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venerdì 10 aprile 2015

LA FAMIGLIA FELTRINELLI

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Gargnano deve molto alla famiglia Feltrinelli che provvide alla costruzione dell'ospedale, degli asili infantili e altre opere benefiche. Le due ville padronali Feltrinelli hanno ospitato Mussolini ed il suo governo della "Repubblica di Salò".


Il figlio di Giangiacomo, Carlo Feltrinelli, ha ereditato la proprietà della casa editrice; nel 1999 ha scritto una biografia del padre intitolata Senior Service (dalla marca dei sigari preferiti da Giangiacomo Feltrinelli), che contiene anche accenni sulla storia della famiglia Feltrinelli.

Gargnano era la sede estiva della famiglia di Faustino Feltrinelli, magnate del legname i cui figli Angelo, Giuseppe e Giacomo costruirono, nel 1892 quello che oggi è il Grand Gotel a Villa Feltrinelli. Il loro impero economico ebbe origine dalle foreste del nord Italia, Austria, Ungheria e Turchia, per lanciarli fino alla borsa valori di Milano. Angelo, risiedeva per la maggior parte dell’anno a Gargnano (ne fu anche il Sindaco per 15 anni), mentre Giacomo (1829-1913) lanciava la famiglia in affari in tutta Europa ed oltre, fornendo il legname per la costruzione di ferrovie nel sud Italia ed in Turchia, fondando, nel 1890 anche una banca privata.
Gli interventi a favore di Gargnano, da parte dei Feltrinelli furono numerosi e importanti, tra i quali: La Casa di Riposo e Ospedale, nel 1903; la strada tra Gargnano, Gavazzo, Sasso e Liano, nel 1913 e la scuola elementare, nel 1921. il loro nipote, Carlo Feltrinelli (1881 – 1935) espanse ulteriormente le immense fortune della famiglia. Fu un abile finanziere oltre che presidente della Edison elettrica e dell’Istituto di Credito Italiano. Si sposò con Giovanna Gianzone, una severa e rigida signora soprannominata “Ufficiale Prussiano”, forse a causa del monocolo che sempre indossava avendo perso il suo occhio destro durante una caccia. Ebbero due figli: Gianciacomo ed Antonella. Come ricompensa per il loro contributo all’economia del Nord Italia il re Vittorio Emanuele II, nel 1940, conferì alla famiglia il titolo di Marchesi di Gargnano. Al ramo gargnanese della famiglia, fu conferito il titolo di Conti di Gerla. Dopo la sua requisizione da parte di Mussolini, alla fine della seconda guerra mondiale, Giangiacomo ed Antonella  rientrarono in possesso di Villa Feltrinelli.
Come proprietario della casa editrice Feltrinelli, (una tra le più grandi e rinomate d’Italia), Giangiacomo pubblicò, tra gli altri, “Il Dottor Divago”, di Boris Pasternak e “Il Gattopardo”, di Tomasi di Lampedusa portando all’attenzione del mondo intellettuale italiano, materiale fino ad allora ignorato. Più tardi, come appartenente al Partito Comunista Italiano, Giangiacomo incontrò Fidel Castro e, candidato per le elezioni politiche utilizzò la casa di  Gargnano come piattaforma per la sua propaganda politica . Più tardi, Giangiacomo morì, pare nel tentativo di minare un traliccio elettrico. Oggi, le sorti della casa Editrice Feltrinelli sono rette dal figlio Carlo, che Giangiacomo ebbe dalla moglie Inge.

La famiglia Feltrinelli è una famiglia imprenditoriale italiana. Originaria di Gargnano, paese dell’alto Lago di Garda, si arricchì con il commercio di legnami per le costruzioni. Trasferitisi a Milano, i Feltrinelli furono protagonisti dell’espansione edilizia del capoluogo lombardo e della costruzione della rete ferroviaria nazionale. Estesero i loro interessi nella finanza e fondarono un istituto di credito (Banca Feltrinelli). Nel secondo dopoguerra concentrarono i loro interessi nella casa editrice omonima, fondata da Giangiacomo Feltrinelli nel 1954.

Secondo Giannalisa Gianzana, moglie di Carlo Feltrinelli (classe 1881, omonimo del nipote), i Feltrinelli erano originari di Feltre (feltrinèi, nel dialetto locale) e discendenti di tal Guido da Feltre; in realtà, si tratta probabilmente solo di un’ipotesi derivante dal loro cognome e dal fatto che si occupassero di legname, abbondante nel Bellunese. Si trattava di una famiglia agiata, anche se Giacomo Feltrinelli, iniziatore della loro fortuna, non poté dedicarsi agli studi, al contrario dei suoi dodici fratelli, avviati alle libere professioni.

La prima azienda fu la Legnami Feltrinelli, segheria di tronchi impiantata a Gargnano dal capostipite Faustino Feltrinelli (1781-1848), agli inizi del XIX secolo. I figli Carlo, Angelo, Pietro e Giacomo, su iniziativa di quest'ultimo, fondarono a Desenzano del Garda, nel 1846, il deposito legnami Fratelli Feltrinelli; l’attività era quella di commercio di tronchi e semilavorati di legno, ricavati dalle foreste dell’alto Garda, della Val Vestino e del Trentino.

Giacomo Feltrinelli si trasferì a Milano, dove nel 1857 fu fondata la Ditta F.lli Feltrinelli Legnami, che nel giro di una decina di anni diventò protagonista della vita economica della città. L’ascesa economica dei Feltrinelli fu molto rapida e fu favorita dal forte sviluppo edilizio del capoluogo lombardo e dalla costruzione della rete ferroviaria italiana: specializzati nel legno d’abete, i Feltrinelli fronteggiarono una fortissima domanda di legname d'opera, quali traversine ferroviarie e travi "uso Trieste" o "uso Fiume". Per soddisfare tale domanda furono acquisiti boschi e foreste in Carinzia ed in Transilvania, ed i Feltrinelli estesero le loro attività anche all’estero, con sedi e rappresentanze commerciali in molti paesi.

Nel 1889 Giacomo Feltrinelli, assieme al nipote Giovanni (1855-1896), fondò a Milano una banca privata, la banca Feltrinelli. Nel 1896 la banca intervenne con dei capitali in sostegno dell’azienda elettrica Edison, sventando l’entrata nella compagine azionaria di soci tedeschi: i Feltrinelli diventarono così tra i maggiori azionisti della Edison, entrando in rapporto con esponenti dell’alta borghesia milanese come i Pirelli ed i Falck. Dal 1907 la banca Feltrinelli partecipò alla progettazione ed alla realizzazione del Quartiere Industriale Nord Milano, cioè dell’ampia area industriale, con relative residenze per gli operai, situata tra la zona della Bicocca e Sesto San Giovanni. Nel paese natale di Gargnano i Feltrinelli stabilirono la loro residenza estiva (la Villa Feltrinelli sulle sponde del lago di Garda) ed avviarono un cotonificio. Quando Giacomo Feltrinelli morì, nel 1913, fu ricordato dai giornali come “l’uomo più ricco di Milano”. Senza figli, le attività di famiglia furono suddivise tra i pronipoti Carlo, Pietro (1885-1913), Giuseppe (1883-1918) ed Antonio (1887-1942).

