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mercoledì 8 aprile 2015

GIUSEPPE GARIBALDI

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Giuseppe Garibaldi (Nizza, 4 luglio 1807 – Caprera, 2 giugno 1882) è stato un generale, patriota, condottiero e scrittore italiano. Noto anche con l'appellativo di "Eroe dei due mondi" per le sue imprese militari compiute sia in Europa, sia in America Meridionale, è la figura più rilevante del Risorgimento e uno dei personaggi storici italiani più celebri al mondo. È considerato dalla storiografia maggioritaria, anche internazionale, e nella cultura popolare del XX secolo da essa influenzata, il principale eroe nazionale italiano. Iniziò i suoi spostamenti per il mondo quale ufficiale di navi mercantili e poi quale capitano di lungo corso al comando. La sua impresa militare più nota fu la spedizione dei mille, che annetté il Regno delle Due Sicilie al nascente Regno d'Italia.

Garibaldi era inoltre massone di 33º grado del Grande Oriente d'Italia (ricoprì anche brevemente la carica di Gran Maestro) e anticlericale, e fu autore di numerosi scritti e pubblicazioni, prevalentemente di memorialistica e politica, ma anche romanzi e poesie.

Giuseppe Garibaldi nacque a Nizza il 4 luglio 1807, nell'attuale Quai Papacino, in un periodo in cui la relativa contea (già parte dei domini sabaudi) era sotto sovranità francese, poiché in quegli anni erano stati annessi dal Bonaparte all'Impero tutti i territori continentali sabaudi. Fu battezzato il 29 luglio 1807 nella chiesa di San Martino di Acri e registrato come Joseph Marie Garibaldi, cittadino francese.

La sua famiglia si era trasferita a Nizza nel 1770; il padre Domenico Garibaldi (1766-1841), originario di Chiavari, era proprietario di una tartana chiamata Santa Reparata. La madre Maria Rosa Nicoletta Raimondi (22 gennaio 1776-20 marzo 1852) era una figlia di pescatori originaria di Loano, nel 1807 territorio francese (sino al 1805 Repubblica Ligure), e morì a Nizza.

Giuseppe era il terzogenito di sei figli: Angelo (1804-1853), il fratello maggiore, divenne console negli Stati Uniti d'America, Michele (1810-1866) fu capitano di marina, Felice (1813-1855) rappresentante di una compagnia di navigazione e produttore di olio pugliese, Maria Elisabetta (1798-1799) e Teresa (1817-1820), morta in tenera età in un incendio insieme alla balia.

Per diverso tempo, gli storici dettero credito a una versione, dimostratasi poi falsa, secondo la quale Garibaldi avrebbe avuto origini tedesche. La famiglia divideva con alcuni parenti, i Gustavin, una casa sul mare. Dell'infanzia di Giuseppe si hanno poche notizie, per lo più agiografiche. Risulta invece certa la notizia che a 8 anni salvò una lavandaia caduta in acqua e che il soccorso a persone in procinto di annegare fu una costante, tanto che ne salvò almeno 12. Nel 1814 la casa dei Garibaldi fu demolita per ampliare il porto e la famiglia traslocò. Nel 1815 Nizza fu restituita al Regno di Sardegna per decisione del Congresso di Vienna e restò sotto il governo dei Savoia fino al 1860.

I genitori avrebbero voluto avviarlo alla carriera di avvocato, medico o sacerdote, ma Giuseppe non amava gli studi, prediligendo gli esercizi fisici e la vita di mare. Egli stesso ebbe a dire che era più amico del divertimento che dello studio. Vedendosi ostacolato dal padre nella sua vocazione marinara, durante le vacanze tentò di fuggire per mare verso Genova con tre suoi compagni: Cesare Parodi, Celestino Bernord e Raffaello de Andrè. Scoperto da un sacerdote che avvisò la famiglia della fuga, fu fermato appena giunto alle alture di Monaco e ricondotto a casa; è forse da ricondursi a questo episodio l'inizio della sua antipatia verso il clero.

Tuttavia, si appassionò alle materie insegnategli dai suoi primi precettori, padre Giaume e il "signor Arena". Quest'ultimo, reduce delle campagne napoleoniche, gli impartì lezioni d'italiano e di storia antica (rimase affascinato soprattutto dalla Roma antica). Alla fine riuscì a persuadere il padre a lasciargli intraprendere la vita di mare e venne iscritto nel registro dei mozzi a Genova il 12 novembre 1821. Dall'iscrizione in quel registro, si rileva che l'altezza del quattordicenne Garibaldi era di 39 once e 3/4, pari a circa 170 cm, considerevole in rapporto all'età e all'altezza media dell'epoca.

