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lunedì 1 giugno 2015

PERSONE DI CASTEL GOFFREDO : GIUSEPPE ACERBI

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Nasce a Castel Goffredo (Mantova) il 3 maggio 1773, da un'antica famiglia la cui origine risale all'XI secolo.
Riceve una prima istruzione dai genitori, il colonnello Giacomo Acerbi (1740-1811) e dalla nobildonna Marianna Riva di Castel Goffredo, poi dall'abate Saverio Bettinelli, nello spirito dei Lumi e si laurea in legge nel 1794 a Pavia; conosce le più importanti lingue europee, è politicamente vicino ai giacobini e nel 1798 intraprende un viaggio per l'Europa fino a Capo Nord (primo uomo nella storia), attraversando il nord della Finlandia, insieme con Bernardo Bellotti, figlio di un banchiere bresciano. In Svezia si unisce alla spedizione il colonnello Anders Fredrik Skjöldebrand.

Impara il francese, l'inglese e il tedesco, annota scrupolosamente e con notevole intelligenza le osservazioni dei suoi viaggi: popoli, costumi, mentalità, mode letterarie senza tralasciare riferimenti scientifici sempre documentati. Nel 1802 pubblica a Londra, in lingua inglese, un resoconto dei suoi viaggi nell'Europa del nord: "Travel through Sweden, Finland and Lapland to the North Cap in the years 1798 and 1799" (la traduzione italiana, in realtà solo un compendio dei "Travels", apparirà a Milano nel 1832 con il titolo "Viaggio al Capo Nord").e i suoi viaggi conosce molte personalità di grande importanza europea come Madame de Stael, Goethe, Malthus, Klopstock.
A Parigi, dove si trova come addetto alla legazione della Repubblica Cisalpina, incontra Napoleone. Sempre a Parigi viene arrestato a causa di alcuni giudizi espressi nei "Travels" e questo influenza profondamente il suo atteggiamento nei confronti della situazione francese: ormai si tratta sempre più di un impero militare ben lontano dagli ideali che hanno ispirato la Rivoluzione Francese, ideali ai quali Giuseppe Acerbi guardava con speranza e fiducia. Torna in Italia interrompendo il lavoro diplomatico per la Francia  imperiale, ma continuando a studiare e a coltivare i suoi innumerevoli interessi (scienze naturali, agricoltura, musica, disegno, lingue moderne, ecc.).
Si reca a Vienna durante il Congresso del 1815 e ottiene la nomina di Console Generale d'Austria a Lisbona. In realtà non si reca a Lisbona ma rimane a Milano dove dirige la Biblioteca Italiana, che inizia a pubblicare nel 1816 sotto gli auspici del governo. La rivista gli attira molte critiche e da molti viene considerato un'antipatriota. Nel 1825, dopo molti incontri con il principe Metternich, viene nominato Console Generale in Egitto, e l'anno successivo arriva a Alessandria. Rimane in Egitto fino al 1834 compiendo numerosi viaggi ed esplorazioni.
Partecipa alla spedizione archeologica di Champollion, visita l'alto Egitto e la Nubia, successivamente si reca anche nel basso Egitto. In questi viaggi raccoglie moltissimo materiale archeologico che oggi fa parte delle collezioni di vari musei italiani e stranieri, tra cui quelli di Milano e di Mantova (Museo Egizio di Palazzo Te). Tornato in Italia resta per un paio di anni a Venezia come consigliere del governo austriaco. Nel 1836 si ritira definitivamente a Castel Goffredo per dedicarsi ancora agli studi.
Si interessa all'amministrazione dei suoi beni, mette mano al riordino delle note raccolte in Egitto, riordino che non riesce, purtroppo, a portare a termine. Muore il 25 agosto 1846.

Durante la sua permanenza in Finlandia raccolse vari testi di poesie, Jos mun tuttuni tulisi ("Se il mio caro venisse"), la ninna nanna Nuku, nuku nurmilintu ("Dormi, dormi uccellino"), il poema di Antti Keksi sull'inondazione del fiume Tornionjoki del 1677, poi divenuto un canto religioso. Annotò la melodia della canzone Älä sure Suomen kansa ("Non affliggerti popolo di Finlandia") e del Kalevala, il poema epico finlandese, composto da 50 canti, o runi, descrivendone l'esecuzione dei runoja, i cantori sciamani del luogo, ma tale trascrizione è considerata imprecisa.

La figura dell'Acerbi è molto più nota in Finlandia che in Italia: la sigla della radio di Stato finlandese è tratta da una sua melodia.
In Italia Acerbi ha una fama equivoca, legata all'occupazione austriaca. È noto che nella Restaurazione succeduta alla sconfitta napoleonica l'Austria cercò, con un governo paternalistico ma anche con una buona amministrazione, di procurarsi il favore della popolazione e in particolare di ottenere la collaborazione o almeno la neutralità degli intellettuali, suoi potenziali avversari: con la costituzione del periodico letterario Biblioteca Italiana, voluta dal conte Heinrich von Bellegarde e finanziato direttamente dal governo austriaco, cercò di contribuire a "rettificare le opinioni erronee sparse in tutte le forme dal cessato regime" e soprattutto di tener lontano i letterati dalla politica. La rivista superò i 700 abbonati.

Rifiutato l'incarico dal Foscolo, la direzione della rivista fu assunta da Acerbi e la Biblioteca italiana, che fu edita dal 1816 al 1859, apparve presto uno strumento dell'oppressione austriaca, anche se i suoi collaboratori furono tra gli scrittori più prestigiosi del tempo: Vincenzo Monti, Pietro Giordani, Carlo Botta, Antonio Cesari, Giulio Perticari, Gian Domenico Romagnosi, Melchiorre Gioia, Silvio Pellico, Vittorio Barzoni, Paride Zajotti e Giambattista Brocchi, definito dal Monti la principal colonna della Biblioteca.