Carlo Feltrinelli (1881-1935) fu personaggio di spicco nella finanza italiana tra gli anni ’20 e ’30; si occupò prevalentemente della Banca Feltrinelli (nel 1919 ribattezzata Banca Unione) e delle relative partecipazioni. Fu presidente e consigliere d’amministrazione di decine di società; tra gli altri incarichi, presidente della Edison (1930-1935) e del Credito Italiano (1928-1935), del quale la Banca Unione era il maggiore azionista. Nel 1935 morì dopo avere manifestato un malore in seguito ad una discussione avuta con Alberto Beneduce, che gli aveva imposto di dimettersi dalla presidenza del Credito Italiano, rilevato nel frattempo dall’IRI. Carlo Feltrinelli ebbe due figli, Antonella e Giangiacomo, che ereditarono gli immobili e la parte finanziaria (Banca Unione) del patrimonio di famiglia.

Dei fratelli di Carlo, Pietro e Giuseppe morirono ancora giovani; Antonio invece, che deteneva il pacchetto di maggioranza della Feltrinelli Legnami, visse per lo più sul lago di Garda, dedicandosi alla pittura. Sopravvisse di qualche anno al fratello Carlo, ed essendo senza figli, lasciò in eredità la Feltrinelli Legnami e la sua parte di patrimonio all’Accademia dei Lincei, che impiegò il “Fondo Antonio Feltrinelli” per istituire il Premio Feltrinelli, da assegnare a chi sia distinto nelle arti o nelle scienze, sul modello del Premio Nobel.

Giangiacomo Feltrinelli nacque nel 1926 e la sorella Antonella nel 1927: erano quindi ancora bambini quando il padre Carlo morì. Nel suo testamento Carlo Feltrinelli aveva nominato il figlio Giangiacomo erede dei tre quarti del suo patrimonio, e con il compimento della maggiore età, nel 1947, maturò il pieno diritto di disporre di tali beni. Nel 1949 fondò la Biblioteca Giangiacomo Feltrinelli, nonché l'Istituto per la storia del Movimento Operaio, in cui raccolse cimeli ed opere letterarie di argomento socialista e comunista, e nel 1954 la Casa editrice Feltrinelli, che diventerà la Giangiacomo Feltrinelli Editore. La Banca Unione fu controllata dai Feltrinelli fino al 1968, quando fu rilevata da Michele Sindona; secondo alcune interpretazioni a spingere Sindona all’acquisto fu lo IOR, azionista di minoranza di Banca Unione e “imbarazzato” dalla coabitazione con un socio comunista. Nel 1969, quando Giangiacomo Feltrinelli entrò in clandestinità, la sua terza moglie Inge Schönthal ne prese il posto alla guida della casa editrice. Nel 1974 viene costituita giuridicamente con DPR n. 423 del 27 aprile 1974 la fondazione Istituto Giangiacomo Feltrinelli.


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giovedì 12 marzo 2015

COTONIFICIO CANTONI

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Il Cotonificio Cantoni (Cantunificiu in dialetto legnanese) è stata un'azienda tessile attiva fra il 1830 ed il 2004. È stata per lungo tempo la maggiore società cotoniera italiana.

Il nucleo originario del Cotonificio Cantoni è stata una filatura aperta il 2 ottobre 1830 a Legnano. Si trattava di un'attività pre-industriale sorta lungo le rive del fiume Olona che era di proprietà di Camillo Borgomanero. Da un documento del 1835 risulta che era socio dell'impresa Costanzo Cantoni. Nella metà del XIX secolo, durante la seconda rivoluzione industriale, l'attività artigianale si trasformò in un'azienda vera e propria.

Nel 1855 la Cantoni fu la sola impresa della Lombardia a prendere parte all'Esposizione Universale di Parigi, mentre nel 1872 la ditta cambiò denominazione in "Società Anonima Cotonificio Cantoni", divenendo così la prima impresa cotoniera italiana a trasformarsi in società per azioni ed a venire quotata alla Borsa di Milano, dove vi rimase fino al 1998. Andrea Ponti ne fu il primo presidente. Anche dopo la quotazione in Borsa il controllo dei cotonifici rimase sotto il controllo della famiglia Cantoni. Infatti, grazie ad un'accorta politica con la restante parte degli azionisti, la famiglia continuò ad avere un controllo assoluto sull'azienda. La famiglia Cantoni possedeva comunque la maggioranza azionaria, dato che Costanzo Cantoni aveva azioni per 1 milione di lire, mentre suo figlio Eugenio per 2 milioni e 750 000 lire a fronte di un capitale totale di 7 milioni di lire. Eugenio Cantoni era la reale guida della società, essendo stato eletto direttore generale. Nel 1877 Eugenio Cantoni si dimise da tale carica in seguito ad una crisi societaria interna ed esterna. Dal 1880 l'azienda tornò a crescere dopo un periodo di crisi. Nel 1887 in Italia furono istituite delle tariffe doganali e queste misure protezioniste, pensate principalmente per le piccole aziende, portarono benefici anche alla Cantoni. Lo sviluppo del cotonificio continuò anche negli anni di crisi del settore cotoniero italiano, che avvenne tra il 1891 ed il 1893. Tale crescita fu dovuta principalmente al fatto che l'azienda avesse rivolto l'attenzione anche all'esportazione.

La massima espansione del cotonificio si ebbe all'inizio del XX secolo. Nel periodo compreso tra il 1906 e il 1907 il Cotonificio Cantoni fu una delle aziende italiane ad avere l'aumento di capitale più cospicuo. Alla fine del primo decennio del XX secolo il Cotonificio Cantoni raggiunse i 1.500 operai ed i 1.350 telai. Nel 1908 iniziò l'edificazione delle prime case operaie. Gli edifici furono costruiti in via Pontida a Legnano. Furono inoltre realizzate delle scuole elementari riconosciute dallo Stato italiano che erano destinate alla prole dei lavoratori. La famiglia Cantoni abbandonò il Consiglio di amministrazione del cotonificio nel 1910 con le dimissioni di Costanzo Cantoni, figlio di Eugenio e quindi nipote dell'omonimo cofondatore dell'azienda. Nel 1912 l'azienda toccò un picco produttivo registrando una differenza, nei confronti dell'anno precedente, di un milione e mezzo di chili di tessuti.

Durante la prima guerra mondiale il cotonificio era in difficoltà per il blocco delle materie prime, che provenivano principalmente dalla Germania. Durante il conflitto l'azienda convertì i suoi impianti alla produzione di forniture belliche. Dopo la fine della guerra furono realizzate altre abitazioni. Fino al 1925 il cotonificio fabbricò a Legnano 114 abitazioni tra via Pontida, via Volta, Galvani e via Monte Grappa. In via Galvani, nel 1928, furono realizzate una palestra ed una scuola materna. Vicino a queste ultime fu costruito il dopolavoro.

