venerdì 30 gennaio 2015

IL NOSTRO AMICO GATTO-STORIA E CULTURA-





Il gatto domestico (Felis catus Linnaeus, 1758 o Felis silvestris catus Schreber, 1775) è un mammifero carnivoro appartenente alla famiglia dei felidi.

Si contano una cinquantina di razze differenti riconosciute con certificazioni. Essenzialmente territoriale e crepuscolare, il gatto è un predatore di piccoli animali, specialmente roditori. Per comunicare utilizza vari vocalizzi (più di 16), le fusa, le posizioni del corpo e produce dei feromoni. Può essere addestrato a obbedire a semplici comandi e può imparare da solo a manipolare meccanismi elementari come le maniglie delle porte.

È il felino col più vasto areale nel mondo e con la popolazione più numerosa, protagonista anche di fenomeni di inselvatichimento così ampi da determinarne l'inclusione nell'elenco delle 100 tra le specie invasive più dannose al mondo da parte dell'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura.
Il nome italiano gatto deriva dal latino medievale gattus (VIII sec.), latino tardo cattus (IV sec.), classico catta (Marziale, c. 75 d.C.) di origine incerta, forse africana (cfr. nubiano kadīs e berbero kaddīska, "gatto"; arabo قط, "gatto maschio"). Il tipo catta/cattus ha soppiantato il termine tradizionale latino fēlēs in tutta la Romània (ma non nel rumeno, dove si usa pisică) e da questo deriva l'italiano gatto, lo spagnolo e portoghese gato, il francese chat. Dal termine tardolatino derivano anche le parole corrispondenti celtiche (cfr. irl. cat, gall. cath, bret. kaz), germaniche (cfr. protogermanico *kattuz, da cui antico frisone katte, norr. köttr, neer. kat, a.a.t. kazza, ted. Katze, ags. catt, ingl. cat) e slave (cfr. antico slavo ecclesiastico котъка kotŭka, bulg. котка kotka, russo кошка koška, pol. kot), nonché il lituano kate e il finlandese katti) e il greco moderno γάτο.
Il gatto è un animale il cui addomesticamento è relativamente recente. Le prime tracce di addomesticamento sono state trovate in Cina e risalgono al 5300 a.C.. Per questo conserva una sua naturale diffidenza e indipendenza. Nei gatti non esiste una struttura gerarchica come nei cani, e dunque il suo rapporto con gli umani è diverso: l'essere umano viene considerato come una madre sostitutiva che è utile per procurare il cibo e garantisce protezione. Il gatto infatti è un animale più legato al territorio che non al branco, a differenza del cane. Non per questo il gatto non può provare affetto verso le persone e può anche essere protettivo. Nella maggior parte dei casi se allevato da piccolo il suo atteggiamento verso il padrone è affettuoso e dolce.

Il gatto può inoltre manifestare il proprio affetto verso il padrone facendo le fusa e allungando le zampe. In tali momenti resta con gli occhi chiusi e il padrone, in una forma di imprinting, rappresenta per lui la vera madre.

Un altro modo di riconoscere l'umano come una "mamma" è quello di grattare il torace o un'altra parte del corpo del compagno umano con le zampe anteriori. Questo comportamento è detto "fare la pasta" (o "fare la panettiera"), in quanto le zampe si muovono come le braccia di un uomo quando impasta la farina, ed è un'azione tipica dei gattini sotto allattamento che in questo modo stimolano la lattazione dalle mammelle materne. Non è sempre un comportamento gradito agli umani, in quanto eseguito con le unghie sfoderate, ma va considerato comunque una dimostrazione di affetto in quanto viene appunto proiettata sul padrone la figura materna. Può talvolta essere eseguito su oggetti, ad esempio vestiario, appartenenti al padrone oppure sulla base di appoggio quando riceve coccole particolarmente gradite.

Le carezze vanno effettuate con moderazione perché il pelo dei gatti è ricco di terminazioni nervose ultrasensibili alle manipolazioni. I miagolii rivolti al compagno umano sono di diversi tipi: quello lungo e lamentoso per segnalare un corteggiamento, quello breve caratteristico del saluto e infine quello prolungato per una richiesta
Si chiama domesticazione il lungo processo svolto dall'uomo, sin dall'antichità, per ottenere, da una specie selvatica, un animale domestico.

