martedì 28 giugno 2016

LA PROVINCIA DI LECCO

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La provincia di Lecco dal 2007 è compresa all'interno della regio Insubrica, di cui rappresenta l'appendice orientale, e della regione storica insubre.

Le prime tracce dell'uomo della provincia di Lecco sono i ritrovamenti della Valle del Curone tra i comuni di Montevecchia e Rovagnate, reperti attribuibili all'uomo di Neanderthal e risalenti addirittura a 62.000 anni fa.

Nell'Alto Medioevo divenne il centro di un importante sistema fortificato, posto a difesa di Mediolanum su cui gli archeologi hanno condotto importanti campagne di scavo sul Monte Barro, a Galbiate, a Garlate e a Civate. Feudo degli Attonidi nel X secolo a partire dal XII secolo il territorio lecchese fu gradatamente incorporato nel distretto del Comune di Milano, rimanendo suddiviso in due Comitati, quello di Lecco e quello della Martesana.

Dal 1528 al 1532 costituì un feudo direttamente dipendente dal Sacro Romano Impero affidato al conte Gian Giacomo Medici.

Nel 1797 la Repubblica Cisalpina istituì il dipartimento della Montagna, con capoluogo Lecco, che coincideva quasi completamente con l'attuale provincia. Ma il dipartimento ebbe vita breve, e il territorio venne aggregato l'anno successivo al dipartimento del Serio, con capoluogo Bergamo.

Con la proclamazione del Regno d'Italia nel 1805 il Lecchese fu aggregato al nuovo dipartimento del Lario, poi divenuto la provincia di Como.

Anche sotto il Regno d'Italia il territorio fece parte della provincia di Como, costituendone un circondario, soppresso nel 1927.

Da allora datano i tentativi di ottenere una provincia staccata da quella di Como ma soltanto nel 1992 il risultato fu raggiunto con lo scorporo di numerosi comuni delle province di Como e Bergamo. Fino alla nascita della provincia di Lecco, 84 dei 90 comuni che inizialmente la costituirono erano situati appunto in territorio comasco. Sei (Calolziocorte, Vercurago, Monte Marenzo, Torre de' Busi, Erve e Carenno) si sono invece staccati dalla provincia bergamasca.

Lo stemma della Provincia è stato approvato con Decreto del Presidente della Repubblica del 4 settembre 1996 con la seguente descrizione:
“Troncato semipartito; nel primo, di verde al fiore della Alpi di sei petali, di rosso; nel secondo, di argento, alla croce di rosso; nel terzo, al leone d’oro, rivoltato, con la testa di fronte. La presenza del leone rampante, su fondo azzurro, il colore del cielo e del lago, che risulta inserito anche nello stemma della città di Lecco, testimonia le doti congenite della sua gente: la forza, il coraggio e la fierezza”.
Per saperne di più sui “segni” dello stemma …

Nella parte superiore il segno noto come “Sole o fiore delle Alpi” riprende un antichissimo disegno che ricorre nell’iconografia popolare di una vasta area culturale comprendente le Alpi, la pianura padana ed altre regioni dell’Europa centrale; la continuità e la diffusione del segno concorrono alla sua legittimazione come “simbolo” qualificante. Si tratta di un’immagine antichissima che ha avuto successo sia per la sua carica metaforica legata ai culti solari, che per la bellezza e la relativa facilità di esecuzione del suo disegno.
Nella parte inferiore la “Croce Rossa” in campo argento rappresenta i colori e i fasti della famiglia Visconti di Milano, ancora oggi presente in Lecco con le vestigia del Ponte Vecchio e della Torre Viscontea.
Il “Leone rampante” su fondo azzurro, il colore del cielo e del lago, è stato inserito per evidenziare la forza, il coraggio e la fierezza.

Confina a nord e a ovest con la provincia di Como, a est e a nord con la provincia di Sondrio, a est con la provincia di Bergamo e a sud con la provincia di Monza e Brianza.

La Provincia di Lecco è stata istituita con D.P.R. 6 marzo 1992, n. 250. Le elezioni per la nomina del primo Presidente della Provincia di Lecco si sono tenute il 23 aprile (primo turno) e il 7 maggio 1995 (ballottaggio). La proclamazione del presidente, l'avvocato Mario Anghileri, è avvenuta il 9 maggio seguente.

La provincia di Lecco ha una superficie di soli 814,58 km². Ben più di 600 km² si trovano oltre il fiume Adda, nella Valsassina. I rimanenti sono situati nell'Oggionese, nel Casatese e nel Meratese. Inoltre vi sono 16 km² appartenenti al comune di Oliveto Lario che, anche se situati sull'altra sponda del Lago di Como, in Vallassina, rientrano nell'area prealpino lariana pre Lecchese. Nel territorio non è presente per niente la pianura. La Provincia è per più del 70% montuosa, mentre per il 30% è collinare. I principali rilievi montuosi sono:
a nord il Monte Legnone, alto 2609 m;
al centro lo spettacolare gruppo delle Grigne comprendente: la Grigna Settentrionale o Grignone alta 2409 m e la Grigna Meridionale o Grignetta con altitudine di 2184 m;
a ovest, oltre il lago il Monte Cornizzolo alto 1240 m e il Monte Rai alto 1259 m;
a est, il Monte Serrada o Resegone di Lecco alto 1875 m con la sua caratteristica forma che ricorda i denti di una sega;
al centro-sud il Monte Barro alto 922 m e compreso nel parco regionale del monte Barro.
La provincia è una zona molto lacustre, è bagnata infatti dal Lago di Como e contiene nel territorio il Lago di Annone, di Garlate e di Olginate. A ovest i comuni di Rogeno, Bosisio Parini e Cesana Brianza si affacciano sul Lago di Pusiano. Anche i fiumi sono numerosi, i principali: il fiume Adda a Lecco, il fiume Lambro a Costa Masnaga, Rogeno e Nibionno. Altri fiumi minori sono il Molgora, la Bevera, affluente del Lambro, il Pioverna che scorre in Valsassina e il Varrone che scorre nella Val Varrone.

In tutta la Provincia vi sono ancora numerose zone boschive, soprattutto nella Valsassina dove troviamo numerose foreste ad aghifoglie e fiori anche rari come le genziane. Sul fiume Lambro la vegetazione è ridotta a foreste di latifoglie, pioppi, querce e numerosi fiori. Le montagne, a parte sulle pendici si presentano comunque piuttosto spoglie con esclusivamente estese zone di prati adatti al pascolo. La fauna è cambiata parecchio da quella di alcuni secoli prima, ad esempio il cinghiale che prima era numeroso ora si è piuttosto ridotto e lo si trova sul Cornizzolo o in Valsassina. Sono presenti caprioli, volpi, lepri, falchi e poiane, aironi.

La popolazione della Provincia di Lecco è in continua crescita, non per un comune saldo naturale tra nati e morti, ma per l'alta immigrazione da altri comuni o da altri stati. Basti pensare che nel 2001 la popolazione era di 311.000 abitanti ed è ora di 341.000, ben 30.000 abitanti in più. I comuni sono 88, e solo sei di essi superano i 10.000 abitanti. La Provincia è quindi caratterizzata da un'altissima frammentazione amministrativa in Comuni, soprattutto nella Brianza Lecchese, dotati di un'estensione territoriale minima, in alcuni casi inferiore ai 2 km². Questo determina, tra l'altro, un marcato disordine urbanistico, in particolare nell'agglomerazione urbana monocentrica di Lecco.

Nella Provincia troviamo il Parco regionale della Valle del Lambro (Cesana Brianza, Bosisio Parini, Rogeno, Costa Masnaga, Nibionno), il Parco regionale di Montevecchia e della Valle di Curone, il Parco dell'Adda Nord, il Parco naturale del Monte Barro (Galbiate), la Riserva regionale del Lago di Sartirana e numerose zone che non essendo parchi, sono comunque posti ben tenuti e soprattutto ricchi di vegetazione e fauna. Tra le aree di interesse troviamo niente meno che il Lago di Como, che da Lecco dove prende l'omonima denominazione arriva a Colico, i vari laghi di Annone, Pusiano, Olginate, il piccolo lago di Sartirana, il Monte Barro, le Grigne, la Valsassina e la zona collinare della Brianza (Cassago Brianza, Casatenovo, Monticello Brianza). Molto conosciuto è anche il fiume Adda che forma una specie di piccolo canyon nel Meratese, caratterizzato dalla presenza lungo il suo corso dell'Ecomuseo Adda di Leonardo, dove in particolare si trova a Paderno d'Adda, il caratteristico Ponte San Michele in ferro, a Robbiate le dighe leonardesche e ad Imbersago il traghetto.

La straordinaria presenza di chiese, conventi, monasteri, abbazie, antiche cappelle, fanno della Provincia di Lecco, già nota per la bellezza del suo Lago e delle sue montagne, un territorio ricco di storia, arte e spiritualità.
Gli edifici romanici, inseriti in un ambiente suggestivo testimoniano la capacità dell'uomo medievale di esprimere una piena armonia tra architettura e natura, creando luoghi di grande bellezza.
Il tema del Romanico rappresenta infatti un filo rosso che conduce il visitatore attraverso i diversi contesti naturalistici e paesaggistici della provincia, alla scoperta di straordinarie testimonianze architettoniche e archeologiche, risalenti ai primi secoli dell’era cristiana.
Lungo la riva lecchese del Lago sono presenti diversi monumenti del romanico tra cui la Chiesetta di S. Giorgio a Mandello del Lario, posta su uno sperone roccioso a picco sul lago e infine la superba Abbazia di S. Nicolò a Piona, il cui antico nucleo risale all’età longobarda. Anche nelle valli si conservano tesori dell'arte romanica. Particolare menzione meritano, in Valsassina, la Chiesa di S. Margherita a Casargo, legata al culto dei santi eremiti lariani e, in Valle San Martino, la chiesa di S. Margherita a Monte Marenzo, per lo straordinario ciclo d’affreschi, oltre all’Oratorio di S. Stefano a Torre de’ Busi, annesso al complesso della chiesa di S. Michele.
Percorrendo l'estremità inferiore del Lago di Lecco, si prosegue lungo la vallata del fiume Adda che, fin dall'età alto-medievale, costituiva il confine tra feudi e dominazioni diverse. Le sue sponde sono infatti ricche di castelli, chiese e monasteri. Lo stesso complesso di S. Maria del Lavello a Calolziocorte si trova in posizione un tempo strategica tra lago, fiume e monti.
Partendo da Brivio, presidiato da un poderoso castello, si prosegue per Arlate di Calco, dove, in posizione dominante sull'Adda, si affaccia la Chiesa dei SS. Gottardo e Colombano, bell’esempio di romanico lombardo.
Tra il Parco dell'Adda e il Parco del Curone le colline della Brianza lecchese, conservano monumenti di epoca alto-medievale. Tra le testimonianze più interessanti troviamo il Battistero di S. Giovanni Battista a Oggiono, dalla pianta ottagonale, attiguo alla chiesa di S. Eufemia che conserva opere di Marco d'Oggiono, allievo di Leonardo da Vinci, l’antica chiesa dei SS. Nazaro e Celso a Garbagnate Monastero e infine la Basilica di S. Pietro al Monte a Civate.

