24 novembre 1927, n. 2247).

La chiesa edificata in onore del Vescovo e della vergine, in quei tempi, doveva essere assai ridotta anche perchè il luogo era isolato, ma ricco di essenze arboree, successivamente nel secolo XII la piccola costruzione venne sostituita dalla chiesa "PARROCCHIALE ANTICA" di stile romanico, della quale rimane l'abside accanto al campanile.

L'edificio della chiesa parrocchiale, dichiarato Monumento Nazionale, sorge nel centro della frazione di S. Ambrogio Olona.

Il suo campanile, originariamente privo di cella campanaria e cupola, altro non è che l'antica torre romana presso la quale Ambrogio, vescovo di Milano, sconfisse gli Ariani nell'Alto Medioevo.

La chiesetta - attribuibile secondo alcuni al XII secolo, secondo altri alla seconda metà del XI secolo - venne costruita presso la torre romana preesistente per soddisfare le accresciute esigenze della popolazione del tempo (200-250 abitanti), la cui dipendenza ecclesiastica da Varese diveniva pesante, anche a causa delle difficoltà nei collegamenti fra i due abitati.

L'edificio attuale sorge sul luogo dell'antichissima cappellina: la parte absidale tuttora visibile ne testimonia lo stile romanico, orientato secondo l'antica usanza da oriente a occidente e dalla forma di rettangolo perfetto, a cui si aggiunge il semicerchio dell'abside.

Nonostante la perdita nel 1890 di una buona metà della struttura originaria, si possono ancora vedere le immorsature della copertura originaria del tetto, la finestra centrale ancora intatta e le tracce di quella a nord (quella a sud, sulla piazzetta, è stata eliminata nel ‘700).

Sul fianco meridionale inoltre sono visibili, in alto, i resti di una finestra ad arco tondo, della primitiva costruzione romanica.

Dopo studi approfonditi, nel 1949 il pittore santambrogino Luigi Daverio ha richiamato l'attenzione di critici e studiosi sul notevole complesso di affreschi interno alla chiesa.

Nella volta della cappella laterale dell'antica parrocchiale, inquadrati tra stucchi di fattura barocca, sono stati svelati dipinti attribuiti a Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone, il più singolare artista del Seicento lombardo, le cui opere sono ammirate anche nella Basilica di S. Vittore di Varese, nella settima cappella del Sacro Monte, nel Santuario di Varallo, a Novara, Como, Piacenza.

Al centro degli affreschi è raffigurato l'Eterno Padre benedicente, attorniato dalla colomba simbolo dello Spirito Santo e da pannelli con gruppi di angeli musicanti di mirabile fattura.

Dopo attenti studi, anche la bellissima Madonna dipinta su tavola da anni riposta nel coro, ha ritrovato l'antico splendore: essa è dovuta al valente pennello di Carlo Francesco Nuvolose (1608-1661), il maggior esponente di una famiglia di noti pittori, discepolo di Giulio Cesare Procaccini.

Celebri i suoi dipinti e ricercatissime le sue Madonne che, ricche di grazia e di soavità, si avvicinavano moltissimo allo stile del Veronese e del Murillo.

Tutti gli studi critici e le attribuzioni sono state pienamente confermate dalla professoressa Eva Tea, docente di storia delle Arti all'Accademia di Brera e all'Università Cattolica di Milano, nel corso di un sopralluogo eseguito a brillante coronamento del lungo e paziente lavoro compiuto dal Daverio.

La chiesa parrocchiale di S. Ambrogio si onora, inoltre, anche di due notevoli bassorilievi che un parrocchiano, lo scultore Angelo Frattini, eseguì agli inizi della sua felice carriera artistica.

Essi sono in opera nelle lunette sopra le porte che dall'altare maggiore introducono in sacrestia e alla Grotta di Lourdes, e raffigurano La Speranza e La Fede.

S. Ambrogio ha sempre nutrito un profondo culto per la patria, ad onore e gloria della quale ha anche immolato parecchi dei suoi Figli migliori: ne è testimonianza il Monumento ai Caduti, eretto in piazza Milite Ignoto dopo la prima guerra mondiale.

Lo scultore Ernesto Bazzano, chiamato a realizzare l'opera, modellò un soldato che impugnava la bandiera nazionale, proteso verso la trincea nemica.

Il bronzo, collocato su un piedistallo di pietra in mezzo a un giardinetto recinto, vi rimase fino al 1943, quando venne rimosso dalle truppe tedesche di stanza in Alta Italia, che lasciarono solo il nudo piedistallo.

Al termine del secondo conflitto mondiale, un Comitato esecutivo emanazione della locale Sezione Combattenti e Reduci, diede incarico al santambrogino Angelo Frattini di studiare un nuovo bronzo, raffigurante la gioventù nell'atto di stringersi al petto la bandiera, simbolo della Patria.

L'opera, realizzata con il solidale contributo di tutta la popolazione, venne inaugurata il 9 settembre 1957 alla presenza delle maggiori autorità cittadine e provinciali e dell' onorevole Tambroni, allora Ministro degli Interni, che tagliò il nastro d'onore.

Il bronzo fu anche benedetto dal parroco don Barnaba Stucchi, e fu madrina la signorina Corinna Marocchi, sorella di un glorioso caduto pluridecorato.

Sulla pietra del piedistallo venne scolpita questa dedica: "Sulla pietra monca e fredda risorge il Soldato d'Italia. Nello sguardo la visione della Vittoria, della Gloria, del Martirio. Nel gesto, la difesa della Patria immortale."

S. Ambrogio Olona è ricordata nella storia del Risorgimento italiano per aver ospitato il grande condottiero dei Cacciatori delle Alpi e delle camicie rosse, nelle giornate fatidiche del maggio 1859, quando la città di Varese si affrancò dalla dominazione austriaca.

Racconta in proposito lo scrittore Carrano: "L'ex maggiore austriaco a riposo, italiano, abitava in S. Ambrogio la casa di una suo nipote, residente in Londra la quale, presentando, unica fra le altre, un aspetto civile e vago, poteva essere facilmente rimarcata ed attirare lo sguardo e l'attenzione dei passeggeri.

Quando giunse Garibaldi era già calata la notte, ed anche senza le eccezionali circostanze d'allora, la porta della casa in discorso sarebbe stata egualmente serrata, poiché era vecchia abitudine del maggiore Zanzi il coricarsi presto la sera per alzarsi prestissimo il mattino.

Era dunque naturalissimo che la porta fosse chiusa, e che s'avesse a picchiare per farla aprire, allorché Garibaldi decise di volere entrare a passare la notte in quella casa.

Il maggiore Zanzi era a letto ammalato, ma diede ordine al proprio domestico di aprire e dare ospitalità.
Per cui la casa fu tosto messa a disposizione del generale Garibaldi e del suo seguito.