Anche allo scoppio della seconda guerra mondiale (1940) l'azienda fu costretta a destinare gli impianti alla produzione bellica. Come per il primo conflitto mondiale, la Cantoni fu in difficoltà per l'approvvigionamento di materie prime. Nonostante gli eventi bellici, il cotonificio continuò comunque a crescere anche durante questo decennio.

L'espansione proseguì fino al 1951, quando fu registrato un periodo di flessione che spinse l'azienda a investire. La tendenza fu poi ancora positiva a partire dal 1954. Negli anni sessanta iniziò la decadenza dovuta alla progressiva industrializzazione dei paesi in via di sviluppo. La profonda crisi continuò e si acuì negli anni settanta. Nel 1981 l'indebitamento del Cotonificio Cantoni toccò i 160 miliardi di lire. All'inizio degli anni ottanta la società proprietaria dell'azienda era la Montedison. In seguito, nel 1984, la maggioranza azionaria del cotonificio fu acquisita da Fabio Inghirami. La Cantoni avviò quindi un progetto di risanamento ma le operazioni non raggiunsero i risultati sperati. Ciò portò ad una situazione finanziaria insostenibile che causò la chiusura graduale di tutti gli stabilimenti. L'ultima fabbrica a terminare le attività fu quella legnanese del quartiere Olmina, che chiuse i battenti nel 2004.

Agli albori della storia dello stabilimento di Legnano la forza motrice che azionava i macchinari derivava dal fiume Olona. All'epoca per aprire una nuova attività che sfruttasse le correnti del corso d'acqua oppure per installare una nuova ruota idraulica, occorreva chiedere un permesso preventivo all'"Amministrazione del fiume Olona". In caso di permesso accordato, si doveva versare una somma di denaro all'ente citato. L'attività di filatura del futuro cotonificio Cantoni sfruttava i mulini ad acqua già esistenti sul fiume. Infatti, grazie ad essi, la Cantoni e le altre attività sorte lungo il fiume ricavano l'energia necessaria per far muovere i macchinari. Per renderli adatti allo scopo, la Cantoni modificò opportunamente questi impianti molinatori, che originariamente erano destinati alla macinazione dei prodotti agricoli. Borgomenero e Cantoni, agli albori della storia del cotonificio, acquistarono diversi mulini. Come preludio alla fondazione della Cantoni, Camillo Borgomanero acquistò nel 1819 il mulino Isacco (già della famiglia Lampugnani) e nel 1828 il mulino Melzi. Il collaudo dei primi impianti del futuro cotonificio avvenne il 2 ottobre 1830. Costanzo Cantoni acquisì invece il mulino Cornaggia-Medici nel 1841, a cui ne seguirono altri. In un documento del 27 marzo 1847 si può leggere: "Il Sig. Cantoni Proprietario di due mulini uniti posti sull'Olona, il primo detto del Pomponio in mappa al n. 1632. Fu venduto dal nobile Sig. marchese Cornaggia venduto nell'anno 1831 alla ditta Bazzoni & Sperati, ed indi nel 1841 acquistato dal Sig. Cantoni". Questi impianti molinatori erano molto antichi. Ad esempio, il mulino acquistato nel 1828 da Camillo Borgomanero apparteneva ai Melzi fin dal 1162. Per quanto riguarda la produzione, dai 500 fusi del 1836 il cotonificio passò ai 1.760 del 1838. Grazie ad un successivo miglioramento degli impianti, nel 1845 si ebbe un ulteriore incremento del numero di fusi per la filatura, che arrivò infatti a 3.546. Tra il 1820 ed il 1830 vennero eseguite le prime modifiche all'alveo dell'Olona.

Nel 1860 fu realizzata un'officina per falegnami e per meccanici. Nel 1862 il cotonificio prese possesso di 30 pertiche di terreno libero e di altri due mulini appartenenti alla Mensa Arcivescovile di Milano che sorgevano lungo l'odierna via Pontida. Per incrementare la forza motrice tratta dal fiume, nel 1860 iniziarono alcuni interventi sull'Olona nel tratto che attraversava la parte settentrionale del cotonificio. Fu infatti rettificato il corso del fiume con lo scavo di un nuovo alveo - pressoché rettilineo - che portò all'eliminazione delle anse naturali del corso d'acqua. Nel 1890 vennero realizzati analoghi lavori sul tratto meridionale.

Venne anche costruito un canale artificiale (il canale Cantoni, ultimato nel 1868) ad uso dello stabilimento. È di questo periodo la demolizione degli antichi mulini che sorgevano sulle rive dell'Olona. Questi ultimi furono infatti sostituiti da impianti più moderni che utilizzavano ruote idrauliche più efficienti.

Nel 1874 il cotonificio Cantoni prese possesso di un'area situata tra l'Olonella e il canale Cantoni dove sorgeva anche una tintoria appartenente ai fratelli Moranti. La Cantoni di questi anni, come risulta da un documento del 1876 conservato presso l'Archivio del Comune di Legnano, era, tra le industrie legnanesi, la principale per organizzazione e tecnologia. Tra le aziende tessili legnanesi, solo la Cantoni univa la filatura alla tessitura comprendendo un notevole numero di telai meccanici azionati, oltre che dalla forza idraulica originata dal fiume Olona, anche dall'energia prodotta dalle macchine a vapore. In questi anni l'azienda fece investimenti per il potenziamento dello stabilimento; fu edificata una nuova ala per la filatura (1882) e venne impiantata una nuova motrice a vapore che sostituiva le due precedenti con un cospicuo risparmio di carbone (1888). Furono inoltre costruiti diversi nuovi ponti sull'Olonella, sul canale Cantoni e sull'alveo originale dell'Olona (ora abbandonato). Nel 1885 furono coperti circa 50 metri dell'Olona per l'ingrandimento dei reparti di tintoria dei tessuti (sponda sinistra) e dei velluti (sponda destra).

Nel 1896 dalla contessa Barbara Melzi diede in affitto al Cotonificio Cantoni (per un periodo di 25 anni) un vasto terreno concedendo nel contempo il permesso di rettificare l'alveo del fiume dell'Olona anche nel tratto che attraversava le sue proprietà. Negli anni successivi furono prese in possesso altre aree che fecero arrivare la superficie dello stabilimento vicina alle dimensioni massime raggiunte nel XX secolo. Nel 1899 il cotonificio realizzò un grande serbatoio d'acqua vicino all'area del mulino acquistato nel 1841 e poi demolito, ovvero tra l'alveo originale dell'Olona e la strada del Sempione.

