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lunedì 13 luglio 2015

LA CHIESA DI SANTA MARGHERITA A CASARGO



La leggenda narra che  Santa Margherita aveva otto fratelli, di cui uno morì per un atto di scherno e di poca fede nella Provvidenza. Gli altri fratelli colpiti dalla tragedia sarebbero divenuti eremiti, e avrebbero scelto la loro dimora in luoghi solitari sui monti intorno alla valle di Casargo. I tempietti costruiti in questi luoghi avrebbero preso il nome dell'eremita che vi si era stabilito. Solamente Margherita, unica sorella, si sarebbe fermata in un luogo pianeggiante della valle (Somadino) e si recava a visitare ciascuno dei fratelli nelle rispettive località. Dai singoli romitaggi i santi erano in grado di comunicare, accendendo dei fuochi. Nelle varie versioni della leggenda l'identità dei vari santi (quindi dei rispettivi oratori montani) cambia. Fra i nomi più ricorrenti,oltre naturalmente a Santa Margherita, c'è quello di san Sfirio, il cui tempietto si trova sul culmine del Legnoncino, a quota 1714, in un punto eccezionale di osservazione del lago e della prima parte della Val Varrone; Sant'Ulderico, la cui chiesa è collacata sulle pendici settentrionali del monte Muggio (a quota 1392) e facilmente comunicante con San Sfirio; San Grato, nella Muggiasca e prospiciente sul lago; San Fedele sulla Alpe di Paglio, scomparsa da molto tempo. Altri santi, citati di volta in volta, sarebbero Defendente, Girolamo, Eusebio, Bernardino ecc.
Queste "chiese emeritiche" facevano parte di un fittissimo tessuto paramilitare-strategico di origine medioevale con chiari scopi di avvistamento e segnalazione. San Sfiro comunicava con Sant'Ulderico e questo con Tremenico e Pagnona, nella Val Varrone. Dalla torre di quest'ultimo paese (i cui resti sono tutt'oggi ancora visibili) si poteva scavalcare la sella di Piazzo ed entrare in comunicazione ottica con la zona più a valle del Pioverna o con la soprastante Muggiasca.

Santa Margherita a differenza di tutte le altre chiese del territorio, che hanno subito molteplici trasformazioni nel corso dei secoli, conserva tuttora gran parte delle antiche forme romaniche, soprattutto nella parte absidale, dove è custodito il ciclo di affreschi più antichi della Valsassina. La sua costruzione, secondo gli studiosi, è da collocarsi tra la fine dell'XI ed i primi del XII secolo. Il piccolo oratorio è comunque citato nel "Liber Notitiae Sanctorum Mediolani" del 1266 di Goffredo da Bussero, in cui viene riportato l'elenco delle chiese presenti all'epoca nell'arcidiocesi di Milano ("In Vasaxina, loco Somadino, ecclesia sancte Margherite").

Ancora oggi l'edificio si presenta con forme omogenee se si esclude il portichetto aggiunto in epoca più tarda ed è composta da una piccola navata suddivisa in due campate con volte a vela rivolta ad oriente e da un'abside semicircolare sovrastata dal catino. La facciata, stando sotto il portico, ha un portale di accesso e due finestre munite di grata. Sul lato meridionale c'è un'apertura di dimensioni maggiori che illumina l'interno. Intorno all'abside sono visibili gli archetti sotto gronda e le tre monofore. Il tetto a due falde e la conica copertura dell'abside sono rivestite da spesse piode locali. In corrispondenza della facciata svetta un campaniletto a vela senza campana. I muri esterni, per la caduta degli intonaci, mettono in luce, nella zona absidale e nella parete meridionale, una tessitura muraria di pietre a vista.

La costruzione originaria, senza portico e con una piccola porta sul lato nord, ha comunque subito nei tempi rimaneggiamenti e aggiunte. Infatti è solo tra la metà del XIII e il XV secolo che viene aggiunto il portico in dimensioni più piccole dell'attuale e sostitute le primitive capriate interne del tetto con una duplice volta sorretta da pilastri sporgenti dal muro (lesene). Nel XVII secolo vengono chiuse le monofore e la porticina laterale, su ordine di Carlo Borromeo e ricavata una finestra sul lato meridionale e due gradini nel presbiterio all'epoca di Federico Borromeo. Nel settecento viene ampliato il portico con l'aggiunta di sedili in pietra e aperta una finestra di sinistra nella facciata. L'altra finestra della facciata, la riapertura delle monofore e di una nicchia interna per gli olii santi risalgono all'epoca contemporanea (fine XX secolo).