In un momento furono approntati 24 materassi per ristorare le membra affaticate dei sopraggiunti e le tre nipoti del signor Zanzi – per quanto spossate e bisognevoli anch'esse di riposo, in quanto ivi rifugiatesi, fuggitive da Varese – vegliarono in piedi tutta quanta la notte, per cedere stanze, letti, divani e sedie ai benvenuti".

Nella casa Zanzi, Garibaldi riposò in una stanzetta a piano terreno, dove non c'era di meglio che un libro legato elegantemente "che era uno schema o almanacco militare dell'Impero d'Austria".

Sempre dal suo quartier generale di S. Ambrogio, il grande Condottiero italiano scriveva al Commissario Regio in Como, signor Venosta: "Io sono a fronte del nemico a Varese – penso di attaccarlo questa sera. Mandate i paurosi e le famiglie che temono fuori della Città, ma la popolazione virile, sostenuta dal Camozzi nostro, le due Compagnie, i Volontari e le campane a stormo, procurino di fare la possibile resistenza".

Prosegue il Della Valle nel suo libro: "A tale scopo, scaglionati i suoi Battaglioni a destra verso Masnago, ed a sinistra verso Induno, egli stesso in persona (Garibaldi) collocò gli avamposti dinnanzi a S. Ambrogio.

Quindi, accompagnato da due ufficiali di Stato Maggiore, dal capitano Simonetta e dal signor Adamoli di Varese, si portò per una ricognizione su di un colle a destra della strada da S. Ambrogio a Varese, da dove poté osservare la sottoposta Città e rilevare le forti posizioni che gli Austriaci tenevano fuori di essa, sulle alture e nelle ville circostanti.
Conosciute quelle favorevolissime posizioni del nemico, vedutolo preparato e pronto a riceverlo, e consideratone il numero sproporzionatamente superiore alle sue forze, Garibaldi dimise il pensierino di tentare nuovamente colà la fortuna delle armi e fece ritorno a S. Ambrogio".

Era il I giugno 1859.

Il giorno seguente "…il generale andò fuori all'alba a riconoscere il nemico, secondo il suo costume di volere osservare ogni cosa coi propri occhi, e scoprì che esso erasi avanzato anche verso S. Ambrogio, occupando Biumo Superiore, e dominando da questo promontorio la strada da S. Ambrogio a Varese.

S.Ambrogio vanta la presenza di numerose ville d'epoca liberty, con torrette, palmizi e ferri battuti floreali, segno della stagione turistica d'inizio secolo e del primo dopoguerra: molti signori di Milano infatti sceglievano la zona tranquilla e salubre del Varesotto per trascorrervi i mesi estivi.

Di grande suggestione è Villa Toeplitz, costruita in stile eclettico sul finire dell'800 per conto della famiglia del fondatore dell'appena fondata Banca Commerciale Italiana.

La villa, costruita sulla collina a levante del paese, è in posizione dominante verso l'Orsa, il Bisbino, Brunate, la piana di Induno, il Comasco e verso la zona a mezzodì del Rione.

Oltre alla terrazza panoramica affacciata sulla valle dell'Olona, è da notare la torretta con specola per le osservazioni astronomiche. Lo splendido parco, realizzato nel 1927, è percorso da un sofisticato gioco di prospettive e sentieri e disseminato di notevoli fontane in pietra.

Lo splendore della villa troverebbe origine nella determinazione e nel gusto di donna Edvige Toeplitz, ispiratrice del meraviglioso giardino e collaboratrice intelligente del marito, Giuseppe Toeplitz, che verso la fine della prima guerra mondiale, acquistata la villa a cui diede il proprio nome, ampliava i terreni della proprietà fino ad avere lo spazio sufficiente alla realizzazione di uno dei suoi sogni.

Un lato del terreno fu trasformato in frutteto, con una coltura completa di ogni qualità di pere e mele ad alto fusto. Nel medesimo tempo, l'interno della villa subiva notevoli modifiche, mentre nella zona più alta del parco veniva edificata la bella Cappella.

La realizzazione dello splendido parco fu affidata a un famoso giardiniere francese, a patto tuttavia che si attenesse alle precise indicazioni di donna Edvige, ispirate alle meraviglie osservate durante i suoi avventurosi viaggi in Asia.

Ad esempio, il disegno del giardino riconduce chiaramente a Shalimar-Bag e Nisha-Bag, le due più belle realizzazioni dell'imperatore mongolo Babar (detto proprio "Padre dei Giardini"), da cui donna Edvige rimase profondamente affascinata durante il suo viaggio nel Kashmir.

La villa ed il suo parco diventarono presto centro di raffinata vita culturale ed artistica: intorno a donna Edvige si raccoglievano musicisti, compositori, cantanti, attori e attrici.

I Toeplitz, profondamente religiosi, vollero anche la costruzione di una Cappella, per la quale fu chiamata dalla Polonia la signorina Goraska, architetto, che diede vita a un piccolo capolavoro.

Degli affreschi si occupò il celebre pittore polacco Rosen, lo stesso che, su invito di Papa Pio XI, eseguì nella Cappella privata del Pontefice a Castelgandolfo gli affreschi della difesa di Czestochowa, raffigurandovi la famosa Madonna Nera. Lo stesso Rosen ha affrescato anche la cappella di famiglia al cimitero di Sant'Ambrogio dove è raffigurata l'immagine del Cardinale di Milano S.E. Idelfonso Schuster.

Ma le sorprese, in questo giardino della felicità sono quasi inesauribili.

Donna Edvige, che si interessava anche di astronomia, fece costruire anche un piccolo Osservatorio, perfettamente attrezzato, valendosi della collaborazione del prof. Bianchi, direttore dell' Osservatorio di Brera e creatore dell' Osservatorio di Merate e del Planetario di Milano.

Con la morte di Giuseppe Toeplitz, il complesso fu ereditato dalla moglie e dal figlio Ludovico che, dopo la seconda guerra mondiale, lo vendettero ai fratelli Mocchetti di Legnano.

Nel lasciare la villa, dopo la scomparsa del marito, donna Edvige cedette sì il telescopio ma lasciò intatta la cupola mobile.

La proprietà passò infine, nel 1972, al Comune di Varese, che volle aprire il parco al pubblico e destinare l'edificio ad una funzione scolastica.

Attualmente la villa è sede dell'Università dell'Insubria di Varese.

Il complesso dei Molini Grassi, sia per la loro struttura architettonica (sono composti da più edifici su più livelli naturali lungo l'Olona) che per la dotazione ruote (ben sette iscritte a Catasto nel 1881) è stato senza dubbio uno fra i più importanti della nostra zona.