Le prime scoperte paleontologiche situavano i primi siti della domesticazione del gatto in Egitto, verso il 2000 a.C., ma la scoperta nel 2004 di resti di gatto vicino a quelli di uomini in una sepoltura a Cipro porta l'inizio di questa relazione tra i 7500 e i 7000 anni prima di Cristo. Il gatto scoperto presenta una morfologia molto simile a quella del gatto selvatico africano, senza le modifiche dello scheletro dovute alla domesticazione: si tratta di un gatto addomesticato piuttosto che domestico. La coabitazione dei gatti con gli uomini è probabilmente cominciata con l'inizio dell'agricoltura: l'immagazzinamento del grano ha attirato i topi e i ratti, che a loro volta hanno attirato i gatti, loro predatori naturali. Lo studio condotto da Carlos Driscoll su 979 gatti ha permesso di definire la probabile origine del gatto domestico nella regione della mezzaluna fertile in Mesopotamia.

Sebbene gran parte degli etologi concordino nel definire il gatto domestico discendente del gatto selvatico africano (Felis silvestris lybica), alcuni esemplari di Felis chaus, un piccolo felino africano parente stretto del gatto, sono stati ritrovati mummificati nelle tombe egiziane, presumibilmente addomesticati. Questo, oltre alla similitudine morfologica del cranio, ha portato alcuni studiosi a formulare l'ipotesi che il gatto domestico discenda dal Felis chaus, e non dal Felis lybica; altri ancora sostengono che siano avvenute ibridazioni.

Il gatto domestico non è la sola specie tra le Felinae utilizzate come animale da compagnia. Anche il gatto selvatico e il jaguarondi sono stati addomesticati per cacciare topi e ratti.
Gli egiziani dell'antichità hanno divinizzato i tratti del gatto nella dea protettrice Bastet, simbolo di fecondità e dell'amore materno. Il suo culto si situava principalmente nella città di Bubasti. Gli archeologi hanno scoperto numerose mummie di gatto che mostrano la venerazione degli egiziani per questo felino. Anche la sorella di Bastet, Sekhmet, era un felino (anche se una leonessa) e lei aveva come animale sacro il gatto.

Per molto tempo la Grecia antica conoscerà solo i mustelidi (furetti e donnole) come cacciatori di roditori. I primi esemplari gli saranno venduti dai fenici, che li avevano rubati agli egiziani. Aristofane cita addirittura la presenza di un mercato dei gatti ad Atene che veniva chiamato ailouros (che muove la coda). Poi, a partire dal secondo secolo prima di Cristo, katoikidios (domestico)

I romani avevano una passione per i gatti: dapprima erano riservati alle classi agiate, poi l'uso di possedere un gatto si propagò in tutto l'impero e in tutti gli strati della popolazione, assicurando così la propagazione dell'animale in tutta l'Europa.
L'immagine del gatto nell'islam è principalmente positiva, grazie all'affetto che portava loro Maometto, dopo essere stato salvato da un morso di serpente da una gatta soriana, Muezza, che poi venne adottata e amata dal Profeta. Per l'affetto e l'amore che nutriva nei confronti della sua gatta, secondo la leggenda Maometto regalò ai felini la capacità di cadere sempre su quattro zampe, nonché la presunta facoltà di poter osservare contemporaneamente il mondo terreno e la dimensione ultraterrena. Tutt'oggi, nei paesi di cultura araba, il gatto è solitamente l'unico animale al quale è permesso di passeggiare liberamente nelle moschee.

Al contrario, il gatto fu demonizzato nell'Europa cristiana durante la maggior parte del Medioevo, a causa dell'adorazione di cui era stato l'oggetto in passato da parte dei pagani. Nella simbologia medievale, il gatto era associato alla sfortuna e al male, soprattutto quando era nero, e anche all'essere sornioni e alla femminilità. Era un animale del diavolo e delle streghe. Gli si attribuivano dei poteri soprannaturali, tra cui la facoltà di possedere nove (o sette per alcuni Paesi, tra cui l'Italia, in cui la religione lo considera un numero sacro) vite. Nella notte di San Giovanni, nelle piazze, venivano bruciati vivi centinaia di gatti rinchiusi in ceste assieme alle donne accusate di stregoneria. Le differenti epidemie di peste, dovute alla proliferazione dei ratti, potrebbero essere una conseguenza della diminuzione del numero dei gatti.

Nel Rinascimento il gatto venne rivalorizzato, soprattutto a causa dell'azione preventiva contro i roditori, divoratori dei raccolti.
Malgrado delle nobili eccezioni come i cistercensi o il persiano bianco di re Luigi XV di Francia, il gatto non conobbe un vero ritorno di immagine fino al romanticismo. In questo periodo divenne l'animale romantico per eccellenza, misterioso e indipendente. Sempre nel XIX secolo, diventò il simbolo del movimento anarchico. Nel XX secolo, si è mantenuta questa visione romantica, con un interesse anche scientifico verso il gatto.
Dei gatti si sono occupati diversi celebri scrittori come Lope de Vega (che scrisse La Gattomachia, un intero poema burlesco in sette canti, per raccontare gli amori del valoroso soriano Marramachiz e della bella gatta Zapachilda), come Kipling, Eliot, Carroll (che fa colloquiare Alice nel Paese delle Meraviglie con un gatto del Cheshire) e come Perrault, che nella sua celebre fiaba al gatto fa addirittura indossare un paio di stivali.