All'interno, a sinistra per chi entra, nella prima campatella della navata è presente un affresco che rappresenta la Vergine con Bambino, santa Margherita alla sua sinistra e un santo martire alla sua destra, che il Borghi identifica con San Giorgio. I sacerdoti Pasetti e Uberti nel 1911, denunciando lo stato di precarietà del dipinto, così lo descrivono: "Le figure sono a circa due terzi della grandezza naturale. A sinistra (per chi osserva) è ritto un giovane soldato, in clamide verdognola, e gambe rosse. Colla destra regge l'asta di un gonfalone spiegato, recante la croce; la manca è poggiato sull'elsa di un enorme spadone con la punta verso terra, Guarda verso la Madonna, che campeggia un po' più in alto, nel mezzo della scena. La Vergine è molto bella, sebbene volgaruccia; ha tinta rossigna, veste rossa, manto azzurro. Colla destra si tien sul petto un libro legato in verde, colla sinistra tien saldo il Bambinello, in vestina color carne, meno leggiadro della divina sua Madre. Egli è in atto di benedire, e nella sinistra regge la palla che rappresenta il mondo. A destra vi è santa Margherita, ritta in piedi, con lungo abito tutto di un pezzo; presso il collo spunta una camicia a ricami. Qui il colore è più morbido che nelle altre figure, ricciuti i capelli, gentile l'aspetto e il portamento. Nella destra la Santa stringe una crocetta semplicissima di legno lunga quasi mezza la persona. Vicino ai piedi della Santa c'è una specie di vilucchio o roveto, ma coperto in parte da una grossa macchia rossa, sovrapposta. Può darsi che vi fosse dipinto un diavolo. Qua e là, mani irriverenti e rozzissime hanno da secoli segnato date: 1519; 1548, colla parola Hispania 1570;1604; 1654". I sacerdoti richiamano l'attenzione su un cartiglio a fianco del dipinto che indica la data di esecuzione e che interpretano come "1470, die 7 augusti" ma con dubbi nella interpretazione delle cifre perché propongono anche 1420 o 1429. Dubbi giustificati secondo Zastrow ("Repertorio di arte medioevale in Alta Valsassina", Noseda Editrice, Como, 1976) perché la seconda cifra deve essere letta come "5" e non come "4" (le ultime due cifre sono illeggibili). Considerando lo stile compositivo, il dipinto è concordemente collocato nell'ambito della produzione rinascimentale (XVI secolo), cioè successivamente all'epoca dei lavori di voltatura della navata. C'è chi sulla scorta dei collegamenti tra la Val Varrone e Venezia, ipotizza possibili influenze della pittura veneta. Nei primi anni settanta, è stato portato alla luce, sotto lo spesso strato di imbiancature e ridipinture, un ciclo di affreschi nell'abside scandito dalle tre monofore riccamente decorate da motivi fitomorfi. Nel catino absidale, separata da una marcata fascia rossa dal ciclo sottostante, si intravede all'altezza della monofora centrale un piede poggiato su una bassa pedana. Questo dettaglio presumibilmente è da identificare con un Cristo Pantocratore, anche se alcuni documenti delle visite pastorali parlano di un Cristo crocefisso. Solo i futuri restauri potranno sciogliere il dubbio e mostrare se ai lati di questa figura siano rappresentati, come è stato ipotizzato da Zastrow, i simboli apocalittici degli Evangelisti. Sul semicilindro absidale, partendo dalla parte sinistra, è possibile osservare la rappresentazione di un santo identificato come San Quirico; tra questa e la prima monofora si vedono semplici ornamentazioni vegetali, mentre di seguito trovano posto la raffigurazione della Madonna con Bambino. La postura dei personaggi sacri (il Bambino appoggia dolcemente la tempia sulla guancia della Madre, che abbraccia con affetto) avvicina questa rappresentazione al tipo iconografico della Madonna della Tenerezza, che si caratterizza per una maggiore intensità espressiva e umanità. Nell'intervallo tra la seconda e la terza finestrella sono rappresentate due sante: sono Santa Margherita, e Santa Brigida. Infatti due chiare iscrizioni hanno permesso di identificarle con certezza. Nell'ultimo spazio sono affiorate le figure aureolate di due santi: le scritte "Holomeus" e "As", sotto i volti delle figure maschili hanno fatto supporre che riguardino San Bartolomeo e Sant'Andrea.

L'architetto Suor Paola Dell'Oro, che ha curato il recente restauro conservativo della chiesa, nella sua relazione storica così descrive l'affresco: "I personaggi realizzati con tinte di terra a tonalità calde comprese tra il rosso e l'ocra, con sottolineature bianche e verdi, emergono sopra uno sfondo blu che comincia all'altezza dei fianchi delle figure. Nella parte inferiore non è possibile vedere cosa è rappresentato, se non nel caso della Madonna che è posta su un trono bianco con inserti rossi...Partendo dal lato nord incontriamo la figura anonima (della santa) ; non è visibile nella sua interezza per la mancanza della pellicola pittorica sia per la presenza nella parte inferiore di un grossolano arriccio. È visibile essenzialmente il volto, di sembianze femminili aureolato. In posizione quasi centrale, ma non in asse con la chiesa, incontriamo la Madonna con il Bambino che è il frammento più completo e più raffinatamente realizzato. Sono infatti accuratamente sottolineati i profili delle sopracciglia, curvilinee e continue, del naso stretto e affilato e delle palpebre che definiscono nettamente l'arcata sopraccigliare. Il carattere più interessante è appunto l'uso della terra verde per gli incarnati, ben visibile sulla fronte, riscontrabile anche a Civate, dove però differisce per tratti meno sicuri e più chiaroscurati. Ancora, il viso è sottolineato da un'ombra di colore verde-grigio, la stessa che segna le occhiaie e le guance. Da notare anche gli zigomi definiti inferiormente da una linea che, partendo dall'angolo interno dell'orbita oculare giunge sotto la base dell'orecchio. I due personaggi hanno forme piuttosto affusolate sia nella foggia delle vesti, che del corpo, ma soprattutto per quanto riguarda il volto. I personaggi ritratti alla destra, Santa Margherita e Santa Brigida, come San Bartolomeo e Sant'Andrea ripetono le caratteristiche stilistiche appena denunciate. Santa Margherita rivolta leggermente di tre quarti verso Santa Brigida regge nelle mani degli oggetti non identificabili; Santa Brigida è posta simmetricamente, con un braccio piegato...Il campo che contiene San Bartolomeo e Sant'Andrea è nella parte inferiore, in parte scialbato e in parte lacunoso anche dell'intonaco; solo il volto di Sant'Andrea è chiaramente percepibile: secondo la diffusa iconografia presenta una folta barba e porge il libro in una mano".