L'aspetto definitivo del cotonificio fu raggiunto all'inizio del XX secolo. Nei decenni successivi, infatti, non ci furono cambiamenti sostanziali nella struttura globale dello stabilimento. Il cotonificio fu elettrificato nel 1902. L'energia era fornita dalla Società Lombarda per un totale di potenza erogata di 3500 kW. In questi anni il reparto di filatura fu trasferito nello stabilimento di Castellanza. A Legnano rimasero la tessitura e la tintoria. Nel 1904 furono edificati nuovi capannoni sui terreni ancora liberi. Nello specifico, furono realizzati un padiglione per la fase di finitura dei tessuti, un magazzino per i tessuti grezzi ed un'officina.

Nel 1907 diventò direttore Carlo Jucker. Durante la sua direzione furono compiuti cospicui investimenti nello stabilimento. Tra il 1907 e il 1908 fu realizzato un nuovo capannone per la tessitura in mattoni a vista, all'interno del quale vennero sistemati circa mille nuovi telai, 240 dei quali di tipo Jacquard. Di questo periodo è anche l'ingrandimento dei capannoni contenenti gli impianti di confezionamento e di finissaggio, oltre che l'inaugurazione dei reparti di tagliatura dei velluti e delle garze. Fu poi costruito un nuovo reparto di candeggio con impianti all'avanguardia e fu modernizzato il settore di finissaggio.

Nel 1917 una devastante inondazione dell'Olona provocò gravi danni allo stabilimento. Pertanto, finita la guerra, furono costruiti nuovi argini e l'Olona fu incanalato. Il fiume, sebbene fosse già molto inquinato, non era ancora stato coperto. In questi anni una villa della prima metà del XIX secolo adiacente all'ingresso del cotonificio (già di proprietà di una famiglia nobiliare della zona, i Prandoni), diventò la nuova sede degli uffici della direzione tecnica. Tra il 1919 ed il 1923 il cotonificio investì nell'aggiornamento di alcuni impianti e nell'acquisto di nuovi telai. Tra il 1925 ed il secondo dopoguerra, l'Olona venne coperto.

Nel 1931 furono inaugurati i nuovi padiglioni per la lavorazione dei velluti. Gli edifici diventarono i più importanti del cotonificio da un punto di vista architettonico. Le facciate di queste costruzioni sono l'unica parte del cotonificio che è stata risparmiata dalle demolizioni del XXI secolo. Sono rimasti anche gli alberi del piazzale d'ingresso, alcuni dei quali risalgono all'inizio del XX secolo. È di questi anni (1927) la demolizione della quattrocentesca casa signorile appartenuta ai Lampugnani. Tale abbattimento fu realizzato per poter permettere l'ingrandimento dello stabilimento. Il palazzo fu poi riedificato in un altro luogo dal Comune di Legnano utilizzando alcune parti originali e destinandolo a museo civico della città.

Nel 1936 fu inaugurata una nuova centrale termoelettrica che comprendeva tre gruppi di alternatori eroganti una potenza complessiva di 12.300 kW. Nel 1941 e nel 1943 furono invece inaugurati due nuovi nuovo padiglioni per la tintoria e nel 1943 fu terminato il capannone per la mercerizzazione. Nell'agosto 1943 alcuni bombardieri britannici diretti a Milano colpirono per sbaglio Legnano causando una decina di morti: alcune bombe finirono anche sul cotonificio Cantoni (due sono state rinvenute e fatte brillare nel 2008).

Nel dopoguerra lo storico stabilimento legnanese seguì le sorti dell'azienda. Nel 1984 la Cantoni fu acquistata da Fabio Inghirami. La nuova proprietà chiuse il reparto di filatura della storica fabbrica legnanese e tentò di indirizzare la produzione verso tessuti più ricercati. Nonostante questo tentativo di salvare l'azienda, lo stabilimento chiuse nel 1985.

Da quell'anno l'ex sito produttivo venne abbandonato a sé stesso e cominciò ad essere occupato da clandestini ed a venire frequentato da spacciatori di droga. Nel corso degli anni si susseguirono vari progetti di recupero ed alla fine l'area è stata riqualificata. I padiglioni sono stati demoliti nel 2003 per la realizzazione di un parco pubblico, di un centro commerciale (la "Galleria Cantoni") e di una zona residenziale. Tra il 1989 e il 1991, una vasta area dell'ex Cotonificio nel comune di Castellanza è stata riqualificata dall'Unione degli Industriali della provincia di Varese (UNIVA), su progetto dell'architetto Aldo Rossi, creando la sede dell'Università Liuc. Per ordine della Soprintendenza ai Beni Culturali ed al Paesaggio di Milano, le due facciate più importanti architettonicamente, ovvero quelle del reparto velluti del 1931 affacciate su corso Sempione, sono state conservate e sono parte integrante dei nuovi edifici commerciali. Il resto del complesso, compresi altri edifici architettonicamente interessanti, sono stati demoliti.

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I MULINI DELL' OLONA

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I mulini ad acqua sul fiume Olona sono degli edifici destinati all'attività molinatoria che sono disseminati lungo le rive del fiume Olona.

Conobbero il loro apice di sviluppo nel XVII secolo con la presenza, lungo le rive del fiume, di circa un centinaio di impianti molinatori. In seguito, dal XVIII al XIX secolo, ci fu una fase di declino, che terminò appena dopo la seconda guerra mondiale, quando i mulini attivi ancora presenti sulle rive del fiume erano ormai solo una decina. Con il passare dei secoli, il loro numero è progressivamente diminuito, e solo una piccola parte è giunta sino al XXI secolo. Alcuni di essi versano in stato di abbandono, mentre altri sono stati recuperati per le più svariate finalità.

La presenza dei mulini, l'abbondanza di manodopera locale, l'esistenza di moderne e rilevanti vie di comunicazione lungo le sponde, la presenza di personalità della zona che possedevano cospicui capitali da investire e la lunga tradizione artigianale della Valle Olona permisero al fiume, che scorre in provincia di Varese e Milano, di diventare una delle culle dell'industrializzazione italiana.

Tra le sorgenti e Nerviano il corso del fiume era un tempo disseminato di mulini. Fin dal Medioevo, prosperava l'attività molitoria. Tale era il numero di mulini da far supporre che nel XV secolo questa attività costituisse per l'intera zona una notevole fonte economica. Il possesso dei mulini consentiva alle autorità di conservare il controllo dei territori circostanti. Quest'ultima, infatti, era collegata al rifornimento di cereali, da parte dei mugnai dell'Alto Milanese, alla città di Milano. Le famiglie nobiliari del tempo tendevano quindi a concentrare le proprietà dei mulini per conservare il potere discrezionale sul loro uso, soprattutto in tempo di carestia. Questa importanza fu tale anche nei secoli successivi, e per questo motivo le Signorie degli Sforza e dei Visconti posero a presidio dei più importanti raggruppamenti di mulini sull'Olona alcune fortificazioni, sfruttando fortilizi e castelli già esistenti. Il tratto del fiume dove erano presenti la gran parte dei mulini era quello tra Legnano e Pogliano.