A Giuseppe Acerbi è intitolato il Premio Letterario Giuseppe Acerbi del comune di Castel Goffredo.
Il "Premio Letterario Giuseppe Acerbi, narrativa per conoscere ed avvicinare i popoli" nasce ufficialmente nel 1993 con lo scopo di divulgare l'immagine di Castel Goffredo nel mondo non solo attraverso il suo prodotto industriale più rilevante, le calze, ma anche tramite iniziative culturali di alto livello. Il Premio si propone di contribuire alla diffusione di produzione letteraria di autori fino ad ora poco conosciuti in Italia, provenienti da nazioni o aree culturali europee ed extraeuropee.

All'edizione 1995 il Comitato organizzatore ha affiancato alla giuria scientifica, composta da studiosi e professori universitari, un'altra giuria formata da 70 lettori scelti tra gli iscritti alle biblioteche della Provincia di Mantova e Brescia, che, dopo aver letto i libri in concorso, esprimeranno il loro voto in busta chiusa consegnandola alla biblioteca che li aveva scelti; ogni lettore avrà a disposizione un solo voto; la giuria scientifica invece è composta da cinque grandi lettori, il cui voto vale cinque punti. Il punteggio espresso dalle giurie raggiungere in questo modo il totale di 95 punti.




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mercoledì 22 aprile 2015

PERSONE DI LUINO : PIERO CHIARA

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Nacque il 23 marzo 1913 a Luino, sulla sponda lombarda del Lago Maggiore. Figlio unico di Eugenio, doganiere, nato nel 1867 a Resuttano, nel cuore della Sicilia, e di Virginia Maffei, originaria del Vergante, che a Luino gestiva con il fratello Pietro un negozio di cesti e ombrelli, venne battezzato Pierino Angelo Carmelo.

Trascorse l’infanzia in una casa situata nei pressi del porto di Luino. In ambito scolastico manifestò presto gravi difficoltà, che in terza elementare si tradussero in una bocciatura, dovuta all’abitudine di evadere l’obbligo per bighellonare in campagna, sulle rive del lago o tra i banchi dell’animato mercato locale. L’anno successivo ottenne la promozione a patto che si ritirasse dalla scuola pubblica. Nell’autunno del 1923 entrò dunque nel severo collegio salesiano S. Luigi di Intra, dove resistette sino alla quinta, quando i genitori lo trasferirono al collegio De Filippi di Arona. Di nuovo respinto in seconda ginnasio, si impiegò come apprendista nella bottega di un fotografo luinese. Fallito quest’ultimo, si iscrisse all’istituto Omar di Novara, per diplomarsi perito meccanico. Abbandonò tuttavia il proposito e fece ritorno al paese natale, dove preparò da privatista gli esami per la licenza complementare, che ottenne nel giugno 1929. Maturava intanto un’avida passione per la letteratura, che lo portava ad alternare le biblioteche alle palestre, dove praticava pugilato e lotta per tonificare il fisico minuto.

Dopo aver soggiornato a Roma e a Napoli, ancora minorenne decise di emigrare in Francia. Abitò a Nizza e poi a Parigi, esercitando svariati mestieri. Rientrato nel 1931 a Luino, fu esentato dal servizio militare a causa della forte miopia. Si diede a una vita scioperata, fra carte e biliardo, con lunghi soggiorni a Milano, dove – oltre ai caffè – era solito frequentare le sale di lettura dell’Ambrosiana e di Brera.

Vinto un concorso nell’amministrazione della Giustizia per un posto di aiutante di cancelleria, nell’ottobre 1932 venne assegnato alla pretura di Pontebba; subito spostato ad Aidùssina, al confine iugoslavo, vi trascorse un duro inverno. Nell’aprile 1933 fu trasferito a Cividale del Friuli, dove trovò un ambiente stimolante, che lo spinse a ragionare criticamente sui precetti fascisti assimilati in precedenza. Sorpreso in piacevole compagnia sul luogo di lavoro, se la cavò con un periodo di aspettativa per motivi di salute, cui fece seguito nella primavera del 1934 la destinazione alla pretura di Varese.

In questa fase irrobustì con l’entusiasmo dell’autodidatta la sua preparazione culturale. Lesse Charles Baudelaire, Paul Verlaine, Arthur Rimbaud, i romanzieri francesi e russi dell’Ottocento, ma anche Boccaccio e il Lazarillo de Tormes. Favorito dal tempo libero a disposizione, avviò qualche collaborazione con periodici locali, scrivendo soprattutto di arte.

Collezionò intanto avventure sentimentali, fino a che si invaghì, corrisposto, della giovanissima Jula Scherb, figlia di un illustre medico zurighese. La coppia regolarizzò la propria unione il 20 ottobre 1936 nella basilica di S. Ambrogio, a Milano, e si stabilì a Varese. Presto montò un crescendo di incomprensioni reciproche, che neppure la nascita del figlio Marco, nel luglio 1937, riuscì a interrompere. Chiara auspicava un radicale cambiamento di vita, che parve prender forma nell’estate del 1939, quando – ottenuto un visto per la Bolivia – si apprestò alla partenza per il Sudamerica. Ma lo scoppio della guerra lo costrinse a rinunciare al viaggio.

Dopo la breve chiamata alle armi, nonostante il suo disinteressamento alla politica, fu costretto a fuggire in Svizzera (1944) in seguito a un ordine di cattura emesso dal Tribunale Speciale Fascista per aver messo, il 25 luglio 1943 alla caduta del Fascismo, il busto di Mussolini nella gabbia degli imputati del tribunale in cui lavorava. In Svizzera visse in alcuni campi in cui venivano internati i rifugiati italiani. Finita la guerra, insegnò lettere al liceo italiano dello Zugerberg e l'anno dopo tornò in Italia.