La rete stradale, sebbene sprovvista di autostrade, è ben sviluppata.

Le strade statali che attraversano la Provincia sono:
la Strada statale 36 del Lago di Como e dello Spluga, superstrada che collega il capoluogo con Milano e Monza a sud e la Valtellina e la Svizzera a nord;
la Strada statale 342 Briantea, asse est-ovest che collega Bergamo e Como;
la Strada statale 639 dei Laghi di Pusiano e di Garlate che collega Lecco a Bergamo e Como;
la Strada statale 583 Lariana che collega Lecco a Bellagio.
Le principali strade provinciali sono:
la SP62 della Valsassina, la SP72 del Lago di Como;
la SP51 della Santa.
La rete ferroviaria è di 86 chilometri, suddivisa nelle linee:
Ferrovia Como-Lecco, tra Casletto-Rogeno e Lecco;
Lecco-Brescia, tra Lecco e Calolziocorte-Olginate;
Lecco-Milano, tra Osnago e Lecco, 23 km;
Milano-Monza-Molteno-Lecco, fino a Cassago-Nibionno-Bulciago;
Tirano-Lecco, tra Lecco e Colico, 39 km.
Di questi 22 km sono a doppio binario, i restanti sono a binario semplice. Inoltre, 62 km sono elettrificati.

A Lecco troviamo un polo universitario (distretto distaccato del Politecnico di Milano - Facoltà di Ingegneria). È in fase di realizzazione il nuovo Campus universitario nella sede del vecchio Ospedale civico presso l'area detta della "Piccola". Troviamo numerose scuole secondarie superiori (Licei e Istituti tecnici) sia nel capoluogo, che nella Brianza Lecchese (Oggiono, Merate, Casatenovo), che nell'Alto Lario Orientale (Colico) e nella Valle San Martino (Calolziocorte).

Nella Provincia di Lecco troviamo tre ospedali pubblici: Il nuovo ospedale A.Manzoni nel capoluogo, l'ospedale Umberto I di Bellano, sul lago di Como e l'ospedale San Leopoldo Mandic di Merate. Sul territorio sono però presenti numerose cliniche private, centri Asl, centri di ricerca, ecc.

Tutti i settori, primario, secondario e terziario sono molto sviluppati. Il primo, come d'altronde in quasi tutte le province italiane ha pochi addetti. Vengono prodotti soprattutto frutta e verdura, ma anche grano, frumento sebbene in minor parte. Sulle sponde del lago non è difficile incontrare inoltre uliveti e vigneti. Le risorse minerarie non sono numerose, anche se in Brianza e in Valsassina troviamo di frequente delle cave. L'allevamento di animali lo troviamo in tutto il territorio (bovino, ovino, avicolo, equino). Zone industriali si trovano in quasi tutti i comuni. Nel passato la provincia era molto ricca di industrie tessili tanto che parte dell'economia provinciale era gestita da esse. Il terziario, tra l'altro in costante espansione è dovuto in particolare modo ai servizi quali le banche. Il turismo non è molto sviluppato, tranne sul Lago di Como e nel capoluogo.

Nel territorio sono presenti la Comunità montana della Valsassina, Valvarrone, Val d'Esino e Riviera e la Comunità Montana Lario Orientale - Valle San Martino.

I dialetti parlati in Provincia di Lecco appartengono al gruppo lombardo occidentale o Insubre. In Valle San Martino si parla però un dialetto con influssi bergamaschi. Il dialetto Lecchese di città è una variante del Milanese, molto simile sia per la grammatica, che per la pronuncia ed il vocabolario. Esso è parlato nel circondario di Lecco. Nella Brianza Lecchese è più diffuso il Brianzolo (dialetto Lecchese-Comasco-Monzese). Nella Valsassina, la parlata locale è decisamente più gutturale, con delle varianti nell'abitato di Premana.

Nella giurisdizione ecclesiastica della Chiesa cattolica, la maggior parte del territorio della provincia di Lecco ricade nell'arcidiocesi di Milano e segue il rito ambrosiano. Vi sono tuttavia delle eccezioni particolari: alcune parrocchie che si affacciano sul lago di Como (Abbadia Lariana, Colico, Lierna, Mandello del Lario) sono di rito romano, e fanno parte della diocesi di Como; Oliveto Lario, invece, è un'entità amministrativa comunale che unisce tre località distinte: Vassena, Limonta ed Onno ed è diviso tra due diocesi diverse: la diocesi di Milano e quella di Como. Mentre Vassena fa parte della diocesi di Como e segue il rito romano, Onno e Limonta appartengono all'arcidiocesi di Milano e seguono il rito ambrosiano; le parrocchie di Civate e Varenna seguono il rito romano pur appartenendo alla diocesi di Milano; mentre le parrocchie di Calolziocorte, Carenno, Erve, Monte Marenzo, Torre de' Busi e Vercurago, pur essendo di rito ambrosiano appartengono al vicariato di Calolzio-Caprino, che fa capo alla diocesi di Bergamo.

La cucina tipica è costituita soprattutto da cibi come la salsiccia e la polenta (oncia o taragna, entrambe ricche di formaggio locale). Sul lago non mancano piatti a base di pesce, come il persico (risotto con pesce persico), gli agoni o il lavarello. Altri piatti tipici e sostanziosi sono la cassoeula e la trippa (che si consumano alla vigilia di Natale). Sempre in riva al lago, favorito dal clima mite, si ha la produzione di un olio d'oliva molto particolare. Per quanto riguarda i dolci, da ricordare la torta meascia, il paradell (dolce tipo frittella ricoperta di zucchero), i caviadini (biscotti di pasta frolla e zucchero a grani) e gli scapinàsch, ravioli dal ripieno dolce (uvette, ecc.), entrambi tipici della Valsassina. Enologicamente parlando, merita un cenno dovuto il nustranell, vino tipico della Val Curone. Dal 2008 i vini lecchesi, insieme a quelli comaschi, hanno ottenuto il riconoscimento della Indicazione Geografica Tipica "Terre Lariane"; il territorio enologico abbraccia le sponde del Lario a nord, spingendosi a sud fino alle colline di Montevecchia e della Valle del Curone.


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domenica 26 giugno 2016

LA PROVINCIA DI BERGAMO



La provincia di Bergamo è situata al centro della regione Lombardia, si estende su una superficie di 2.745,94 km² e con i suoi 242 comuni rappresenta la prima provincia lombarda per numero di suddivisioni comunali (e terza in Italia dopo Torino e Cuneo) e nona per popolazione.

La provincia di Bergamo venne istituita nel 1859 in seguito al decreto Rattazzi; succedeva all'omonima provincia del Regno Lombardo-Veneto, rispetto alla quale però veniva privata della val Camonica, ceduta alla provincia di Brescia.

Inizialmente era suddivisa nei tre circondari di Bergamo, di Clusone e di Treviglio, poi soppressi nel 1926-27 come il resto dei circondari italiani.

I confini provinciali rimasero immutati per lungo tempo: l'unica modifica si ebbe nel 1992, quando i comuni di Calolziocorte, Carenno, Erve, Monte Marenzo, Torre de' Busi e Vercurago passarono alla nuova provincia di Lecco.

Il lago d'Iseo ospita la seconda isola lacustre più vasta d'Europa, Monte Isola, affiancata dagli isolotti di Loreto e di San Paolo. Offre svariate possibilità di visite ed escursioni: alle terme di Trescore Balneario, ai pregiati vigneti della Val Calepio, alle piste della Valle Seriana e di Scalve e sul lago d'Endine.

Il 5 dicembre 1995 il Villaggio operaio di Crespi è entrato a far parte della Lista del Patrimonio dell'umanità dell'UNESCO. È uno degli esempi meglio conservati di villaggio operaio industriale che esistano al mondo. Contrariamente a siti analoghi, lo stabilimento è stato funzionante fino al dicembre 2003 e le case sono tuttora abitate.

Nella giurisdizione ecclesiastica della Chiesa cattolica, gran parte del territorio della provincia coincide con l'area della diocesi di Bergamo. Essa è suddivisa in 25 vicariati, e segue il rito romano. Le parrocchie di Caprino Bergamasco e Cisano Bergamasco, che appartengono al vicariato di Calolzio-Caprino, così come alcune parrocchie dei vicariati di Branzi-Santa Brigida e di San Giovanni Bianco-Sottochiesa, a motivo della loro storia seguono il rito ambrosiano, rito liturgico caratteristico dell'arcidiocesi di Milano. Il decanato di Treviglio, che comprende oltre al capoluogo Castel Rozzone, Fara Gera d'Adda, Canonica d'Adda e Pontirolo Nuovo, pur di rito romano fa parte dell'arcidiocesi di Milano. Alcuni comuni dell'alto Sebino (Lovere, Bossico, Costa Volpino e Rogno) nonché il comune di Palosco, appartengono alla diocesi di Brescia. Molti dei comuni più meridionali della provincia, tra cui Caravaggio, fanno parte invece della diocesi di Cremona.

Confina a nord con la provincia di Sondrio, a ovest con la città metropolitana di Milano, con la provincia di Lecco e per un piccolo tratto con la provincia di Monza e della Brianza, a sud con la provincia di Cremona e a est con la provincia di Brescia.
Il confine occidentale è segnato dallo spartiacque tra i bacini dell'Adda e del Lago di Como a nord e dal fiume Brembo a sud. Il confine settentrionale segue lo spartiacque principale delle Alpi Orobie. Il confine orientale segue prima lo spartiacque tra la Val di Scalve e la Val Camonica, quindi il Lago d'Iseo e il fiume Oglio. Il confine meridionale è sostanzialmente convenzionale.

La parte settentrionale della provincia è essenzialmente montuosa, occupa il 64% della superficie e qui si trovano le principali valli bergamasche: la Val Brembana (attraversata dal Brembo), la Val Seriana (Serio) e la Val Cavallina (Cherio). Altre valli più piccole sono la Valle Imagna, la Val di Scalve (Dezzo) e la Val Serina, in passato strategico punto di collegamento tra le valli Seriana e Brembana. È da ricordare per il suo interesse turistico anche la Val Taleggio, diramazione della Val Brembana.

Andando verso sud si trova una fascia collinare con una superficie del 12% che comprende la Val San Martino, i Colli di Bergamo e la Valcalepio, zona di produzione dei tipici vini bergamaschi. La zona collinare si estende per 70 km in larghezza, dall'Adda al lago di Iseo. La parte meridionale della provincia è compresa nella Pianura Padana di origine alluvionale che occupa una superficie del 24%, passando dall'alta fino alla media pianura che corrisponde alla fascia dei fontanili, questa zona viene comunemente chiamata Bassa Bergamasca.

