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venerdì 22 maggio 2015

IL CIMITERO MONUMENTALE DI BUSTO ARSIZIO

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Il cimitero monumentale di Busto Arsizio è uno dei tre attuali cimiteri della città, oltre a quelli di Borsano e di Sacconago. È situato all'inizio di via Favana, strada che prende il nome da una cascina che si trova sul suo percorso.

Alla fine del XIX secolo, il campo santo precedente, situato appena fuori dai confini dell'antico borgo (in prossimità della chiesa di San Gregorio in Camposanto), divenne troppo piccolo, nonostante l'ampliamento del 1825. Si rese pertanto necessaria la costruzione di un nuovo cimitero per la città di Busto Arsizio.

L'attuale cimitero monumentale fu progettato dall'ingegner Ercole Seves sul modello del cimitero di Milano di Carlo Maciachini. Venne edificato in un luogo allora lontano dall'abitato, all'incrocio tra la via per Lonate e la via Corbetta. Fu inaugurato nel 1894.

Circa trent'anni dopo si rese necessario il primo ampliamento, progettato dall'architetto Franco Poggi: la superficie quasi raddoppiò. L'area cosiddetta dei patii è stata progettata dall'architetto Luigi Ciapparella negli anni settanta del secolo scorso. Il completamento di tale ampliamento è previsto a breve.

Nel frattempo anche la città è cresciuta e il nuovo quartiere sorto intorno alla chiesa di Santa Maria Regina ha circondato l'area cimiteriale. Per tale ragione, non sono possibili ulteriori ampliamenti.

Il cimitero monumentale è un vero e proprio museo dell'architettura e della scultura del XX secolo. Tra le opere più interessanti dal punto di vista artistico si possono annoverare il mausoleo Ottolini progettato dall'architetto marnatese Camillo Crespi Balbi per la famiglia proprietaria del cotonificio Bustese, la piramide Tosi-Xeconti (oggi Comerio) di Amedeo Fontana e l'edicola Radice (1919) dell'architetto teramano Silvio Gambini.

La valenza artistica del patrimonio custodito tra le mura del cimitero è stata anche messa in evidenza attraverso una mostra fotografico–didattica dal titolo "Storia & Arte nei cimiteri di Busto Arsizio", curata da Gian Franco Ferrario ed allestita a Palazzo Marliani-Cicogna nei mesi di febbraio e marzo del 2008. Nel dicembre dell'anno successivo è stato organizzato dall'amministrazione comunale un itinerario dal titolo "Il Liberty nell'arte funeraria" volto alla scoperta dei piccoli capolavori architettonici e dei monumenti presenti, testimonianze di tale stile architettonico.

Busto Arsizio è stato il primo comune lombardo e il secondo in Italia dopo Novara nel quale è stato applicato il D.P.R. 10/09/1990 n. 285 sulla sepoltura dei bambini non nati  che in mancanza di esplicite richieste sarebbero smaltiti insieme ai rifiuti ospedalieri. L'associazione "Difendere la vita con Maria", che a Busto Arsizio ha avuto la sua prima sede a livello nazionale, è presente in 13 regioni italiane e si fa carico di tutti i costi.

I primi sette funerali vennero celebrati dall'allora decano monsignor Claudio Livetti il 29 settembre del 2000 insieme a don Maurizio Gagliardini, presidente dell'associazione.

Da quel momento, ogni ultimo venerdì del mese vengono seppelliti, attraverso un'inumazione collettiva, i feti abortiti in modo spontaneo o volontario. I bambini non nati sono sepolti nel campo 21, sul retro della chiesa posta al centro della zona vecchia del cimitero.



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lunedì 11 maggio 2015

LA CHIESA DI SAN LORENZO A BAGOLINO



La chiesa di S. Lorenzo, un tempo cappella dell'antico cimitero, conserva della primitiva costruzione solo l'abside e i resti di due finestre gotiche, murate. Fu distrutta più volte da incendi (nel 1779 e nel 1915): è stata ristrutturata recentemente conservando le strutture che le erano state date nel rifacimento del 1924.

Il primo altare di destra ha una tela dell'Itagliani raffigurante il martirio di S: Lucia.
Nel secondo possiamo ammirare S. Antonio abate del Ridolfi.
Di fronte c'è il quadro più famoso di A. Moreschi il pittore di Bagolino del '1600. La La Natività  è una copia di quella del Savoldo conservata nella pinacoteca di Brescia.
Nel primo nicchione di sinistra vi trova posto un'altra tela del Moreschi raffigurante Gesù presentato al tempio.
Nella porta di sinistra ora murata è collocata una lunetta proveniente dalla chiesa degli Adamino che raffigura la stessa famiglia offrente la chiesetta alla Madonna.Anonima è la pala dell'abside racchiusa in una pregevole soasa, con la Madonna tra S. Giuseppe e S. Lorenzo. Di tutti gli altri quadri non si conosce l'autore.




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giovedì 30 aprile 2015

LA CHIESA DEI SS. PRIMO E FELICIANO A LEGGIUNO

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La chiesa, originariamente dedicata a San Siro, venne eretta nel IX secolo dal franco Eremberto, vassallo regio che svolgeva delicati incarichi di controllo militare sulle vie di comunicazione lungo il Lago Maggiore. L'edificio mutò dedicazione nel settembre 846 quando vi vennero traslate le reliquie dei due santi donate a Eremberto da papa Sergio II a seguito di un pellegrinaggio a Roma. La costruzione altomedioevale venne dotata in seguito di campanile e sottoposta a profonde modifiche nel XV secolo che le diedero l'attuale configurazione gotica.

Nella chiesa, in origine dedicata al vescovo pavese san Siro,  sono custodite dall’anno 846 d.C. le reliquie dei due santi soldati, martiri sotto Diocleziano,  che furono donate da papa Sergio II al dignitario regio, come attesta un documento dell’epoca.
L’edificio   ha una caratteristica singolare: costituisce infatti un piccolo museo di lapidi, sia all’interno che all’esterno. Infatti  per la  sua balaustra furono  riutilizzate le pareti marmoree di un sarcofago romano finemente intagliato  (II secolo d. C.) di provenienza orientale, tre segmenti di marmo bianco con decorazioni a colonne ed arcate e un’iscrizione in splendide lettere in capitale quadrata: riporta il nome del committente, Caius Iulius Grattianus. Il suo utilizzo come balaustra è documentato almeno dal 1569. Invece   ai lati della porta d’ingresso vennero poste due colonne romane con eleganti  capitelli corinzi. Ancora memorie dell’antichità si possono ammirare nello spiazzo antistante la chiesa, ritrovate nei dintorni del paese e qui collocate dopo la metà dell’800: si tratta di due grandi  are romane (ai lati del portale ) e altri frammenti appoggiati alle strutture architettoniche. Sulla facciata della chiesa a sinistra  si trova poi una pietra di colore giallognolo, in due pezzi, ritrovata durante gli scavi effettuati sotto l’altare  nel 1920: si tratta della lastra tombale del fondatore della chiesa stressa,  Eremberto, databile alla fine del IX secolo. Sul muretto a destra della facciata sta una seconda epigrafe alto medievale, sempre della stessa epoca,  recentemente reinterpretata da uno studioso di origine leggiunese, il professor Marco Petoletti.
La facciata, a capanna, presenta un portale gotico sovrastato da un rosone, in cotto, aperto probabilmente nel secolo XVII, quando si costruì la sacrestia sul lato sud della chiesetta.