Il più antico documento conosciuto nel quale si nomina un mulino sull'Olona è del 1043: esso fa riferimento ad un palmento di proprietà di Pietro Vismara situata a "Cogonzio" (toponimo poi scomparso), tra la località "Gabinella" a Legnano e Castegnate, nei pressi della chiesa di San Bernardo. L'attività vinicola dell'Altomilanese, un tempo fiorente, fu messa in crisi a metà del XIX secolo da alcune malattie della vite. La prima infezione, la nosematosi, comparve tra il 1851 ed il 1852 e causò una rapida diminuzione della quantità di vino prodotta in Lombardia: gli ettolitri di vino prodotti passarono da 1.520.000 del 1838 a 550.000 nel 1852. L'arresto definitivo della produzione vinicola coincise con il manifestarsi, tra il 1879 e il 1890, di altre due malattie della vite: la peronospora e la fillossera. In seguito a queste epidemie, le coltivazioni vinicole nell'intero Altomilanese scomparvero, ed i contadini concentrarono gli sforzi nella produzione di cereali e bachi da seta. Nelle altre zone vinicole lombarde il problema fu risolto con l'innesto di specie di viti immuni alla malattia (uva americana).

L'uso intensivo delle acque dell'Olona da parte degli agricoltori, dei mugnai e degli artigiani richiese da parte delle autorità l'emanazione di apposite norme (i cosiddetti "Statuti delle strade e delle acque del contado di Milano"): ciò avvenne la prima volta nel 1346 e poi nel 1396. Questi documenti spiegavano le modalità di sfruttamento delle acque nell'irrigazione e per il loro impiego come forza motrice per la movimentazione delle ruote idrauliche dei mulini. Da ciò si può dedurre l'importanza che le autorità dell'epoca attribuivano alla funzione dei mulini.

Le premesse all'istituzione di un consorzio tra gli utilizzatori delle acque del fiume si ebbero nel 1541, quando furono sottoscritte le cosiddette Novae Costitutiones (in italiano, le "nuove costituzioni"). In questo caso il nuovo contratto, che aveva carattere pubblico, prevedeva un Regius Judex Commissarius Fluminis Olona (in italiano, "commissario del fiume "), che sovrintendeva al controllo degli utilizzatori delle acque dell'Olona. In genere, tale funzione era ricoperta da un esponente del Senato di Milano. Le Novae Costitutiones, e le cariche ad esse associate, restarono in vigore fino al 1797.

Nel 1548 fu emanata una "grida" che obbligava gli utilizzatori delle acque a comprovare, tramite documentazione scritta, i dettagli dei vari impieghi. Il mancato rispetto di queste norme comportava il pagamento di sanzioni, nei confronti delle quali le famiglie nobiliari erano esentate. In questi secoli la distribuzione delle acque non era equanime. Gli utilizzatori più ricchi e potenti prevaricavano infatti su quelli più poveri e indifesi.

Nel 1606 fu costituito a Milano un vero e proprio consorzio fra gli utilizzatori sotto la sorveglianza del commissario del fiume. Non fu un caso che il consorzio sia nato a Milano: nel capoluogo meneghino dimoravano infatti gli utilizzatori delle acque che avevano gli interessi più cospicui. Questa associazione consortile sopravvive ancora con il nome di consorzio del fiume Olona.

Nel 1606 la Regia Camera Ducale di Milano commissionò alcune "oculari ispezioni" eseguite da ingegneri provinciali o da custodi del fiume, ai quali era assegnata la salvaguardia dei singoli tratti del fiume. L'ingegner Pietro Antonio Barca censì 106 mulini tra la sorgente della Rasa di Varese sino alla città di Milano, di cui 105 utilizzati per la macinazione del grano mentre l'ultimo, ubicato a Milano e di proprietà dei Reverendi Frati di San Vittore Olona, azionava un maglio per la costruzione di armi e corazze. I primi censimenti consentirono, per la prima volta, un'indagine approfondita dei mulini presenti lungo il fiume. Era infatti interesse del governo trovare gli abusi e gli sprechi perpetrati dagli utenti, e determinare con precisione le tasse che questi ultimi dovevano pagare per il prelevamento dell'acqua.

Nell'ispezione del 1606 si costatò che la zona del Legnanese era un luogo adatto per la costruzione dei mulini, dato che in quest'area il fiume Olona forniva acque costanti per gran parte dell'anno, e sufficientemente veloci per muovere le grandi pale. In questo tratto di fiume ne risultarono in attività 14. Nel 1608, nel corso di un sopralluogo eseguito dall'ingegnere Paolo Barca, venne costatata la presenza di 116 mulini lungo il fiume con 463 ruote idrauliche a servizio di questi impianti molinatori (chiamate, nella Valle Olona, "rodigini"). Dato che le ruote in funzione erano 463, da questi dati si può dedurre che molti mulini avevano più di una ruota. Ognuna di esse poteva svolgere una funzione diversa. Con la relazione di Barca furono determinati per la prima volta il numero dei mulini, delle ruote e dei proprietari.

Nel 1733 fu compiuto un secondo censimento. Realizzato dal camparo Gaspare Bombelli, questo documento riportava i mulini e gli edifici presenti lungo il corso del fiume. Nel 1772 fu compiuto un terzo censimento, questa volta ad opera del conservatore Gabriele Verri e dall'ingegner Gaetano Raggi. Qui il numero di mulini era diminuito, passando da 116 a 106, per un totale di 424 rodigini. Questi mulini muovevano anche un filatoio, due folle di panni, alcuni torchi d'olio e un maglio. Nell'anno citato a Legnano i mulini erano diminuiti a 12 e tra i proprietari erano presenti, oltre che una buona parte delle famiglie nobili, anche l'Ospitale Maggiore di Milano e la Mensa Arcivescovile della Diocesi di Milano. A partire dal XVIII secolo cambiò anche la ripartizione delle proprietà. Dai censimenti del Settecento risultava infatti che le proprietà legate agli ecclesiastici erano diminuite.

Fino al XVIII secolo i mugnai che lavoravano nei mulini non erano, in genere, anche i loro proprietari. Dalla fine del secolo citato, i molinari iniziarono ad acquistare i mulini dove esercitavano la loro attività.

Un secolo dopo il numero di mulini scese ancora. Nel 1881, stando alla relazione dell'ingegner Luigi Mazzocchi, nominato ingegnere d'Olona nel 1880 dal consorzio del fiume, i mulini erano infatti 55, per un totale di 170 ruote. Da questo censimento risulta che i proprietari dei mulini non appartenevano più alla classe nobiliare ed a quella ecclesiastica, ma alla nascente classe borghese.

I mugnai, cioè coloro che lavoravano e dimoravano con la loro famiglia nei mulini lungo l'Olona, erano definiti "conduttori". I conduttori, a loro volta, ricevevano il permesso di insediarsi nei mulini dai cosiddetti "livellari", cioè da coloro che gestivano e controllavano gli impianti molinatori per conto dei proprietari veri e propri. Molto spesso erano i livellari a lavorare nei mulini senza delegare questo compito ai conduttori. La gestione dei mulini era feudale. La funzione di conduttore del mulino era infatti ereditaria, cioè passava di padre in figlio. In assenza di figli maschi, il livellaro sceglieva un nuovo conduttore.