Inizia un periodo di fervida inventiva e continua creatività.

Nel 1970 Piero Chiara ha un ruolo di attore in Venga a prendere il caffè da noi, film diretto da Alberto Lattuada e interpretato da Ugo Tognazzi, tratto dal suo romanzo del 1964 La spartizione, per il quale collabora anche alla sceneggiatura. Nello stesso anno prese parte sempre come attore allo sceneggiato Rai I giovedì della signora Giulia, tratto dal suo omonimo romanzo (parzialmente modificato nel finale), interpretando la parte del Pretore.

Il suo successo culmina nel 1976 con il capolavoro La stanza del vescovo che diventerà immediatamente un film di grande successo diretto da Dino Risi e interpretato anch'esso da Ugo Tognazzi, insieme a Ornella Muti.

Spesso appare come comparsa o recitando in piccole parti nei film tratti dai suoi romanzi, per esempio proprio come cancelliere del tribunale in La stanza del vescovo.

Morirà dieci anni dopo, a Varese, dopo aver anche ricoperto numerosi incarichi nel Partito Liberale Italiano anche a livello nazionale. Lo scrittore fu inoltre affiliato alla Massoneria nelle logge di Varese, Milano e Como.

Tre anni dopo la sua morte, un gruppo di amici, con il supporto degli enti locali del Varesotto, onorerà la sua memoria istituendo il Premio Chiara, un premio letterario rivolto a raccolte di racconti pubblicate in Italia e Svizzera italiana, cui saranno via via affiancate numerose iniziative a sfondo culturale.

Piero Chiara è il poeta delle piccole storie del "grande lago" che spesso fa da palcoscenico ai suoi brevi ed illuminanti racconti. Narra le piccolezze della vita di provincia con quello stile mai insipido, sempre venato di arguzia, di ironia, a tratti di un sottile e malinconico umorismo, e sempre capace di cogliere nel quotidiano l'essenza, ormai dimenticata, della vita.

Chiara dipinge i tratti della vita dell'alta Lombardia e dei cantoni svizzeri: una vita di frontiera, fatta di spalloni e contrabbandieri, briganti e fuggiaschi, ma soprattutto della piccola borghesia e di personaggi quotidiani.

Amante del biliardo e dell'ozio, molti personaggi saranno in parte autobiografici. Così scopriremo gli altarini del pretore di provincia o della moglie del commercialista che si fa curare dal medico del paese. Storielle ben narrate, che scorrono veloci tra le righe, talmente ben congegnate, che non ci persuadono non esser vere. Nei suoi libri non è importante solo la descrizione dei luoghi ma anche (e soprattutto) l'indagine psicologica dei personaggi, la capacità di metterne in evidenza vizi e virtù con un sorriso ironico, spregiudicato ma mai irrispettoso. Il segreto di Chiara è nella sua capacità di raccontare, nella scelta di argomenti anche "scabrosi" (l'omicidio, l'adulterio, l'ossessione erotica) senza mai cedere a compiacimenti volgari: Chiara descrive caratteri e situazioni, non indulge a cedimenti morbosi. Traspare dalle sue pagine un senso di nostalgia, ma anche la disincantata consapevolezza che il ritorno al passato non è realizzabile. L'amarezza dello scrittore emerge soprattutto nelle ultime opere, da "Il cappotto di astrakan" a "Vedrò Singapore?", fino al postumo "Saluti notturni dal Passo della Cisa", disillusa storia di provincia ispirata a un fatto di cronaca.

Chiara, oltre che uno scrittore di grande successo, fu uno dei più noti studiosi della vita e delle opere dello scrittore e avventuriero Giacomo Casanova. Pubblicò molti scritti sull'argomento che raccolse poi nel libro “Il vero Casanova” (1977). Curò, per Mondadori, la prima edizione integrale, basata sul manoscritto originale, dell'opera autobiografica del Casanova: Histoire de ma vie. Scrisse anche la sceneggiatura dell'edizione televisiva (1980) dell'opera di Arthur Schnitzler Il ritorno di Casanova.



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sabato 18 aprile 2015

PERSONE DI ANGERA : ANTONIO GREPPI

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Antonio Greppi (Angera, 26 giugno 1894 – Milano, 22 ottobre 1982) è stato un politico, scrittore e commediografo italiano, e il primo sindaco di Milano dopo la Liberazione.
Greppi (i cui resti sono conservati nella Cappella di famiglia di Angera, dove riposa anche il figlio Mario), ha lasciato un'autobiografia politica intitolata La coscienza in pace, che raccoglie anche importanti note sul socialismo italiano. Tra le opere letterarie di Antonio Greppi, meritano citazione i romanzi I poveri fanno la storia e Le trombe degli angeli, che vinse il Premio Città di Bari e la commedia Passeggiate, che fu premiata col "Città di Bologna". Le sue opere teatrali dal 1945 al 1955, sono state pubblicate in volume dall'editore Ceschina. Al nome del suo sindaco della Liberazione, che ha lasciato anche molte commedie in vernacolo, la città di Milano ha intitolato il Largo sul quale affaccia il "Piccolo Teatro Strehler". Pure un Istituto scolastico porta il nome di Greppi, così come una via del suo paese natale. Il 10 aprile 2008, la figlia primogenita di Antonio Greppi (Enrica, unica superstite dei tre figli del "sindaco della ricostruzione" milanese), è deceduta all'età di 89 anni.