L’edificio presenta un’ unica navata a forma di rettangolo irregolare, divisa in due campate. Due sono le  pareti affrescate in discrete condizioni, risalenti a periodi diversi. La parete sud del presbiterio conserva ancora un  dipinto datato 1488 – opera di Joannes Bernardinus de Laveno- che rappresenta nella parte superiore una bella Natività, con una città turrita sullo sfondo e nella fascia inferiore tre santi, in tre scomparti ornati da finte tappezzerie: S. Primo, S.Siro  e S.Feliciano. Si possono distinguere anche alcuni stemmi nobiliari.
L’abside invece è affrescata con un trittico, realizzato nel 1633 a mo’ di pala d’altare su committenza della famiglia Luini. Raffigura la Madonna con Bambino tra i santi Primo e Feliciano, ai lati dei quali, in due finte  nicchie, stanno  san Carlo Borromee e san Giovanni Battista. L’opera,  attribuita alla scuola del Morazzone,  fu  in parte rovinata da maldestri ritocchi ottocenteschi.
Sulla parete settentrionale, a sinistra entrando,  si vede una Madonnina con Bambino, affrescata, dalle origini incerte (si ipotizza una mano quattrocentesca o secentesca). In ogni caso  presenta nella parte inferiore un rifacimento grossolano.
La decorazione più antica si trova sulla medesima parete, verso l’altare, ed è  una croce “di consacrazione”  risalirebbe ad epoca romanica, come le tracce di intonaco bianco lucido e la banda grigio scuro che contorna il rosone sopra l’ingresso.
Sia i costoloni delle volte (costruita probabilmente in un secondo tempo rispetto alla chiesa, che in origine doveva avere una capriata a vista in legno) che le lesene rivelano ugualmente un colore grigio scuro, che accostato al bianco dell’intonaco sono tipici  della  decorazione romanica.
Importantissima la lapide  murata a destra dell’altare, nella parete absidale,  che commemora la traslazione delle reliquie dei martiri Primo e Feliciano da Roma a Leggiuno nell’anno 846 per opera di Eremberto.
 
L’alta e robusta torre di pietre  a vista  che affianca la chiesa è caratterizzata da  feritoie irregolari  che si aprono sui lati (due sul lato della facciata) e quattro strette bifore su ciascun lato della cella campanaria. Fu aggiunta in un secondo tempo, intorno al secolo XI.

Nel 1920 si effettuò un consolidamento e un restauro generale della chiesa, ad opera dell’architetto Ferdinando Reggiori, con il pieno sostegno del prevosto don Antonio Masciocchi. Scoperchiato il pavimento, si trovarono quattro tombe scavate tra il muro frontale e un muro trasversale sotterraneo; sotto il mastodontico altare del tempo, accostato alla parete dell’abside, fu poi  scoperta un’urna contenente  le reliquie dei martiri Primo e Feliciano, come già si presumeva dallo studio degli antichi documenti. L’altare fu rifatto ex novo, di dimensioni ridotte, lasciando a vista la colonnina che metteva in contatto il reliquiario con la mensa dell’altare stesso.

Fondamentale importanza, naturalmente, rivestono le iscrizioni antiche e medievali custodite in S. Primo con la loro testimonianza. Due ponderose are romane campeggiano ai lati della facciata; altri frammenti, di più dubbia identificazione, sono appoggiati alle strutture architettoniche. Ma le due are adesso menzionate sono per così dire elementi estranei, perché a metà dell’Ottocento si trovavano presso la chiesa prepositurale di S. Stefano. Cesia Ortensia eresse la prima, sulla sinistra, per il proprio carissimo marito Lucio Virio Viniciano; l’altra, sulla destra, ornata sui lati da raffinati vasi con racemi di vite, fu dedicata da Lucio Virio Viniciano alla memoria del suo eccellente padre Lucio Virio Frontino, pontefice della Colonia Elia Augusta, nome assegnato a Milano dall’imperatore Elio Adriano dal 130 dopo Cristo.

Un’iscrizione del IX secolo permette di illustrare la storia di questo antico edificio: è attualmente sulla parte di fondo a destra e ha avuto l’onore di numerose edizioni a stampa. Eccone il testo originale, seguito da una traduzione in lingua italiana:

Hic s(an)c(t)i Primi martyris corpus / venerandum in Christo humatu(m) quiescit, / quod D(e)o dignus Sergius papa iunior / Eremberto inlustri viro concessit / ab urbe Roma cum hymnis ac laudibus sp(irit)alibusq(ue) canticis dum esset translatum. / Quem inter s(an)c(t)os eius sp(iritu)s teneat primatum in multis virtutibus et signis est declaratum. / Reconditum est corpus beati Primi martyris / cum reliquis s(an)c(t)i Feliciani anno incarnationis / D(omi)ni n(ost)ri Iesu Christi DCCCmoVIto k(a)l(endis) aug(usti) indic(tione) VIIII, ordinante dom(no) / Angilb(er)to archiep(iscop)o anno XXIII; passio s(an)c(t)or(um) V id(us) iun(ii).

Qui riposa sepolto nel nome di Cristo il venerabile corpo di san Primo martire, che papa Sergio II, degno di Dio, concesse a Eremberto, uomo illustre, affinché fosse traslato dalla città di Roma con inni e lodi e cantici spirituali. Quale primato il suo spirito detenga tra i santi è manifestato in molte virtù e segni. Il corpo del beato Primo martire con le reliquie di san Feliciano fu deposto nell’anno dell’incarnazione del Signore nostro Gesù Cristo 806 il primo giorno di agosto, nella nona indizione, su ordine dell’arcivescovo Angilberto nell’anno ventitreesimo del suo episcopato. La passione dei santi (si celebra) il 9 giugno.