L'identificazione dei personaggi permette di capire la ragione per cui è stato scelto di raffigurare assieme dei santi generalmente non in relazione tra loro: infatti nell'affresco essi rappresentano i santi patroni delle chiese del territorio limitrofo: Santa Brigida identifica Narro, San Bartolomeo Margno, Sant'Andrea Pagnona e naturalmente Santa Margherita Somadino. Del resto tutte queste chiese sono molto antiche e tutte sono citate dal "Liber Notitiae Sanctorum Mediolani" del 1266 di Goffredo da Bussero. Questo ciclo pittorico, che risente ancora dei rigidi schematismi della pittura bizantina, è datato tra il XII e i primi del XIII secolo e costituisce l'unico affresco romanico conservatosi in Valsassina. Certamente opera di un unico pittore, esso presenta, secondo Zastrow  delle particolarità significative rispetto ai diffusi canoni della pittura medioevale coeva. Infatti, sotto l'immagine del Cristo, è rara la presenza di un numero così ristretto di santi e ancor più quella della Vergine con il Bambino. Normalmente, secondo lo studioso, alla base dell'abside "era più comune incontrare le figure dei dodici apostoli, eventualmente anche in compagnia della Vergine e di altri Santi", magari ridotti in dimensioni, come nel non lontano tempietto di San Fedelino sul lago di Mezzola.

Un'altra anomalia è la rappresentazione della Vergine proprio nell'abside, "quando principalmente la si nota lungo le pareti della navata e per lo più come affresco votivo". Del resto è inconsueta per l'epoca anche la "duplicazione della figura di Gesù" che torreggia nelle vesti del Pantocratore nel catino dell'abside e nel contempo più sotto è rappresentato nelle braccia della Vergine. Anche la stessa struttura della chiesetta presenta aspetti singolari. Per esempio il diametro dell'abside non è perpendicolare con l'asse della navata. Le stesse monofore inoltre non si trovano in posizione simmetrica e questo comporta che la figura della Madonna col Bambino, tra la prima e la seconda apertura, non sia al centro del semicilindro dell'abside come ci si aspetterebbe. Questa "apparente disarmonia", rilevata anche per la chiesetta di Sant'Ulderico, è stata spesso imputata alla "rozzezza" degli artefici medioevali che operavano in un'area marginale come quella dell'alta Valsassina. Zastrow invece, considerando i manufatti romanici di questa zona, tra cui anche San Rocco a Narro, e giudicandoli di livello qualitativo considerevole, propende per "una filtrazione personalizzata dei generali canoni creativi medioevali".

Un'altra particolarità di Santa Margherita, messa il luce di recente sempre dallo Zastrow ("La chiesa matrice di San Bartolomeo a Margno, Lecco, 2001) solleva invece interrogativi sulle originarie funzioni sacre di questo oratorio. Già in una relazione di una visita fatta nel 1579 da Mons. Luigi Sanpietro, delegato dell'arcivescovo, si suppone che la chiesetta fosse in antico l'unica chiesa parrocchiale di tutta l'Alta Valsassina. Nello studio del Mastalli viene riportato quanto si afferma nella relazione e cioè: "In essa si vede una buca o lavello de pietra rusticho... che si dice fusse l'anticho fonte battesimal". Negli atti della seconda visita pastorale di San Carlo Borromeo, nel 1582, descrivendo lo stato di abbandono della chiesetta, si prescrive di togliere il contenitore litico collocato in un angolo dell'edificio. Si tratta dello stesso contenitore di cui si era già fatto cenno negli atti della visita, nel 1579, dal delegato dell'arcivescovo che aveva indicato il suo utilizzo "pro baptisterio". Questa laconica notazione indicherebbe che Santa Margherita, fin dall'epoca medioevale, avrebbe avuto la prerogativa di chiesa battesimale, di norma riservato alla chiesa principale della pieve, nel caso della Valsassina a San Pietro a Primaluna. Secondo lo storico, per spiegare questa anomalia, rara nella diocesi ambrosiana, occorre prendere in considerazione "la particolare configurazione "di frontiera" e di luogo fortificato che ebbe a caratterizzare anticamente l'estremità settentrionale della pieve Valsassina: in particolare la valle di Casargo e l'alta testata della Val Varrone". Quindi, proprio per le caratteristiche di chiusura di questo territorio e il relativo isolamento rispetto alla sede prepositurale, nell'area "periferica" della val Casargo, si sarebbe realizzata una forma di autonomia ecclesiastica già dall'epoca feudale; l'oratorio di Santa Margherita ne sarebbe stato il principale tempio sacro e proprio per questo dotato di una prerogativa tanto importante. Tutto questo sembrerebbe essere avvenuto prima che si affermasse l'effettiva indipendenza (rispetto a San Pietro di Primaluna) della parrocchia di Margno (prima metà del XIV secolo) , sotto il cui controllo passeranno in seguito tutte chiese della val Casargo e Sant'Andrea a Pagnona. Alla luce di queste considerazioni, il ciclo di affreschi con i santi delle varie chiese della val Casargo e di Pagnona acquisterebbe un significato coerente: i santi chiamati a raccolta, sotto l'immagine del Cristo, intorno alla fonte battesimale rappresenterebbero le comunità religiose di questa area che riconoscevano in Santa Margherita, forse il più antico edificio sacro del luogo, il loro centro spirituale e religioso. Una ulteriore conferma della presenza nella chiesetta di un battistero è la scoperta, nel corso dei recenti restauri, di una fonte sotto il pavimento del presbiterio nella parte sinistra dell'abside, vicino alla piccola porta fatta chiudere da San Carlo. L'acqua sgorga ancora oggi direttamente da una frattura della roccia, su cui peraltro poggia l'intero edificio. Per il suo deflusso è stato necessario approntare una canaletta di scolo per portare all'esterno l'acqua e costruire un piccolo vespaio sotto il pavimento per consentire una maggiore aerazione e diminuire l'umidità sottostante.