Nacque da Ulisse e da Maddalena Rebuschini ad Angera, nel Varesotto, il 26 giugno 1884.
Greppi si formò nell'ambito di una tradizione familiare sensibile ai valori civici e patriottici: di particolare spessore fu la figura del nonno Giuseppe Rebuschini, garibaldino. Vicino sin da giovane all'impegno, umano ancor prima che politico, del socialismo riformista  cui l'aveva introdotto U.G. Mondolfo, suo insegnante di storia al liceo Berchet di Milano frequentato dal 1911, Greppi avrebbe ispirato la sua visione della vita a un pacifismo tolstoiano non disgiunto dall'influenza delle correnti positiviste.

Nel 1913, volontario per un anno nel Savoia cavalleria, restò impressionato dall'impiego del suo reparto intervenuto in servizio d'ordine pubblico per disperdere una dimostrazione di lavoratori. Nel 1914 si iscrisse a giurisprudenza all'Università di Pavia e, in giugno, s'impegnò nelle elezioni comunali di Milano in sostegno della lista socialista, vittoriosa con l'elezione a sindaco di E. Caldara, il quale rimase per lui esempio significativo di amministratore operoso.

Nell'agosto dello stesso anno l'invasione del Belgio da parte della Germania generò nel Greppi un'avversione profonda all'uso della forza nei conflitti internazionali; partecipò, quindi, ai dibattiti tra i socialisti milanesi circa l'intervento. Dopo la dichiarazione di guerra all'Austria da parte dell'Italia, nel 1915, rispose alla chiamata alle armi e fu inviato come sergente al fronte, dapprima sull'Isonzo, volontario in una batteria di bombardieri, poi, nell'inverno 1916, assegnato alla cavalleria; nel 1917 fu ferito nella zona del Pasubio. Durante un breve soggiorno in ospedale sposò Bianca Mazzoni, conosciuta sin da ragazzo.

Greppi aveva seguito con interesse le iniziative pacifiste dei socialisti europei ed era al fronte quando E. Cacciaguerra, direttore di un giornale d'ispirazione cristianosociale, L'Azione di Cesena, lo invitò a collaborare: a tal fine ebbe contatti con P. Mazzolari e G. Donati, di cui condivise le posizioni fondate sul principio di salvare sul momento, con la guerra, i popoli d'Europa per risolvere in seguito, con la pace, i problemi di giustizia sociale. In questo periodo ebbe anche modo di ascoltare a Schio una conferenza di G. Salvemini, concordando con lui nel ritenere la guerra in corso un conflitto di civiltà. Dopo Caporetto fu con i socialisti che affermavano di "ritrovare la patria" sul Grappa, e combatté sul Montello e sul Piave.

Congedato al termine della guerra, tornò ad Angera e si iscrisse al partito socialista (sezione di Varese). Nel 1919 si laureò con una tesi su "Pregi e difetti del parlamentarismo", argomento di scottante attualità tra i socialisti, divisi tra i sostenitori della rivoluzione russa e i fautori di una evoluzione graduale, attraverso le istituzioni democratiche, linea quest'ultima dal Greppi caldeggiata, in costante comunione di intenti e di lavoro politico con F. Turati e Anna Kuliscioff.

Greppi si dedicava con interesse anche alla letteratura e un suo racconto vinse nel '19 il premio per la pace indetto dalla Rivista internazionale, diretta da T. Moneta. Mentre s'avviava alla professione forense, fu attivo nell'Università proletaria e tra gli Amici dell'arte (come direttore del periodico Popolo e arte) e si dedicò a scrivere per il teatro, pubblicando la sua prima commedia, Buio. Nelle elezioni amministrative del 1920 si presentò candidato nel Comune di Angera e fu eletto sindaco, trovandosi presto coinvolto nella bufera scatenata dai fascisti. In seguito ai disordini successivi alla marcia su Roma, si dimise per protesta, pur potendo godere della benevolenza personale mostrata nei suoi confronti in quanto ex combattente. Nelle settimane precedenti aveva seguito G. Matteotti, Turati e C. Treves nel nuovo Partito socialista unitario, costituito in polemica con i massimalisti, e, in rappresentanza dei giovani, entrò nella direzione, assumendo la responsabilità del loro organo La Libertà!

Tra il 1923 e il 1925 si impegnò attivamente in difesa della democrazia contro il fascismo, trovando consonanza in G. Faravelli, C. Rosselli, G. Saragat, con i quali si incontrò più volte, promuovendo numerose iniziative. Subito dopo il rapimento di Matteotti rifiutò la difesa di uno degli aggressori. In quelle tumultuose settimane fu poi oggetto di violenze personali, partecipando attivamente alla denuncia delle responsabilità di Mussolini, in linea con i maggiori esponenti dell'opposizione, da Greppi Amendola a C. Sforza e P. Gobetti; a Berna commemorò Matteotti.

Negli anni del fascismo Greppi riuscì a esercitare comunque la professione forense, guadagnandosi la fama di "avvocato dei poveri". Vennero anche rappresentati alcuni suoi testi teatrali.

Tali lavori, come del resto i successivi, sono principalmente improntati alla ricerca del significato etico comunque presente nel comportamento degli esseri umani e nelle piccole vicende dell'esistenza quotidiana; di fatto Greppi rifiutava il concetto di apoliticità della cultura e, come il suo amico e sodale V. Brocchi, intese, almeno entro certi limiti, professare il socialismo attraverso la letteratura.

Quando in Italia venne proibita ogni libera attività politica e giornalistica e soppresso il quotidiano socialista La Giustizia, cui collaborava, Greppi cercò, comunque, di mantenere vive le ragioni della democrazia mediante iniziative politico-culturali e mantenendo i collegamenti con esponenti antifascisti di diverso indirizzo.

Nel 1930 incontrò a Milano il belga J. Moulin, animatore in Francia di centri democratici, e, sin dall'inizio degli anni Trenta, stabilì contatti con i militanti di Giustizia e libertà e con il gruppo cattolico dei neoguelfi. Nel 1934-35 si raccordò con R. Morandi, che aveva costituito a Milano il Centro socialista interno per una ripresa dell'azione politica in Italia, e, nel 1936, con il Gruppo rosso, dimostrandosi sensibile alle esigenze rinnovatrici espresse dalla nuova generazione di militanti socialisti.