Date presenti su una parete interna dell'edificio più a Sud (1730) e soprattutto l'affresco esterno sulla facciata dell'edificio a Nord (1675) ne attestano la presenza sin dai tempi più antichi.

Ancora di grande valore l'ambito circostante.

Il complesso dei Molini Grassi, grazie anche ad  alcuni   recenti   interventi  di   restauro,  ha mantenuto una consistenza strutturale originaria ancora facilmente visibile.

Sono tuttora presenti due ruote in ferro a  testimonianza di un passato recente.

Attualmente parte degli edifici (quelli a Nord sono disabitati, mentre gli altri sono abitati).




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lunedì 20 aprile 2015

25 APRILE....PACE PER SEMPRE





Ecco, la guerra è finita.
Si è fatto silenzio sull’Europa.
E sui mari intorno ricominciano di notte a navigare i lumi.
Dal letto dove sono disteso posso finalmente guardare le stelle.
Come siamo felici.
A metà del pranzo la mamma si è messa improvvisamente a piangere per la gioia,
nessuno era più capace di andare avanti a parlare.
Che da stasera la gente ricominci a essere buona?
Spari di gioia per le vie, finestre accese a sterminio,
tutti sono diventati pazzi, ridono, si abbracciano,
i più duri tipi dicono strane parole dimenticate.
Felicità su tutto il mondo è pace!
Infatti quante cose orribili passate per sempre.
Non udremo più misteriosi schianti nella notte
che gelano il sangue e al rombo ansimante dei motori
le case non saranno mai più cosi ‘ immobili e nere.
Non arriveranno più piccoli biglietti colorati con sentenze fatali,
Non più al davanzale per ore, mesi, anni, aspettando lui che ritorni.
Non più le Moire lanciate sul mondo a prendere uno
qua uno là senza preavviso, e sentirle perennemente nell’aria,
notte e dì, capricciose tiranne.
Non più, non più, ecco tutto;
Dio come siamo felici
Dino Buzzati

L'Anniversario della liberazione d'Italia viene festeggiato in Italia il 25 aprile di ogni anno.

È un giorno fondamentale per la storia d'Italia ed assume un particolare significato politico e militare, in quanto simbolo della vittoriosa lotta di resistenza militare e politica attuata dalle forze partigiane durante la seconda guerra mondiale a partire dall'8 settembre 1943 contro il governo fascista della Repubblica Sociale Italiana e l'occupazione nazista.

Il 25 aprile 1945 è il giorno in cui, alle 8 del mattino via radio, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia - il cui comando aveva sede a Milano ed era presieduto da Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani (presenti tra gli altri il presidente designato Rodolfo Morandi, Giustino Arpesani e Achille Marazza) - proclamò l’insurrezione in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti, indicando a tutte le forze partigiane attive nel Nord Italia facenti parte del Corpo Volontari per la Libertà di attaccare i presidi fascisti e tedeschi imponendo la resa, giorni prima dell’arrivo delle truppe alleate; parallelamente il CLNAI emanò in prima persona dei decreti legislativi, assumendo il potere «in nome del popolo italiano e quale delegato del Governo Italiano», stabilendo tra le altre cose la condanna a morte per tutti i gerarchi fascisti (tra cui Mussolini, che sarebbe stato raggiunto e fucilato tre giorni dopo).

«Arrendersi o perire!» fu la parola d’ordine intimata dai partigiani quel giorno e in quelli immediatamente successivi.

Entro il 1º maggio tutta l'Italia settentrionale fu liberata: Bologna (il 21 aprile), Genova (il 23 aprile) e Venezia (il 28 aprile). La Liberazione mise così fine a venti anni di dittatura fascista ed a cinque anni di guerra; la data del 25 aprile simbolicamente rappresenta il culmine della fase militare della Resistenza e l'avvio effettivo di una fase di governo da parte dei suoi rappresentanti che porterà prima al referendum del 2 giugno 1946 per la scelta fra monarchia e repubblica – consultazione per la quale per la prima volta furono chiamate alle urne per un voto politico le donne – e poi alla nascita della Repubblica Italiana, fino alla stesura definitiva della Costituzione.

Il termine effettivo della guerra sul territorio italiano, con la resa definitiva delle forze nazifasciste all'esercito alleato, si ebbe solo il 3 maggio, come stabilito formalmente dai rappresentanti delle forze in campo durante la cosiddetta resa di Caserta firmata il 29 aprile 1945: tali date segnano anche la fine del ventennio fascista.

Ricordiamo i caduti per la Resistenza italiana (in combattimento o uccisi a seguito della cattura) sarebbero stati complessivamente circa 45.000; altri 20.000 sarebbero rimasti mutilati o invalidi; i soldati regolari morti nelle formazioni che combatterono accanto agli Alleati nella Campagna d'Italia furono invece circa 3.000.

Le donne partigiane combattenti sarebbero state 35 mila, mentre 70 mila fecero parte dei Gruppi di difesa della donna; 4.653 di loro furono arrestate e torturate. 2.750 furono deportate in Germania, 2.812 fucilate o impiccate; 1.070 caddero in combattimento; 15 vennero decorate con la medaglia d'oro al valor militare.

I civili deportati dai tedeschi furono circa 40.000, tra cui 7.000 ebrei; i sopravvissuti furono circa il 10%; dei 2.000 deportati ebrei dal ghetto di Roma il 16 ottobre 1943 tornarono vivi solo in quindici. Tra i soldati italiani che dopo l'Armistizio di Cassibile dell'8 settembre si trovarono a combattere, privi di direttive precise, contro la Wehrmacht sul territorio nazionale o nelle regioni occupate morirono in circa 45.000 (esercito 34.000, marina 9.000 e aviazione 2.000): 20.000 nei combattimenti subito dopo l'armistizio, 10.000 nei Balcani, 13.400 nei trasporti via mare.

Secondo alcuni studi, furono invece circa 40.000 i militari italiani che morirono nei lager nazisti, su un totale di circa 650.000 che fu internato in Germania e Polonia dopo l'8 settembre e che, per la maggior parte (il 90% dei soldati e il 70% di ufficiali), rifiutarono le periodiche richieste di entrare nei reparti della RSI in cambio della liberazione.

Si stima che in Italia nel periodo intercorso tra l'8 settembre 1943 e l'aprile 1945 le forze tedesche (sia la Wehrmacht che le SS) e le forze della Repubblica Sociale Italiana compirono più di 400 stragi (uccisioni con un minimo di otto vittime), per un totale di circa 15.000 caduti tra partigiani, simpatizzanti per la Resistenza, ebrei e cittadini comuni; i civili non combattenti uccisi dalle forze nazifasciste in operazioni di repressione, rastrellamento e rappresaglia furono circa 10.000.