Forse la presenza di questa fonte che sgorga dallo sperone roccioso non è del tutto estranea alla fondazione, proprio in questo particolare luogo, dell'edificio religioso. E forse era proprio questa l'acqua che serviva per il battesimo dei primi fedeli nell'antica comunità cristiana dell'alta Valsassina.


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CASARGO



Casargo è un comune dell'Alta Valsassina, posto nella parte settentrionale della provincia di Lecco.
Il paese si trova su un fondovalle dominato dalla massiccia sagoma del monte Legnone (metri 2610) a 800 metri di quota sul livello del mare. Conta circa 900 abitanti sparsi nei cinque nuclei abitati che compongono il comune; Casargo, Codesino e Somadino si trovano nella Val Casargo percorsa dal torrente Maladiga, mentre Indovero e Narro si affacciano sulla Val Muggiasca, una piccola valle scavata dall'ultimo tortuoso tratto del Pioverna, il torrente che attraversa tutta la Valsassina.

Dal fondovalle, dove è situato l'abitato principale, si possono raggiungere le frazioni di Indovero e Narro, da cui si gode un ampio panorama di tutta la Valsassina. Da Narro si diramano la strada per la Val Muggiasca per raggiungere Bellano, e quella per l'Alpe di Giumello, terrazza naturale con vista su tutto il bacino lariano, sede di un'importante scuola di parapendio e deltaplano e dotata di impianti sciistici.

Sul versante opposto si trova Alpe di Paglio, anch'essa comodamente raggiungibile da Casargo, punto di partenza per scampagnate e trekking verso i rifugi delle Orobie ed il Pian delle Betulle.

Le più antiche testimonianze archeologiche dei primi abitatori di Casargo risalgono ad un arco di tempo compreso fra la Prima e la Seconda Età del Ferro e sono state trovate nelle vicinanze della Chiesa parrocchiale, frutto di fortuiti ritrovamenti alla fine dell'Ottocento. Si tratta di tombe del periodo celtico, del tipo sia a cremazione sia a inumazione, che hanno restituito reperti di vario genere (fibule, spade, puntali di lance, un'accetta, un falcetto in ferro, resti di ossa umane e frammenti fittili) attestando la presenza umana stabile nel territorio di Casargo già fin dall'epoca preromana.
Nonostante le origini antiche, il toponimo, in assenza di una indagine specifica, viene fatto risalire alla romanizzazione del territorio, testimoniata dalla scoperta di alcune tombe romane nella vicina Margno. Casargo deriverebbe così, secondo Pasetti e Uberti, da "Casa Argi", in onore della divinità dai cento occhi, ipotesi non del tutto inappropriata per un paese posto a sentinella tra due valli. Altri, sempre secondo gli stessi autori, farebbero risalire il nome più prosaicamente da "casearium" o "casearii", in riferimento all'allevamento del bestiame, che ha costituito l'attività principale del paese fino all'ultimo dopoguerra. Se per quanto riguarda gli antichi insediamenti è possibile far riferimento ad alcuni indizi, per il primo millennio cristiano le informazioni sono estremamente rare ed è necessario oltrepassare ben oltre l'anno Mille per avere notizie certe. La cristianizzazione di questi territori dovette avvenire, nonostante le difficoltà di comunicazione, in modo precoce, come testimonia una epigrafe cristiana del 425, trovata a Cortabbio.