Anche se la datazione del primo imbarco è incerta, il 13 gennaio 1824 si imbarcò sedicenne sulla Costanza, comandata da Angelo Pesante di Sanremo, che Garibaldi avrebbe in seguito descritto come il migliore capitano di mare. Nel suo primo viaggio, su di un brigantino con bandiera russa, si spinse fino a Odessa nel mar Nero e a Taganrog nel mar d'Azov (entrambe ex colonie genovesi). Vi si recherà nuovamente nel 1833, incontrando un patriota mazziniano che lo sensibilizzerà alla causa dell'unità d'Italia. Rientrò a Nizza in luglio.

L'11 novembre partì per un breve viaggio come mozzo di rinforzo sulla Santa Reparata, costeggiando la Francia in un equipaggio di cinque uomini. Con il padre, tra aprile e maggio del 1825, partì alla volta di Roma con tappe a Livorno, Porto Longone e Fiumicino con un carico di vino, per l'approvvigionamento dei pellegrini venuti per il Giubileo indetto da papa Leone XII. L'equipaggio era composto da 8 uomini, ed ebbe la sua prima paga.

Giuseppe e Anita si erano conosciuti a Laguna nel 1839: si narra che, dopo averla inquadrata con il cannocchiale mentre si trovava a bordo dell'Itaparica, una volta raggiunta le disse in italiano «tu devi essere mia» Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva (questo il nome completo) si era sposata il 30 agosto 1835 con il calzolaio Manuel Duarte de Aguiar, molto più anziano di lei, che, arruolatosi fra gli imperiali, era fuggito da Laguna tempo prima, ma la moglie non lo seguì. Nata nel 1821 a Merinhos, aveva 18 anni al momento dell'incontro con Garibaldi.

Garibaldi e Ana Maria de Jesus Ribeiro, passata alla storia - e quasi alla leggenda - del Risorgimento italiano con il vezzeggiativo di "Anita", si sposarono il 26 marzo 1842, presso la chiesa di San Francisco d'Assisi con rito religioso. È spesso raccontato il fatto che Anita, abile cavallerizza, insegnò a cavalcare al marinaio italiano, fino ad allora del tutto inesperto di equitazione. Giuseppe a sua volta la istruì, per volontà o per necessità, ai rudimenti della vita militare.

Cercò di far allontanare Anita e i figli da sua madre, ma il giugno 1846 ottenne un parere contrario del ministro degli esteri di Carlo Alberto, Solaro della Margarita. I legionari progettano di tornare in patria, e grazie alla raccolta organizzata fra gli altri da Stefano Antonini, Anita, con i tre figli, e altri familiari dei legionari partirono nel gennaio del 1848 su di una nave diretta a Nizza, dove furono affidati per qualche tempo alle cure della famiglia di Garibaldi. Scoppiati i moti italiani di indipendenza, fu autorizzato a ritornare negli stati sardi con un gruppo di soldati.

Garibaldi rientrò in Italia nel 1848, poco dopo lo scoppio della prima guerra di indipendenza. Venne noleggiato un brigantino sardo chiamato Bifronte, rinominato Speranza (o Esperanza); venne nominato come capitano lo stesso Garibaldi, e la partenza avvenne il 15 aprile 1848, alle 2 del mattino; si erano imbarcati 63 uomini. Giunsero in vista di Nizza il 23 giugno. Lo avevano anticipato un suo luogotenente, Giacomo Medici, e il suo nome grazie al lavoro di Mazzini.

Tornato dunque in Europa per partecipare alla prima guerra di indipendenza contro gli austriaci, il 25 giugno proferisce parole a favore di Carlo Alberto di Savoia; il 29 giugno si trova a Genova, e per giungere a Roverbella, nei pressi di Mantova, deve chiedere 500 lire a un amico.