Malgrado le difficoltà provocate dalla maggiore vigilanza della polizia, in concomitanza con la guerra d'Etiopia intensificò la sua attività e quando, nei primi mesi del 1937, vennero arrestati Morandi e altri dirigenti del Centro socialista interno - di cui E. Colorni aveva assunto la responsabilità - egli si trovò a rivestire un ruolo di primo piano nel movimento clandestino.

Nel 1938, in previsione della visita di Hitler in Italia, venne arrestato e dovette restare in carcere otto mesi, accusato di "complicità con organizzazioni antifasciste all'estero". Prosciolto dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato - come egli stesso scrisse, anche a seguito di un intervento di Mussolini -, rimase sottoposto a vigilanza speciale; ciò non interruppe la sua attività antifascista.

Nel 1939 denunciò la violazione del diritto dei popoli compiuta da Hitler con l'invasione della Polonia e le propensioni belliciste di Mussolini; intensificò, con Faravelli, l'azione di collegamento tra antifascisti in Lombardia; dopo Stalingrado, nel 1942 e nei primi mesi del 1943, si impegnò, insieme con G. Romita, F. Santi e R. Veratti, per estendere la rete clandestina socialista.

Dopo la caduta di Mussolini (25 luglio 1943) partecipò a Milano, in rappresentanza dei socialisti, alla definizione di un documento per l'unità dei partiti democratici; nei giorni successivi all'8 settembre, quando apparve chiara l'impossibilità di resistere ai Tedeschi, si rifugiò nei dintorni di Vanzago. A fine dicembre varcò il confine svizzero e passò un periodo in un campo di internamento, mantenendo i collegamenti con S. Pertini e il Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (CLNAI). Nell'agosto 1944 il figlio Mario, partigiano, morì in un'imboscata tesagli a Milano. Nell'inverno rientrò in Italia per prendere parte attiva al movimento militare di Resistenza: fu assegnato alla VIII brigata "Matteotti", con la quale, a fine aprile 1945, nei giorni dell'insurrezione, partecipò a un'azione contro una colonna blindata tedesca in ritirata nella zona di Domodossola. Chiamato a Milano appena liberata dai partigiani, venne designato dal CLNAI alla carica di sindaco, riconosciuto nei giorni successivi anche dal comando militare angloamericano.

Assunte le sue funzioni, sventò, a Breda, l'esecuzione, senza regolare processo, di alcuni accusati di collaborazionismo a favore dei Tedeschi e dette ordine di rimuovere da piazzale Loreto e di trasportare al cimitero i cadaveri di Mussolini e degli altri gerarchi fucilati.

Insediato al municipio, dedicò da quel momento tutto il suo impegno al fine di far risorgere la città dalle rovine, sollecitando il valore della concordia quale via da seguire ed esempio per tutti i cittadini.

Sua prima cura fu quella di assicurare alla popolazione, colpita dalla guerra, gli approvvigionamenti fondamentali, il funzionamento degli ospedali e dei servizi per l'energia, i trasporti. Intervenne affinché i tribunali straordinari fossero presieduti da ufficiali superiori e da magistrati onde garantire a tutti un giusto processo. Costituì nel nome di Matteotti - di cui tenne la prima commemorazione pubblica - un fondo per l'assistenza alle persone più danneggiate dagli eventi bellici. Si adoperò per la sistemazione di quanti fossero rimasti privi di abitazione e per la ricostruzione del teatro alla Scala, distrutto dai bombardamenti aerei.

Nell'ambito del partito socialista fu tra i promotori della corrente di critica sociale e della ripresa dell'omonima rivista. Costituito il primo governo De Gasperi, concordò con il ministro dell'Interno Greppi. Romita l'inclusione di Milano fra le grandi città in cui le elezioni comunali si svolsero nell'aprile 1946, prima del referendum istituzionale e del voto per la Costituente: la lista socialista ottenne in questa occasione il più alto numero di voti, superando la Democrazia cristiana e il Partito comunista italiano, e  Greppi venne confermato sindaco dal voto popolare. In giugno fu eletto membro della Costituente nel collegio di Milano, con oltre 24.000 preferenze, ma in settembre si dimise per mantenere il suo impegno prioritario al Comune, ove rimase sindaco fino alle elezioni del 1951.

Oltre a provvedere alle primarie necessità, fu tra i sostenitori della nascita del Piccolo Teatro di P. Grassi e G. Strehler, destinato a divenire uno dei più importanti complessi di prosa in Europa. Intervenne nella delicata questione del "prestito Parini", emesso dal Comune nel periodo dell'occupazione, disconosciuto dal CLNAI con decisione fatta propria anche dall'amministrazione comunale ma poi, su indicazione di C. Merzagora, revocata per non farne gravare il peso sui milanesi meno abbienti che avevano ritenuto di sottoscriverlo.

Sempre nel 1946, dopo la sostituzione, da parte del ministro dell'Interno M. Scelba, del prefetto E. Troilo, già comandante della brigata partigiana "Maiella", con un funzionario di carriera, Greppi si dimise per solidarietà con il disagio manifestato da gran parte della cittadinanza e con l'occupazione della prefettura a opera dei partigiani; tuttavia, una volta che il ministro gli ebbe dato atto del valore del suo gesto, d'intesa con la giunta, riprese il suo posto. Avviò, quindi, le procedure per un nuovo piano regolatore.