Le vette più alte della provincia sono situate nelle Alpi Orobie, sul confine con la provincia di Sondrio. Le principali sono il Pizzo Coca (3.050 m), il Pizzo Redorta (3.038 m), il Pizzo del Diavolo della Malgina (2.924 m), il Pizzo del Diavolo di Tenda (2.914 m), il monte Torena (2.911 m), il massiccio della Presolana, che domina sul comune di Castione della Presolana. Gran parte delle Orobie è attraversata dal Sentiero delle Orobie.

Il territorio della provincia è interamente compreso nel bacino idrografico del fiume Po e vi tributa per mezzo dei suoi affluenti Adda e Oglio.

Appartengono al bacino dell'Adda il Brembo con i suoi affluenti Imagna ed Enna e il Serio che sfocia nell'Adda in territorio cremasco a differenza del Brembo che confluisce nell'Adda tra i comuni di Brembate e Canonica d'Adda. Il lembo di terra compreso tra Adda e Brembo è denominata isola bergamasca e la presenza dei due fiumi diede origine nell'Ottocento al villaggio industriale di Crespi d'Adda, che sfrutta la sua collocazione all'estremità sud dell'isola tra i due fiumi per generare energia.

Al bacino dell'Oglio tributano il Cherio, il Borlezza e il Dezzo che scorre nella Val di Scalve.

Nel territorio della provincia vi sono due laghi principali:

il Lago d'Iseo, al confine con la provincia di Brescia, attraversato dal fiume Oglio e su cui si affacciano i comuni di Costa Volpino, Lovere, Castro, Predore, Riva di Solto, Sarnico e Tavernola Bergamasca. Il lago comprende anche la seconda più grande isola lacustre d'Europa - dopo l'isola di Visingsö sul lago Vättern in Svezia - Monte Isola, che però fa parte della provincia di Brescia.
il Lago di Endine, in Val Cavallina, formato dal fiume Cherio e compreso tra i comuni di Endine Gaiano, Monasterolo del Castello, Ranzanico e Spinone al Lago.

In terra bergamasca hanno vissuto molte personalità di spicco che hanno contribuito a determinare l’indiscussa ricchezza culturale. Bergamo è il luogo natale di Gaetano Donizetti, fra i musicisti più eseguiti nel mondo ancora oggi. Anche la presenza di pittori come Lotto e Palma il Vecchio ha lasciato le sue tracce. Potrai scoprirle ammirando gli affreschi che decorano le chiese della città e della provincia.
L’inestimabile patrimonio d’arte si manifesta anche in minuscoli borghi.
I gioielli sul lago d’Iseo: Lovere con le pinacoteche, le chiese, le torri, i palazzi nobiliari, e Sarnico, da cui partire in battello per ammirare giardini e ville in stile liberty. Gemme che convivono con altre di tutt’altra natura, quella difensiva, come le Mura Veneziane ancora intatte e la rete di castelli disseminati in tutto il territorio.

Il territorio, suddiviso in 244 comuni, è ben coltivato nella pianura e nelle valli, dà notevoli produzioni di cereali, frutta, vino, ortaggi e, nelle parti più elevate, comprende boschi e pascoli. Molto sviluppato il settore industriale (grazie anche alle disponibilità idroelettriche, sfruttate in una ventina di bacini montani), con particolari concentrazioni nel capoluogo, nella sua area di influenza (centro siderurgico di Dalmine) e nella Val Seriana (cartiere, cementifici, industrie metallurgiche e tessili). Il forte esodo rurale, tuttavia, non ha trovato pieno assorbimento nelle attività secondarie e terziarie della provincia: si verifica, così, un intenso pendolarismo con la regione milanese, per cui la provincia di Bergamo rappresenta uno dei principali sbocchi di decentramento residenziale. Quanto al reddito prodotto, Bergamo mantiene una posizione al di sopra della media nazionale ed europea, confermandosi polo di sviluppo di importanza interregionale, soprattutto grazie a un costante aumento di competitività delle funzioni industriali. Numerose le località di soggiorno estivo e di sport invernali nelle Alpi Bergamasche.


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IL CAPORALATO

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Il caporalato, nell'accezione originaria del termine, è un antichissimo sistema di organizzazione del lavoro agricolo temporaneo, svolto da braccianti inseriti in gruppi di lavoro (squadre) di dimensione variabile (da pochi individui a diverse centinaia). Esso si basa sulla capacità del "caporale" (che può essere un dipendente del proprietario del fondo agricolo oppure un operatore indipendente) di reperire la manodopera adatta, per le prestazioni della quale competono tutti gli imprenditori agricoli di una determinata zona, di condurla sul fondo e di dirigerla durante l'attività lavorativa.

Il caporale agisce, di fatto, come un vero e proprio mediatore di manodopera, che si fa anche carico di governarne l'attività secondo le richieste dell'imprenditore agricolo. Il caporale ingaggia per conto del proprietario i braccianti, stabilisce il loro compenso del quale tiene per sé una parte (che gli viene corrisposta o dal proprietario o dai braccianti reclutati).

Tuttavia in epoca contemporanea, a seguito del crollo dei prezzi agricoli (dovuto alla concorrenza internazionale ed al contestuale aumento del costo della manodopera), la pratica del caporalato è progressivamente degenerata, trasformandosi da lecito sistema di organizzazione del lavoro agricolo in un'attività volta all'elusione della disciplina sul lavoro, mirando allo sfruttamento a basso costo di manodopera che viene fatta lavorare abusivamente ed illegalmente a prezzi di solito assai inferiori rispetto a quelli del tariffario regolamentare e senza il versamento dei contributi previdenziali.

Il fenomeno è molto diffuso in Italia soprattutto nel mezzogiorno. Il caporalato è spesso collegato ad organizzazioni malavitose. Esso generalmente trova grande riscontro nelle fasce più deboli e disagiate della popolazione, ad esempio tra i lavoratori immigrati (come gli extracomunitari). Anche il Nord non è da meno, ogni anno infatti a Milano con l'avvicinarsi del Salone del Mobile, Rho diventa la maggior piazza del caporalato in città. Lo sfruttamento della manodopera a basso costo in agricoltura è prassi diffusa non solo nelle regioni del Sud, ma anche in Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia e provincia di Bolzano.

Questa pratica è documentata nelle cronache: nel maggio del 1980 tre ragazze di Ceglie Messapica in Puglia perdono la vita in un autobus dei caporali. Il 17 luglio alcuni caporali tentano di investire dei lavoratori e dei sindacalisti di Villa Castelli durante una manifestazione contro il fenomeno, dopo aver rivolto nei loro confronti ripetute minacce di morte. Il 21 luglio sempre a Villa Castelli otto caporali armati di pistola aggredirono i sindacalisti della CGIL e assaltarono la sede locale del sindacato.

Il fenomeno del caporalato si è ancor più diffuso con i recenti movimenti migratori provenienti dall'Africa, dalla Penisola Balcanica, dall'Europa orientale e dall'Asia: infatti chi emigra clandestinamente nella speranza di migliorare la propria condizione finisce facilmente nelle mani di queste persone, che li riducono in condizioni di schiavitù e dipendenza. Nel gennaio 2010 i lavoratori extracomunitari di Rosarno in Calabria organizzano una serie di manifestazioni contro i caporali, la tensione sfocia in una escalation di violenza tra braccianti e abitanti del piccolo centro calabrese. Il 26 aprile 2010 sono arrestati a Rosarno 30 caporali, sfruttavano lavoratori extracomunitari che erano costretti a lavorare in condizioni disumane nei campi, raccogliendo agrumi coltivati nel rosarnese, con turni di lavoro pari a 15 ore al giorno, l'inchiesta ha consentito inoltre di fare luce su un sistema di truffe perpetrate ai danni degli enti previdenziali. Sul piano patrimoniale, sono stati sequestrati duecento terreni e venti aziende agricole per un valore complessivo di 10 milioni di euro. Il 5 giugno 2011 a Villa Castelli nell'ambito dell'operazione Little Castle dalla Guardia di Finanza sono sequestrati beni per un totale di un milione e mezzo di euro.

L'art. 12 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 ha introdotto nel codice penale italiano il nuovo reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Le pene previste per i cosiddetti "caporali" sono la reclusione da cinque a otto anni e una multa da 1.000 a 2.000 € per ogni lavoratore coinvolto.

Inchieste giornalistiche del 2015 mostrano che il fenomeno continua ad aver diffusione anche nei confronti di donne italiane durante le campagne di raccolta dell'uva e delle fragole. I media hanno riportato, in un caso tragico che ha fatto scalpore che l'azienda pagava regolarmente l'agenzia di lavoro interinale, mentre alla lavoratrice arrivava una retribuzione enormemente inferiore.

Il governo ha annunciato il ricorso a strumenti normativi per punire gravemente, fino alla confisca dei beni, le aziende che utilizzano manodopera tramite il caporalato, mentre sui media si è sottolineato che il problema risiede principalmente nell'intermediazione, mascherata da forme solo in apparenza con una rispettabilità legale (false cooperative, filiali inquinate di agenzie di lavoro interinale).

Sono oltre 400 mila le vittime del caporalato in Italia. I nuovi schiavi passano intere giornate sotto il sole, curvi nei nostri campi per paghe da fame, minacciati e taglieggiati, costretti a vivere in condizioni disumane.

Un giro vite contro aziende e caporali dovrebbe arrivare con una nuova legge attualmente in discussione in Senato.



Dopo lo sciopero del 2011 dei braccianti agricoli alloggiati nel campo di Boncuri (Nardò – Le), in Italia è tornato a riaprirsi un dibattito pubblico sul tema del lavoro in agricoltura, soprattutto di quello stagionale; aspetto sicuramente positivo ma che rischia di avere le altre conseguenze quella di ridurre la complessità del tema trattato, selezionando e proponendo alla discussione pubblica solo alcuni aspetti del fenomeno e in questo modo favorendo la diffusione di un’immagine molto parziale della questione: è il caso di quanto sta avvenendo rispetto alla tematizzazione del rapporto intercorrente caporalato e sfruttamento lavorativo. Una tematizzazione che rischia di avere ricadute politiche, economiche e sociali non indifferenti.

Dal 2012 ad oggi, molte sono state le inchieste giornalistiche, le analisi socio-economiche, le pubblicazioni che hanno affrontato la questione del lavoro agricolo con un approccio che ha finito per far coincidere, per lo meno nell’immaginario pubblico, il fenomeno del caporalato con quello dello sfruttamento lavorativo in agricoltura. E questo non solo in ambito giornalistico, ma anche in parte della pubblicistica specialistica dedicata al tema e, soprattutto, nel dibattito politico ed istituzionale che di fatto negli ultimi anni si è limitato a discutere di interventi – tra l’altro ancora lontani dall’essere approvati – volti al solo contrasto del caporalato.