L'incontro con Alberto avvenne il 5 luglio: venne accolto freddamente, a causa l'antica condanna; non potendogli offrire aiuto, gli consigliò di recarsi a Torino dal ministro della guerra, che gli suggerì a sua volta di recarsi a Venezia. Nel 1848 incontrò Mazzini a Milano, rimanendone in parte deluso, avendo i due pensieri molto diversi. Partecipò comunque alla guerra come volontario al servizio del governo provvisorio di Milano, con la carica di generale. Formò il battaglione Anzani, del quale pose al comando Giacomo Medici, e partì alla volta di Brescia il 29 luglio, avendo ricevuto l'incarico di liberarla. Il numero dei suoi uomini era di circa 3.700 e usarono le vesti abbandonate dagli austriaci. Non giunse però nella città poiché venne richiamato a Milano. Le sue affermazioni contro Carlo Alberto provocarono una sua dura reazione: costui impartì l'ordine di fermarlo e se si fosse ritenuto necessario anche di arrestarlo, provocando la diserzione di alcuni volontari. Giunse ad Arona, dove chiese contributi alla cittadinanza, poi a Luino dove il 15 agosto 1848 ebbe il primo scontro in Italia contro gli austriaci (comandati dal Colonnello Molynary) e verso Varese, poi navigando sul Lago Maggiore, essendosi impadronito dei battelli, penetrò per poco nel territorio austriaco. Gli austriaci che si trovò a combattere erano comandati dal generale Konstantin d'Aspre, che ebbe l'ordine di ucciderlo, e il maresciallo Radetzky.

Quindi a Morazzone venne sorpreso da un attacco nemico, ma riuscì a fuggire nella notte rimanendo con circa 30 uomini. Trovò riparo in Svizzera, il 27 agosto valicando il confine travestito da contadino. Il 10 settembre ritornò da sua moglie, che viveva a casa di un amico, Giuseppe Deideri. Il 26 settembre ripartì alla volta di Genova, e il 24 ottobre si imbarcò sulla nave francese Pharamond con Anita, poi rimandata a Nizza. All'inizio erano 72 uomini con Garibaldi a cui si aggiunsero i lancieri di Angelo Masini il 24 novembre e soldati provenienti da Mantova. Si arrivò così a una formazione di 400 uomini alla quale Garibaldi diede il nome di Legione Italiana.

Ritornato in Europa, l'11 febbraio 1854 a Londra incontrò nuovamente Mazzini, poi viaggiando giunge prima a Genova il 6 maggio, e poi a Nizza. Compra il 29 dicembre 1855 una parte dei terreni di Caprera, (isola dell'arcipelago sardo di La Maddalena) Partendo dalla casa di un pastore costruì, insieme a 30 amici, una fattoria, in seguito l'isola divenne interamente di sua proprietà. Dopo la Terza Guerra di Indipendenza, venne chiamato a Caprera per amministrare i beni del Generale, il colonnello e amico Giovanni Froscianti (Collescipoli, 1811 – Collescipoli, 1885) che fu al fianco di Garibaldi durante la Spedizione dei Mille.

Nell'agosto del 1855 gli venne concessa la patente di capitano di prima classe: navigò con il "Salvatore", un piroscafo a elica; in seguito prese un cutter inglese chiamato Anglo French, a cui diede il nome del suo nuovo amore, Emma. Dopo che la nave si arenò, Garibaldi abbandonò l'attività di marinaio per dedicarsi all'agricoltura, lavorando come contadino e allevatore: possedeva un uliveto con circa 100 alberi d'ulivo, oltre a un vigneto, con cui produceva vino, e allevava 150 bovini, 400 polli, 200 capre, 50 maiali e più di 60 asini.

Il 4 agosto rese pubblico il suo pensiero distanziandosi dalle prese di posizioni Mazziniane. Il 20 dicembre 1858 incontrò Cavour. Divenne vicepresidente della Società Nazionale mentre si pensava di metterlo a capo di truppe: il 17 marzo 1859 vennero istituiti, grazie a un decreto reale, i Cacciatori delle Alpi, e Garibaldi ebbe il grado di maggiore generale. Si contavano circa 3200 uomini, i quali vestivano l'uniforme dell'esercito sardo. Si formarono 3 gruppi: oltre al nizzardo, al comando vi erano Enrico Cosenz e Giacomo Medici.

Marciò verso Arona: i suoi uomini erano convinti di pernottarvi, Garibaldi comunicò a Torino l'intenzione di giungervi, al che ordinando l'assoluto silenzio, raggiunse Castelletto, fermò due reggimenti e con il terzo avanzò; il 23 maggio, superato il Ticino, con le barche attaccò Sesto Calende riuscendo ad avere la meglio sugli austriaci e entrando in Lombardia.