In questo ambito riuscì a far costruire dagli enti pubblici un rilevante numero di case popolari e contemporaneamente facilitò la ripresa dell'edilizia privata: in pochi anni vennero costruiti, o ricostruiti, circa 100.000 vani; furono ripristinati gli edifici scolastici e venne fissata la sistemazione della nuova sede per l'Università. Inoltre, fu municipalizzato il servizio per il gas, rinforzato il servizio dei trasporti pubblici, specie interurbano, mentre si riavviava il lavoro nelle fabbriche.

Nel gennaio 1947 la scissione socialista lo vide aderire al Partito socialista dei lavoratori italiani accanto a Saragat e a Mondolfo.

La scissione socialista lo aveva profondamente amareggiato ed egli, come risulta dalla sua corrispondenza privata con P. Nenni, tentò in ogni modo di ricomporre la frattura.

Nel 1953 si staccò dai socialdemocratici per partecipare al Movimento di unità popolare, di cui fu candidato capolista a Milano; nel 1954 rientrò nel Partito socialista italiano.

Coerente nella sua testimonianza di cristiano "in terra marxista" in quegli anni collaborò con la rivista dei cristianosociali Adesso, diretta da Mazzolari; nel 1955 Morandi si consigliò con lui prima di lanciare al congresso socialista la proposta del "dialogo con i cattolici", destinata ad avere grande ripercussione in concomitanza con il richiamo alla coesistenza pacifica nella politica internazionale.

Nel 1958 venne eletto a Milano per la Camera e nel collegio di Varese per il Senato, optando per Montecitorio, e fu quindi riconfermato alla Camera nel 1963.

In assemblea intervenne principalmente nelle discussioni sui bilanci dei dicasteri finanziari, dell'Interno e della Giustizia (sostenne l'abolizione dell'ergastolo, la rieducazione dei carcerati e l'amnistia ai condannati per reati politici), nonché del nuovo ministero del Turismo e dello Spettacolo, proponendo la revisione della legge sulla censura cinematografica e teatrale. Nella commissione Interni si impegnò in favore dei connazionali profughi e delle vittime della guerra, dell'abolizione delle norme limitatrici del cambio di residenza, per la tutela degli autori e delle opere dell'ingegno, per il riordinamento delle materie comunali, l'istituzione della polizia femminile, la nuova regolamentazione del settore del tempo libero, nonché per nuove norme relative al trattamento economico e previdenziale del clero.

Greppi aveva continuato in questi anni a coltivare i suoi interessi artistici e a scrivere in particolare per il teatro; suoi testi furono rappresentati da compagnie di livello in Italia e in America Latina, messi in onda alla radio e spesso pubblicati, nonché positivamente recensiti da critici quali, fra gli altri, R. Simoni e M. Praga; ciò gli consentì di mantenere rapporti costanti con il mondo artistico, cui molto teneva; fu, tra l'altro, presidente del Sindacato nazionale autori drammatici.

Fra i suoi lavori drammatici si ricordano in particolare: Il piccolo piange, 1928 (rappresentato da Tatiana Pavlova, R. Cialente ed Evi Maltagliati); La rosa, 1928 (rappresentato da V. Talli); L'avvocato, 1931; I ragazzi, 1932; Domani, 1934; Barbara, 1936; La donna di tutti, 1936; Signorina Candida, 1937; L'avvocato dei poveri, 1939; L'isola, 1946; La corona, 1946; Qualcuno in grigioverde, 1949; Michele Arzalà, 1951; Passeggeri, 1951 (premio Città di Bologna; musicato da G.C. Sonzogno su libretto di Ciro Fontana); Valperga, 1953; Quel matto di Kroll, 1957 (premio Rosso di San Secondo, Lentini); La tromba degli angeli, 1957; Il messaggio, 1963; La consegna, 1967; La vita con te, 1967; La camicia di Nesso, 1968; Caravelle, 1970; La vera vita di Bernardo Zen, 1975; La giustizia e la libertà, 1978; scrisse anche commedie in vernacolo lombardo (La tiranna, El coeur in pas e I saresett). I suoi testi sono stati raccolti nei volumi editi a Milano da Ceschina: Teatro, I (1925-35) - II (1935-45), 1964; III (1945-55), 1966; IV (1955-65), 1969.



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mercoledì 8 aprile 2015

ANGELO ANELLI

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Angelo Anelli è stato un librettista e scrittore italiano.
Il 1° novembre del 1761, a Desenzano nacque Angelo Antonio Anelli, che ancora oggi è tra i più illustri, se non il più illustre cittadino desenzanese. Alberto era il padre e Cattarina Bertoni la madre. Lo battezzò l’arciprete don Vincenzo Gamba e padrino fu il nobile Teodosio Arighi.

Angelo senza dubbio era nato sotto una buona stella e ben presto mise in mostra il suo precoce ingegno, per cui fu mandato all’età di dieci anni a studiare nel seminario di Verona, dove gli insegnanti si prodigarono in giudizi più che lusinghieri.