La scrittura è una bella capitale e presenta una notevole armonia, soprattutto nelle prime cinque righe. Si impone subito una precisazione d’ordine temporale; gli studiosi che si sono occupati del monumento hanno più volte rilevato come la data incisa sulla pietra, 806, si debba considerare un errore del lapicida per 846, come è confermato dagli altri elementi cronologici: l’indizione e l’anno di pontificato di Angilberto II, arcivescovo di Milano, che cominciò a guidare la chiesa ambrosiana nell’824. Per di più un documento risalente al settembre 846 certifica questa datazione. Il testo di questa epigrafe, pur essendo in prosa, è ravvivato da vere e proprie rime bisillabiche: translatum, primatum, declaratum. Piuttosto evidente un ricordo dalla Bibbia. Cum hymnis ac laudibus spiritalibusque canticis riprende quanto si legge in san Paolo, Eph 5, 19: «intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore»; quasi la stessa espressione è anche in Col 3, 16: «La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapiènza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali». Più nascosto, ma altrettanto affascinante, è un riferimento all’antichità pagana. L’espressione Deo dignus, qui riservata a papa Sergio, affonda le proprie origini nella poesia di Virgilio; Evandro, civilizzatore del Lazio, così si rivolge a Enea nel libro VIII dell’Eneide: «Osa spregiare le ricchezze, ospite, e renditi degno del dio» (vv. 364- 365: Aude hospes contemnere opes et te quoque dignum finge deo). Filtra poi nella poesia posteriore, anche cristiana.

Il grande protagonista dell’iscrizione è Eremberto. Un documento del 22 settembre 846, salvato solamente da trascrizioni tarde – è infatti perduto l’originale – informa che, mentre regnavano Lotario imperatore e il figlio Ludovico re d’Italia, Eremberto, vasso regio, legava molti beni alla chiesa di S. Siro, vescovo di Pavia, da lui fondata a Leggiuno, dov’era proprietario di terre: questo edificio religioso, a seguito della traslazione delle preziose reliquie, fu poi indicato col titolo dei ss. Primo e Feliciano. Nell’antica carta dell’846 Eremberto ricorda di aver edificato de propriis rebus meis, cioè a sue spese, la chiesa di S. Siro. In seguito si recò a Roma; lì con il consenso del santo padre Sergio II prese le reliquie dei venerati martiri Primo e Feliciano e le portò a Leggiuno, dove dispose che fossero custodite. In rimedio dei peccati commessi da lui, dal padre Ermenulfo e dal diletto fratello Ermenfredo donò alla predetta chiesa una serie di beni terrieri che si trovavano nella zona. Questo documento, ove per la prima volta si accenna alla pieve di S. Stefano a Leggiuno, è sottoscritto oltre che da Eremberto dai suoi quattro figli:Ermenulfo, Appo, Ermenefredo chierico ed Eremberto iunior.

La testimonianza incrociata delle iscrizioni di S. Primo e di alcuni documenti permette di fornire qualche altra notizia su Eremberto e la sua famiglia. Nel 1920, in occasione dei restauro della chiesa ad opera di Ferdinando Reggiori, tra il materiale che costituiva il massiccio altare del Seicento, smembrato per far posto all’attuale struttura di forme più sobrie, fu trovata una pietra di colore giallognolo, in stato frammentario e spezzata in due: era la lastra tombale di Eremberto che evidentemente desiderò venire sepolto nella chiesa da lui beneficiata nell’846. Questa preziosa epigrafe fu quindi murata, non proprio adeguatamente, sulla facciata della chiesa a sinistra, dove ancor oggi si trova. Il testo, prosastico, è vergato in capitale. Per questa seconda iscrizione una corretta valutazione della scrittura è in parte ostacolata dal precario stato di conservazione; comunque la tecnica di esecuzione appare meno raffinata rispetto a quella dell’epigrafe all’interno della chiesa. Propongo un’edizione e una traduzione della parte meglio leggibile:

H(oc) i(n) s(epulcro) d(epositus) e(st) Erember(tus). Vixit in praesenti saeculo annis quinquaginta. Deposito (su)o ergastul(o cor)poreo immor(ta)le‹m› suscepit vita‹m›. Obiit autem xiii k(a)l(endas) aug(usti) indiction(e) pri(ma). Pro cuius anima…

In questo sepolcro è stato deposto Erernberto; visse in questo mondo cinquant’anni. Abbandonata la prigione corporea entrò nella vita immortale. Morì dunque tredici giorni prima delle calende di agosto (20 luglio), nella prima indizione. Per la sua anima.

Questa lastra tombale attesta che Eremberto lasciò questo mondo all’età di 50 anni, 13 giorni prima delle calende di agosto, ovvero il 20 luglio, di un anno indicato soltanto ricorrendo alla datazione per indictionem: i calcoli e le prove documentarie, tra cui assume rilievo assoluto un documento di Ermenulfo, figlio di Eremberto, datato 14 agosto 865, da cui si ricava che il padre era allora già defunto, consentono di concludere che il nostro vasso regio morì il 20 luglio 853, e di conseguenza nacque nell’803. Dunque nell’846 all’età di 43 anni fu promotore della solenne traslazione.

Qualche notizia si può allegare su un figlio di Eremberto, Ermenulfo, personaggio di primo rango incardinato nelle gerarchie franche ai tempi di Ludovico II. Nel già menzionato documento del 14 agosto 865, conservato nell’Archivio di Stato a Parma, il conte Ermenulfo si rivolge all’imperatrice Angilberga; ricorda di aver chiesto alla sovrana di intercedere presso Ludovico II al fine di ottenere i beni legati al monastero di Massino. A questa condizione promette di cedere ad Angilberga le sue proprietà, eccetto cinquanta servi e i beni mobili, con riserva di usufrutto vita natural durante per sé e la moglie Teuta. Ermenulfo fu quindi in stretti rapporti con un’altra prestigiosa istituzione del Lago Maggiore, Massino, sopra Lesa, che effettivamente finì tra le pertinenze di Angilberga almeno dall’anno 877. Nel così detto Chronicon Casauriense, che illustra le vicende del monastero benedettino di S. Clemente a Casauria in Abruzzo, oggetto della munificenza di Ludovico II che lo fondò nell’873, si ricorda sotto l’anno 866 come il serenissimo imperatore inviasse a Roma il conte Ermenulfo, suo familiare, con una grande quantità di denaro; costui versò 800 libbre d’argento al console romano Pietro, figlio di Carlo, in cambio di alcune proprietà site a Roma, compresa una cappella in onore di san Biagio, e sul lago di Bracciano. Un documento del 5 aprile 868 conferma la notizia. Un Ermenulfo compare con la qualifica di missus, ovvero di legato imperiale, in un atto non datato, ma posteriore al 24 gennaio 835: si tratta di un elenco delle cose e delle famiglie della corte di Limonta sul lago di Como riservate a S. Ambrogio di Milano. Nulla osta a identificare il familiare di Ludovico II, impegnato per conto del sovrano a Roma, e il protagonista di quest’ultima carta con il figlio di Eremberto.

Una terza epigrafe altomedievale conservata presso S. Primo è oggi all’esterno della chiesa fissata su un muretto a destra. In precedenza la pietra si trovava all’interno della chiesa e costituiva la mensa dell’altare allestito nel XVII secolo sopra le reliquie dei martiri. Questa «mastodontica struttura», per usare le parole di Ferdinando Reggiori, fu smantellata nel 1920, quando si procedette al restauro dell’edificio. Il testo, in distici elegiaci, è allo stato attuale frammentario:

(t)umulum precibus memi(nisc)e sep(ul)tum / hic mole sub ista iacet / m lector bonis cumul(av)it opimis /  v(e)nia‹m› cum pietate roga(t).