Occupata Varese, venne affrontato il 26 maggio dal barone Karl Urban, noto anche come il Garibaldi austriaco inviato da Ferencz Gyulai; nell'occasione il comandante ordinò di sparare soltanto quando il nemico si trovasse alla distanza di 50 passi, lo scontro è noto come battaglia di Varese. Si conteranno fra i cacciatori la perdita di 22 uomini contro 105 austriaci, a cui si aggiungeranno 30 prigionieri. Il giorno seguente, dopo aver attaccato frontalmente e vinto gli austriaci nella battaglia di San Fermo, nonostante fosse in netta inferiorità numerica, occupò la città di Como. Il 29 ripartì con i suoi uomini dalla città, volendo conquistare il fortino a Laveno, raggiunto il 31 maggio. Questo attacco non ebbe esito favorevole, e nel frattempo, essendo Urban rientrato a Varese, ritornò a Como per presidiare la città, riprendendo poi Varese in seguito alla vittoria dei francesi a Magenta.

Il 15 giugno, seguendo l'ordine di Della Rocca che l'invia a Lonato sul lago di Garda, si mosse verso est. A Rezzato, nel bresciano, avrebbe dovuto congiungersi con le truppe di Sambuy, che però non giunsero in quanto l'operazione era stata annullata, ma di ciò non era stato avvertito e continuò ad avvicinarsi al nemico in ritirata. Enrico Cosenz, dopo aver fermato un attacco nemico, si fermò, mentre il colonnello Stefano Turr continuò l'attacco, raggiunto poi dallo stesso Cosenz; Garibaldi, notando la situazione sfavorevole, inviò Medici a loro sostegno e organizzò le truppe, limitando il danno: 154 fra i cacciatori, contro i 105 degli austriaci in quella che venne chiamata battaglia di Treponti. Ricevette quindi l'ordine di spostarsi in un teatro secondario bellico: in Valtellina, per respingere alcune truppe austriache verso il passo dello Stelvio; l'armistizio di Villafranca terminò gli scontri. Durante tutta questa campagna il numero di volontari al suo seguito crebbe da circa 3000 a un numero non ben quantificato: 12.000 secondo Trevelyan, 9500 secondo la Riall che si basa su uno scritto di Garibaldi stesso.

Manfredo Fanti ebbe il comando mentre Garibaldi venne retrocesso come comandante in seconda, ricevendo il comando di una delle tre truppe, le altre due saranno agli ordini di Pietro Roselli e Luigi Mezzacapo, dopo litigi diede le dimissioni.

Il 6 maggio 1866 si formarono dei Corpi Volontari: Garibaldi doveva assumerne il comando, ma invece di 15.000 persone previste si presentarono in 30.000 persone. Sul Piemonte il 10 giugno Garibaldi partì raggiungendo i suoi uomini. Alla fine si contarono 38.000 uomini e 200 cavalieri, ma di questi utilizzerà inizialmente solo 10.000 contro di lui il generale Kuhn von Kuhnenfeld con 17.000 uomini.

Doveva agire in una zona di operazioni secondaria, le prealpi tra Brescia e il Trentino, a ovest del Lago di Garda, con l'importante obiettivo strategico di tagliare la via fra il Tirolo e la fortezza austriaca di Verona. Ciò avrebbe lasciato agli Austriaci la sola via di Tarvisio per approvvigionare le proprie forze e fortezze fra Mantova e Udine. L'azione strategica principale era, invece, affidata ai due grandi eserciti di pianura, affidati a La Marmora e a Cialdini.

Garibaldi operò inizialmente a copertura di Brescia, dopo piccole vittorie del 24 giugno e quella del Ponte Caffaro il 25 giugno 1866. Il 3 luglio non riuscì a penetrare a Monte Suello dove venne ferito, lasciando il comando a Clemente Corte.

Il 16 luglio respinse una manovra del generale nemico a Condino il 21 luglio gli austriaci presero Bezzecca Garibaldi notando i suoi uomini ritirarsi diede nuove disposizioni riuscendo a respingere l'avanzata e a far ritirare il nemico. Si apriva la strada verso Riva del Garda e quindi l'imminente occupazione della città di Trento. Salvo essere fermato dalla firma dell'armistizio di Cormons. Il 3 agosto ricevette con telegramma di abbandonare il territorio occupato rispose telegraficamente: «Ho ricevuto il dispaccio nº 1073. Obbedisco» "Obbedisco", parola che successivamente divenne motto del Risorgimento italiano e simbolo della disciplina e dedizione di Garibaldi.