Le denominazioni dei mulini difficilmente richiamavano il nome del proprietario. Esse erano generalmente legate ai nomi dei conduttori e dei livellari. Ad esempio, il mulino Gadda di Fagnano Olona era conosciuto in questo modo per il cognome del livellaro e non per i conti Terzaghi, che ne erano i proprietari.

A cavallo tra il XVIII ed il XIX secolo questa situazione cominciò a mutare. I livellari ed i conduttori, grazie al denaro accumulato negli anni e con il passare delle generazioni, furono in grado di acquistare i mulini dai padroni storici.

I mulini del fiume Olona non venivano utilizzati solamente per macinare i cereali, ma anche per produrre olio di semi, per pilare il riso e per far muovere i macchinari degli artigiani. Le ruote installate lungo l'Olona facevano infatti funzionare i magli per la lavorazione del rame e del ferro, le segherie (sia di marmo che di legname), e gli strumenti degli artigiani tessili. Lungo le sponde del fiume, le stoffe di canapa e lino venivano macerate, mentre quelle di lana erano sottoposte a lavaggio. A causa dei depositi che decantavano sul fondo, le attività connesse alla lavorazione del lino e della canapa vennero in seguito vietate.

I mulini sono stati protagonisti della prima fase della rivoluzione industriale che ha coinvolto la valle Olona nel XIX secolo. Dopo il 1820, i mulini iniziarono ad essere utilizzati per far muovere i macchinari delle prime fabbriche sorte lungo le sponde del fiume. Durante lo sviluppo industriale del XIX e XX secolo, molti mulini entrarono a far parte degli stabilimenti industriali che stavano sorgendo lungo l'Olona. Infatti, molte attività preindustriali che sorsero nella Valle Olona, e che furono i nuclei dei futuri e moderni stabilimenti industriali, vennero impiantate lungo le rive del fiume per permettere la movimentazione degli impianti grazie allo sfruttamento della forza motrice delle acque. Questa forza motrice venne originata grazie alla modifica e all'ampliamento dei mulini destinati originariamente alla macinazione dei prodotti agricoli. L'industrializzazione delle sponde dell'Olona fu quindi graduale, con gli imprenditori che preferirono sfruttare gli impianti idraulici degli antichi mulini piuttosto che impiantarne di nuovi. In altre parole, l'industria nasceva come metamorfosi di parte degli antichi mulini, che si trasformarono dapprima in protoindustrie e poi in attività industriali vere e proprie. Come conseguenza, la maggior concentrazione di attività preindustriali si ebbe in corrispondenza dei tratti del fiume dove era maggiore la presenza di impianti molinatori.

L'avvento dell'industria è stata la conseguenza naturale di un processo che, nel tempo, ha visto il fiume svolgere la funzione di perno delle attività economiche. Lo spirito d'iniziativa e la presenza dei mulini hanno innescato un fenomeno industriale di grandissimo rilievo. Molti pionieri dell'industria fecero della zona uno dei più importanti centri industriali tessili italiani del XIX secolo, inglobando, all'interno delle loro fabbriche, diversi mulini. All'inizio del XIX secolo, alle pale mosse dall'acqua, furono collegate delle grandi cinghie che muovevano telai tessili, macchine utensili, magli e persino gli impianti di una fabbrica per la birra. Nel corso del XIX secolo gli imprenditori fecero a gara per accaparrarsi gli antichi mulini. Molti mugnai rifiutarono le offerte, ma altri cedettero le loro attività alle nascenti industrie.

Un esempio di azienda che sorse lungo l'Olona e che sfruttò originariamente la forza motrice del fiume fu il cotonificio Cantoni. Anche in questo caso l'attività di filatura utilizzava i mulini da grano già esistenti sul fiume, opportunamente adeguati. Prima Camillo Borgomanero (fondatore del primo nucleo produttivo del cotonificio), poi Costanzo Cantoni, acquistarono due impianti molinatori: il mulino Isacco (già della famiglia Lampugnani, ed acquistato nel 1819) ed il mulino Cornaggia-Medici (1841). Quest'ultimo mulino era molto antico, essendo appartenuti ai Melzi fin dal 1162. In un documento del 27 marzo 1847 si può leggere: "Il Sig. Cantoni Proprietario di due mulini uniti posti sull'Olona, il primo detto del Pomponio in mappa al n. 1632. Fu venduto dal nobile Sig. marchese Cornaggia venduto nell'anno 1831 alla ditta Bazzoni & Sperati, ed indi nel 1841 acquistato dal Sig. Cantoni".

Nel 1881 i mulini censiti furono 55 ed alcuni di essi avevano cambiato la loro attività iniziale. A Induno Olona alcuni mulini azionavano una macina e un torchio per olio, una conceria per le pelli e un torcitoio per la seta. Nella zona di Varese, i mulini erano quattordici ed per tre di questi erano associate due cartiere e un torcitoio per la seta. Lungo il corso del fiume nella valle Olona, l'ingegner Mazzocchi notò nei mulini molti torchi per l'olio, cartiere e numerose filature, tessiture e tintorie. Ad esempio, a Legnano, su 11 mulini censiti, in quattro si continuava nella tradizionale macinatura del grano (nello specifico, nei mulini della Gabinella, del Contess, del Castello e Melzi), mentre negli altri la funzione era cambiata, essendo stati inglobati negli stabilimenti industriali. I mulini che macinavano ancora cereali e che non erano stati inglobati nelle industrie, vennero poi resi gradualmente obsoleti dalle nuove tecniche di macinazione.

Molti di essi furono in seguito abbandonati o demoliti dalle industrie per poter permettere l'installazione delle più moderne ed efficienti turbine idrauliche. Lo scopo dell'acquisizione dei mulini e della successiva installazione di ruote idrauliche era quello di far muovere i macchinari delle industrie tessili, meccaniche, conciarie, cartarie, oltre che gli impianti delle tintorie, delle sbianche e delle centrali idroelettriche. Per quanto riguarda queste ultime, nel 1920, lungo l'Olona, erano operative due centrali idroelettriche. Anche dieci aziende sorte lungo l'Olona possedevano delle piccole centrali idroelettriche a servizio degli stabilimenti.

Poi, con la comparsa dei motori a vapore e di quelli elettrici a cavallo tra il XIX ed il XX secolo, l'energia per far muovere i macchinari non proveniva più solamente dall'Olona e quindi le ruote idrauliche furono gradualmente abbandonate. A Legnano i sette mulini del centro città furono demoliti dalle grandi industrie cotoniere per permettere l'installazione delle più moderne ed efficienti ruote idrauliche. Nel periodo post bellico, a causa delle nefaste conseguenze del conflitto, crebbe il fabbisogno di corrente elettrica, e l'uso delle vecchie ruote dei mulini tornò ad essere economicamente conveniente, anche se solo per le piccole officine. Gli antichi mulini ripresero dunque ad azionare trapani, piallatrici, mole a smeriglio, ecc., ma anche questo nuovo risveglio si spense presto col mutare delle condizioni economiche.