Su base paleografica penso che quest’iscrizione vada cronologicamente collocata nel IX secolo, forse nella seconda metà. La scrittura è una buona capitale. Nel 1861 il coadiutore di Leggiuno, Giovanni Gatti, in seguito parroco di Mombello, si interessò della tavola e ne trascrisse quanto poteva leggere. Della scoperta fu informato chi allora costituiva a Milano un’autorità vivente di archeologia cristiana, monsignor Luigi Biraghi. In una lettera del 17 giugno 1861  Biraghi comunicava una proposta di supplemento per le parti mancanti. Infatti la lastra, probabilmente in occasione della fabbricazione dell’altare secentesco, fu tagliata per far fronte alle nuove esigenze e una parte andò irrimediabilmente perduta. La ricostruzione ipotetica del Biraghi è stata universalmente accettata:

Qui venis ad tumulum precibus meminisce sepultum. / Devotus Volric mole sub ista iacet. / Ecclesiam lector bonis cumulavit opimis. Peccatis veniam cum pietate rogat.

Tu che giungi a questa tomba, ricordati con preghiere di chi qui è sepolto. Il devoto Volric giace sotto questa pietra. Egli, che fu lector, colmò la chiesa di abbondanti beni. Chiede perdono e pietà per i peccati.

Quest’iscrizione altro non sarebbe che l’epitaffio di un lector, cioè di un ecclesiastico chiamato Volric, di origine longobarda, che donò in abbondanza beni alla chiesa. Bisogna però dissolvere questo fantasma leggiunese: alla magniloquente e affascinante figura del misterioso Volric, dietro il cui velame evocativo sembrano celarsi i segreti di un riposto passato, è necessario e giusto sostituire il più prosastico, ma veritiero avverbio di luogo hic, ‘qui’. Il nome del defunto a cui l’epigrafe era riferita è invece perduto per sempre a seguito della frattura della lastra tombale: si può in via ipotetica avanzare la candidatura di un membro della schiatta di Eremberto. Inoltre credo che il sostantivo lector non si riferisca alla carica ecclesiastica ricoperta dal defunto, ma vada interpretato come appello al lettore-viandante affinché, commosso, si soffermi sulle parole incise e magari pronunci una preghiera di intercessione.



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mercoledì 29 aprile 2015

LA CHIESA DI SANTA MARIA IN CA' DESERTA A LAVENO



Sorge su un antico luogo di culto, testimoniato fin dal 1081. Anticamente era la chiesa parrocchiale.

Una prima testimonianza scritta del 1081 afferma che la chiesa venne donata in quell’anno al monastero di Cluny. Prima del XV secolo viene eretta a parrocchia ed è luogo di sepoltura di salme, fino al XVII secolo quando il titolo parrocchiale venne conferito alla Chiesa dei Santi Giacomo e Filippo. Successivamente all’editto napoleonico di Saint Cloud del 1796 riacquisì la sua funzione cimiteriale, unica funzione esclusiva ad oggi. Nel corso del XIX secolo l’occupazione austriaca (1848-’59) la adibì a polveriera.

L’attuale facciata è frutto di una ricostruzione del 1756, in occasione della quale venne però mantenuta la facciata originaria del 1600, come si evince dagli elementi tuttora presenti: ai lati dell’ingresso vi sono due lunette affrescate, una del Seicento raffigurante S. Giovanni Evangelista a destra e una a sinistra che si presume appartenere all’antica e originaria chiesa romanica, date le caratteristiche tipiche del periodo tra il Trecento e il Quattrocento. Sempre all’esterno, sul sagrato antistante la chiesa, vi sono le edicole della Via Crucis contenenti formelle in ceramica realizzate dall’artista Oreste Quattrini nel 1990.

All’interno l’altare maggiore ligneo di epoca barocca conserva la statua dell’Assunta, alla quale la chiesa è dedicata, mentre gli altari laterali sono dedicati a S. Giovanni Battista e al Ss. Crocifisso.



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sabato 25 aprile 2015

IL COLLE GIUBIANO



Il rione di Giubiano sorge a meno di un chilometro dal centro cittadino. Si caratterizza per la presenza del complesso ospedaliero inserito in un importante parco, nel XVIII secolo un vasto fondo con villa appartenente ad una delle famiglie più in vista del borgo. L'intera proprietà, già all'epoca legata al vecchio "Ospedale dei Poveri", fu ceduta nel 1885 al celebre tenore Francesco Tamagno, che nell'edificio avviò ampi lavori di ristrutturazione, accompagnati dal rifacimento totale del giardino. Alla sua morte, nel 1905, la figlia Margherita trasferì il complesso nelle mani della Congregazione di Carità, che poi adibì la villa a direzione dell'Ospedale. A ridosso di questo vasto complesso si sviluppa il nucleo della castellanza, modificato da successive trasformazioni urbanistiche, ma rintracciabile attorno all'attuale parrocchia di S. Ambrogio, eretta a inizio Novecento in sostituzione di una precedente antica chiesa del XIII secolo.
Tra gli edifici che caratterizzano l’area, sono evidenti il complesso ospedaliero, la villa Augusta ed il cimitero monumentale.

Il nucleo della castellana di Giubiano, si sviluppa a ridosso di questo vasto complesso. Modificato dalle diverse trasformazioni urbanistiche avvenute negli anni, è ancora rintracciabile attorno alla parrocchia di S.Ambrogio.
La parrocchia di S.Ambrogio è stata eretta a inizio del Novencento, in sostituzione di una antica chiesa risalente al XIII secolo.
Dirigendosi in via San Giusto, si incontra la sede dell’azienda ASPEM, ospitata all’interno di Villa Augusta, edificio della seconda metà dell’ottocento, acquistato nel dicembre del 1968 dall’amministrazione comunale.
Costruita dalla famiglia Testoni, la villa porta il nome Augusta, omaggio del signor Testoni alla moglie.
Lo splendido parco che la circonda è stato aperto al pubblico a partire dal 5 aprile 1970. Caratterizzato da diversi livelli collegati tra loro da numerose scalinate, il giardino è ricco di vegetazione tra maestosi alberi, arbusti, aiuole e viali è un luogo ideale dove passare alcune ore immersi nella natura a due passi da casa.
Il Cimitero Monumentale di Giubiano è un vero museo a cielo aperto, dove le tombe non sono solo un ricordo dei morti, ma sono opere d’arte di elevata bellezza.
Inaugurato il 2 maggio 1880, fu costruito per sostituire il vecchio cimitero, posizionato dove ora sorge piazza Mercato, il progetto in stile etrusco appartiene all’architetto Carlo Maciachini di Induno Olona, già progettista del cimitero monumentale di Milano.