Del resto, secondo Zastrow quanto era più importante un sito fin dall'epoca preromana e romana (sarebbe il caso della Val Casargo) tanto più era preso in considerazione nelle prime fasi di evangelizzazione, quando si andava costituendo una ripartizione ecclesiastica (diocesi-pieve-cappellania) sul modello delle preesistenti circoscrizioni amministrative romane (distretto municipale-pago-vico). Dal trapasso dalla tarda romanità all'epoca delle invasione barbariche, procedendo fino il Duecento, mentre si afferma, dopo il Mille, la signoria feudale dei Della Torre di Primaluna, che avranno un ruolo importante nella storia della Valsassina e nella stessa Milano comunale, emerge una organizzazione ecclesiastica con a capo la chiesa di San Pietro proprio a Primaluna, sede del prevosto, che sarà chiamata Pieve Valsassina. E' in questo periodo che l'intera val Casargo, a difesa dalle continue invasioni, proprio per la sua importanza strategica quale zona di frontiera e di comunicazione, viene dotata di un complesso apparato di difesa contro eventuali aggressori, provenienti sia dalla val Varrone che da Taceno. Secondo gli storici  i dintorni di Casargo, soprattutto a nord, dove la valle si restringe al valico di Piazzo, dovevano essere ben muniti dalla presenza di un muraglione, naturalmente difeso da milizie e tracce di trincee e di una robusta Torre a Somadino sono riportate dagli studiosi. Del resto il dirupo addossato alla chiesetta di Santa Margherita è ancora oggi chiamato Sasso della Guardia e nelle vicinanze c'è Premuro, che indica un antemurale. Le fortificazioni di Piazzo erano coordinate con quelli presenti a Bagnala, immediatamente a sud di Margno. Qui un bastione sbarrava la strada ad una eventuale direttiva di attacco proveniente da Taceno, dove esisteva peraltro una struttura difensiva, completata da una torre a Vegno, il cui ricordo è tramandato dal nome di una strada che affianca la chiesa di San Giovanni. Infine un altro castello ad Indovero chiudeva l'accesso a chi veniva dalla Muggiasca. Questo particolare assetto delle fortificazioni nella val Casargo nell'epoca feudale, porta Zastrow a definirla come una "zona cuscinetto", "chiusa e autonoma, fortemente protetta e con molteplici sbarramenti"
In questo particolare contesto militare, in posizione strategica ed nel contempo eccentrica rispetto ai nuclei abitativi, nascono le prime piccole chiese del territorio di Casargo che avevano in origine le forme di oratori castrensi, cioè collocate all'interno di fortificazioni militari. Sono la chiesetta di Santa Margherita (a Somadino), quella di Sant'Ulderico sul Monte Muggio rivolta verso la Val Varrone e quella di San Fedele sull'Alpe di Paglio (in una zona tra i boschi chiamata "La Foppa") ormai scomparsa da secoli. Una conferma di una specifica reciprocità di funzioni strategiche e ovviamente insieme devozionali di questi tempietti di origine medievale la si può cogliere nella leggenda di Santa Margherita e suoi sette fratelli, eremiti in altrettanti chiesette sparse sul territorio, che si tenevano in contatto attraverso falò accesi sui monti. Questa leggenda è stata letta come la trasformazione di una antica realtà storica locale che affidava a queste piccole chiese, proprio per la loro particolare posizione panoramica, un compito di avvistamento e di segnalazione di eventuali pericoli determinati dall'avvicinarsi di truppe ostili. Anche nella singolare collocazione di altre chiese è possibile riscontare una funzione strategica. Per esempio, la chiesa di Santa Brigida (certamente anteriore al XIII secolo) si trova all'estremità superiore di Narro e gode di una posizione estremamente panoramica sulla valle e la chiesa di San Martino, a Indovero, che sorge anch'essa staccata dai paesi e in un punto di particolare ampiezza visuale. Il suo campanile, di origine romanica (secolo XI) ed eretto sulle base di una torre appartenente alle antiche linee difensive, dovette sicuramente svolgere anche la funzione di torre semaforica e di vedetta sul territorio sottostante, dato che è visibile fin dalla piana di Cortenova.
Col trecento, "l'età comunale" porta alla affermazione di rivendicazioni autonomistiche da parte delle realtà locali. Vengono codificati vari statuti a cominciare da quello di Averara (1313) fino ad arrivare all'emanazione degli "Statuti civili e criminali della comunità di Valsassina" (novembre 1388) che garantiranno una speciale forma di autonomia alla valle fino alla invasione napoleonica (1796). In campo religioso, il secolo segna la decadenza della fondamentale istituzione della pieve e la affermazione anche in questo campo di spinte autonomistiche sempre più forti. Nella val Casargo si afferma come chiesa matrice (da cui si distaccheranno in seguito tutte le altre) la chiesa di San Bartolomeo a Margno, che già nel 1335 godeva di una certa autonomia rispetto al capitolo di Primaluna. Fino all'avanzato Quattrocento sarà l'unica parrocchia di questa parte di Alta Valsassina e il suo parroco avrà giurisdizione su tutte le chiese della val Casargo ma anche sulla lontana chiesa di San Andrea a Pagnona. Solo nell'avanzato XV secolo si assiste alla disgregazione del vasto territorio parrocchiale di Margno (una ventina di edifici religiosi tra chiese e oratori) e al distacco definitivo dalla chiesa matrice delle parrocchie di Indovero con Narro (con decreto vescovile del 1472) e di Pagnona (1498).