Come già accennato, dopo un lunghissimo servizio reso principalmente all'agricoltura, molti degli antichi mulini sono scomparsi, vittime del progresso della tecnologia e delle nuove tecniche di macinazione, oltre che della nascita dei primi insediamenti industriali. Al XXI secolo, è rimasto ben poco di quel paesaggio fluviale costellato di mulini, che nei secoli scorsi caratterizzava le rive del fiume Olona.

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LA VALLE OLONA

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La Valle Olona è una valle che inizia a sud di Varese e termina a Castellanza. La valle è stata scavata in parte dai ghiacci dell'ultima glaciazione e in parte dall'Olona.
In genere è caratterizzata da un fondovalle senza centri abitati se non per l'eccezione di Castegnate (costituente la parte cosiddetta "in giò" di Castellanza e situata allo sbocco della vallata) e delle due frazioni di Gornate Olona (Torba e San Pancrazio). Più a nord invece, uno degli ultimi centri ancora abitati è quello dei Mulini di Gurone, il luogo oggi ospitante la diga destinata a proteggere i paesi sottostanti dal rischio di esondazioni del fiume.

Sul fondovalle e disseminati tra le numerose zone umide ed i boschi di latifoglie che ne caratterizzano le pendici circostanti, è spesso riscontrabile la presenza di parte dei complessi industriali dismessi o abbandonati appartenenti a questo versante della Provincia di Varese ed altrettanti mulini ad acqua, un tempo parti integranti delle economie locali.

Nella valle è anche presente il tracciato della Ferrovia della Valmorea, un tempo abbandonato ed oggi trasformato in pista ciclopedonale nel tratto tra Castellanza a Castiglione Olona ed invece ristrutturato per poter ospitare un treno turistico sulla tratta Malnate-Mendrisio.

La Valle Olona era il cuore del Contado del Seprio, della cui capitale conserva tuttora le rovine nel comune di Castelseprio. Nel 1287 tutto il Seprio fu ufficialmente annesso alla Signoria dei Visconti, che nel 1395 divenne il Ducato di Milano ed a cui la stessa Valle appartenne fino all'epoca napoleonica.
Sin dal Medioevo questa parte del territorio lombardo fu tra i maggiormente sfruttati perché grazie alla presenza del fiume e dei suoi affluenti, fu possibile l'edificazione di numerosi mulini destinati a sfruttare la forza motrice delle acque per azionare le macine, i magli, i frantoi e le segherie necessarie alla lavorazione dei prodotti locali come il legno, il grano ed i semi oleosi del ravizzone e della colza.
Nel 1610, quando venne creato il consorzio del fiume Olona per disciplinare l'uso di queste acque, i mulini sull'Olona (distribuiti sull'intero corso a monte di Rho) erano 116 ed erano forniti di 463 rodigni.

Verso la metà dell'Ottocento e durante il primo sviluppo dell'Industrializzazione, anche i sistemi di sfruttamento della Valle subirono un cambiamento ed i mulini vennero soppiantati (oppure affiancati), da complessi industriali più fruttosi e moderni come i cotonifici (ad esempio il Cotonificio Cantoni di Castellanza, il Cotonificio Ponti di Solbiate Olona ed il Cotonificio Enrico Candiani di Fagnano Olona), le concerie (Conceria Fraschini di Varese), le cartiere (Cartiera Vita-Mayer di Cairate e Cartiere Molina di Varese e Malnate), oppure le fornaci da laterizi o calce, ed ancora da impianti di filatura o tintoria.
La Valle Olona e la sua cosiddetta conurbazione divennero quindi una delle maggiori aree industriali italiane e l'utilizzo intensivo delle sue acque, sia come forza motrice che per le lavorazioni dirette, ebbe un tale risvolto inquinante sul suo fiume principale che lo condusse a divenire il corso d'acqua più inquinato d'Italia. Un triste primato avvicinato solo dal Lambro, il Seveso, la Lura, il Mella e l'Arno, gli altri fiumi della Lombardia che tuttora attraversano le zone a più alta concentrazione industriale.

Dopo l'avvio della nuova era dell'economia industriale avvenuto negli anni settanta ed al conseguente periodo di crisi e di fallimenti che afflisse l'economia delle industrie presenti nella valle (spesso messe in ginocchio anche dalle frequenti esondazioni), il fiume ha costantemente migliorato la qualità delle acque fino a riaggiungere e superare il grado sufficiente nel tratto tra Varese e Castellanza ed oggi, con l'istituzione di due Parchi Locali di Interesse Sovracomunale (PLIS) che tutelano il fondovalle, si può finalmente asserire che anche la natura della valle è tornata in primo piano.

I versanti della Valle Olona sono in gran parte ricoperti da boschi. Nel fondovalle, invece, ai boschetti si alternano terreni coltivati, brughiere e prati, oltre ad aree industriali dismesse dove la natura le sta ricoprendo principalmente nella forma di piante rampicanti od arbusti.

Tra le latifoglie si trovano pioppi, querce farnie, carpini bianchi, castagni, robinie, querce rosse, ontani neri, salici, frassini, ciliegi ed olmi campestri.
Gli arbusti sono rappresentati da rovi, nocciòli, biancospini, cornioli, luppolo, sambuchi e cappelli del prete.
Tra i fiori spontanei si annoverano il bucaneve, la campanella, il dente di cane, il mughetto, la primula, il ciclamino, l'ortica e il ranuncolo.
Le conifere, poco diffuse, annoverano l'autoctono pino silvestre e l’abete rosso, importato dall’uomo.
Nella parte nord della valle esistono anche alcuni canneti mentre, lungo tutte le zone umide sono diffusissime molte specie di felci.

Un fenomeno interessante è dato dal ritorno del bosco sulla brughiera. Questa è costituita da distese di brugo, un piccolo arbusto dalla caratteristica fioritura autunnale che nel passato era oggetto di sfalcio per essere utilizzato come lettiera per gli animali e spesso le distese secche erano preda di incendi. La cessazione della prima pratica e la sensibile diminuzione dei secondi consentono la crescita spontanea di essenze d'alto fusto e, per ora, di radi boschi.

In un ambiente fluviale, la tipologia animale più rilevante è naturalmente quella ittica. Due secoli fa l’Olona abbondava di pesci, ma lo sviluppo industriale li portò all'estinzione. Dopo il 2000 e la chiusura di molte fabbriche ma soprattutto grazie alla costruzione di numerosi impianti di depurazione, l’acqua è lentamente tornata pulita ed i pesci sono lentamente tornati a vivere nel fiume.
Abbastanza comuni sono quelli di piccola taglia come i vaironi, le scardole, i carassi e sono presenti anche i cavedani di media taglia. Più rari invece, ma comunque presenti, sono i barbi e le trote iridee mentre in alcune pozze presso Castiglione Olona vivono esemplari di pesce persico.