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martedì 3 marzo 2015

QUARTIERI MILANESI : PONTE LAMBRO

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Ponte Lambro è un quartiere di Milano situato nella periferia sud-est della città. È compreso nella zona 4 del decentramento amministrativo e il suo territorio è delimitato a ovest dalla Tangenziale Est che lo divide dal quartiere di Morsenchio, del quale faceva invece precedentemente parte, a est dal fiume Lambro e a sud confina con il comune di San Donato Milanese.

L’area su cui è sorto l’attuale abitato di Ponte Lambro era un tempo un territorio esclusivamente agricolo, caratterizzato da una particolare ricchezza di acque superficiali. Il naturale sistema dei fontanili e delle rogge, era stato canalizzato e sfruttato a fini agricoli fin dal XIII secolo attraverso le marcite, da parte dei monaci dell’ordine degli Umiliati insediati nella vicina abbazia di Monluè. I confini erano definiti a nord dall’antica strada Paullese, a est dal fiume Lambro e a ovest e sud, rispettivamente, dalla roggia Spazzola e da quella delle Quattro Ave Marie. Sin dall’epoca imperiale romana, un ponte di legno permetteva alla strada Paullese di superare il fiume Lambro.

Alla fine dell’Ottocento, l’area coincide con il terreno dei due grandi poderi detti Canova e Zerbone, sui quali sorgevano antiche cascine e mulini: la "Cascina Zerbone" (XIV secolo), poco distante il "Mulino della Spazzola" (XIII secolo) situato sulla roggia omonima, e la "Cascina Canova, o Casanova" (XVII secolo). Originariamente sottoposti alla giurisdizione civile ed ecclesiastica della Pieve di San Donato, i due poderi erano amministrati da sempre dal Comune di Morsenchio, prima di essere annessi col Risorgimento dal Comune di Mezzate, che nel 1916 divenne Linate al Lambro, vista la continua crescita del numero dei suoi abitanti: la gran parte, infatti, si concentrava in quella fetta di territorio che prese il nome di Ponte Lambro.

Nel 1922, a seguito di alcuni espropri per la realizzazione del Porto di mare e del canale navigabile Milano-Cremona-Po, mutarono i confini territoriali del Comune di Linate al Lambro: le frazioni di Ponte Lambro e Morsenchio furono aggregate al Comune di Milano, e i confini vennero ridefiniti spostando più a sud il limite del territorio milanese, sottraendo anche una piccola porzione del Comune di San Donato in fondo all’abitato di Ponte Lambro. Il tutto, però, rimase sulla carta, e soltanto il 1º gennaio 1925 divenne definitiva l’aggregazione di Ponte Lambro e Morsenchio a Milano, mentre il progetto del porto non ebbe seguito e il canale non venne mai realizzato. Il Comune di Linate al Lambro perse, oltre ad una buona fetta del suo territorio, la metà della popolazione, passando da 3931 a 1914 abitanti.

Il "podere della Canova", su cui è sorto l’abitato di Ponte Lambro, apparteneva un tempo all'ordine degli Umiliati di Brera, che a Monluè avevano la propria grangia, insieme con altre case e conventi a Morsenchio e Linate. Venne poi acquistato dal “Luogo Pio Elemosiniere delle Quattro Ave Marie”, un'antica confraternita deputata ad opere caritatevoli. Su questo fondo sorgeva "l’Osteria delle Quattro Marie”, che apparteneva al medesimo Luogo Pio. Era situata in corrispondenza del quarto miliare della strada consolare romana che congiungeva Milano a Cremona, e ancora oggi è conosciuta come Osteria del Bagutto: risale al 1284 il primo documento che ne attesta l’esistenza. La Roggia Certosa e una strada, l'odierna via Camaldoli, separava il podere della Canova dal fiume Lambro, e la lunga fascia di terra che stava fra i due corsi d’acqua, insieme col molino detto di Gavazzo, apparteneva al Monastero delle Madri di Santo Spirito. La proprietà dei terreni fu per lungo tempo in mano agli ordini monastici. Il cambio di proprietà avvenne tra il Settecento e l'Ottocento, quando i poderi e gli stabili che vi sorgevano vennero venduti a privati. Poco prima del fiume Lambro esisteva una vecchia cappelletta, con l’affresco che raffigurava la “Fuga in Egitto”. Venne restaurata nel 1912 dal signor Giovanni Sala, oste del Butteghin.

Sorto in prossimità di un ponte sul fiume Lambro, da cui il suo nome, il borgo di Ponte Lambro iniziò ad acquisire una sua fisionomia nei primi anni del Novecento, con l'insediamento di una trentina di "artigiani lavandai". Espulsi dalla città in continua crescita, trovarono proprio qui le acque limpide delle rogge ( Roggia Certosa, Roggia delle Quattro Ave Marie e Roggia Spazzola) e i prati erbosi per la stesa dei panni. Lungo la via Camaldoli sorsero le prime lavanderie, seguite da quelle di via S. Antonio (rinominata via Umiliati nel 1925, quando Ponte Lambro divenne un quartiere di Milano), le più numerose, e via via tutte le altre.

La popolazione aumentò progressivamente a causa del processo migratorio verso la città e i comuni limitrofi degli ex lavoratori agricoli, espulsi dalla meccanizzazione dell'agricoltura e attratti da un lavoro sicuro nelle fabbriche. Lo scoppio della prima guerra mondiale e la destinazione industriale di una parte del territorio compreso tra Linate al Lambro e Taliedo, favorì l’insediamento di nuovi stabilimenti per la produzione bellica: a Morsenchio le industrie chimiche SIPE-Società Italiana Prodotti Esplodenti e la Società Derivati Cellulosa; sul limitare dell'aeroporto di Taliedo le ditte aeronautiche SSAI-Società per lo Sviluppo dell'Aviazione in Italia (nel 1917 venne rilevata da Gianni Caproni e divenne Società Italiana Caproni e poi Aeroplani Caproni nel 1929).

Qualche anno più tardi a Morsenchio si insediò un'importante industria chimica, l’Appula (rilevata dalla Montecatini nel 1941), mentre nel 1929 anche la ditta Piero Magni Aviazione trasferì la sua attività a Morsenchio in via Bonfadini, dove trovarono lavoro diversi abitanti di Ponte Lambro.

Furono edificate nuove case, aprirono nuovi negozi e attività artigianali, modificando e arricchendo il tessuto sociale del quartiere, che aveva ormai raggiunto i 1.500 abitanti nei primi anni Venti. Nei primi decenni del Novecento la popolazione era connotata da un tessuto sociale piuttosto omogeneo, di estrazione nettamente proletaria e strutturato intorno ad alcune grandi famiglie. Accanto a quello dei lavandai si andava formando un nutrito nucleo operaio, richiamato in quest’area dalla presenza di alcune industrie che traevano particolari vantaggi da questa parte della provincia per la ricca presenza di acque, della ferrovia e, soprattutto, della inesauribile manodopera a buon mercato.