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domenica 12 aprile 2015

LA CHIESA DI SAN PIETRO A LIMONE SUL GARDA

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La chiesa di San Pietro in Oliveto di trova a Limone sul Garda, sulla strada per Tremosine ed è tra le più antiche chiese romaniche del territorio, in quanto ad essa si accenna in una Bolla del 1186 del papa Urbano III come cappella dipendente dalla pieve di Tremosine.

La chiesa di S. Pietro in Oliveto è citata per la prima volta, tra le cappelle dipendenti dalla pieve di Tremosine, nella bolla di papa Urbano III dell'anno 1187.
Nel 1532 la comunità cattolica lacustre di Limone si separava da Tremosine per costituirsi in parrocchia autonoma, con un proprio nuovo edificio ecclesiastico, lasciando la piccola cappella campestre sotto la giurisdizione della chiesa plebana di Tremosine almeno fino al 1578. Nel 1580, durante una visita pastorale, il presule Carlo Borromeo definiva il complesso religioso di S. Pietro come "ecclesia campestri set vetus". Con gli anni, e per l'ubicazione molto decentrata rispetto ai centri abitati di Tremosine e di Limone, la chiesa andò progressivamente perdendo le sue funzioni di centro religioso primario, patendo di una frequentazione saltuaria e di parziale abbandono, anche se, nel corso dei secoli post-medievali, l'edificio non mancò di essere soggetto a interventi di manutenzione e di restauro.
Il piccolo tempio è generalmente visitabile solo all'esterno. Si può accedere all'interno solo in rare e particolari occasioni.
L'impressione globale odierna è quella di trovarsi di fronte a un complesso architettonico di modeste dimensioni e rustica fattura, immerso tra gli ulivi, formato dalla chiesa, con pianta a navata unica e profonda abside quadrata, alla quale, secondo gli studiosi, si sono aggiunti nei vari periodi storici (segno comunque di continuità nella frequentazione del sito), il campanile tronco sul lato nord (genericamente ascritto al periodo post-romanico - XIII secolo), la sacrestia, alla congiunzione tra la navata e l'abside (cronologicamente indicata come del XIV secolo), e il portico, che sembrerebbe la costruzione più recente, del XVI-XVII secolo, oltre al rifacimento della copertura con volte, che comportò il sopralzo di tutto l'edificio ecclesiale. Le murature sono totalmente ricoperte da intonaco di recente stesura. La facciata a ovest è a spioventi semplici, con portale rifatto, sormontato da un finestrone rettangolare, pure opera post-medievale.
Nonostante non manchino studi e rilevamenti da parte di studiosi contemporanei, rimane opera ardua individuare negli attuali assetti architettonici uno spunto per la datazione certa di questo piccolo complesso religioso.
Vi sono però parecchi indizi, suffragati anche da recenti indagini archeologiche, che rimandano le origini di questa chiesa all'alto medioevo; soprattutto alcuni reperti scultorei, i più, disgraziatamente, andati dispersi (restano solamente alcune fotografie dei primi decenni del XX secolo), come i resti di due plutei e le ghiere traforate che, agli inizi del XX secolo, erano ancora inserite nelle due finestre del laterale sud, o ancora visibili, come l'acquasantiera murata all'interno dell'edificio, sempre nella parete sud, e la composizione della copertura, che conserva tuttora in opera tegole piane di epoca romana.
La chiesa è la parte più antica del complesso religioso di S. Pietro e, se anche l'intonaco ricopre quasi interamente le murature, un più attento esame permette di individuare almeno due diverse fasi edilizie, meglio rilevabili nella parete settentrionale rimasta scoperta dall'aggiunta del campanile e della sacrestia, e nel tratto di abside quadrangolare sempre nel muro nord. In questi tratti perimetrali, la parte più antica (corrispondente alle sezioni murarie basse), è realizzata con piccoli ciottoli posti in opera piuttosto disordinatamente in abbondante malta, coperta poi da un intonaco irregolare di calce tirato a cazzuola. Ad un certo livello in altezza, la muratura presenta disomogeneità costruttive: l'intonaco segue quello che doveva essere lo spiovente del tetto, a un livello più basso rispetto all'attuale. Le stesse caratteristiche edificatorie si ritrovano anche nelle murature dell'abside, con la sopraelevazione in aggetto rispetto alle parti basse. Gli studiosi imputano questo dislivello ai lavori intercorsi in epoca tardo-medievale, quando si rifecero le coperture, sostituendo quella originaria con una a volte (all'interno, gli archi delle volte s'innestano direttamente sui muri laterali, sovrapponendosi agli affreschi). E' probabile che questo intervento abbia modificato anche le aperture; originale potrebbe essere la monofora, ora murata, al centro dell'abside: a fatica se ne percepiscono i contorni, per la pesante intonacatura che ricopre quasi tutte le parti esterne dell'edificio, ma è ancora individuabile a sinistra dei resti dell'affresco di S. Cristoforo, con uno spigolo, quello destro, che conserva resti di affresco verso lo strombo.
All'interno, al centro dell'abside, è invece molto evidente la recente muratura che ha occluso la finestra (l'affresco della crocifissione di epoca rinascimentale ne rispettava ancora i contorni: le diverse misure, maggiori all'interno che all'esterno, indicano l'ampiezza e la profondità dello strombo). Come già osservato all'esterno, anche all'interno si conservano i resti di un'altra apertura, che dal lato sud dell'abside dava sull'area del portico, posta sotto l'attuale finestra; anche questa doveva probabilmente essere una delle aperture antiche. Le due finestre che si aprono adesso sul fianco longitudinale sud della navata, secondo gli studiosi, mancano dell'antica decorazione in pietra traforata.
In pratica, la chiesa tardo-medievale andò a innestarsi sui perimetrali di un edificio preesistente, del quale sono state utilizzate le parti basse, mentre si è provveduto al completo rifacimento delle parti alte.
Per poter meglio conoscere e interpretare l'architettura di questi piccoli edifici secondari di origine così antica, è necessaria l'analisi degli storici dell'arte che puntualizzano, soprattutto per merito dei resti scultorei sopravvissuti, come l'acquasantiera, o perduti, come i frammenti di pluteo, ma anche per la planimetria della chiesa di S. Pietro in Uliveto, una cronologia altomedievale oscillante tra il IX e il X secolo; essa, costituita da un edificio con pianta a navata unica e abside rettangolare, ricorda piante in uso ancora nel VII secolo e presenti nell' area alpina e prealpina quali il S. Pietro a Stabio (con sepoltura di VII secolo), il S. Martino a Trezzo d'Adda, (fondazione pure di VII secolo), e altre, sempre di area lombarda, oltre che a modelli di VIII e IX secolo come la chiesa di S. Maria alla Novalesa o, più vicina, la chiesa di S. Eufemia di Nigoline a Cortefranca (BS).
Il portico, aperto su tre lati, con arconi a fungo a est a sud, ha le murature parzialmente intonacate, dove si conservano varie e curiose iscrizioni incise dei secoli dal XVI al XVIII e facenti riferimento a carestie o episodi avvenuti localmente e per questo molto interessanti sotto l'aspetto antropologico.