Per avere idea di quanto la questione del “caporalato” abbia fagocitato il dibattito sullo sfruttamento nel lavoro agricolo valga come esempio, per quanto grossolano, il seguente: cercando con Google i termini “caporalato agricoltura” il motore di ricerca trova 3.380 risultati, con le parole “sfruttamento agricoltura” le ricorrenze trovate sono solo 595. Stando al dibattito pubblico, sembrerebbe che le condizioni di grave sfruttamento che si riscontrano nell’ambito del lavoro agricolo, e in particolare dell’attività di raccolta stagionale, siano principalmente, se non esclusivamente, conseguenza dell’intermediazione irregolare tra domanda e offerta di lavoro. Sono pochi gli interventi, soprattutto tra quelli divulgati, rivolti quindi alla maggioranza degli interessati al tema, a sottolineare che il fenomeno dell’intermediazione irregolare tra domanda e offerta di lavoro prende forma all’interno di una specifica configurazione economica dove il sistema di reclutamento dei lavoratori garantito dal caporalato è semplicemente funzionale agli interessi delle imprese perché permette di avere accesso, in breve tempo e in maniera altamente flessibile, ad una massa di lavoratori che possono essere in questo modo reclutati esclusivamente sulla base delle esigenze datoriali. Il caporalato si configura quindi come un ‘servizio’ che l’economia informale fornisce alle imprese per mantenere basso il costo del lavoro e al contempo controllare e disciplinare la forza lavoro, in particolare i segmenti dotati di minore capacità e forza contrattuale. Non bisogna dimenticare che la vera forza del sistema del sistema del caporalato è, in primo luogo, l’assenza istituzionale. I cosiddetti caporali non fanno altro che colmare vuoti istituzionali mantenendo i contatti tra azienda e lavoratori – cosa che dovrebbe essere garantita da uffici pubblici attraverso le liste di prenotazione – e garantendo il trasporto dai luoghi di residenza e i luoghi di lavoro, favoriti in questo dall’abbandono e dall’isolamento spaziale e sociale determinato dalla condizione alloggiativa dei lavoratori costretti nei vari ghetti che, in linea teorica, non avrebbero ragione di esistere visto che le spese per l’alloggio per i lavoratori stagionali dovrebbero essere garantite per legge dai datori di lavoro.

Inoltre, nonostante il caporalato tenda ad essere rappresentato come un sistema omogeneo, il modo in cui prende forma a livello territoriale cambia, esistono diversi modelli che vanno dal “semplice” taglieggiamento delle paghe in cambio del servizio di trasporto e dell’ingaggio a forme di maggiore prepotenza e violenza, fino a quelle – in realtà non così diffuse come si penserebbe – riferibili alla riduzione in schiavitù.

Il caporalato è dunque solo uno degli elementi, importante ma solo accessorio, che concorre al mantenimento del sistema di sfruttamento e sospensione dei diritti che conosce l’attuale configurazione del lavoro agricolo nelle campagne dell’Europa mediterranea. In tutti i paesi dell’Europa mediterranea aumentano i ghetti, le tendopoli e i campi temporanei. Si tratta non solo di luoghi che nascono, nel disinteresse istituzionale, ai margini delle società e dei diritti, ma anche di luoghi creati proprio dalle stesse istituzioni, tappe obbligate delle traiettorie del lavoro stagionale agricolo, che costringono la vita dei soggetti ad un’eterna provvisorietà e ad un’indefinita transitorietà. Siamo di fronte ad una vera e propria ‘lagherizzazione’di un numero sempre crescente di cittadini ridotti ad ‘umanità eccedente’ costretta ad uno stato di eccezione permanente all’interno di spazi abietti.

Parlare di lavoro agricolo quindi equivale a parlare di un microcosmo sociale in cui si intersecano e si condizionano vicendevolmente dinamiche strettamente lavorative e più generali dinamiche politiche, economiche e sociali che sono esplicitate e amplificate perché il settore agricolo si situa al centro delle molteplici contraddizioni che caratterizzano la contemporaneità in quanto somma ed estremizza molte delle dinamiche che investono i mercati del lavoro e, più in generale, i sistemi produttivi dei paesi capitalisticamente avanzati. Tra le principali: quelle relative ai processi di precarizzazione della condizione lavorativa e il conseguente depauperamento del potere contrattuale dei lavoratori in generale e della forza lavoro migrante in particolare; quelle relative alle ricadute sul piano economico delle politiche migratorie; quelle relative ai processi di esclusione sociale; quelle innescate dalle filiere produttive e dai processi distributivi dei prodotti agricoli.

Se lo scenario qui tratteggiato ha ragion d’essere, non appare quindi casuale la grande enfasi data al tema del caporalato rispetto ai processi di sfruttamento in agricoltura. Non sorprende per esempio che sul piano politico il ministro dell’agricoltura dell’attuale governo, così come pure il viceministro allo sviluppo economico, siano impegnati in un’azione politica volta ad estendere (giustamente) il reato di intermediazione lavorativa illegale anche alle aziende agricole che se ne avvalgono, mentre poco, o meglio nulla, si dice e si fa, rispetto alle condizioni politiche, istituzionali, economiche e sociali, nelle quali prendono forma, tanto il caporalato (declinato nelle sue diverse forme), quanto, più in generale, i processi di sfruttamento in agricoltura. Non è casuale questa scelta per il governo che più di altri si sta contraddistinguendo per l’introduzione di politiche che precarizzano in maniera ancora più accentuata la condizione lavorativa, e il vergognoso jobs act non è che la punta dell’iceberg.

Oggi, sul piano dei rapporti lavorativi, la vera partita, in agricoltura ma non solo, va giocata sul terreno della lotta allo sfruttamento e su quello della lotta per i diritti. Un terreno su cui in Italia, in tanti, sono decisamente in ritardo. Insomma, fin quando la sacrosanta lotta contro il caporalato non sarà riportata all’interno di una lotta forte, capillare e incisiva per i diritti del lavoro, poco si otterrà. Gli interventi sul piano penale sono insufficienti e la lotta al caporalato sarà destinata ad essere del tutto vana se non si interviene normativamente potenziando gli strumenti di tutela dei diritti dei lavoratori e invertendo radicalmente la tendenza in atto da quasi un trentennio che seguita a mortificare il corpus di diritti sociali in materia di lavoro. Questa cosa, al momento, purtroppo, sembra non essere la prima preoccupazione di molti, sicuramente non è la prima preoccupazione dei ministri, né dei vari sottosegretari, né tantomeno del presidente del consiglio in carica e, cosa forse ancora più grave, non sembra essere la priorità delle organizzazioni che dovrebbero tutelare i diritti dei lavoratori.



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sabato 25 giugno 2016

LA PROVINCIA DI BRESCIA

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La provincia di Brescia è  seconda per numero di abitanti fra le dodici province lombarde, settima in Italia. È la provincia più estesa della Lombardia, con una superficie di 4.784,36 km² e una densità abitativa di circa 264 abitanti per km², e al suo interno sono compresi 205 comuni.

Confina a nord e a nord-ovest con la provincia di Sondrio, a ovest con la provincia di Bergamo, a sud-ovest con la provincia di Cremona, a sud con la provincia di Mantova, a est con il Veneto (provincia di Verona) e con il Trentino-Alto Adige (provincia di Trento).

La provincia fu istituita nel 1859, quando il Regno di Sardegna definì la propria ripartizione amministrativa tramite il Regio decreto 23 ottobre 1859, n. 3702. La provincia ereditava le funzioni dell'omonimo ente territoriale del regno Lombardo-Veneto e assunse pressappoco l'attuale estensione, compresa parte della Val Camonica, comprendente anche Ostiano, Volongo e alcuni comuni dell'attuale provincia di Mantova posti sulla riva destra del Mincio (Alto Mantovano).

Con il Decreto Rattazzi fu introdotta una nuova organizzazione amministrativa, caratterizzata dalla suddivisione della provincia in cinque circondari, questi ultimi a sua volta divisi in mandamenti. Essi erano:

circondario I di Brescia: mandamenti di Brescia (I - III), Rezzato (IV), Bagnolo Mella (V), Ospitaletto (VI), Gardone (VII), Bovegno (VIII), Iseo (IX), Lonato (X);
circondario II di Chiari: mandamenti di Chiari (I), Adro (II), Orzinuovi (III);
circondario III di Breno: mandamenti di Breno (I), Edolo (II);
circondario IV di Salò: mandamenti di Salò (I), Gargnano (II), Vestone (III), Preseglie (IV);
circondario V di Castiglione: mandamenti di Castiglione (I), Montechiaro (II), Asola (III), Volta (IV), Canneto (V);
circondario VI di Verolanuova: mandamenti di Verolanuova (I), Leno (II).
Nel 1868 il comune di Ostiano fu aggregato alla provincia di Cremona, mentre con la ricostituzione della provincia di Mantova, il Circondario di Castiglione fu scorporato e passarono all'ente mantovano i mandamenti di Castiglione, di Asola e di Canneto, comprensivi di Acquanegra sul Chiese e Asola, che nel Medioevo fecero parte del territorio bresciano (nel caso di Asola, anche nel periodo veneto). Montechiaro e i comuni limitrofi furono aggregati al circondario di Brescia come XI mandamento. Furono aggiunti contestualmente nuovi mandamenti al circondario di Chiari (Rovato come II, facendo scalare Adro e Orzinuovi di un ordinale, rispettivamente a III e IV), Breno (II di Pisogne, con Edolo che diventava III) e Salò (Bagolino come IV, con Preseglie che diventava V).

Nel 1871 anche il comune di Volongo fu aggregato alla provincia cremonese.

Nel 1934 il comune di Turano fu staccato dalla provincia di Trento e aggregato alla provincia bresciana con il nome di Valvestino.

Lo stemma della provincia di Brescia è costituito dall'unione di cinque arme civiche: quella di Brescia al centro, quella del comune di Chiari, di Breno, di Verolanuova e di Salò; esso fu concesso con regio decreto del 10 marzo 1904, la sua blasonatura è la seguente:

« Inquartato: al 1º di Chiari che è troncato, sopra: d'oro all'aquila di nero, col volo abbassato; sotto: di rosso a tre stelle di sei raggi d'argento; al 2º di Breno che è d'azzurro al cervo d'argento, accosciato sopra un ristretto di terra erbosa al naturale con un'aquila al naturale, volante ed afferrante il cervo; al 3º di Verolanuova che è di azzurro alla figura di donna di carnagione, sostenuta da una mezzaluna d'argento, montante, colla destra in alto e la sinistra al fianco, cinta, a due giri, da un breve d'argento, svolazzante in fascia e scritto col motto: nec fide infirma nec amoris vinculo capta; al 4º di Salò che è d'azzurro al leon d'argento tenente un ramoscello d'olivo, di verde e sul tutto di Brescia che è d'argento al leone d'azzurro, linguato e armato di rosso »

Molti sono i popoli che hanno abitato nel territorio di Brescia. Camuni, celti, longobardi e romani hanno lasciato il segno del loro passaggio. Dalle montagne ai laghi, fino alla pianura tutto parla di un passato storico ricco di fascino e di mistero. Tutto da scoprire.