Nel 1919 sorsero le prime organizzazioni proletarie: venne inaugurata la Sezione del Partito Socialista, venne fondato il Circolo Famigliare dove trovarono sede le prime leghe contadine e operaie. Nel 1922 venne fondata la Cooperativa di Consumo e la Cooperativa Edificatrice, che costruirono la propria sede in via Bonfadini. Erano luoghi di emancipazione sociale e di istruzione e al tempo stesso di difesa al potere di acquisto dei lavoratori, minacciati dal continuo rincaro dei generi di prima necessità, e dalla mancanza di alloggi a prezzo popolare. Il nuovo assetto sociale assunse particolare vigore nel 1920, in occasione delle elezioni amministrative: per la prima volta la vittoria socialista portò alla nomina del nuovo sindaco Attilio Ardemagni a Linate al Lambro, rompendo il predominio delle classi benestanti. Le precedenti amministrazioni, infatti, erano composte dagli esponenti della borghesia locale: osti, mugnai, fittabili, commercianti e proprietari terrieri. Nella primavera del 1922 venne inaugurata la sezione del Partito Comunista d'Italia. Nel 1921 il movimento fascista trovò sostenitori e finanziatori tra i proprietari terrieri, fittavoli e artigiani di Linate al Lambro, che fondarono la sezione del Fascio di Combattimento. Divenne in seguito Sezione del Partito Nazionale Fascista, con sede nella palazzina dietro il palazzo municipale. I consiglieri comunali socialisti e comunisti furono minacciati e costretti a dare le dimissioni, causando lo scioglimento della giunta di Ardemagni prima, e poi quella del sindaco Emilio Lorini. In seguito i fascisti presero possesso della Cooperativa Edificatrice e della Cooperativa di Consumo, imponendo propri rappresentanti nei consigli di amministrazione.

L’insediamento residenziale si intensificò negli anni tra il 1912 e il 1915 quando, dallo smembramento del fondo agricolo della Canova, si sviluppò una rete di strade che gravitava sull’attuale via Umiliati. Indipendentemente da qualunque previsione e disegno urbanistico (i piani regolatori di Milano del 1889 e del 1912 non si estendono infatti ad aree così esterne) lo sviluppo edilizio del quartiere continuò per tutto il decennio successivo, caratterizzandosi per la prevalenza di edilizia residenziale (villette) lungo le attuali vie Camaldoli, Montecassino, Monteoliveto e Parea e per l’attestarsi invece delle attività commerciali e artigianali lungo la centrale via Umiliati e la via Bonfadini (ex strada Paullese). Le previsioni contenute nel Piano Regolatore Generale del 1933 non vennero mai attuate, lasciando alla spontaneità lo sviluppo edilizio del quartiere mantenendo inalterata la viabilità. Alla fine degli anni ’30 il quartiere era ormai ben delineato nel suo sviluppo in direzione nord-sud (lungo gli assi delle vie Camaldoli e Umiliati paralleli alle rogge Certosa e delle Quattro Ave Marie) ed era caratterizzato dalla prevalenza di edilizia residenziale a bassa densità mista ad attività commerciali e artigianali.

Nel dicembre 1939 iniziò l'attività il "cinema Adua", situato in via Monteoliveto: agli spettacoli accorrevano numerosi gli abitanti dei quartieri limitrofi e dai paesi più vicini. Il cinema, chiuse i battenti nella seconda metà degli anni '80.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, Ponte Lambro divenne la base operativa di cellule della Resistenza, mentre la Sede del Partito Nazionale Fascista, in via Monte Oliveto, rimase sempre pressoché deserta. Molti operai antifascisti costituirono cellule di strada e squadre di officina, compiendo azioni di sabotaggio negli stabilimenti della Caproni, Montecatini e Piero Magni, facendo saltare i pali della luce e del telefono lungo la strada Paullese. Militavano in diverse formazioni partigiane: nella 124ª e 196ª Brigata Garibaldi SAP, nelle formazioni di Giustizia e Libertà e nella 38ª Brigata Matteotti, in contatto con altre formazioni della Zona Vittoria-Romana, in particolare del rione di Calvairate. Nove furono i pontelambresi arrestati e deportati nei campi di concentramento tedeschi, tra giovani renitenti alla leva e chi aveva partecipato agli scioperi del marzo 1944: solo quattro tornarono a casa. Nei giorni che seguirono la Liberazione, il CLN di Ponte Lambro, composto da esponenti del PCI, PdA e PSI, svolse un ruolo importante per l'approvvigionamento di viveri e medicinali da distribuire alla popolazione, e per il controllo dell'ordine pubblico. Il Consiglio di Amministrazione della Cooperativa di Consumo tornò nelle mani di chi l'aveva fondata nel 1922, socialisti e comunisti, chiudendo il nefasto periodo di controllo da parte del Partito Fascista, durante il quale era stata venduta la proprietà dell'edificio per pagare i debiti accumulati.

La crisi economica del dopoguerra determinò la chiusura di molte fabbriche e il licenziamento di migliaia di lavoratori (5.000 alla Caproni). Molte famiglie del quartiere riuscirono a superare le difficoltà grazie all'aiuto di molti esercenti, che fecero credito sulla lista della spesa. Il processo migratorio, interrotto dalla guerra, riprese negli anni '50 con l'arrivo di nuove famiglie provenienti dalle regioni del meridione, dalla Toscana e dal Veneto. I nuovi arrivati si integrarono socializzando con i “vecchi” abitanti. Nuovi edifici presero il posto delle lavanderie artigiane, che man mano chiudevano la loro attività con l'arrivo delle prime lavatrici. La coesione sociale ancora esistente negli anni del dopoguerra era notevole, e il quartiere vantava una forte e diffusa attività associazionistica: sezioni di partito (PCI, PSIUP) il circolo ACLI, la Cooperativa di Consumo, l'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia e l'Associazione Combattenti e Reduci. Non mancavano le attività sportive ed in particolare le squadre di calcio (Valentia) e di ciclismo; otto erano i campi per il gioco delle bocce, uno in ogni osteria: Bar Liporati, Bar dei Combattenti, Trattoria Butteghin e l'Osteria del Ponte, Bar Tabacchi, Cooperativa, Bar del Trani e al Bagutto. Due erano le sale da ballo: il "Valentia", presso la Cooperativa, e la "Grotta Azzurra" al Bar Tabacchi.