Compi i primi studi nel seminario di Verona, dedicandosi soprattutto alla letteratura e alla poesia; recatosi nel 1793 a Padova, nel 1795 vi conseguì la laurea in utroque iure.Datosi alla politica, aderì alla Cisalpina; sopravvenuta la reazione austro-russa, finì in prigione per due volte. Il sentimento italiano, che in mezzo a queste vicissitudini lo ispirava, è attestato da un sonetto (La calamità d'Italia),scritto nel 1789 e attribuito per lungo tempo al Foscolo. Tornato poi all'insegnamento - era stato non ancora ventenne professore di lettere a Desenzano -, ottenne nel 1802 la cattedra di eloquenza forense a Milano, il che gli attirò l'odio del Foscolo, che vi aspirava. Nel 1809 partecipò a un concorso melodrammatico bandito dalla direzione generale dell'Istruzione pubblica del Regno italico; i giudici, tra i quali era il Monti, non assegnarono il premio ad alcuno adducendo poco fondati motivi, e l'A. si vendicò facendo rappresentare, in un teatro milanese, durante il carnevale del 1815, un suo libretto satirico Dalla beffa al disinganno (musica di G. Pacini), che colpiva il Monti. L'enorme successo di pubblico spinse le autorità a proibire la rappresentazione, e l'A., sempre con musica di Pacini, fece rappresentare altre due opere satiriche, Il matrimonio per procura e Il carnevale di Milano,sullo stesso argomento. In realtà, il difetto dell'A. era proprio quello di rifarsi sempre a immediati motivi di cronaca, usando inoltre uno stile sciatto e volgare: egli stesso, che affermava di comporre per guadagno, non disdegnava di apparire in scena in situazioni volgarissime; aveva però un senso molto spiccato del gioco scenico e un brio costantemente acceso dall'arguzia. Poeta quasi fisso del teatro della Scala dal 1799 al 1817, l'A. fornì a molti grandi musicisti libretti che costituivano un concreto tentativo di uscire dai canoni dell'opera buffa consacrati da Paisiello e da Cimarosa; la sua Italiana in Algeri (musicata da G. Mosca nel 1808 e nel 1813 da Rossini) alternava ad una azione genuinamente comica accenti patriottici. L'A. compose oltre quaranta libretti, tra i quali sono da ricordare La Griselda (musicata da N. Piccinni nel 1793 e da F. Paër nel 1797) e Ser Marcantonio (musicato da S. Pavesi nel 1810), sulla cui traccia M. Accursi compose poi (1843) il Don Pasquale per Doninzetti. L'A. fu anche autore di molte opere letterarie - poesie, tragedie, traduzioni, poemi in ottava rima - tra le quali meritano un cenno le sette Cronache di Pindo (Milano 1811-1818), più un'ottava lasciata manoscritta, che, ricalcate sui Ragguagli di Parnaso di T. Boccalini, colpivano, con una violenta e qua e là gustosa satira in versi, letterati e movimenti letterari dell'epoca. A farne le spese erano soprattutto i romantici, che l'A., tradizionalista, colpiva senza ritegno, mettendo in burletta le loro "innovazioni": Monti, Foscolo (che nell'Ipercalisse raffigurò l'A. come l'istrione Fliria), Cesarotti, Giordani, Klopstock, Schiller, Berchet per le sue traduzioni del Bürger piene di suoni onomatopeici, e altri poeti e letterati non furono risparmiati da quelle rime che il Giordani definì "scipite e barbare".

All’età di 18 anni pubblicò un ampio studio teologico sugli attributi di Dio, in lingua latina. E sempre in latino l’anno successivo diede alle stampe una raccolta di odi ed elegie. Tutto ciò colpì gli amministratori del Comune di Desenzano (e già questo lo potremmo registrare come un primo miracolo) che aprirono una scuola pubblica, comunale, di grado medio, affidando ad Anelli l’insegnamento dell’italiano e del latino. Era il 1782. La scuola durò solo due anni e poi fu soppressa, ma in quei due anni Anelli dimostrò di essere un bravo insegnante.

Verso il 1792 Anelli si trasferì a Venezia, dove si impegnò soprattutto nel mondo del teatro. Compose almeno sei libretti d’opera che furono musicati e rappresentati con successo. Compose anche una lunga novella in ottave, per non trascurare l’altra sua passione, quella per la poesia. I guadagni così ottenuti gli consentirono di pagarsi gli studi presso l’Università di Padova, dove si laureò, in giurisprudenza, l’11 gennaio 1796.

Si era così giunti agli anni della presenza francese in Italia, anni di grandi cambiamenti in politica, ma anche di fecondi stimoli nella vita culturale. Anelli fu molto impegnato e la sua esperienza politica lo portò da una parte a bollare l’opportunismo dei furbi e degli egoisti, dall’altra ad affermare l’amor di patria e, tra l’ altro, l’idea che gli interessi comuni sono preponderanti sugli interessi privati. Alla fine i disinganni della vita pubblica finirono per disgustarlo e lo indussero ad un ritorno alla scuola e all’insegnamento.

Chiese una cattedra e nel settembre del 1802 fu nominato professore di storia e letteratura italiana presso il Liceo di Brescia, dove rimase fino al 1809, quando lasciò il suo posto al poeta Cesare Arici. Periodo felice e tranquillo quello bresciano; seppe conquistarsi le simpatie della città e contribuì al rilancio dell’Ateneo di Brescia.

Anelli si trasferì poi a Milano, per una buona ragione. Nel capoluogo lombardo lo attendeva infatti una cattedra assai prestigiosa, appena istituita da Napoleone e destinata all’insegnamento dell’eloquenza pratica forense. Era una specie di scuola di perfezionamento, aperta a quei giovani che, dopo aver completato gli studi giuridici, volevano acquisire conoscenze pratiche sulla trattazione delle cause. Gli aspiranti a tale cattedra erano tre, oltre ad Anelli, e tutti agguerriti e prestigiosi, in quanto titolari delle cattedre di eloquenza, soppresse da Napoleone, nelle Università di Padova, Bologna e Pavia. Il più famoso dei tre era Ugo Foscolo, sul quale Anelli riportò una vittoria tanto inattesa quanto schiacciante (e questo fu il terzo miracolo).