Ai primi di luglio del 2004, per operare una bonifica dalle infiltrazioni di umidità che stavano compromettendo alcune strutture dell'edificio, è stato tolto il pavimento in opera dal 1920. Poco sotto è stato trovato un pavimento in malta probabilmente del IX secolo. Questo livello è incompleto ed è stato intaccato dall'apertura di due buche in prossimità del presbiterio (ancora s'ignorano i fini di queste escavazioni). Poco prima dell'area presbiteriale, questo piano in malta presenta una canaletta, dove si innestava probabilmente un cancello presbiteriale. E' stato rilevato che i muri perimetrali non hanno fondazioni profonde, da ciò si dovrebbe dedurre che il S. Pietro potesse essere una chiesa del tipo cosiddetto seminterrato.
All'interno, sulla parete nord, si nota la rappresentazione di un'Ultima Cena, affresco del secolo XIV. Nella zona absidale, sotto l'altare è stata trovata una pietra monolitica di epoca romana che fungeva da base di un torchio di vino. Il principio di scavo ha permesso di recuperare molti frammenti ceramici (ancora da collocare cronologicamente) e un pezzo di colonnina con basamento.
In esterno, gran parte del sagrato era adibito ad area cimiteriale, visti gli abbondanti reperti ossei ritrovati a pochi centimetri di profondità dal livello attuale di calpestio. Un particolare interessante è offerto dal tratto di muro esterno all'edificio ecclesiastico e in asse con il lato sud del portico, che, per tecnica costruttiva, disposizione e taglio delle pietre e per il tipo di malta, indica una cronologia medievale d'epoca romanica (dell'altezza di un paio di metri degradanti fino a poco meno di un metro), lungo cui si conservano i resti di un ingresso o finestra con soglia alta circa un metro dall'attuale livello di calpestio.



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venerdì 6 marzo 2015

CRESPI D' ADDA

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Crespi d'Adda è una frazione del comune italiano di Capriate San Gervasio, in provincia di Bergamo, Lombardia.

Il paese sorge poco sopra la confluenza del fiume Brembo nell'Adda, all'estremità meridionale dell'Isola bergamasca.

È sede di un villaggio operaio, operante nel settore tessile cotoniero sorto a opera di Cristoforo Benigno Crespi a partire dal 1875 e passato poi nelle mani del figlio.

Per il suo rilievo storico e architettonico fu, nel 1995, annoverato tra i patrimoni dell'umanità dall'UNESCO.

Il villaggio venne costruito durante l'ultimo quarto del XIX secolo dalla famiglia Crespi, che scelse quest'area, vicina al fiume Adda, per costruire un cotonificio. La fondazione si fa risalire al 1878, anno in cui il bustocco Cristoforo Benigno Crespi acquistò 85 ettari di terra dai comuni di Capriate San Gervasio e Canonica d'Adda. I lavori di costruzione vennero affidati all'architetto Ernesto Pirovano e all'ingegnere Pietro Brunati.

L'ambizioso progetto di Crespi prevedeva di affiancare agli stabilimenti - similmente a quanto già accadeva nell'Inghilterra della rivoluzione industriale - un vero e proprio villaggio che ospitasse alcuni operai della fabbrica e le loro famiglie. Il neonato insediamento venne dotato di ogni struttura necessaria: oltre alle casette delle famiglie operaie (complete di giardino ed orto) e alle ville per i dirigenti (che vennero costruite in seguito), il villaggio era dotato di chiesa (copia in scala ridotta del Santuario di Santa Maria di Piazza di Busto Arsizio), scuola, cimitero, ospedale proprio davanti alla fabbrica, campo sportivo, teatro, stazione dei pompieri e di altre strutture comunitarie.

Il cimitero di Crespi d'Adda, realizzato dall'architetto Gaetano Moretti (cui i Crespi avevano commissionato anche i lavori di realizzazione della centrale idroelettrica di Trezzo sull'Adda), è dominato dalla tomba della famiglia Crespi: una piramide con scalone monumentale, di stile eclettico e di gusto esotico, affiancata da due ampie esedre che sembrano idealmente simboleggiare l'abbraccio della famiglia Crespi a tutti gli operai del villaggio. Nel prato di fronte al famedio dei Crespi vi sono piccole croci disposte in modo ordinato e geometrico, mentre le tombe più elaborate sono allineate lungo i muri di cinta, memoria della stratificazione sociale della comunità. Negli ultimi decenni, tuttavia, il cimitero ha perso parte del suo originario rigore: tombe e monumenti recenti si sono sostituiti o aggiunti alle originali sepolture. Il cimitero è tuttora in funzione, caro alla comunità locale. La via principale ha anche un significato simbolico.

Nel 1889 la frazione di Crespi, sino ad allora compresa nel comune di Canonica d'Adda nel circondario di Treviglio, venne assegnata al comune di Capriate d'Adda nel circondario di Bergamo.

In data 11 ottobre 2013 il complesso dell'ex cotonificio viene acquistato dall'imprenditore Antonio Percassi con l'intenzione di utilizzarlo come quartier generale delle sue aziende. I relativi lavori di ristrutturazione partiranno a inizio 2014 e dovrebbero terminare entro l'inizio di Expo 2015.

All'inizio degli anni novanta a livello comunale fu proposto un piano regolatore che prevedeva nuove edificazioni nell'area del villaggio operaio. L'associazione culturale locale "Centro Sociale Fratelli Marx" (CSFM), supportata dal locale circolo di Legambiente e da diverse persone coscienti del valore del villaggio, volle contrastare questa proposta decidendo di tentare l'iscrizione del sito di Crespi d’Adda nella Lista del Patrimonio Mondiale Unesco.

Fu costituita la Consulta per Crespi, che iniziò un’opera di informazione e pressione sui politici e gli organi di informazione locali per scongiurare l'applicazione del piano urbanistico.

Il 5 dicembre 1995 il "Villaggio operaio di Crespi" è entrato a far parte della Lista del Patrimonio dell'umanità dell'Unesco. È uno degli esempi meglio conservati di villaggio operaio industriale che esistano al mondo. Contrariamente a siti analoghi, lo stabilimento è stato funzionante fino al dicembre 2003 e le case sono tuttora abitate.

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lunedì 2 marzo 2015

MUSOCCO IL CIMITERO

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Il Cimitero Maggiore di Milano, noto anche come Cimitero di Musocco, è il più grande cimitero della città.

Si trova nella zona nord-occidentale, nel quartiere di Garegnano, che ai tempi della costruzione era frazione del comune di Musocco.