Nel 1954 venne costruita una chiesa provvisoria, un capannone prefabbricato che la Curia milanese adottò per il piano generale di costruzione delle nuove chiese. Con decreto del 14 luglio 1954, Don Marco Scandroglio fu autorizzato dall’arcivescovo a celebrarvi la S. Messa. Nel 1955 venne fondata la Parrocchia e il 7 agosto Don Aldo Gessaga iniziò a dir messa nella chiesa intitolata al Sacro Cuore di Gesù. Il 27 gennaio 1963 si tenne la Benedizione della prima pietra della nuova chiesa (i lavori di costruzione terminarono nel 1965), che verrà consacrata ufficialmente il 18 aprile 1968.

Il primo intervento pubblico rilevante avvenne nel 1955, quando vennero costruiti una trentina di alloggi comunali in via Umiliati 58 e il nuovo edificio scolastico, che ospitava la scuola materna ed elementare. Per l’occasione venne asfaltata la via Umiliati. In precedenza la scuola più vicina era in via Sordello, a Morsenchio. Tuttavia il quartiere mancava ancora di servizi primari come le fognature, i servizi igienici, l'illuminazione stradale e la corrente elettrica in molte case. In quegli anni Ponte Lambro arrivò a contare circa 5.000 abitanti, pur mantenendo una struttura di vero e proprio “paese” ai margini della città.

Alcune realtà industriali si insediarono lungo la via Umiliati, offrendo occasioni di lavoro anche per i residenti. La prima, nel 1950, è stata la ditta Taliedina Costruzioni Meccaniche, specializzata nella costruzione di collettori di scarico e silenziatori (marmitte) per le moto Parilla. Con gli anni "60" e il boom economico giunse la Admiral, importante società americana specializzata nella costruzione di televisori, che costruì un nuovo edificio per tecnici e impiegati. Verso la fine degli anni "60" la Admiral trasferì la propria attività e al suo posto si insediò la Olivetti che fino alla metà degli anni "80" mantenne a Ponte Lambro un importante distaccamento di impiegati e addetti alla riparazione e manutenzione di macchine da scrivere e calcolatrici.

L’ampliamento dell’aeroporto di Linate (1960), con l’interruzione della strada Paullese, e la realizzazione della Tangenziale Est (nei primi anni ’70) contribuirono ad accentuare l'isolamento del quartiere, rendendolo corpo a parte rispetto alla città. L’isolamento contribuì al fenomeno del degrado urbano del quartiere, carente di servizi sociali e con molte case fatiscenti ancora prive dei servizi elementari.

Nella primavera del 1961 venne demolita la Cascina Canova, per far posto alla Casa di cura delle "Quattro Marie". Nel 1981 la clinica divenne il Centro cardiologico Monzino, un importante ospedale specializzato in cardiologia che è pure una sede della Facoltà di Medicina dell'Università degli Studi di Milano.

I successivi interventi di edilizia pubblica, residenziale e non, introdussero nuove tipologie edilizie che modificarono il volto del quartiere. Vennero create nuove strade di servizio (via Guido Ucelli di Nemi, via Giacinto Menotti Serrati e via Rainer Maria Rilke). La costruzione delle case popolari dello IACP nel 1975 -circa 350 appartamenti- e l’insediamento di famiglie numerose provenienti da via Cà Granda, viale Fulvio Testi e via Famagosta, accompagnato dal fenomeno delle occupazioni abusive, segnò negativamente il quartiere. Mancavano adeguati servizi per far fronte ai nuovi arrivati: non c’erano negozi sufficienti e le aule scolastiche non bastavano. La concentrazione di ceti a bassa e bassissima estrazione favorì lo sviluppo della criminalità e di una cultura mafiosa (specialmente di matrice camorristica) che alimentò fenomeni di violenza legati allo spaccio della droga, controllato da alcune famiglie mafiose del quartiere, il cui mercato assunse dimensioni inter-regionali. Le forze dell’ordine riuscirono ad averne ragione soltanto dopo due decenni.

La collaborazione tra le diverse componenti della comunità, in quella occasione, divenne un antidoto efficace e una risorsa per le positive trasformazioni avvenute poi. Le rivendicazioni dei cittadini, organizzati nel Comitato di Quartiere e sostenute dal Consiglio di Zona 13, riuscirono ad ottenere dal Comune importanti servizi: una nuova scuola elementare, un asilo nido e una scuola materna, un mercato comunale e un centro sociale per aggregare i giovani (oltre 600 minori di 18 anni), la copertura della Roggia Certosa lungo la via Camaldoli, divenuta da anni lo scarico delle lavorazioni chimiche della Montecatini, fonte di inquinamento e di malattie.

Risale al 1984 il primo tentativo di porre mano al degrado del vecchio quartiere con interventi su larga scala: attraverso accordi stipulati con il Comune, il Consiglio di zona 13 e l’associazione dei piccoli proprietari di case artigiani e commercianti (CO.P.P.AR.CO.), fu predisposto un Piano di recupero e ristrutturazione delle vecchie case del borgo storico, allora abitate da 800 persone, prevedendo inoltre la realizzazione di parcheggi, zone verdi, nuova viabilità, ma gli interventi realizzati furono pochissimi. Furono realizzati soltanto gli interventi da parte del Comune, attraverso l'esproprio e l'abbattimento delle vecchie case fatiscenti del quadrilatero di via Monte Cassino-Monte Oliveto e Bonfadini nel novembre 1983. Un nuovo edificio di edilizia residenziale ha preso il posto delle vecchie case, dove sono state ricollocate le 110 famiglie in precedenza trasferite provvisoriamente nella "casa-parcheggio" di via Rilke.

Con l'inizio del nuovo secolo, Ponte Lambro conosce un'altra profonda ristrutturazione attraverso un intervento sul patrimonio pubblico previsto dal "Contratto di Quartiere" che ha operato sui caseggiati ALER di via Guido Ucelli di Nemi e Serrati, il rifacimento delle vie centrali del quartiere, la ristrutturazione del Centro Territoriale Sociale, del Centro Giovani, dell'edificio parrocchiale, del Mercato Comunale, dell'ufficio postale e di alcune palazzine in "Via Rilke" appartenenti al Comune di Milano. Il progetto di riqualificazione di alcuni caseggiati ALER, al quale ha partecipato anche l'architetto Renzo Piano presentato nel maggio 2000, è in fase di attuazione a partire dal 2012. All’attuazione del Contratto di Quartiere ha contribuito il Laboratorio di Quartiere, attraverso la partecipazione e coinvolgimento delle realtà locali alle attività di informazione, animazione e condivisione degli obiettivi prefissati. La responsabilità delle attività del Laboratorio di Quartiere è affidata all'IRS, una società di consulenti esterni, incaricata dal Comune di Milano per gestire il "Piano di accompagnamento sociale".