Tra gli uccelli acquatici, diffusissimi sono i germani reali e sono comuni, ma più difficili da vedere perché piuttosto schive, le gallinelle d’acqua e le folaghe mentre, seppur rari sono comunque presenti l’airone cenerino, la garzetta e la nitticora.
Per quanto riguarda gli uccelli di bosco, sono numerose le specie passeriformi e tra cui gli stessi passeri, i merli, i tordi, le rondini, i pettirossi, ed i fringuelli, così come i verdoni, i verzellini, le cornacchie, le gazze, i codirosso, gli usignoli, i corvi ed i cardellini.
Tra i columbiformi vi sono le tortore ed i colombi mentre tra gli upupidi esistono gli esemplari di upupa epops.
Più rari sono picidi come il picchio rosso maggiore ed il picchio verde od i rapaci come l’allocco, il gufo, la civetta, il gheppio e la poiana.
Altra importante componente di questo ecosistema fluviale sono gli anfibi come il rospo smeraldino, il rospo comune, la rana dalmatina la rana verde, la raganella e la più rara rana di Lataste. Tra gli anfibi muniti di coda sono presenti i tritoni crestati ed i tritoni punteggiati.
Tra i mammiferi vi sono i più tipici dei bosco di latifoglie, come la volpe rossa, lo scoiattolo, il ghiro, il tasso, le donnole e le faine più il riccio ed alcuni tipi di topo selvatico.
Per quanto riguarda i serpenti, sono perlopiù innocui: la biscia d’acqua, il biacco ed il saettone ma non manca la vipera, l’unico serpente velenoso mentre, ed infine tra i sauri si annoverano le comunissime lucertole, il ramarro e l’orbettino.

Dei numerosi mulini ed industrie sorte lungo il corso del fiume e chiuse progressivamente a partire dalla seconda metà del novecento, oggi buona parte giace in condizioni di abbandono, degrado e di difficile controllo socioculturale (ad esempio, nella ex Cartiera Vita Mayer di Cairate si è svolto un rave party) ed il recupero archeologico dell'intero patrimonio storico della valle appare sempre più problematico.

Non mancano però alcuni esempi incoraggianti, come il recupero del Cotonificio Cantoni di Castellanza, che nel 1991 è stato adibito a sede dell'università Carlo Cattaneo, ma prima che vadano del tutto perduti, andrebbero recuperati specialmente i mulini in rovina che esistono in valle, spesso di origini settecentesche o addirittura precedenti e dunque meritevoli di grande attenzione.

È spesso citato come un reperto di archeologia industriale in fase di recupero anche il tracciato della Ferrovia della Valmorea.

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venerdì 6 marzo 2015

CRESPI D' ADDA

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Crespi d'Adda è una frazione del comune italiano di Capriate San Gervasio, in provincia di Bergamo, Lombardia.

Il paese sorge poco sopra la confluenza del fiume Brembo nell'Adda, all'estremità meridionale dell'Isola bergamasca.

È sede di un villaggio operaio, operante nel settore tessile cotoniero sorto a opera di Cristoforo Benigno Crespi a partire dal 1875 e passato poi nelle mani del figlio.

Per il suo rilievo storico e architettonico fu, nel 1995, annoverato tra i patrimoni dell'umanità dall'UNESCO.

Il villaggio venne costruito durante l'ultimo quarto del XIX secolo dalla famiglia Crespi, che scelse quest'area, vicina al fiume Adda, per costruire un cotonificio. La fondazione si fa risalire al 1878, anno in cui il bustocco Cristoforo Benigno Crespi acquistò 85 ettari di terra dai comuni di Capriate San Gervasio e Canonica d'Adda. I lavori di costruzione vennero affidati all'architetto Ernesto Pirovano e all'ingegnere Pietro Brunati.

L'ambizioso progetto di Crespi prevedeva di affiancare agli stabilimenti - similmente a quanto già accadeva nell'Inghilterra della rivoluzione industriale - un vero e proprio villaggio che ospitasse alcuni operai della fabbrica e le loro famiglie. Il neonato insediamento venne dotato di ogni struttura necessaria: oltre alle casette delle famiglie operaie (complete di giardino ed orto) e alle ville per i dirigenti (che vennero costruite in seguito), il villaggio era dotato di chiesa (copia in scala ridotta del Santuario di Santa Maria di Piazza di Busto Arsizio), scuola, cimitero, ospedale proprio davanti alla fabbrica, campo sportivo, teatro, stazione dei pompieri e di altre strutture comunitarie.

Il cimitero di Crespi d'Adda, realizzato dall'architetto Gaetano Moretti (cui i Crespi avevano commissionato anche i lavori di realizzazione della centrale idroelettrica di Trezzo sull'Adda), è dominato dalla tomba della famiglia Crespi: una piramide con scalone monumentale, di stile eclettico e di gusto esotico, affiancata da due ampie esedre che sembrano idealmente simboleggiare l'abbraccio della famiglia Crespi a tutti gli operai del villaggio. Nel prato di fronte al famedio dei Crespi vi sono piccole croci disposte in modo ordinato e geometrico, mentre le tombe più elaborate sono allineate lungo i muri di cinta, memoria della stratificazione sociale della comunità. Negli ultimi decenni, tuttavia, il cimitero ha perso parte del suo originario rigore: tombe e monumenti recenti si sono sostituiti o aggiunti alle originali sepolture. Il cimitero è tuttora in funzione, caro alla comunità locale. La via principale ha anche un significato simbolico.

Nel 1889 la frazione di Crespi, sino ad allora compresa nel comune di Canonica d'Adda nel circondario di Treviglio, venne assegnata al comune di Capriate d'Adda nel circondario di Bergamo.

In data 11 ottobre 2013 il complesso dell'ex cotonificio viene acquistato dall'imprenditore Antonio Percassi con l'intenzione di utilizzarlo come quartier generale delle sue aziende. I relativi lavori di ristrutturazione partiranno a inizio 2014 e dovrebbero terminare entro l'inizio di Expo 2015.

All'inizio degli anni novanta a livello comunale fu proposto un piano regolatore che prevedeva nuove edificazioni nell'area del villaggio operaio. L'associazione culturale locale "Centro Sociale Fratelli Marx" (CSFM), supportata dal locale circolo di Legambiente e da diverse persone coscienti del valore del villaggio, volle contrastare questa proposta decidendo di tentare l'iscrizione del sito di Crespi d’Adda nella Lista del Patrimonio Mondiale Unesco.

Fu costituita la Consulta per Crespi, che iniziò un’opera di informazione e pressione sui politici e gli organi di informazione locali per scongiurare l'applicazione del piano urbanistico.

Il 5 dicembre 1995 il "Villaggio operaio di Crespi" è entrato a far parte della Lista del Patrimonio dell'umanità dell'Unesco. È uno degli esempi meglio conservati di villaggio operaio industriale che esistano al mondo. Contrariamente a siti analoghi, lo stabilimento è stato funzionante fino al dicembre 2003 e le case sono tuttora abitate.

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