Il telegramma fu inviato dal garibaldino marignanese Respicio Olmeda in Bilancioni il 9 agosto 1866 da Bezzecca, evento ricordato su una lapide collocata sulla facciata della sua casa natale a San Giovanni in Marignano (RN).

Il corpo dei volontari venne sciolto il 1º settembre; in seguito ci fu l'episodio di Verona.


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ACHILLE PAPA

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Achille Papa (Desenzano del Garda, 23 settembre 1863 – Bainsizza, 5 ottobre 1917) è stato un generale italiano.

Prestò servizio nella Prima guerra mondiale, dapprima con il grado di maggiore comandante la Brigata Liguria, 157º e 158º reggimento fanteria, che combatté sull'Altopiano di Asiago e sul Pasubio; in seguito divenne generale e comandante della 44ª Divisione. Fu ucciso da un cecchino sulla Bainsizza.

Decorato di medaglia d'oro al valor militare, riposa nel Sacrario Militare di Oslavia, dopo essere stato tumulato fino al 1938 nel cimitero dei quattro generali.

Vicino al luogo della sua morte e precisamente sul monte Gomila, m. 816, nell'insediamento di Battaglia della Bainsizza (Bate) del comune sloveno di Nova Gorica si trova un monumento a piramide in suo onore, recentemente entrato a far parte del Parco della Pace del Monte Sabotino (Sabotin Park Miru).

È ricordato nella toponomastica di molte città; Desenzano lo ricorda con un monumento ed una scuola elementare intitolata a lui.

A lui è intitolato il Rifugio Papa ricavato sui ricoveri italiani alle Porte del Pasubio, attualmente punto di riferimento per le escursioni sul monte e sulla Zona Sacra, teatro delle cruentissime battaglie della Prima guerra mondiale. A lui è intitolata la ex Caserma di Brescia sede del 20º Battaglione di Fanteria Meccanizzata "Monte San Michele".

La Regia Marina gli intitolò anche un cacciatorpediniere della Classe Generali, varato nel 1921 e affondato nel 1943.

La trentunesima galleria della strada delle 52 gallerie del Monte Pasubio, scavate in occasione dei combattimenti della prima guerra mondiale, lunga 72 metri, porta il suo nome.


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mercoledì 4 marzo 2015

MILANO & CRIMINI : COVO BR VIA MONTE NEVOSO

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Il Memoriale Moro è un insieme di vari documenti redatti dai terroristi delle Brigate Rosse che rapirono nel 1978 Aldo Moro, autore di una parte degli scritti. Questi furono rinvenuti in varie occasioni dal 1978 al 1990. I documenti vennero inizialmente presi in consegna dalla Digos, per essere poi consegnati e pubblicati dalla Commissione Stragi nel 2001.

Una versione del testo dattiloscritto fu ritrovata il 1º ottobre del 1978 in un appartamento-covo delle Brigate Rosse di via Monte Nevoso a Milano. Gli inquirenti dichiararono che l'appartamento era stato scarnificato, quindi si era certi che fosse impossibile ritrovare altro materiale. Molti anni dopo, nell'ottobre 1990, durante alcuni lavori di restauro nello stesso appartamento, fu rinvenuta altra versione più estesa del testo e del denaro ormai fuori corso.

Negli anni sono state date versioni leggermente differenti del primo ritrovamento del Memoriale nel covo delle BR. Il generale dei Carabinieri Nicolò Bozzo, al tempo nell'antiterrorismo, che effettuò per primo la perquisizione del covo descrive il ritrovamento davanti alla Commissione Stragi e più approfonditamente nel libro intervista Sragione di Stato.