Nel 2008, in via Camaldoli al confine con San Donato Milanese, è stato inaugurato l'Istituto Scientifico di Riabilitazione della Fondazione Maugeri.

Nel giugno 2012 sono iniziati i lavori per l'abbattimento dell'ecomostro (ex albergo "mondiali 90" di calcio) che da oltre vent'anni deturpava il paesaggio.

Il 28 settembre 2013 si è svolta la cerimonia per intitolare la Scuola Elementare a "Guido Ucelli di Nemi"; hanno partecipato la figlia e i nipoti del professore che ha fondato il Museo della Scienza e della Tecnica di Milano.

Il giorno 11 dicembre 2013 è stato inaugurato il nuovo parco giochi di via Vittorini, sorto grazie all'accordo del Comune di Milano con la proprietà dell'area (Beni Stabili) a seguito dell'abbattimento dell'ex albergo "Mondiali 90".

Il nuovo monumento ai caduti di tutte le guerresi trova in via Parea, davanti al centro civico. È stato eretto nel settembre 2012 per volere del comune di Milano, del consiglio di zona 4 e delle sezioni ANPI della zona 4, e ufficialmente inaugurato il 20 ottobre successivo.
Il momunento dei caduti in precedenza era situato in fondo alla via Vittorini, poco prima di giungere al ponte sul fiume. Venne eretto nei primi anni Settanta dall’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci – Sezione di Ponte Lambro e Morsenchio, per ricordare i concittadini morti nel corso dei due conflitti mondiali. Proprio lì dietro sorgeva un tempo l’edificio del casello daziario, adibito alla riscossione di talune imposte comunali. Nel novembre 1962, cessata l’attività esattoriale, divenne sede dell’associazione combattentistica, almeno fino al settembre del 1984, quando un violento incendio distrusse il caseggiato in legno. Le condizioni di degrado del monumento suggerivano ormai la sua completa sostituzione e la posa in un luogo più consono alla sua funzione, per ricordare ai noi tutti gli orrori della guerra e chi era morto per la nostra Libertà. Le tre lapidi recano i nomi dei caduti in ordine alfabetico: 52 del primo e 65 del secondo conflitto mondiale. L’elenco comprende alcuni nomi di cittadini residenti a Linate, poiché gli attuali quartieri di Ponte Lambro e Morsenchio erano ai tempi frazioni del Comune di Linate al Lambro, almeno fino al 31 dicembre del 1924, poiché col nuovo anno vennero ufficialmente aggregati al Comune di Milano. Tra i nomi della Prima Guerra Mondiale, caduti combattendo sul Carso, sul Piave o morti in prigionia, vi sono tre "Ragazzi del '99", giovani di 17 anni arruolati nell'ottobre 1917 dopo la disfatta di Caporetto, in un momento di grave crisi per il Paese. Rinsaldarono le fila sul Piave, Monte Grappa e Montello permettendo all'Italia la riscossa del 1918 con la battaglia di Vittorio Veneto. I loro nomi sono: Carlo Bertolesi, Giuseppe Uberti e Luigi Vignati. Va reso merito all’Associazione dei Combattenti e Reduci, che volle aggiungere all’elenco dei militari caduti sui fronti di guerra anche i nomi di tre deportati, un paio di civili e altrettanti partigiani morti tra il settembre del ‘43 e l’aprile del ’45. Tra i deportati possiamo leggere il nome di Luigi Moroni, nato l’8 ottobre del 1928 a Milano, abitava in Via Bonfadini 264 (ora via Vittorini), operaio. Domenico Lino Negri, nato l’8 gennaio del 1926 a Castiglione d’Adda (Lo), abitava in Via Monte Oliveto 4, operaio. Furono arrestati insieme ad altri due operai, Mario Rossi e Giuseppe Merli, il 5 settembre del 1944, durante un rastrellamento compiuto a Ponte Lambro da una pattuglia di SS e da alcuni militi della G.N.R. Condotti al carcere di San Vittore, furono rinchiusi al quinto raggio riservato ai detenuti politici. Il 20 settembre i due più anziani furono rilasciati, mentre i due ragazzi subirono la deportazione al campo di concentramento di Bolzano. Il 5 ottobre furono trasferiti a Dachau, dove il 6 marzo del 1945 morì Luigi Moroni. La stessa sorte toccò a Domenico Lino Negri, che morì a Muhldorf, sottocampo di Dachau. Attilio Ferla, nato il 26 settembre 1905 a Mediglia (Mi), abitava in Via Umiliati 15, di professione fabbro. Venne arrestato il 3 marzo del 1944, per diffusione di volantini e stampa comunista, e rinchiuso al quinto braccio del carcere di San Vittore. Il 17 marzo 1944 venne deportato nel campo di concentramento di Mauthausen. Morì a Gusen il 19 gennaio 1945. Tra i civili possiamo leggere il nome del diciottenne Antonio Gariboldi, nato il 17 giugno 1925 a Seveso San Pietro (Mi), di professione fornaio, residente a Linate. Il 13 settembre 1943 reparti della Wehrmacht e delle SS imperversavano nella città di Milano da poco conquistata. Al sopraggiungere di una pattuglia che aveva appena superato il ponte sul Lambro in direzione Linate, il giovane Gariboldi, preso dal panico, si mise a correre tra i campi, ma venne colpito da una raffica di proiettili e morì in seguito alle gravi ferite riportate. Emilio Garlaschè, agricoltore di anni 21, nato il 28 settembre 1923 a Peschiera Borromeo (Mi), dove abitava. Venne ucciso da una raffica di mitraglia tedesca il 26 aprile 1945, sul Viale dell’Aviazione a Milano, all’altezza di Monluè. Viaggiava con altri due amici a bordo di una Fiat Topolino sventolando il tricolore, mentre si dirigevano alla sede milanese del Partito Liberale. Una pattuglia di tedeschi appostata sul viale Forlanini, all’altezza del ponte sul fiume Lambro, aprì il fuoco contro l'auto che sopraggiungeva, uccidendo Emilio Garlaschè e Gianfranco Guzzeloni, mentre il conducente della vettura, Luigi Chiappa, rimase illeso e si salvò gettandosi nella scarpata del fiume. Compaiono anche i nomi di due partigiani, anch’essi morti tragicamente il 26 aprile del 1945: Angelo Garotta, nato il 17 aprile 1922 a Mediglia (Mi), abitava in Via Monte Oliveto 3. Operaio della Montecatini, apparteneva alla “38ª Brigata Matteotti”. Morì a causa di un tragico incidente capitatogli mentre si accingeva a salire su un autocarro, diretto alla sede della “124ª Brigata Garibaldi”: nel trambusto partì un colpo dal fucile che lo ferì mortalmente. Ernesto Cerri, nato a Chiaravalle Milanese il 10 gennaio 1917, abitava in Via degli Umiliati 13. Di professione meccanico, apparteneva alla “38ª Brigata Matteotti”. Morì al campo volo di Taliedo per l’esplosione di una mina: le truppe della Wehrmacht, prima di abbandonare la città, avevano minato l’aeroporto di Taliedo e il Forlanini di Linate per renderli inservibili. L’opera di sminamento venne compiuta dai partigiani della 124ª Brigata Garibaldi nei giorni seguenti la Liberazione, ricevendo per questo un encomio solenne dalle forze armate alleate.