La provincia di Brescia vanta tre laghi principali, Lago di Garda, Lago d'Iseo ed il Lago d'Idro, più altri numerosi laghi minori di montagna, tre valli, Val Camonica, Valtrompia e Valle Sabbia, più altre valli minori, oltre che ad un'ampia zona pianeggiante a sud del territorio cittadino, conosciuta come la Bassa Bresciana, e varie zone collinari che circondano il panorama cittadino e si estendono ad est verso il veronese e ad ovest verso la Franciacorta.

Grazie alla varietà altitudinale e morfologica, nonché della presenza di grandi laghi, la Provincia di Brescia comprende tutti i tipi di biomi dell'Europa: da qualcosa di simile alla macchia mediterranea fino alle nevi perenni dell'Adamello (col più grande ghiacciaio delle Alpi italiane).

Le tre valli principali presenti sul territorio bresciano sono la Val Camonica, percorsa dal fiume Oglio ed inserita nel territorio nord-occidentale della provincia che va dal massiccio dell'Adamello al lago d'Iseo, e costituisce circa il 25% della superficie totale della provincia, la Val Trompia, bacino montano del fiume Mella, compreso tra i comuni di Concesio e Collio, la Valle Sabbia, seconda in termini di grandezza, che comprende i comuni da Serle a Bagolino lungo il corso del fiume Chiese.

Tutte e tre le valli hanno come punto d'unione il Passo di Crocedomini, che prende appunto il nome dalla "croce" formata dall'unione dei tre bacini, e l'arteria stradale che ne permette il collegamento è la ex-Strada statale 345 delle Tre Valli.

Altra zona di confine tra le tre valli è il Maniva poco distante dal passo Crocedomini.

Sono inoltre presenti numerose piccole valli sul territorio provinciale, circa 26, spesso tributarie di una maggiore, come nel caso della nebulosa di valli comprese nel bacino della Valle Camonica e dell'Adamello.

La geomorfologia e la geologia, per via della vastità territoriale della provincia, sono differenti da valle a valle, e spesso è possibile riconoscere all'interno dello stesso bacino caratteristiche differenti delle pareti rocciose. Nella maggior parte dei casi la conformazione del territorio è di origine calcarea.

Il territorio provinciale comprende:

quasi tutta la Val Camonica (il 27% della provincia),
la Val Trompia,
la Val Sabbia, percorsa dal fiume Chiese e comprendente il lago d'Idro (Eridio), tranne la porzione più settentrionale (Valle del Chiese, trentina);
gran parte della sponda occidentale e di quella meridionale del lago di Garda (Benaco); la Val Vestino;
la fascia pedemontana tra i laghi di Garda e d'Iseo e le aree collinari della Franciacorta e di parte dei colli morenici del Garda;
un'area di pianura in gran parte compresa tra l'Oglio e il Chiese denominata Bassa Bresciana.
Laghi[modifica | modifica wikitesto]

All'interno della provincia di Brescia sono presenti 8 laghi, di cui tre maggiori e gli altri di carattere minore.

Il bacino lacustre principale sia in termini dimensionali che di importanza climatica e culturale è sicuramente il Lago di Garda, condiviso con le provincie di Trento e Verona, che con i suoi 370 km² di superficie può ritenersi il maggiore lago italiano. Per via delle sue dimensioni il lago esercita un influsso considerevole sul clima e sull'ambiente circostante, creando in generale una micro-area geografica dal clima più mitigato sia nei periodi estivi che in quelli invernali.

Il lago d'Iseo è il secondo bacino d'acqua dolce presente in terra bresciana, ed è situato a circa 180 m di quota sopra il livello del mare, nel territorio detto "Sebino", compreso tra la Val Camonica (a nord) e la Franciacorta (a sud), che divide le province di Bergamo e di Brescia.

Il lago d'Idro, terzo bacino in ordine di superficie all'interno del territorio provinciale, è situato in piena valle Sabbia al confine tra il bresciano e la provincia autonoma di Trento, e si differenzia dai precedenti bacini lacustri per le modeste dimensioni. Le acque del lago vengono principalmente sfruttate per l'irrigazione delle coltivazioni nei territori contigui, oltre che per la produzione di energia mediante una piccola centrale elettrica situata a valle nella frazione Carpeneda del comune di Vobarno.

Sono circa 45 i corsi d'acqua che attraversano il territorio della provincia bresciana, quasi tutti a carattere torrentizio e quindi di lunghezza molto limitata.

Gli unici corsi d'acqua che si possono definire veri e propri fiumi sono 3, ovvero il fiume Oglio, il fiume Chiese ed il fiume Mella; divisi nelle tre valli principali.

Il fiume Oglio nasce dal Corno dei Tre Signori, località tra le province di Brescia, Trento e Sondrio e scorre attraversando tutta la Val Camonica formando ed alimentando il lago d'Iseo. Sfociando nel bergamasco nei pressi di Sarnico, il fiume prosegue toccando tutti i comuni a ridosso tra le province di Brescia e Bergamo inglobando i principali affluenti, Cherio, Mella e Chiese lungo la bassa Bresciana e cremonese.

Il fiume Chiese nasce nel gruppo dell'Adamello in territorio trentino e percorrendo la valle del Chiese entra in territorio bresciano andando a formare il lago d'Idro. Sfociando nei pressi del comune di Idro percorre tutta la valle Sabbia e parte della bassa Bresciana orientale (fino a Carpenedolo) entrando in territorio mantovano.

Il fiume Mella è il più piccolo tra i tre corsi d'acqua principali bresciani vantando 96 km di lunghezza e una portata d'acqua di circa 11 m³/s). Nasce al passo del Maniva e percorre tutta la Valtrompia, raggiungendo e attraversando tangenzialmente il territorio cittadino di Brescia. Prosegue il proprio corso in alcuni comuni della bassa occidentale prima di sfociare nel fiume Oglio al confine con la provincia di Cremona nel territorio di Ostiano.

I torrenti presenti sul territorio provinciale sono concentrati maggiormente in Val Camonica, spesso come affluenti dell'Oglio, o di altri torrenti maggiori, ma il principale corso d'acqua a carattere torrenziale, con i suoi 42 km di lunghezza, è il Garza, che nasce a Lumezzane in Valtrompia e attraversando il comune di Agnosine crea la cosiddetta Valle del Garza, nei comuni di Caino e Nave, prima di attraversare il territorio cittadino di Brescia e sfociare nel Mella a Capriano del Colle.

Altri torrenti o canali artificiali che percorrono buona parte del territorio provinciale sono:

la Roggia Trenzana, diretta derivazione dell'Oglio;
il Naviglio di Brescia, che nasce a Gavardo dal fiume Chiese e bagna i comuni della bassa Valle Sabbia, di Brescia e della bassa Bresciana orientale, prima di sfociare nell'Oglio all'altezza di Canneto, nel mantovano;
il complesso del Gandovere/Mandolossa che scorre nella valle di Ome e nei pressi del confine fra Castegnato e Gussago si divide in due rami di cui uno sfocia nel Mella, mentre l'altro spaglia a Travagliato.
il Redone, che nasce in località Lavagnone a Desenzano del Garda e, attraversando tutti i comuni del basso Garda, sfocia nel Mincio all'altezza di Monzambano, in provincia di Mantova;
lo Strone che bagna la campagna della bassa bresciana fra San Paolo e Pontevico.

Secondo la classificazione dei climi di Köppen, la provincia gode del clima tipicamente temperato delle medie latitudini (Cfa). È quindi piovoso o generalmente umido per tutte le stagioni, mentre le estati sono molto calde. La varietà orografica e la vastità territoriale comportano la presenza di piccole differenze climatiche a seconda della zona territoriale considerata. Solitamente le macro aree di riferimento sono: la Bassa Bresciana, l'area cittadina di Brescia, la zona del Lago di Garda e le tre valli principali.

Nella zona della Bassa la piovosità è in genere moderata e ben distribuita nel corso dell'anno. Una media dei rilevamenti del trentennio 1971-2000, registrati nella stazione meteorologica di Ghedi, abbastanza indicativa per tutto il territorio a sud del capoluogo lombardo, ha indicato che i giorni in cui la piovosità si è registrata nell'arco di anno siano circa 84, circa il 25%, equamente distribuita nel corso dell'anno, con dei naturali picchi nella stagione primaverile. Stesso ragionamento segue la misura quantitativa delle precipitazioni, che registrano un leggero aumento in autunno toccando il picco di 274,9 mm.

Vero fattore caratterizzante della zona è l'umidità relativa che mediamente si attesta intorno al 75,1% nel corso dell'anno, registrando il valore massimo in inverno con 82,3%, rispetto ad un più modesto, ma comunque elevato 69,3% di umidità nel periodo estivo. L'elevata presenza di umidità nell'aria fa sì che durante i mesi invernali ed autunnali si verifichi frequentemente il fenomeno della nebbia, come del resto di tutta la pianura Padana.

Le temperature sono solitamente in linea con quelle delle zone limitrofe nel mantovano e nel cremonese, e presentano una uniformità tra il periodo autunnale e primaverile, con temperature che si attestano intorno ai 15 °C, mentre si ha una moderata curvatura delle rilevazioni verso l'alto e verso il basso, rispettivamente nei periodi estivi, con punte di 39 °C, ed invernali, dove si sono registrati picchi negativi fino a 20 °C sotto lo zero.

La zona del territorio bresciano che costeggia ad est il lago di Garda gode di un clima fortemente influenzato dal bacino lacustre che, rispetto ai territori circostanti, mitiga gli effetti del clima temperato continentale. Dai dati rilevati dalla stazione meteorologica posta nel comune di Salò, situato nella metà della costa est del lago, si rileva un significativo innalzamento delle temperature medie di tutte le stagioni con inverni non troppo rigidi e delle estati calde. Il numero di giorni di pioggia è leggermente maggiore rispetto al resto del territorio provinciale, così come la quantità media in millimetri delle precipitazioni.

L'area urbana che comprende i territori di Brescia e dell'hinterland sono caratterizzati da temperature solitamente superiori di 1-2 °C in tutte le stagioni, rispetto ad aree rurali o montuose come quelle della bassa Bresciana o della zona nord della provincia. Le precipitazioni sono in linea con quelli della provincia, con 70-80 giorni e circa 850 mm di pioggia in media nell'arco annuale ed equamente distribuito lungo le quattro stagioni, con un leggero calo nel periodo invernale. Anche il fenomeno della nebbia è presente, anche se in misura nettamente minore rispetto ai territori meridionali della provincia.

La provincia di Brescia è ben rappresentata in diversi sport.
Nella pallamano la società Handball Leno e la A.S. Pallamano Cologne, nel calcio la squadra del Brescia milita nel campionato di Serie B. Altre squadre calcistiche sono il Lumezzane e la Feralpi Salò iscritti alla Prima Divisione, il Carpenedolo, militante nella Seconda Divisione. Nella pallavolo la città di Brescia è rappresentata dall'Atlantide Pallavolo Brescia militante in serie A2 maschile (2014 - 2015) mentre nella provincia, la città di Montichiari, è nota per la sua squadra di pallavolo, Promoball Metallerghe Sanitars Montichiari, in serie A1 femminile. Seguitissimo è anche il rugby: la squadra del Rugby Calvisano è stata campione d'Italia dopo essere giunta seconda per ben 4 anni consecutivi, mentre hanno sede nel capoluogo due società, il Rugby Leonessa e il Brescia Rugby, entrambi militanti nella seconda divisione nazionale.