Notizie certe sullo stato delle varie comunità dell'alta valle sono reperibili solo a partire dalla seconda metà del Cinquecento, quando, sotto l'impulso al rinnovamento del mondo cattolico promosso dal Concilio di Trento, si moltiplicarono le visite pastorali che avevano lo scopo di controllare le singole parrocchie da parte delle autorità religiose. Queste visite periodiche erano accuratamente registrate e gli atti e le relative prescrizione debitamente conservati. La prima visita pastorale in valle relativamente al secolo XVII, è dell''ottobre 1566, ed è quella compiuta da Carlo Borromeo, il futuro San Carlo , a cui segue una seconda effettuata nell'agosto del 1582. San Carlo incontra i parroci e ascolta i rappresentanti della comunità, visita oratori e chiese rendendosi conto personalmente della stato delle cose. Di tutta la visita viene redatta una precisa relazione in cui troveranno posto anche annotazioni sociologiche sulla popolazione, derivate dagli 'Stati delle anime', compilati dallo stesso parroco per fare conoscere alla Curia la composizione e la situazione del suo gregge di parrocchiani. Da queste dati riportati dal Mastalli, anche se lacunosi e approssimativi, è possibile aprire un piccolo squarcio sulla realtà sociale e sui principali gruppi famigliari delle comunità della val Casargo. A proposito di Indovero sappiamo che "nel 1574 contava 117 anime e 21 fuochi (nuclei famigliari)."

Anche nel '600 si susseguono con regolarità le visite pastorali in alta val Casargo e dopo quella dell'arcivescovo Gaspare Visconti nel 1594, nel 1608 (23 giugno) visiterà Casargo anche il cardinale Federico Borromeo , cugino di san Carlo, che resse la diocesi ambrosiana dal 1595 al 1631. Proprio dalla visita di quest'ultimo presule e dagli atti e dai decreti emanati (1614), prende avvio il futuro distacco della parrocchia di san Bernardino a Casargo dalla chiesa matrice di Margno. Questa separazione viene avviata prima attraverso un documento notarile dell'anno 1649, che pone ne pone le basi e poi con la decisione definitiva dell'allora arcivescovo (card. Alfonso Litta) del 1655. Ma i primi decenni del secolo XVII furono caratterizzati da disastrose calamità che segnarono duramente tutto il territorio: la calata dei Lanzichenecchi (1629) e il diffondersi della peste con le sue nefaste conseguenze e da ultimo le violenze compiute dai francesi del Duca di Rohan (1636).
I Lanzichenecchi, mercenari al servizio dell'imperatore Carlo V e sotto il comando del conte Rambaldo di Collanto, dovevano attraversare tutto il ducato di Milano per raggiungere Mantova, allora contesa alla Francia, nel corso della Guerra dei Trent'anni. Dopo una tappa in Svizzera, il 20 settembre del 1629 i militari raggiunsero Colico e attraverso Bellano risalirono la Valsassina in direzione di Lecco. L'impatto tra un'armata di 36 mila uomini e più di settemila cavalli e le piccole comunità della riviera e della valle fu devastante. Il transito di questa soldatesca, che raggiungerà Lecco solo ai primi di ottobre, fu caratterizzato da saccheggi, razzie, incendi e violenze, che spinsero parte popolazione a trovare rifugio sulle montagne. Le truppe risalendo la valle in direzione di Lecco alloggiarono anche a Codesino, Casargo e Somadino e risparmiarono solo Narro e Indovero e come in tutti i paesi venne imposto ai comuni di pagare il vitto e di dare alloggio ai soldati. Alla loro partenza, la popolazione stremata e impoverita dovette far fronte ad un altro grave problema: il diffondersi di una terribile epidemia di peste in tutta la valle, diffusa dagli stessi soldati nel loro passaggio in tutta la valle e che raggiungerà Milano alla fine di ottobre. La moria durò molti mesi e infuriò soprattutto nell'estate del 1630. La peste si diffuse a Margno e in tutta la val Casargo toccando anche Narro e Indovero che non erano stati visitati dai Lanzichenecchi, fino ad arrivare a Premana dove sterminò un terzo della popolazione.

Sulla val Casargo, come per altri paesi della valle, non si hanno dati certi per la scomparsa dei registri dei morti, tenuti dai parroci. A Casargo l'epidemia è ricordata dalla chiesetta di Santa croce, detta Chiesa dei morti perchè, secondo il Cazzani ", si dice, nelle sue adiacenze furono trovate decine e decine di morti per la peste". Sopra l'ingresso della chiesetta, dietro una rete di metallo sono tuttora conservati ancora i resti ossei delle vittime di quel tempo. In assenza di dati certi, la gravità della situazione può essere dedotta da una informazione contenuta nel Libro dei morti della parrocchia prepositurale di Primaluna. Alla data 22 aprile 1630 si registra la morte di "Bartolomeo Meles di peste monatto a Margno" (Cazzani, in Lanzichenecchi e la peste manzoniana in Valsassina, Saronno 1975). I monatti aveva il compito di portare i morti di peste alle fosse e di condurre gli ammalati al lazzaretto e bruciare tutto ciò che era ritenuto fonte di contagio e la loro presenza indica che l'epidemia avrebbe raggiunto, anche in val Casargo, come del resto in tutta la valle, dimensioni notevoli.

Sul territorio del Comune di Casargo si trovano ben 30 alberi a carattere monumentale censiti dalla Guardia Forestale ed inseriti nell'elenco della Provincia di Lecco. Si tratta di essenze autoctone, principalmente castagni, faggi e betulle. Tra di essi il posto d'onore è senza dubbio riservato allo straordinario faggio della Val Piancone, un esemplare alto 28 metri e con una circonferenza di oltre 9 metri. Con un'età di oltre 600 anni è ritenuto il più antico faggio d'Italia.

Altri grandi alberi si possono incontrare lungo l'anello del Monte Muggio e lungo il sentiero che dall'Alpe di Paglio porta al Pian delle Betulle e all'Alpe Oro, nel territorio di Casargo, Margno e Crandola.