Si ricorda qui, inoltre, Luis Sepúlveda, con Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, romanzo ispirato dal suo gatto Zorba (soppresso a causa di una malattia), citato anche ne Le rose di Atacama.

Lo scrittore ceco Čapek ha descritto le vicissitudini dei suoi gatti in una serie di racconti, pubblicati dapprima come articoli su quotidiani cechi degli anni venti e trenta e successivamente raggruppati nella raccolta Měl jsem psa a kočku.

Anche lo scrittore giapponese Natsume Sōseki ha scritto un libro con protagonista un gatto intitolato, appunto, Io sono un gatto, in cui narra le vicende di una famiglia borghese del Giappone di inizio Novecento viste dal punto di vista dell'animale; Jun'ichirō Tanizaki ha invece dedicato ai rapporti tra una gatta e i suoi ospiti umani il romanzo La gatta, scritto nel 1936.

Tra gli autori italiani, il filosofo Piero Martinetti ha dedicato ai suoi gatti defunti i toccanti Brevi epitaffi. I gatti sono inoltre una presenza costante nelle opere di Giorgio Celli.

I gatti siamesi Koko e Yum Yum sono i protagonisti della fortunata serie di romanzi gialli "Il gatto che..." della scrittrice americana Lilian Jackson Braun.

Anche svariati fumetti moderni hanno dei gatti come protagonisti: basti pensare a Felix il gatto, a Garfield, a Tom del duo Tom e Jerry, a Gambadilegno, a Birba, il gatto di Gargamella nei Puffi, all'impareggiabile Gatto Silvestro o all'ilare Isidoro.

Il gatto ha stimolato anche la fantasia di numerosi poeti: basti pensare a Charles Baudelaire che l'ha citato nei suoi Fiori del male, e a Pablo Neruda, che a questo felino ha dedicato addirittura un'ode (Ode al gatto). Hanno scritto poesie sui gatti Dario Bellezza, Luce d'Eramo e la poetessa Rosella Mancini (Gatti stellari e terrestri). Anche la poetessa polacca Wisława Szymborska ha scritto del gatto ("Il gatto nell'appartamento vuoto") come di un animale del lutto, che viene ferito profondamente dalla morte del padrone, vista dall'animale come un tradimento della fiducia e un ferimento alla sua sensibilità.

Alcune canzoni di successo hanno per tema questo animale: basti citare La gatta di Gino Paoli, Quarantaquattro gatti, Volevo un gatto nero ed El me' gatt di Ivan Della Mea, o musical come Cats. Anche Freddie Mercury dedicò l'album Mr. Bad Guy ai suoi gatti e la canzone Delilah, dell'album dei Queen Innuendo, alla sua gatta che portava questo nome.

Sempre in campo musicale è da citare, infine, il Duetto buffo di due gatti, componimento musicale per soprano erroneamente attribuito a Gioachino Rossini. Il gruppo musicale inglese The Cure intitola un loro brano "The lovecats".
Il gatto è il simbolo araldico della famiglia nobiliare dei Fieschi, i conti di Lavagna, che lo posero a sormontare il loro blasone accompagnandolo al motto "Sedens ago" (Anche sedendo sono attivo).

Particolarmente diffuso in Giappone è il Maneki Neko, una statua di porcellana raffigurante un gatto e simbolo di buona fortuna. Si ritiene che tale tradizione risalga al XVI secolo, essendo il gatto giunto in Giappone dalla Cina intorno all'anno mille, ma inizialmente era considerato un essere malvagio e diabolico. In seguito, probabilmente grazie a influenze di origine cinese, l'atteggiamento cambiò.

Nel Borneo malese, precisamente nello stato del Sarawak, la capitale Kuching è la città dei gatti: infatti Kuching significa "gatto" in malese. La graziosa cittadina si caratterizza per le molte statue e per un museo dedicati ai felini. Il gatto è il simbolo della città di Kuching. In novembre, e per un mese intero, si svolge il Pesta Meow (Festival del Gatto).

In termini di superstizione, il gatto nero in alcune culture è considerato portatore di sfortuna, specialmente quando attraversa la strada, e allo stesso tempo in altre è invece reputato un portafortuna..

Nessun commento:

Posta un commento


Eseguiamo Siti e Blog a prezzi modici visita: www.cipiri.com

Post più popolari

Elenco blog AMICI