Altro sport cittadino è la pallanuoto grazie alle recenti imprese della Systema Pompea. Anche il basket è presente con Centrale del Latte Basket Brescia Leonessa, squadra rifondata nel 2009, passata in breve dal campionato dilettantesco alla Legadue, con discreto successo di pubblico.

Importanti sono anche la ginnastica artistica femminile, con la squadra del Brixia più volte campione d'Italia negli ultimi anni e i motori, grazie alla Mille Miglia.

Nel 2011, a Lonato del Garda, si è svolta la 13ª edizione di Coppa del Mondo di Scherma Paralimpica organizzata dalla Associazione Villa Dei Colli Lonato Onlus dalla World Cup ASD Onlus. La competizione è riconosciuta da anni quale appuntamento più ambito nel mondo della scherma e vede mediamente la partecipazione di 20 nazioni.

La provincia di Brescia conta molti piatti tipici, tra cui:
lo spiedo bresciano, costituito da uccellini, carne, patate, salvia ed accompagnato con polenta;
il manzo all'olio di Rovato;
la marronata di Gottolengo;
i Casoncelli di Barbariga, Castelcovati e Longhena (preparazioni Deco); i casoncelli sono la pasta ripiena per eccellenza in provincia di Brescia, preparati con salvia, burro fuso e grana grattugiato;
la Travagliatina;
Bossolà bresciano;
la tinca al forno con polenta (soprattutto a Clusane);
il salame cotto di Quinzano.
Altri piatti della gastronomia bresciana, serviti con i molti vini DOC della provincia, sono: la grigliata, la gallina ripiena, l'uovo al tegamino (con molto burro "nero"), la bistecca di cavallo, il panino con salamina, lo spezzatino ai funghi, la cacciagione, la trota, la minestra di riso con le erbe, la pastasciutta al salmì (di lepre o di cinghiale), le ossa di maiale (lessate), l'onnipresente polenta in accompagnamento.

Non si può omettere la produzione e consumo di diversi formaggi, alcuni molto famosi: Bagòss, Nostrano Valtrompia, Silter, Tombea, le formaggelle delle valli, i caprini della Val Camonica, la robiola (tipo di formaggio assai diffuso a Brescia), lo stracchino e, per finire, il gorgonzola e il Grana Padano.

Pur non essendo un piatto, è doveroso segnalare l'aperitivo bresciano per antonomasia: il pirlo.

La provincia è attraversata da ovest a est dall'autostrada A4 che interseca nei pressi del capoluogo l'autostrada A21 proveniente da sud. Per via della geografia locale, le strade si allontanano dal capoluogo verso la periferia (laghi, valli, pianura) tramite una struttura a raggiera che converge sul capoluogo. L'asse viario portante è la ex strada statale 11 Padana Superiore che attraversa la provincia da Chiari a Sirmione passando per Brescia. Dalla ex SS 11 si staccano la ex strada statale 510 Sebina Orientale che rappresenta la porta d'accesso per il lago d'Iseo e Valcamonica, e la strada statale 45 bis Gardesana Occidentale che collega il capoluogo bresciano a Cremona ed a Trento. La ex strada statale 236 Goitese permette il collegamento della città con Mantova mentre la Val Sabbia e la Val Trompia possono essere raggiunte percorrendo rispettivamente la ex strada statale 237 del Caffaro e la ex strada statale 345 delle Tre Valli. Da luglio 2014, dalla SP19 nei pressi di Travagliato si stacca la A35-BreBeMi che, tramite 4 nuovi caselli, serve la zona sud-ovest della provincia (la bassa occidentale).

La Provincia di Brescia possiede inoltre una rete ciclopedonale di circa 300 km.

L'attuale patrimonio stradale della provincia, comprese le strade ex statali in applicazione del decreto legislativo n. 112 del 1998, conta un totale di 130 strade.

Il principale nodo ferroviario è la stazione di Brescia, posta sulla direttrice Milano-Venezia, da cui dipartono anche le tratte verso Cremona, verso Parma e verso Lecco. Dalla stazione si diparte anche la ferrovia Brescia-Iseo-Edolo che serve la zona del Sebino e della Valcamonica.

Dal 2013 è presente nel capoluogo una linea di metropolitana leggera.

In passato, in provincia erano attive una rete tranviaria urbana ed una extraurbana dismesse negli anni quaranta e cinquanta del XX secolo.

In ottemperanza alla Legge Regionale n. 22 del 29 ottobre 1998 sulla riforma del Trasporto Pubblico Locale, l'amministrazione provinciale ha provveduto a suddividere la Provincia in quattro sottoreti, o comparti, di trasporti pubblici automobilistici:

sottorete urbana: comprendente il capoluogo e 14 comuni dell'Hinterland;
sottorete "Val Trompia, Garda e Valle Sabbia";
sottorete "Bassa Pianura Bresciana e Franciacorta";
sottorete "Sebino e Valle Camonica.
Le prime tre sottoreti sono state attribuite dagli enti locali (comune di Brescia, per la prima sottorete, e amministrazione provinciale per le altre due) tramite gara d'appalto. In particolare:

un'Associazione Temporanea d'Imprese fra Brescia Trasporti S.p.A. e SIA Autoservizi S.p.A. gestisce il servizio della rete dell'hinterland cittadino dal 4 luglio 2005;
il Consorzio Brescia Nord, composto da SIA Autoservizi, mandataria della società consortile, SAIA Trasporti, Brescia Trasporti e ATV gestisce il servizio nella sottorete "Val Trompia, Garda e Val Sabbia" dal 1º gennaio 2005;
il Consorzio Brescia Sud, formato da SAIA Trasporti, mandataria della società consortile, SIA Autoservizi e APAM, esercisce il servizio nel comparto Bassa Bresciana e Franciacorta dal 1º gennaio 2005.
La quarta sottorete attualmente non è stata ancora attribuita, in quanto è stato sospeso il bando di assegnazione. Il servizio automobilistico della zona viene attualmente esercitato dalla Ferrovie Nord Milano Autoservizi in regime provvisorio di proroga della concessione precedente.

In provincia si trova anche l'aeroporto di Brescia-Montichiari, utilizzato solamente per voli postali e cargo.

Sul lago di Garda e sul lago d'Iseo è attivo un sistema di trasporti lacustre che si avvale di traghetti, aliscafi e catamarani.


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venerdì 24 giugno 2016

LA PROVINCIA DI MILANO

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La provincia di Milano è stata una provincia italiana della Lombardia. Il 1º gennaio 2015 la città metropolitana di Milano è subentrata alla provincia omonima, succedendo ad essa in tutti i rapporti attivi e passivi.

La Provincia di Milano era situata nella Lombardia centro-occidentale, nel tratto di alta Pianura Padana compreso tra il fiume Ticino a Ovest e il fiume Adda a Est. Il territorio era attraversato, oltre che dall'Adda e dal Ticino, anche dall'Olona, dal Lambro, dal Seveso, dalla rete dei Navigli milanesi (Naviglio Grande, Naviglio Martesana, Naviglio Pavese) e da alcuni torrenti (Lura, Bozzente, Molgora, Arno).

A nord confinava con la provincia di Varese e la provincia di Monza e Brianza, a est con la provincia di Bergamo, a sud est con la provincia di Cremona e la provincia di Lodi, a sud ovest con la provincia di Pavia, a ovest con la provincia di Novara (Piemonte). Inoltre comprendeva il comune di San Colombano al Lambro, un'exclave compreso tra le province di Lodi e Pavia.

La provincia di Milano nacque nel 1786 dalla divisione della Lombardia austriaca in province. In età napoleonica, anno 1797, la provincia fu sostituita dal Dipartimento d'Olona. Nel 1816 fu ricreata come provincia del Regno Lombardo-Veneto, ma con l'esclusione del territorio di Pavia, organizzato in provincia autonoma.

La provincia fu istituita a titolo provvisorio dal Decreto Rattazzi nel 1859, mentre i suoi organi amministrativi e istituzionali entrarono in vigore nel 1860 a seguito della ratifica del trattato di Zurigo - che sancì il definitivo passaggio della Lombardia al Regno di Sardegna - e delle elezioni amministrative tenutesi in gennaio. Il territorio del nuovo ente riprendeva quello dell'omonima istituzione del Lombardo-Veneto, a cui furono aggiunte Abbiategrasso e Magenta, già in provincia di Pavia, e gran parte della soppressa provincia di Lodi e Crema.

Le prime elezioni provinciali furono indette il 2 gennaio 1860 e celebrate il 15 gennaio, applicando un sistema elettorale plurinominale o uninominale frazionato per mandamenti su base censuaria: il diritto di voto attivo fu riconosciuto solo all'un per cento della popolazione residente. I risultati furono proclamati il 25 gennaio in corrispondenza della nomina del primo Governatore (in tempi successivi divenuto Prefetto) nella persona del torinese Massimo D'Azeglio. Le elezioni videro un'affluenza pari a poco più di un terzo degli elettori aventi diritto di voto.

In quel periodo la provincia di Milano si estendeva su 2.992,5 km² ed era suddivisa in cinque circondari, frazionati a loro volta in 39 mandamenti e 498 comuni.

Nel 1927 vennero distaccati 37 comuni (fra cui Gallarate, Saronno e Sesto Calende), che passarono alla nuova provincia di Varese. Nel 1936 il comune di Cantonale venne soppresso e aggregato al comune di Chignolo Po, appartenente alla provincia di Pavia.

Nel 1995 dal territorio della Provincia di Milano fu distaccata e creata la nuova provincia di Lodi, lasciando così 189 comuni nella Provincia. Nel 2009 è divenuta operativa anche la nuova provincia di Monza e della Brianza, alla quale aderiscono 55 comuni precedentemente inclusi nella provincia di Milano, un'area ad alta densità abitativa e superficie di circa 405 km²: essa comprende la città di Monza, parte del Monzese e i comuni dell'area geografica riconducibile alla bassa Brianza non comasca e non lecchese ovvero una parte della Brianza già Milanese. Si possono considerare storicamente della bassa Brianza Milanese anche Comuni ancora in Provincia di Milano: Cinisello Balsamo, Cusano Milanino, Paderno Dugnano e Solaro; Basiano, Carugate, Cassano d'Adda, Grezzago, Pozzo d'Adda, Trezzano Rosa, Trezzo sull'Adda, Vaprio d'Adda.

Nel 2010 la Provincia di Milano ha celebrato il suo 150º anniversario con una serie di iniziative ufficiali ed un sito istituzionale dedicato.

Dal 1º gennaio 2015, in attuazione della legge del 7 aprile 2014 n. 56 recante "Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni", la Provincia di Milano ha cessato di esistere in favore della Città metropolitana di Milano.