Non potendo tollerare la continua attività dei cimiteri ormai saturi ed inglobati dai nuovi quartieri, oltre ad essere stati piccoli e collocati in zone che oramai erano completamente urbanizzate, si decise di edificare un cimitero in zona periferica, dalle parti della certosa di Garegnano, presso l’abitato di Musocco. Anche se vi era già presente il Cimitero Monumentale, la decisione di realizzare un secondo grande cimitero fu presa anche dal fatto che si capì subito che solo il Monumentale non era del tutto sufficiente ad ospitare i corpi di una città in forte espansione territoriale e demografica.

Così fu costruito il Maggiore sul finire dell'Ottocento, su progetto di Luigi Mazzocchi e Enrico Brotti e venne inaugurato il 1º gennaio 1895; fu costruito dove sorgeva l'antico Bosco della Merlata, dissodato a seguito dell'entrata in vigore della L. 3917/1877, che eliminò il vincolo di tutela praticamente da tutti i boschi di pianura e collina. La sua costruzione si inserì in un piano di ristrutturazione dei precedenti piccoli cimiteri cittadini. L'apertura del Cimitero Maggiore coincise infatti con la chiusura dei cimiteri posti all'uscita delle porte cittadine, con il trasferimento a Musocco delle sepolture provenienti da:

il Cimitero di Porta Garibaldi, la "Moiazza" (chiusura: 22-10-1895);
il Cimitero di Porta Magenta o "di San Giovannino alla paglia" (chiusura 30-11-1895);
il Cimitero di Porta Ticinese, il "Gentilino" (chiusura 22-10-1895);
il Cimitero di Porta Vittoria, o "Porta Tosa" (chiusura 30-6-1896).
Le inumazioni dei cadaveri provenienti dai cimiteri dismessi, iniziarono il 23 ottobre 1895; per agevolare i trasporti, venne istituito anche un apposito tragitto su rotaia tramviaria, la cui stazione di partenza (del 1906) si trovava accanto a Porta Romana, dove sorgeva il Cimitero di San Rocco al Vigentino (fino al 1826). I milanesi, ironicamente, chiamavano questo tram "La Gioconda".

La superficie complessiva del cimitero, originariamente di 400.000 m2, è oggi di 678.000 m2, di cui 80.000 a giardino. I defunti che ospita attualmente sono oltre mezzo milione. Oltre alle inumazioni nei campi, vi sono colombari, ossari, cinerari, tombe di famiglia. Nella parte posteriore della struttura centrale, oltre i cancelli, è collocato il Cimitero Ebraico per le sepolture degli Israeliti. Dal 2002 sono in funzione anche alcune centraline che forniscono informazioni sui luoghi di sepoltura e un servizio di navetta lungo il vialone centrale.

Presso Musocco si trova anche un convento dei frati dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini, in cui vive Frate Cesare Bonizzi, il frate Rock, conosciuto per la sua passione per la musica metal.


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QUARTIERI MILANESI : MUSOCCO

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Musocco è un quartiere di Milano, posto nella periferia nord-occidentale della città, appartenente alla zona 8.

Fino al 1923 costituì un comune autonomo.

Musocco sorgeva sulla strada che da Milano portava a Varese, con qualche cascinale sparso in mezzo ad un territorio in parte boscoso. Le prime notizie certe risalgono alla visita pastorale di San Carlo Borromeo nel 1605 con un centinaio di abitanti dediti al lavoro nei campi. Musocco risulta appartenere alla Pieve di Trenno.

Osservando una cartina della metà degli anni dell'Ottocento della parte Nord-Ovest di Milano, si possono distinguere, tra gli altri abitati, Villapizzone, la Cagnola, Boldinasco, Garegnano, e, oltre la ferrovia Musocco, Quarto Oggiaro e Vialba. Questa localizzazione è molto simile, a parte la ferrovia non esistente, a quella del 1700.

Musocco era l'abitato sulla strada per Varese a circa 5 km. dalla cerchia dei bastioni di Milano, con l'oratorio di San Giuseppe, la zona attorno all'attuale Via Mambretti. Quarto Uglerio, era un gruppo di case attorno alla Villa Caimi-Finoli, e alla chiesa dei Santi Nazaro e Celso, ora Via Aldini mentre Vialba o Villa Alba, villaggio bianco, era un comune costituito da un pugno di case abitate da contadini alle spalle della Villa Scheibler, una villa patrizia risalente al XV secolo e terreno di caccia di Ludovico il Moro. Il torrente Pudiga scorreva all'interno del parco dalla Villa passando nel suo corso davanti alla Chiesa di Quarto Uglerio.

Nel 1753, secondo quanto indicato nell’Indice delle Pievi e Comunità dello Stato di Milano, al comune di Musocco risultava aggregato quello di Quarto Oggiaro. Risulta far parte della Pieve di Trenno, compresa nel Ducato di Milano sotto la reggenza di Maria Teresa d'Austria, contando 203 abitanti che salgono a 474 nel 1771. Nel 1791 risulta ancora inserito nella Pieve di Trenno, compresa nel XXVII distretto censuario della provincia di Milano con parrocchiale la chiesa di Santi Nazaro e Celso.

Durante la Repubblica Cisalpina vi è una continuo rimescolamento della organizzazione territoriale del nord Italia.

Nel 1798 viene costituito il Dipartimento d'Olona, del quale il comune di Musocco ne fa parte, prima come appartenente al distretto di Baggio, poi a quello di Bollate. Nel 1801 diventa parte del I distretto Dipartimento d'Olona, con capoluogo Milano, che diventa nel 1805 I distretto di Milano, VI cantone con 503 abitanti. Col decreto del 9 febbraio 1808 il comune di Musocco, come altri 34 comuni con distanza fino a 4 miglia da Milano, venne soppresso e incluso nel Circondario esterno del comune di Milano.

Con notificazione del 12 febbraio 1816 in poi nel Regno Lombardo-Veneto, con la Restaurazione della dominazione austriaca con Francesco II d'Asburgo-Lorena, vengono ripristinati i comuni soppressi durante il periodo della Repubblica Cisalpina. Musocco, così come Vialba, Villapizzone, Garegnano, Boldinasco, sono comuni autonomi del III distretto politico della Provincia di Milano con capoluogo Bollate. Nel 1821 nel censimento parrocchiale Musocco contava 900 abitanti.

Nel 1841, con dispaccio governativo del 2 settembre 1841 sotto Ferdinando I d'Austria, a Musocco fu aggregato il comune soppresso di Vialba. Nel 1853 gli abitanti risultano essere 1097, nel 1859 1192.

Con l'unità d'Italia, nel 1861, l'area del distretto divenne il IX mandamento della Provincia di Milano con capoluogo Bollate. Al 1º censimento della popolazione Musocco ed Uniti, intendo come Uniti le frazioni di Quarto Uglerio e Vialba, risulta avere 1235 abitanti sparsi su 429 ettari coltivati a gelsi, viti, cereali e ortaggi.