Il generale Bozzo, rispondendo ad una domanda del presidente Pellegrino sulle varie versioni che negli anni si sono succedute, descrive così gli eventi che portarono all'individuazione del covo davanti alla commissione stragi:

« Come è andato il fatto? Era l'epoca dei borselli. Qualcuno sorride dal momento che si dice che si trovavano troppi borselli. Ma perché si trovavano i borselli? Perché questi contenevano anche le armi individuali. Noi facevamo dei controlli sugli autobus, sul treni; effettuavamo delle perquisizioni. Se c'era il brigatista con il borsello questi lo metteva sotto il sedile e scendeva, quando veniva perquisito, non veniva fuori niente. Soltanto dopo si trovava il borsello con la pistola. Ecco cosa è successo a Firenze. Tra l'altro, in quel borsello c'era anche la ricevuta dell'appuntamento di un dentista di Milano e la ricevuta dell'assicurazione di un motociclo. Questo motociclo era stato prodotto a Bologna e poi inviato ad un fornitore di Milano. Compiendo indagini presso questo fornitore, è emerso che l'aveva acquistato un giovane della zona. Avevamo trovato anche delle chiavi nel borsello e allora la zona, come ha detto lei, Presidente, è stata controllata palazzo per palazzo, casa per casa, portone per portone: di notte andarono a provare le chiavi per giorni e giorni, fintanto che si riuscì ad aprire un portone. Allora lo mettemmo sotto vigilanza (più precisamente definito servizio di o.c.p., osservazione, controllo e pedinamento) e trovammo questo giovane che ci era stato vagamente descritto da quel concessionario e da lì è nato il fatto. Questo giovane è stato identificato come Azzolini il 31 agosto, mi sembra, quando Dalla Chiesa effettivamente non aveva ancora assunto il pieno comando dei reparti antiterrorismo, ma era già stato investito dal Governo dal 10 agosto e quindi già ci contattava. Ecco come sono andate le cose. Diciamo che la versione più attendibile è quella di Dalla Chiesa, seppure con delle imprecisioni, dovute al fatto che lui voleva riferire a voce su avvenimenti che non aveva vissuto, mentre avrebbe potuto benissimo leggere alla Commissione il documento che gli avevamo preparato e allora non ci sarebbero state queste imprecisioni. »
(Inchiesta su stragi e depistaggi e sul caso Moro: audizione del generale dell'Arma dei carabinieri Nicolò Bozzo, Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 28ª seduta, 21 gennaio 1998.)
Relativamente alla decisione di effettuare la perquisizione una volta individuato il covo:

« Dunque, io informai Dalla Chiesa di questa operazione il 10 agosto a Roma, perché in quella data lui convocò tutti i capi dell'antiterrorismo - eravamo in tre, uno a Milano, uno a Roma e uno a Napoli - nel suo ufficio di coordinatore dei servizi di sicurezza di prevenzione e pena. Mi chiese cosa stavo facendo a Milano e gli dissi che stavamo conducendo un'operazione che forse poteva portare a qualcosa di "solido". Lui mi ascoltò e mi disse di tener presente che non bisognava andare a cercare il covo o il covetto, ma poiché eravamo pochi dovevamo cercare i capi. Se volevamo risolvere il problema e tagliare il fenomeno alle radici, dovevamo catturare i vertici quando si riunivano: era quello il suo obiettivo, cioè sorprendere una direzione strategica in riunione, fare un'irruzione e catturarli tutti. In modo sottinteso, mi fece capire che queste piccole operazioni erano di mia competenza, che me le dovevo gestire io e non lui. D'altra parte io non gli avevo detto di Azzolini e di altre cose. Io cominciai ad informarlo quando identificammo Azzolini: al generale però dissi non che era certamente Azzolini, ma che poteva trattarsi di lui. Allora - ed eravamo già ai primi di settembre - il generale cominciò a dimostrare un certo interesse. Dalla Chiesa cambiò completamente opinione quando gli dissi che c'era la Mantovani in giro a Milano e che frequentava via Monte Nevoso, perché la Mantovani era entrata in clandestinità dal soggiorno obbligato ed era stato un caso clamoroso che aveva negativamente impressionato tutta l'opinione pubblica. Dalla Chiesa allora disse che bisognava catturarla subito, anche il giorno successivo, ma io replicai che non si poteva organizzare in così breve tempo l'operazione, perché bisognava pensare anche alla sicurezza del personale. Poi addirittura c’erano 6-7 obiettivi, una decina di persone indagate (e ne catturammo 9). Mi diede tre giorni, poi riuscii a strappargli una settimana. »
(Inchiesta su stragi e depistaggi e sul caso Moro: audizione del generale dell'Arma dei carabinieri Nicolò Bozzo, Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 28ª seduta, 21 gennaio 1998.)
Il contenuto del secondo ritrovamento era:

sessanta milioni di lire, con molto probabilità provenienti dal riscatto del sequestro dell'armatore Pietro Costa, contenuti in una borsa nera;
un fucile mitragliatore, contenuto in un avvolgimento di giornali risalenti al settembre 1978;
una pistola Walther PPK;
una cartella piena di carte, avvolte nel nastro adesivo.
Tra le carte, in tutto 421 fogli, vi erano diverse lettere scritte da Moro, disposizioni testamentarie e il memoriale. Dei 421 fogli 229 sono fotocopie del manoscritto di Moro, con le risposte all'interrogatorio dei brigatisti (ma, come nella versione già nota, senza indicazione delle domande precise): rispetto alla versione ritrovata nel 1978 (che era dattiloscritta) sono presenti ben 53 pagine in più.

Del Memoriale si ebbero varie stesure:

STESURA-A: Originale, nastri e fogli provenienti direttamente dall'interrogatorio, bruciati forse dai terroristi dopo la redazione della Stesura-B, o forse almeno in parte conservati a via Monte Nevoso a Milano (Stesura-D);
STESURA-B: stesura basata in tutto o in parte sui documenti della STESURA-A, dattiloscritti in una casa-covo di Firenze dai Brigatisti;
STESURA-C: stesura ritrovata il 1º ottobre 1978 in un covo di via Monte Nevoso (in tutto ritrovate 43 pagine di documenti);
STESURA-D: stesura manoscritta da Moro, ritrovata durante alcuni lavori nell'ottobre 1990 nello stesso covo di via Monte Nevoso in un'intercapedine (421 fogli in tutto, di cui 229 sono fotocopie del manoscritto).
Tra il materiale della stesura D, oltre al memoriale, figurano anche lettere scritte da Moro e non consegnate dalle BR e le prime stesure di lettere che poi Moro decise di riscrivere.

La distruzione effettuata dai brigatisti della Stesura-A, cioè dei documenti originali, non permette di valutare le versioni successive, nella loro aderenza o meno alle risposte date da Aldo Moro nel corso del suo interrogatorio, né permette di avere la sicurezza totale che il ritrovamento più vasto (la STESURA-D), sia effettivamente completo. Le eventuali mancanze, però, non possono essere considerate dirimenti a una lettura "storica" della documentazione esistente.

La versione delle BR si basa su di un interrogatorio cui sottoposero Aldo Moro durante la prigionia. Il documento è redatto in prima persona, con Moro come narratore, e diffuso in forma dattiloscritta da Firenze, secondo alcuni dal covo di via Barbieri dell'architetto Giampaolo Barbi, o, secondo l'avvocato di Emanuele Petri, in un appartamento nei pressi del carcere di Sollicciano il cui proprietario era Giovanni Senzani. Un primo ritrovamento dei documenti avvenne nel 1978, in un covo delle BR appena scoperto a Milano in via Monte Nevoso: si tratta di pagine dattiloscritte, e quindi non è certo se siano state censurate o modificate. Alcune pagine manoscritte da Moro vennero ritrovate in un'intercapedine il 9 ottobre 1990 sempre nel covo di Milano, durante una ristrutturazione.

Le due stesure del testo pervenuteci, la C e la D, hanno consistenti differenze, che si spiegano nel rapporto copia-originale: infatti la stesura C è un dattiloscritto che in talune parti sunteggia, in talaltre riporta integralmente ovvero omette del tutto la stesura A, della quale (o di parte della quale) la stesura D è una fotocopia (lo dimostra il fatto che la perizia calligrafica compiuta su quanto trovato nel 1990 attesta l'autenticità della grafia di Aldo Moro). Non si conosce la causa dell'esistenza stessa della stesura C e se fu redatta dalle Brigate Rosse oppure dall'ufficio del Ministero dell'Interno a cui nell'ottobre 1978 furono conferiti dal generale Dalla Chiesa i materiali trovati a via Monte Nevoso. Non è noto se vi fu una stesura B destinata alle Colonne Brigatiste, ma la stesura C nelle sue molteplici omissioni (e nel linguaggio questurile con cui fu redatta) pare corrispondere assai di più all'intento di non rendere noti i pesanti apprezzamenti che Moro fece nella prigionia su alcuni suoi compagni di partito e di governo.