La provincia di Milano si situava nell'area economica più importante d'Italia: con 338.011 imprese attive nel 2005 questa area concentra il 42,3% delle imprese lombarde ed il 6,6% delle imprese italiane attive ed operanti. Questo elemento le consente di generare un alto livello di produttività: con un PIL annuo pro capite di 30.629 euro conferma la sua leadership, poiché da sola concentra il 10,3% del PIL nazionale ed annualmente produce una ricchezza superiore ai 124 miliardi di Euro.

La presenza qualificata e differenziata di ogni comparto economico ha consentito a Milano di affrontare, con un buon vantaggio rispetto ad altre città italiane, le nuove sfide competitive e di confrontarsi con le principali città europee nella capacità di attrarre società e banche straniere: il numero di unità produttive facenti capo ad imprese partecipate da multinazionali estere ha superato in Lombardia la soglia delle mille unità, di cui oltre la metà localizzate in provincia di Milano, e qui hanno sede le maggiori banche italiane ed estere.

La provincia di Milano si trovava nell'area italiana più assimilabile alle grandi regioni sviluppate dell'Europa, sia per la complessa varietà delle attività che vi si svolgono, sia per il livello di ricchezza e benessere diffusi.

A partire dagli anni settanta, come è successo per tutti i centri urbani europei, la produzione industriale pesante ha lasciato spazio al settore dei servizi e alle attività terziarie, soprattutto quelle più qualificate e a più alto valore aggiunto, sviluppatesi in stretta connessione con le imprese produttive dell'area.

Nel corso degli anni 90, l'evoluzione tecnologica e la globalizzazione dell'economia hanno definitivamente modificato anche il suo tradizionale modello produttivo che oggi si basa su una fitta rete di imprese produttive di piccola e piccolissima dimensione, a cui si affianca un numero limitato di medio-grandi aziende.

Nell'area milanese si concentra il 15% delle imprese italiane attive nei settori hi-tech (manifatturieri e terziari) e ben il 31% dei relativi addetti.

Uno dei principali motori di sviluppo dell'area milanese è rappresentato dall'economia creativa, cioè quel ramo dell'economia che comprende alcuni particolari settori in grado di generare nuova ricchezza e proprietà intellettuale (brevetti, diritti d'autore, marchi di fabbrica, design registrato), che svolge un ruolo trainante anche per le attività produttive tradizionali.

Milano si pone anche come capitale del non-profit, in cui la vocazione agli affari si combina con le antiche tradizioni solidaristiche e mutualistiche della società civile lombarda. Nell'area milanese operano quasi 11.000 istituzioni. Il mondo del non-profit riveste un ruolo importante nel sistema economico e sociale locale, mobilitando risorse umane e finanziarie significative; il numero di addetti complessivo è pari al 10% del totale nazionale e a circa il 50% di quello della Lombardia.

La maggior parte delle aziende milanesi e dei relativi addetti opera nel settore dei servizi (69%). Il crescente livello di terziarizzazione dell'economia milanese ha ridotto la tradizionale vocazione del territorio al 28%.

L'agricoltura rappresenta il 2% dell'economia presente nell'area e, nonostante il numero limitato di addetti, continua a mantenere un ruolo importante: localizzata per lo più nella parte meridionale dell'area metropolitana, presenta caratteristiche di elevata meccanizzazione e produttività.

Quasi tutto il territorio della provincia di Milano faceva parte dell'arcidiocesi di Milano (ad eccezione di 7 comuni al confine con la provincia di Lodi, appartenenti alla diocesi di Lodi).

Il primo stemma adottato fu la croce rossa in campo bianco - cioè lo stesso stemma del Comune di Milano - sovrastato dalla corona ferrea con le due fronde di quercia e di alloro. Sino a quasi tutto il primo decennio del Novecento, venne utilizzato questo stemma e solo in quel periodo il Consiglio provinciale iniziò a porsi il problema di dotarsi di un nuovo emblema che, per la sua forma e per le sue caratteristiche, evidenziasse - anche da un punto di vista araldico - l’autonomia dell’ente Provincia, da quello del Comune. A conclusione di un lungo iter burocratico, con il Reale Decreto 22 ottobre 1914 veniva concesso alla Provincia di Milano il suo primo, vero stemma. Araldicamente si trattava di uno stemma inquartato che portava, nel suo interno, la riproduzione degli stemmi dei Comuni capoluoghi dei circondari di Abbiategrasso, Gallarate, Monza, Lodi e quello di Milano “sul tutto”.

Per quanto riguarda gli interventi tesi a migliorare la viabilità si segnala la costituzione - con atto notarile del 28 luglio 1951 - della Società per la Serravalle-Milano, primo esempio di società autostradale formata da soli enti pubblici e presieduta dal Presidente della Provincia. La necessità di collegare con mezzi rapidi la zona più industrializzata d’Italia con gli altri Paesi europei e degli altri continenti, portò la Deputazione a compiere attorno al problema uno studio che convinse la Provincia di Varese, le città prossime alla Malpensa e le Camere di Commercio di Varese e Milano, a costituire la società per azioni Aeroporto di Busto, diventata nel 1956 l’ormai nota SEA: Società Esercizi Aeroportuali.
Nel campo dell’istruzione e quindi - per quanto riguarda le competenze della Provincia - la riorganizzazione degli edifici scolastici esistenti e la costruzione di nuovi complessi, è da segnalare la deliberazione del Consiglio provinciale che il 7 maggio 1953 approvò la costruzione del nuovo liceo Leonardo da Vinci presso la Chiesa di San Pietro in Gessate (Via Corridoni). Inaugurato nel 1956, esso ospita anche la Sala Congressi della Provincia di Milano.

Gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso sono caratterizzati dal fenomeno dell’immigrazione proveniente dal sud del Paese. Sono gli anni del cosiddetto boom-industriale. Qualche dato che riguarda la realtà industriale: nel 1968 gli occupati in provincia di Milano erano circa 750.000 e oltre la metà di questi lavoravano in soli due settori, il metalmeccanico ed il chimico. Rappresentativi, anche se in misura ridotta, i settori tessile, edile e cartografico con circa 200.000 occupati. Nello stesso anno la popolazione sul territorio provinciale milanese assommava a 3.685.000 abitanti, confermando la crescita costante dei decenni precedenti, ma con un elevato grado di accrescimento nell’ultimo decennio determinato dal consistente movimento migratorio. Sono invece anni di crisi per l’agricoltura, alle prese con complessi problemi: dalla diminuzione della mano d’opera alla meccanizzazione, dalla insufficiente preparazione e qualificazione professionali all’abbandono di alcune colture tradizionali, all’intensificarsi dei processi di produzione.

Un altro importante motivo, iniziato alla fine della seconda guerra mondiale e comune un po’ a tutta l’agricoltura italiana: la non accettazione da parte delle giovani generazioni della tradizione familiare che una volta li inseriva senz’altra alternativa nella vita dei campi, in quanto appartenenti ad una famiglia contadina. Ha inciso quindi sul problema agricolo la notevole “fuga” dai campi dei giovani, esodo che è andato a soddisfare l’esigenza dell’industria in piena espansione. Nel periodo che stiamo considerando, l’estensione territoriale della Provincia di Milano comprendeva 249 comuni compresa quindi anche la zona del Lodigiano che diverrà Provincia solo negli anni ’90. In quegli anni il presidente della Provincia ricopriva sia la carica di presidente del Consiglio provinciale che quella di presidente della Giunta, e la sua elezione avveniva con il voto favorevole della maggioranza dei consiglieri provinciali, dopo la loro elezione da parte dei cittadini. Dal 1965 al 1974 la presidenza fu tenuta da Erasmo Peracchi.
Per quanto riguarda il patrimonio della Provincia di Milano, è da segnalare la costruzione del nuovo Palazzo degli Uffici Tecnici (1966). In quella sede trovarono quindi ospitalità due importanti settori dell’attività dell’Amministrazione provinciale: la progettazione, costruzione e manutenzione delle strade e l’edilizia scolastica. Caratteristica principale della costruzione erano le facciate - in vetro-metallo - di tipo continuo a sistema “courtain-walls” che consentirono una purezza di linee e di allineamenti architettonicamente positivi all’ambientazione. Si trattava di un edificio all’avanguardia, per l’epoca, in materia di sicurezza, tecnologie di costruzione, funzionalità e abitabilità, tanto che disponeva già di un impianto centralizzato per l’aria condizionata.
Un anno dopo - nel 1967 - fa la sua comparsa, nella sede centrale della Provincia di Milano in via Vivaio, il primo calcolatore elettronico IBM 360/30, dotato di 32.000 posizioni di memoria, 3 unità dischi e 2 unità nastri. A chi sa d’informatica questi pochi dati faranno sorridere ma dobbiamo tenere presente che stiamo parlando di 40 anni fa. Insomma era una novità per l’epoca e la Provincia di Milano l’acquistò e lo fece installare per la gestione del personale, la contabilità generale, la programmazione delle opere straordinarie e le indagini statistiche.

L’8 giugno 1990 il Parlamento della Repubblica Italiana approvò la Legge n. 142 che aveva come oggetto l’ordinamento delle autonomie locali ed introduceva diverse novità in materia, dopo decenni in cui il legislatore aveva decisamente trascurato gli enti locali. Per la prima volta i Comuni e le Province adottarono i propri regolamenti e un proprio statuto (lo statuto stabilisce le norme fondamentali per l’organizzazione dell’ente ed in particolare determina le attribuzioni degli organi, l’ordinamento degli uffici e dei servizi pubblici, le forme della collaborazione fra comuni e province, della partecipazione popolare, del decentramento, dell’accesso dei cittadini alle informazioni ed ai procedimenti amministrativi). Compare per la prima volta in Italia la figura del Difensore Civico, che la legge definisce garante dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione, segnalando, anche di propria iniziativa, gli abusi, le disfunzioni, le carenze ed i ritardi dell’amministrazione nei confronti dei cittadini. La succitata Legge n. 142, elencava inoltre, i compiti di Comuni e Province. Per queste ultime, l’art 14 prevedeva i seguenti compiti:
difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell’ambiente e prevenzione delle calamità;
tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche;
valorizzazione dei beni culturali;
viabilità e trasporti;
protezione della flora e della fauna, parchi e riserve naturali;
caccia e pesca nelle acque interne;
organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, rilevamento, disciplina e controllo degli scarichi delle acque e delle emissioni atmosferiche e sonore;
servizi sanitari, di igiene e profilassi pubblica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale;
compiti connessi alla istruzione secondaria di secondo grado ed artistica ed alla formazione professionale, compresa l’edilizia scolastica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale;
raccolta ed elaborazione dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali.
Era prevista anche una nuova istituzione, per i grandi centri urbani, la “Città Metropolitana”, anche se la relativa attuazione era demandata all’emanazione di future leggi regionali che non sono mai divenute realtà. La L.142 sarà poi superata e aggiornata dal Testo Unico sull’ordinamento delle autonomie locali (legge n. 267 del 2000).
Proprio in attuazione dell’art. 63 della legge n. 142 - che prevedeva una delega al Governo per la revisione delle circoscrizioni provinciali - nel 1992, con il D.L. n.251 del 6 marzo, venne istituita la Provincia di Lodi.
La notizia fu rilevante per la Provincia di Milano in quanto il territorio della nuova provincia era costituito da un gruppo di Comuni (quasi un centinaio) che prima facevano parte del territorio milanese. La superficie della Provincia di Milano, quindi, si rimpicciolì, riducendosi a “soli” 188 comuni. Ma c’era un altro problema: lo stemma della città di Lodi era inserito nello stemma della Provincia di Milano e bisogna quindi sostituirlo con l’emblema di un altro comune del territorio (come già avvenuto nel 1954 quando Gallarate venne sostituita da Legnano in seguito alla nascita della Provincia di Varese).