Nel 1869 vennero aggregati al comune di Musocco i limitrofi comuni di Boldinasco, Cassina Triulza, Garegnano, Roserio e Villapizzone. Con le nuove 5 frazioni il territorio comunale si amplia da 429 ettari a 1328 ettari, con 165 ettari occupati da strade e fabbricati e 1163 di superficie agraria. L'attività degli abitanti è ancora prevalentemente agricola con presenza di allevamenti di bachi da seta. Dal 1869 al 1873 confina con il comune dei Corpi Santi, il comune al di fuori della cerchia dei bastioni di Milano, fino a quando quest'ultimo viene inglobato in Milano.

Con l'avanzamento della rivoluzione industriale il comune per la sua posizione strategica al confine di Milano e la facilità di collegamento con il resto della regione, diventa il luogo ideale per la dislocazione di insediamenti industriali.

Viene costruita la ferrovia Milano-Torino alla fine degli anni 60 dell'Ottocento con la stazione ferroviaria chiamata Musocco, l'attuale Stazione di Milano Certosa che accelera il processo di industrializzazione del comune che si realizza principalmente nei primi 20 anni del XX secolo.

In Via Mambretti, 9 nel 1875 viene fondata la Smalteria Moneta da Giovanni Moneta, industria fiorente durante l'attività bellica in grado di sfornare 10.000 elmetti al giorno.

Gli abitanti, i musocchesi, crescono dai 5710 di inizio secolo fino agli oltre 15000 del 1923.

Il territorio di Musocco cambia faccia alla fine del secolo quando viene decisa l'edificazione del Cimitero Maggiore di Milano all'interno del comune e la nuova viabilità necessaria. Viene costruito Viale Certosa come prolungamento di Corso Sempione, passando da Piazza del Bersaglio, l'attuale Piazzale Accursio, per arrivare al Cimitero.

Il municipio aveva sede in un edificio nell'attuale Piazzale Santorre di Santarosa, edificio ancora esistente, civico 10.

Nel 1903 viene costituita da 20 soci la Società Edificatrice l'Avvenire di Musocco con lo scopo di acquistare terreno e costruire case d'abitazione per lavoratori e in genere tutte le costruzioni rivolte al benessere e miglioramento della classe lavoratrice. Crescono il numero delle abitazioni anche lungo la Strada della Varesina tra Cagnola e la ferrovia. Viene costruita la scuola elementare General Cantore.

Nel 1923 per Regio Decreto 2 settembre 1923, n. 1912, art. 1 viene decisa l'unificazione di Musocco a Milano, così come per i comuni Affori, Baggio, Chiaravalle Milanese, Crescenzago, Gorla-Precotto, Greco Milanese, Lambrate, Niguarda, Trenno e Vigentino. I vecchi comuni diventano quartieri di Milano.

Il nome Musocco deriva dalla parola musa che significa acquitrino, indicando che la zona era attraversata da numerosi corsi d'acqua e fontanili che straripando formavano degli impaludamenti. Il corso d'acqua principale è il torrente Pudiga.

Il nome di Musocco per indicare la parte di Nord-Ovest di Milano è rimasto anche dopo la cessazione dell'esistenza del comune.

La decisione di costruire il cimitero di Milano nel comune di Musocco ha fatto conoscere il cimitero con il nome del comune di appartenenza, Musocco, che nel tempo è rimasto anche dopo lo scioglimento del comune. Col passare del tempo si è identificato Musocco con il cimitero e le zone immediatamente adiacenti.

L'area originaria del comune di Musocco, quello prima del 1869, cioè l'area indicata come Musocco con Quarto Oggiaro e Vialba, è l'odierno Quartiere Vialba, che era una delle sue frazioni. Le altre frazioni, quelle accorpate nel 1869, sono tornate ad essere Villapizzone, Boldinasco, Garegnano, Roserio come quartieri di Milano. Il Quartiere Varesina sorto dopo la costruzione del viale di accesso per l'Autostrada dei Laghi ha inglobato una parte di Garegnano arrivando fino alla ferrovia.

Tuttora del borgo di Musocco originario rimangono molte tracce attorno alle Via Mambretti, Cinque Maggio e Ameglio. Le case basse lungo Via Mambretti, sono le antiche cascine ristrutturate, il numero 29 porta ancora la scritta Sede Cooperativa La Conquista Musocco, la Scuola Generale Cantore è diventata per lungo tempo Civico Archivio con ingresso al N° 33 ora è vuota, e la stazione dei Carabinieri al 32/A è la Stazione Musocco. L'antico oratorio di San Giuseppe si trova in Via Ameglio ed è stato sconsacrato.

In Piazzale di Santorre di Santarosa proprio quando il comune si scioglie viene eretto il Monumento ai caduti di Musocco durante la prima guerra mondiale.


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sabato 28 febbraio 2015

CIMITERO MONUMENTALE MILANO

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Il Cimitero Monumentale è il grande cimitero situato vicino al centro di Milano nella piazza omonima. Progettato dall'architetto Carlo Maciachini (1818-1899) secondo uno stile eclettico conciliando richiami bizantini, gotici con una prevalenza del gusto romanico scandita dalla partitura di pietre dal colore alterno quale motivo dominante di questo edificio ottocentesco. Avviato nel 1864 e aperto nel 1866, da allora è stato arricchito da molte sculture italiane sia di genere classico che contemporaneo, come templi greci, elaborati obelischi, e altri lavori originali come una versione ridotta della Colonna di Traiano. Per l'altissimo valore artistico delle sculture, edicole funebri e altre opere presenti al suo interno, viene considerato un vero e proprio "museo all'aperto". Al 1970 risale un ampliamento con intervento "mimetico" in forme neogotiche.

Il Famedio, nome derivante dal latino famae aedes, ossia il Tempio della Fama, è l'entrata principale del cimitero. Consiste in una voluminosa costruzione in stile neo-medievale di marmo e mattoni. Il Famedio venne inizialmente ideato per essere una chiesa, mentre dal 1870 venne utilizzato come luogo di sepoltura degli italiani più onorati, come Alessandro Manzoni e Carlo Cattaneo. Sono rappresentate nel Famedio altre importanti figure legate a Milano che sono sepolte in altri luoghi, come ad esempio Giuseppe Verdi, sepolto nella non lontana casa di riposo per musicisti da lui fondata. Il 2 novembre 2010 il Comune di Milano, con una cerimonia pubblica, ha inaugurato le iscrizioni nel Famedio di alcuni cittadini milanesi celebri, tra cui Raimondo Vianello e Sandra Mondaini entrambi scomparsi nel 2010 e sepolti rispettivamente a Roma e a Lambrate. Nello stesso giorno inoltre sono stati iscritti anche Herbert Kilpin, fondatore dell A.C. Milan, e Giorgio Muggiani, fondatore del F.C. Internazionale Milano.


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