Le Brigate Rosse affermano di aver bruciato i nastri originali e gli scritti originali prodotto da Moro. Non si hanno elementi per accertare se uno o l'altro dei testi corrispondano effettivamente, ed in che misura, alla libera volontà di Aldo Moro nel dare risposte alle domande che gli furono poste nel corso dei lunghi giorni di prigionia. D'altro canto, non si vede per quale motivo le Br debbano aver "riscritto" le carte di Moro, se ci stavano lavorando per una pubblicazione clandestina al momento della scoperta della base di via Monte Nevoso, a Milano. La Commissione Stragi acquisì il materiale dalla Digos nel febbraio 2001, dopo che era stato dato per disperso, lo riordinò per tema confrontando le Stesura D e C (cioè il testo che fu diffuso dal Ministero dell'Interno il 17 ottobre 1978, che come detto era poco ordinato). Il Memoriale completamente ricostruito, in 16 temi, è disponibile presso la commissione stragi. Sulle differenze vennero aperte varie interrogazioni della Commissione, in cui venne ascoltato anche il capo del ramo italiano dell'organizzazione Gladio. Organizzazione che, però, non costituiva un segreto NATO di rilevante importanza. Anzi, una settimana dopo la cattura di Moro, il governo venne informato da fonti NATO che Moro non fosse a conoscenza di dati sensibili riguardanti armamenti, truppe, piani di intervento, tempi di mobilitazione.

Il 22 marzo 2001, la Commissione stragi decide la pubblicazione integrale del materiale, tra cui quello relativo al caso Moro.Alcuni retroscena erano già stati anticipati durante il sequestro dell'archivio del generale Demetrio Cogliandro, ex capo del Sismi, la vigilia di Natale del 1995.

Alcune conclusioni sul Memoriale Moro sono riportate nella sentenza Andreotti:

« La comparazione tra i due scritti, tuttavia, permette di affermare, seguitano gli stessi giudici, che quello rinvenuto nel 1990 contiene notizie più pregnanti ed organiche rispetto a quello del 1978. Ed invero, sul caso Italcasse se da un lato nello scritto del 1978 vi è un riferimento al ruolo del debitore Caltagirone, che tratta su mandato politico la successione del direttore generale dell’Italcasse, nello scritto del 1990 si fa un maggior cenno al motivo per cui Caltagirone ha mandato politico nella nomina del direttore dell’Italcasse e, cioè, la sistemazione della propria posizione debitoria.
Parimenti sui rapporti tra Michele Sindona e Giulio Andreotti; mentre nello scritto del 1978 si parla quasi occasionalmente del viaggio di Giulio Andreotti negli Stati Uniti d’America, per incontrare Michele Sindona, e della nomina di Mario Barone (come pretesa di Michele Sindona per la sua collocazione all’interno del Banco di Roma, quale contropartita per l’elargizione di £ 2.000.000.000, in occasione della campagna per il referendum per il divorzio, da parte di Sindona, e delle ripercussioni che una tale nomina politica avrebbe avuto negli equilibri del Banco di Roma) si parla nell’ambito della valutazione della figura di Amintore Fanfani, nello scritto del 1990 i rapporti tra Michele Sindona, Mario Barone e Giulio Andreotti vengono organicamente trattati come espressione della personalità di Giulio Andreotti da lui definito nello scritto del 1978: "Un regista freddo, imperscrutabile, senza dubbi, senza palpiti, senza mai un momento di pietà umana. È questo l'on. Andreotti del quale gli altri sono stati tutti gli obbedienti esecutori di ordini" e continua affermando che "Andreotti è restato indifferente, livido, assente, chiuso nel suo cupo sogno di gloria".
Giudizio completato nello scritto del 1990 quando, dopo avere unitariamente analizzato i fatti riferiti a Giulio Andreotti e avere tra questi inserito anche l’intervista in cui denunciava l’appartenenza di Guido Giannettini come agente del SID, afferma che quelli sono tutti segni di un’incredibile spregiudicatezza che deve aver caratterizzato tutta una fortunata carriera (che Moro non gli ha mai invidiato) e della quale la caratteristica più singolare è che passi così frequentemente priva di censura o anche solo del minimo rilievo. »
( Corte d'Assise d'Appello di Perugia (PDF), sentenza n. 4 del 13 febbraio 2003, pp. 47-48. URL consultato il 24 gennaio 2012.)


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