La macchina amministrativa provinciale può contare su due organi collegiali: la Giunta e il Consiglio.
Al vertice dell’ente c’è il Presidente, eletto direttamente dai cittadini assieme ai consiglieri che andranno poi a formare la maggioranza in Consiglio. Il Presidente nomina gli assessori componenti la Giunta, organo esecutivo che lo affianca nelle decisioni di rispettiva competenza. La Giunta della Provincia di Milano è composta da 12 assessori; si riunisce una volta alla settimana, di solito il martedì.
Il Consiglio è l’organo di indirizzo e controllo politico-amministrativo con facoltà di deliberare in alcune materie fondamentali. Il funzionamento dell’assemblea, composta da 45 consiglieri rappresentativi della volontà popolare, è affidato al presidente del Consiglio, eletto dai consiglieri il giorno dell’insediamento dell’assemblea. Al presidente è affidata la gestione del Consiglio, dalle convocazioni alla gestione degli interventi e dei dibattiti, fino alla promozione dell’ “autonomia” dell'assemblea come espressione della sovranità popolare in cui maggioranza e opposizione hanno pari diritto ad esprimersi nei limiti imposti dal regolamento.
Le decisioni operative dell’ente, sia della Giunta che del Consiglio, sono le delibere. Ciascuno dei due organi può deliberare nelle materie di propria competenza.
In particolare, il Consiglio decide, su proposta della giunta, del presidente, dei consiglieri o del presidente del Consiglio, sulle seguenti materie:
a) statuti dell'ente e delle aziende speciali, regolamenti salva l'ipotesi di cui all'articolo 48, comma 3, criteri generali in materia di ordinamento degli uffici e dei servizi;
b) programmi, relazioni previsionali e programmatiche, piani finanziari, programmi triennali e elenco annuale dei lavori pubblici, bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, rendiconto, piani territoriali ed urbanistici, programmi annuali e pluriennali per la loro attuazione, eventuali deroghe ad essi, pareri da rendere per dette materie;
c) convenzioni tra i comuni e quelle tra i comuni e provincia, costituzione e modificazione di forme associative;
d) istituzione, compiti e norme sul funzionamento degli organismi di decentramento e di partecipazione;
e) assunzione diretta dei pubblici servizi, costituzione di istituzioni e aziende speciali, concessione dei pubblici servizi, partecipazione dell'ente locale a società di capitali, affidamento di attività o servizi mediante convenzione;
f) istituzione e ordinamento dei tributi, con esclusione della determinazione delle relative aliquote; disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi;
g) indirizzi da osservare da parte delle aziende pubbliche e degli enti dipendenti, sovvenzionati o sottoposti a vigilanza;
h) contrazione dei mutui non previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio comunale ed emissione dei prestiti obbligazionari;
i) spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi, escluse quelle relative alle locazioni di immobili ed alla somministrazione e fornitura di beni e servizi a carattere continuativo;
l) acquisti e alienazioni immobiliari, relative permute, appalti e concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio o che non ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nella ordinaria amministrazione di funzioni e servizi di competenza della giunta, del segretario o di altri funzionari;
m) definizione degli indirizzi per la nomina e la designazione dei rappresentanti del comune presso enti, aziende ed istituzioni, nomina dei rappresentanti del consiglio presso enti, aziende ed istituzioni ad esso espressamente riservata dalla legge.

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LA PROVINCIA DI SONDRIO

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La provincia di Sondrio è composta da un territorio prevalentemente montuoso solcato da valli che si estendono principalmente per via longitudinale; le principali sono la Valtellina e la Valchiavenna. Racchiude in sè le montagne più elevate della Lombardia appartenenti alle Alpi Retiche ed è una provincia molto estesa, che comprende comuni di alta montagna come ad esempio Livigno, posto a quasi 2000 m di quota. A nord e a ovest la provincia di Sondrio confina con la Svizzera (Canton Grigioni), a ovest con la provincia di Como e la provincia di Lecco, a sud con la provincia di Bergamo e a est con la provincia di Brescia e con il Trentino-Alto Adige (provincia di Trento e provincia di Bolzano).

Importante canale europeo, la provincia di Sondrio è stata per secoli la più veloce via di collegamento tra Europa centrale e penisola italiana, perciò fu oggetto di continue mire espansionistiche da parte dei popoli confinanti.

Sita nella zona che i romani chiamavano Gallia cisalpina, fu abitata in età antica da popolazioni celtiche, scomparse dopo l'avvento della dominazione romana.

Dopo la fine della dominazione romana con lo sgretolarsi dell'impero, passò sotto la dominazione dei Longobardi e poi dei Franchi. Gli imperatori assegnarono il territorio provinciale ai vescovi della Diocesi di Como, a cui tuttora appartiene.

Nel XIV secolo il territorio occidentale fu sotto il dominio dei Visconti e poi degli Sforza del ducato di Milano mentre quello orientale costituiva il limite estremo della Serenissima.

Nel 1512 passò al dominio del Canton Grigioni durante il quale si verificò nel 1620 il Sacro Macello in cui furono uccisi 400 protestanti (in maggioranza lo erano i grigionesi). Giacomo Robustelli, capo della rivolta, dichiarò l'indipendenza della Valtellina. La Valchiavenna, che aveva traffici commerciali coi dominanti, non vi prese parte. La sanguinosa insurrezione dei cattolici contro i protestanti fu fomentata dalla Spagna (la quale aveva il ducato di Milano) e dai nobili valtellinesi esautorati dai nobili grigionesi. Ci fu un ventennio di sospensione del dominio grigionese fino al 1639 col Capitolato di Milano.

Nel 1797 cessò il dominio dei Grigioni quando Napoleone Bonaparte annesse la provincia alla Repubblica Cisalpina col nome di Dipartimento dell'Adda (che comprendeva l'intero territorio della provincia come costituito oggi).

Sconfitto Napoleone passò in mano agli austriaci che la annessero al regno lombardo-veneto.

Nel 1861 entrò a far parte del Regno d'Italia.

Nel XX secolo, la Provincia di Sondrio è una delle istituzioni territoriali insignite della Medaglia d'Argento al Valor Militare per i sacrifici delle sue popolazioni e per la sua attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale.

Per la città di Sondrio e per tutta la provincia una voce vitale nell'economia e nella tradizione culturale è la coltivazione della vite da cui si ottengono diverse varietà vinicole molto rinomate, le cui principali sono Grumello, Inferno (cantato anche dal poeta Eugenio Montale), Sassella e Valgella.

Per poter coltivare la vite nei difficili territori montuosi i contadini dovettero strappare, tramite l'uso dei terrazzamenti costruiti con muretti a secco, metro su metro a rocce e territori boschivi.

I terrazzamenti costruiti nel corso dei secoli rappresentano un brillante esempio di ingegneria rurale e un interessante esempio di trasformazione del territorio da parte dell'uomo, che cerca di sfruttare al meglio un territorio ed un clima certo non favorevole all'agricoltura.

Culturalmente la coltivazione della vite rappresenta tuttora un punto focale nel mantenimento delle tradizioni popolari, ancora molto radicate soprattutto nei paesi.

L'Amministrazione Provinciale ebbe sede inizialmente presso la Prefettura, nell'antico Palazzo del Terziere, già Martinengo che lasciò per trasferirsi nell'edificio situato lungo l'argine sinistro del Mallero, che attualmente ospita l'Archivio di Stato di Sondrio. Lo stabile venne progettato nel 1883 espressamente come sede del Consiglio e della Deputazione riadattando la Scuderia Fojanini, dove fino a quel momento avevano trovato alloggio le carrozze e i cavalli degli ospiti del centralissimo albergo Fojanini.

Della progettazione fu incaricato l'ingegnere provinciale Giovanni Battista Bosatta che decise di unire i due corpi di fabbrica della scuderia, documentati da stampe dell'epoca, sopraelevandoli di un piano. Naturalmente l'organizzazione interna degli spazi dovette essere adattata alla nuova destinazione d'uso, così come l'aspetto esterno, che si voleva solido e rigoroso. A tal fine ben si prestavano il finto bugnato, i cornicioni decorati a rilievo e l'elegante incorniciatura delle finestre con persiane a scorrimento entro i muri. Lo stabile assunse così un aspetto nobile e severo che conservò anche con la ricostruzione seguita all'alluvione del 1927.

Per decorare la sala consiliare del primo piano, si fece ricorso al pittore valtellinese Giovanni Gavazzeni. Sulle pareti e sul soffitto del salone più importante e rappresentativo vennero dipinti gli stemmi dei vari Comuni della Provincia e figure allegoriche, ma l'opera del Gavazzeni andò distrutta durante l'alluvione del Mallero del 1927. Una sola vecchia fotografia documenta l'allegoria della Valtellina, immaginata come una giovinetta con in mano l'uva e il bastone, a rappresentare la viticultura e al pastorizia che erano a quel tempo le più importanti attività economiche della valle. Tale decorazione fu molto criticata, soprattutto da chi, accanto alle allegorie, avrebbe voluto veder rappresentati episodi della storia provinciale.

Nel corso dei secoli il torrente Mallero fu causa di innumerevoli allagamenti e distruzioni. Con la costruzione degli argini, avvenuta nel 1835, si ovviò in parte al problema, ma a nulla servirono i pur possenti muraglioni nel 1927, quando le acque invasero la città provocando gravissimi danni alle case affacciate sul Lungo Mallero. Quel disastroso evento è documentato da numerose foto d'epoca, una delle quali raffigura la sede degli uffici provinciali sventrata e pressochè priva del fronte principale.

Fu allora che l'Amministrazione Provinciale pensò di costruire una nuova grandiosa sede, sfruttando un'ampia area disponibile a sud del centro storico. Nel 1931 l'architetto milanese Giovanni Muzio (a cui è stata dedicata una mostra nel 1998) vinse il concorso progettuale e l'Amministrazione si insediò nel nuovo palazzo nel 1935. La vecchia sede venne ricostruita per ospitarvi l'Archivio Notarile e, più tardi, l'Archivio di Stato che la occupa tuttora.







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