La Chiesa di San Bernardino in origine era un semplice oratorio ad un'unica navata la cui costruzione risale al Quattrocento e per tradizione viene connesso con probabile visita compiuta da San Bernardino da Siena che intorno al 1420 predicò a Como.

Con la fondazione della parrocchia avviene il definitivo distacco dalla chiesa matrice di Margno, nel 1655, stabilito dall'allora arcivescovo card. Alfonso Litta. La frazione di Codesino rimarrà con la parrocchia di Margno fino al 22 luglio del 1801 quando con un decreto del Ministro degli Interni della Repubblica Cisalpina, verrà definitivamente unita alla parrocchia di Casargo .

La chiesetta viene ripristinata e ingrandita, anche con le rimesse di alcuni emigrati nel Torinese. Sopra l'elegante portale datato 1758, si osserva una lapide del 1658, probabilmente relativa a quei lavori. Fra alcune tele del tempo è notevole la pala di altare di destra con la Vergine del Carmelo e i santi Carlo, Francesco, Bernardino e Simone Stock e che si crede di provenienza torinese. Viene ulteriormente ingrandita con l'aggiunta delle navate laterali nel 1833-34 e fu ampliata verso occidente e quindi sottoposta a decorazione a cominciare dal 1842. Risale a quell'anno l'organo di Giuseppe Valli revisionato nel 1899 da Vittore Ermolli. Di qualche tempo più avanti sono gli affreschi di Giovan Maria Tagliaferri, che illustrano l'arco trionfale con i profeti, la volta del Presbiterio con l'Annunciazione e gli Evangelisti, e il coro con numerosi medaglioni di santi. Nell'oratorio di San Giacomo di Codesino la pala precedente di Sant'Antonio del 1658 firmata da Luigi Reali. Del 1824 è l'altare maggiore a tempietto in marmi e formelle scolpite. Si segnalano un confessionale intagliato barocco e una tavola con copia della Annunciazione del Garofalo. Nel 1890-91 venne rialzato il robusto campanile dalla caratteristica guglia di cotto.

La chiesa di San Rocco precede il paese con una curiosa facciata a capanna caricata sulla sinistra da un ampio campaniletto a vela. I rimaneggiamenti non cancellano la antica struttura riferibile al Trecento e legata ad un probabile voto contro le pestilenze. L'edificio consiste oggi in una modesta aula grosso modo rettangolare, divisa a metà da una specie di arco trionfale: la prima parte ha un soffitto piano, mentre la seconda ha delle voltine a crociera costolate, con la parete di fondo dell'altare piana e verticale.La parte absidale venne ricostruita nel 1569, decorando la parete di fondo con la Crocefissione fra i Santi Rocco e Sebastiano, affiancati dalle Sante Anna e Marta e dalla Vergine. Sull'affresco è incisa la data 1585. Nel corso dei restauri del 1908, nella parete meridionale sono apparsi diversi riquadri affrescati: sotto la campatella costolonata si vede un lacerto di affresco riproducente San Rocco in veste da pellegrino di fine Trecento. Il particolare curioso consiste nel fatto che la tipica piaga del santo è qui segnata sulla coscia destra, mentre nella pittura precedente la ferita si trova su quella sinistra. Verso occidente invece la Madonna col Bambino in trono e reggente con la mano destra un libro, corredato da una iscrizione relativa a Ser Alberto de Tetis che commissionò il dipinto nel 1418. Altra particolarità, già evidenziata da Zastrow , riguarda le pareti della chiesa su cui sono posti gli affreschi definiti "a serpentina", cioè non perpendicolari ma ondulate. Questa stranezza, del resto non unica nei manufatti di questa epoca della zona, è ricondotta dallo storico non alla rozzezza delle maestranze, come qualcuno ha avanzato quanto ad una più libera interpretazione dei canoni romanici.

La parrocchia di San Martino si trova in una posizione isolata e equidistante tra i due paesi di Indovero e Narro vicino al profondo solco della Valresina. Per spiegare questa singolare collocazione sono nate varie leggende. La più famosa è quella che identifica l'edificio sacro come la "chiesa del filo" o "della corda". Si tramanda che per lunghi anni i due paesi vicini furono in contrasto a causa della posizione della chiesa parrocchiale: l'uno la voleva nel proprio territorio e stessa cpsa reclamava l'altro. A dirimere l'annosa questione ci pensò in modo salomonico lo stesso San Carlo Borromeo. Infatti, racconta la leggenda, il santo fece tirare una corda tra Indovero e Narro e ,una volta stabilita la metà esatta tra i due abitati, decise il luogo esatto per l'edificazione della chiesa che avrebbe dovuto servire i due paesi contendenti. La leggenda però non ha solide basi storiche perchè colloca la sua fondazione all'epoca di san Carlo mentre a quell'epoca (seconda metà del '500) la chiesa aveva già un lunga storia di oltre tre secoli alla sue spalle.L'edificio attuale, che risale alla fine del '500, si presenta ruotato di novanta gradi e l'odierna muratura di fondo dell'altare è in corrispondenza dell'antica parete meridionale dell'edificio. Data la sua antica origine, San Martino fu la prima chiesa della alta Valsassina a diventare una parrocchia autonoma staccandosi definitivamente da Margno, l'allora chiesa matrice. Questo avvenne il 3 maggio del 1472 su decreto dell'arcivescovo di Milano Stefano Nardini, quando era già stato ricostruito con l'inversione dell'asse. Quando San Carlo la visita il 29 ottobre del 1566 la chiesa appare in uno stato pietoso. Da quella visita sappiamo anche che era consuetudine della comunità di Indovero e Narro andare in processione il primo venerdì di maggio alla chiesa di San Gregorio e che il comportamento dei parrocchiani, secondo il parroco, non era esemplare. Infatti Don Mornico scrive alla Curia che "a Indovero et Narro si balla e si giocha li giorni di festa" e che "li uomini per giocar di carte non santifichani le feste".