La popolazione attuale è di circa 4.000 abitanti, di cui poco meno del 30% risiede negli alloggi di edilizia pubblica con una crescita significativa della componente giovanile (il 52% degli abitanti ha meno di 40 anni). La presenza di stranieri è cresciuta ed è oggi pari a oltre il 33% del totale. Il 16,5% vive negli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ma la rimanente quota abita in alloggi privati, spesso in avanzato stato di degrado edilizio e generalmente in condizioni di sovraffollamento.

L'Antica Trattoria Bagutto è uno dei due più antichi ristoranti del mondo tuttora esistenti di cui si abbia notizia. Il toponimo che indica il luogo dove sorge il Bagutto compare in un atto notarile del 1284, conservato presso l'Archivio di Stato di Milano, nel quale Corrado Menclozio, membro di un'autorevole stirpe milanese di ascendenze longobarde, scambia con i Frati Umiliati dell'Abbazia di Santa Maria di Brera dei beni immobili nel territorio di Morsenchio “detti al berlochum o sia alla Spazzòla”, la roggia che scorreva dietro l'osteria. Il termine “berlochum”, di origine longobarda, significa “luogo dove si mangia” e conferma l'esistenza di una taverna dove oggi sorge il Bagutto, situata esattamente nell'allora Comune di Morsenchio e sulle rive della Spazzòla, altrimenti detta roggia Molinara, perché azionava le ruote di molti mulini, compreso quello che stava a poche decine di metri a sud dell'osteria, il Mulino della Spazzola tuttora esistente. Il nome del locale deriva dall'antico termine lombardo “begutto”, ossia bagordo o ingordo. Le origini dell'Antica Trattoria sarebbero però ancora più remote. Il Bagutto, ubicato in via Vittorini 4 (già Bonfadini 210, come ancora indicato dalla targa del vecchio civico), è situato in corrispondenza del quarto miliare dell'antica Strada Paullese, arteria costruita dai Romani due millenni or sono per congiungere Milano a Cremona, e pare che in origine fosse una "taberna" romana. Sul sito dei miliari (pilastrelli di marmo o granito con inciso il numero progressivo indicante la distanza in miglia dal capoluogo), era infatti consuetudine che sorgessero dei punti di sosta e ristoro per i viandanti. In epoca medioevale l'hosteria del Bagutto risultava proprietà del Luogo Pio delle Quattro Marie, ente caritatevole che aveva sede a Milano, nella Contrada dei Pattari. Coi proventi che gli assicuravano le possessioni in campagna, oltre all'affitto di case ed esercizi pubblici, l'Istituto poteva distribuire ai poveri generi alimentari, vesti ed elemosine, e doti alle ragazze da marito indigenti. Col passare dei secoli mutò anche il nome. Nel 1400 era “Hostaria dei gamberi”, pescati nella vicina roggia Spazzòla; nel 1580 era “Hostaria de Quattro Marie alla Canova”, gestita da Messer Bello de Panzan, osto, e Madonna Maria sua moglie.; Canova era il nome del podere vicino al Bagutto, sempre di proprietà dell'Ente benefico delle Quattro Marie. I documenti ufficiali attestano che il Luogo Pio delle Quattro Marie tenne l'osteria del Bagutto fino agli inizi del Settecento, dopodiché la cedette ai conti Durini; da loro passò alla metà del secolo alla famiglia Raineri, e nel 1780 ad Alessandro Merlini e suoi discendenti; dal 1871 nuovi padroni furono i Conti sino al 1894, allorché l'edificio venne acquistato da Mosé Mandelli, capostipite di una dinastia giunta ai giorni nostri.

Personaggi importanti vissuti a Ponte Lambro.
Giuseppe Gerosa Brichetto (Linate 1910 – Milano 1996), medico e insigne studioso, autore di numerosi libri, articoli e pubblicazioni sulla storia del territorio Milanese, in particolare sulle terre in riva al Lambro. Capostipite di quel filone letterario chiamato “Storia Locale”. Nel 1960 fu promotore e fondatore della Casa di Cura "Quattro Marie" di cui divenne direttore sanitario per alcuni anni. In ricordo della sua attività, al suo nome sono intitolate la Residenza Socio Assistenziale di via Mecenate e la Biblioteca Civica di Peschiera Borromeo.

Ernesto Pellegrini, nato a Milano nel 1940, discende da una famiglia di orticultori: i suoi genitori erano affittuari della Cascina Canova e coltivavano i terreni di quel podere fino al 1961, quando venne demolita per far posto alla Clinica delle “Quattro Marie”. Iniziò la sua carriera come impiegato contabile alla ditta Bianchi, passando poi alla gestione del servizio mensa dell’azienda. Grazie al suo intuito imprenditoriale, capì che proprio in quegli anni di sviluppo economico e di evoluzione delle abitudini alimentari degli italiani, la ristorazione sul posto di lavoro avrebbe conosciuto una fase di grande sviluppo. Fu così che nel 1965 fondò l'Organizzazione Mense Pellegrini che, oltre alla ristorazione collettiva, si occupò successivamente anche di buoni pasto, pulizie, servizi integrati e distribuzione automatica. Nel 1984 acquistò l’Inter da Fraizzoli e rimase presidente della società calcistica fino al 1994, quando lasciò la presidenza a Massimo Moratti.

Giampiero Prina (Milano, 1957 – 2002), dopo aver studiato percussioni presso la Civica Scuola di Musica di Milano, clarinetto presso la Civica Scuola di Musica e il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, l'enfant prodige della batteria italiana iniziò a collaborare con molti tra i più importanti musicisti italiani ed internazionali. Batterista titolare di gruppi storici del jazz italiano, poteva vantare anche un lungo curriculum in contesti classico-sinfonici (Orchestra Sinfonica della RAI, Orchestra Sinfonica del Teatro alla Scala, Orchestra dei Pomeriggi Musicali,) e di musica leggera (Enzo Jannacci, Anyway Blues e Orchestra della RAI di Milano).


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