La chiesa nel corso degli anni subì ulteriori rimaneggiamenti: nel 1811 fu allungata e in particolare nel corso del 1840 fu sistemata la facciata e successivamente sono stati aggiunti gli affreschi sulla storia del patrono nella parte superiore di Giovan Maria Tagliaferri. Nell'interno neoclassico si trovano una tela di Sant'Antonio da Padova del Settecento e la cappella del Rosario, adorna di stucchi e di un altare ligneo del 1667, con i Misteri su tavolette e una statua della Vergine che risale alla fine del Cinquecento.

Nel suo territorio è presente un autentico gioiello di arte romanica, la chiesa di Santa Margherita in Somadino, una frazione di Casargo. La chiesa di Santa Margherita è il più antico edificio religioso della Valsassina e le sue origini risalgono all'XI secolo. La chiesa fu edificata vicino a fortificazioni militari e lungo la strada che portava in Valtellina, che passava sotto il suo portico, ampliato nel settecento. Ha subito tante trasformazioni ma la chiesa mantiene intatte le sue pure forme romaniche. Al suo interno, insieme ad un affresco di epoca rinascimentale, conserva un interessante ciclo di affreschi di ascendenze bizantine in cui sono riprodotti, insieme alla Vergine con Bambino, i santi patroni delle chiese vicine. Sulla cupola sono visibili tracce di un Cristo Pantocratore. Secondo recenti indagini, basate sugli affreschi dell'abside, la chiesa di Santa Margherita sarebbe stata la chiesa matrice di tutta l’Alta Valsassina, da cui avrebbero preso origine tutte le altre.

Narro è una frazione geografica posta ad ovest del centro abitato sulla strada verso l'alpeggio di Giumello.
Narro fu un antico comune del Milanese.
Dalla metà del Settecento il governo austriaco gli aggregò amministrativamente la località di Indovero, formando un aggregato di 419 persone, e nel 1786 il comune entrò per un quinquennio a far parte della Provincia di Como, per poi cambiare continuamente i riferimenti amministrativi nel 1791, nel 1797 e nel 1798.
Portato definitivamente sotto Como nel 1801, alla proclamazione del regno d'Italia napoleonico nel 1805 risultava avere 431 abitanti. Nel 1809 il municipio fu soppresso su risultanza di un regio decreto di Napoleone che lo annesse a Vendrogno, ma il comune di Narro fu tuttavia ripristinato con il ritorno degli austriaci. Nel 1853 risultò essere popolato da 551 anime, scese a 211 nel 1871. Il comune ebbe fine nel 1879, allorquando il governo italiano spostò la sede municipale ad Indovero, paese che poi confluì in Casargo nel 1928.

L'economia del paese poggia su alcune aziende. Resistono ancora attività tradizionali come il formaggio, il latte e l'allevamento. In località Piazzo c'è una rinomata scuola alberghiera. Nel territorio comunale ha particolare importanza il turismo.

A partire dagli anni Sessanta a Casargo si sono sviluppate due piccole stazioni sciistiche: l'Alpe Giumello e Alpe di Paglio. Gli impianti dell'Alpe Giumello vennero aperti negli anni Sessanta e consistevano in uno skilift per principianti ed in un più lungo skilift per sciatori di medie capacità, che raggiungeva la vetta del Monte Muggio. Nel corso degli anni la piccola località è stata sempre discretamente frequentata.

Negli anni Novanta, il fallimento della società che si occupava della gestione della località, ha visto il destino degli impianti finire in mano ad un gruppo di volontari. Nel gennaio 2009, durante uno degli inverni più nevosi dell'ultimo ventennio, la stazione è stata costretta alla chiusura a causa del termine della "vita tecnica" dello skilift e della mancata concessione di una proroga.

I gestori si impegnarono quindi, con l'aiuto degli enti locali, a riattivare la stazione, mediante il rinnovamento degli impianti. Per i principianti venne acquistato un tapis roulant. Si riuscì anche a ripristinare la sciovia Monte Muggio, mediante l'acquisto di uno skilift usato, funzionante per pochissimi anni, in una stazione sciistica del Torinese. Il 19 dicembre 2009 la piccola stazione sciistica ha potuto quindi festeggiare la riapertura.

Diverso il destino dell'Alpe Paglio, località situata sul versante opposto della valle. La località aprì negli anni Settanta con la costruzione dello skilift Alpe Paglio-Cima Laghetto, che permetteva il collegamento sciistico con il Pian delle Betulle. La stazione fu da sempre frequentata, in quanto la pista dell'Alpe Paglio era la più lunga e rinomata del comprensorio del Pian delle Betulle. Nel 2005, però, lo skilift terminò la "vita tecnica". Le risorse economiche insufficienti ed alcuni problemi burocratici determinarono la dismissione dell'impianto.




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