Anelli si inserì bene nella Milano napoleonica: entrò presto in amicizia con ministri e letterati. Vasta fu la sua produzione di scrittore. Compose più di trenta libretti per opere liriche. Uno di essi, l’Italiana in Algeri, musicato da Gioachino Rossini, fu un grande successo. A Milano Stendhal fu uno degli ammiratori di Anelli, perché nei testi teatrali del desenzanese c’è attenzione alla quotidianità, c’è l’analisi e la riflessione sui mali della vita e sui difetti degli uomini. Inoltre, mentre tutti gli scrittori del tempo erano degli imitatori, Anelli, anche da semplice librettista, era originale e divertiva il pubblico che andava a teatro. A Milano compose la sua maggiore opera poetica, Le Cronache di Pindo, che sono una specie di storia della letteratura italiana in versi. L’autore le definisce scherzi poetici che hanno per tema un qualche fatto o capriccio intorno alla Italiana letteratura.

Con il ritorno degli Austriaci, dopo il tramonto di Napoleone, la fortuna per Anelli voltò pagina. La sua cattedra milanese fu soppressa e gli fu offerto l’incarico di supplente alla cattedra di eloquenza legale e procedura giudiziaria presso l’Università di Pavia. Accettò e si trasferì nella città sul Ticino, ma gli anni pavesi furono difficili e amari e le difficoltà finirono per minare la sua salute. Morì il 3 aprile del 1820.


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lunedì 6 aprile 2015

WOLFGANG GOETHE E IL LAGO DI GARDA

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…quanto vorrei avere i miei amici accanto per godere insieme del panorama che mi si presenta dinanzi! ….il meraviglioso lago di Garda…


 Johann Wolfgang von Goethe,(Francoforte sul Meno, 28 agosto 1749 – Weimar, 22 marzo 1832) è stato uno scrittore, poeta e drammaturgo tedesco. Considerato da George Eliot «uno dei più grandi letterati tedeschi e l'ultimo uomo universale a camminare sulla terra», viene solitamente reputato uno dei casi più rappresentativi nel panorama culturale europeo. La sua attività fu rivolta alla poetica, al dramma, alla letteratura, alla teologia, alla filosofia, all'umanismo e alle scienze, ma fu prolifico anche nella pittura, nella musica e nelle arti. Il suo magnum opus è il Faust; un'opera monumentale alla quale lavorò per oltre sessant'anni.

Goethe fu l'originario inventore del concetto di Weltliteratur (letteratura mondiale), derivato dalla sua approfondita conoscenza ed ammirazione per molti capisaldi di diverse realtà culturali nazionali (inglese, francese, italiana, greca, persiana e araba). Ebbe grande influenza anche sul pensiero filosofico del tempo, in particolare sulla speculazione di Hegel, Schelling e, successivamente, Nietzsche.

«Stasera avrei potuto raggiungere Verona, ma mi sarei lasciato sfuggire una meraviglia della natura, uno spettacolo incantevole, il lago di Garda; non ho voluto perderlo, e sono stato magnificamente ricompensato di tale diversione.» - Viaggio in Italia, 12 settembre 1786.

Il 13.9.1786, durante il suo celebre viaggio in Italia, un vento repentino e fortissimo alzatosi sul Lago di Garda costringe Johann Wolfgang Goethe a fermarsi per un breve soggiorno a Malcesine.Malcesine deve molto a questa visita involontaria e dal 1983 nel Castello Scaligero una sala dedicata a Goethe ricorda il primo visitatore celebre.

Il poeta culla il sogno dell’Italia fin dall’infanzia, da quando il suo sguardo incontra la collezione di incisioni che il padre aveva portato dal suo “viaggio per l’Italia” e nella terra dove fioriscono i limoni, nel 1786, egli vive sensazioni che da molto tempo non prova più, il suo cuore si apre grazie ad impressioni sublimi di ogni tipo, e questa esperienza diventa per lui un’autentica gioia, che gli permette di dimenticare per un po’ l’incarico di consigliere segreto e diventare un uomo tra gli uomini. Questo infatti cerca Goethe nel suo viaggio, la classicità, e l’esperienza con il lago di Garda, che lo invoglia a riprendere la sua attività di scrittore.

Goethe nel suo viaggio verso Verona si ferma a Torbole, dove ammira i suoi olivi antichi, la grande quantità di alberi da fico e di altri frutti. Osserva la vita operosa e noncurante della gente, puntando la sua attenzione soprattutto sulle donne, che tutto il giorno chiacchierano e gridano e tuttavia sono sempre indaffarate. A Torbole Goethe viene investito dalle molteplici impressioni sulla naturalezza, indipendenza e spensieratezza della vita del sud.

L’avvenimento più importante legato alla presenza di Goethe a Torbole è la ripresa del lavoro alla versione definitiva dell’Ifigenia. Egli la porta come accompagnatrice nella terra bella e calda e nella stanzetta con la vista sul lago, in un ambiente straniero, trova al forza di calarsi nello stato d’animo della sua eroina sulla costa del Tauride.

In barca da Torbole egli parte alla volta di Malcesine e durante il viaggio non manca di godere delle bellezze che le sponde del lago regalano: il poeta ritrae la costa nord con Riva e il monte Brione e nel passare davanti a Limone descrive con minuziosa precisione i giardini e le terrazze piantate ad agrumi.

Arrivato a Malcesine egli si reca di buon ora al vecchio castello scaligero, sia per godere da lassù la vista del meraviglioso panorama sul lago, sia per disegnare nel sole mattutino la torre costruita sulla roccia, con la vecchia edera che la ricopre.
Goethe viene scambiato dagli abitanti di Malcesine per una spia austriaca, in missione per l’imperatore Giuseppe II, per progettare un eventuale assalto e così si trova a dover difendersi davanti al lento e assente podestà, al suo più sveglio attuario e alla gente del posto. L’arringa di Goethe e l’aiuto fornito da un ex-emigrato in Germania, l’unico che sa parlare tedesco, Gregorio, danno un decisivo impulso per risolvere nel migliore dei modi l’allarme creato. Dopo che Goethe non tralascia di rinnovare le lodi del luogo, della posizione del castello e degli abitanti, sottolinea la saggezza e la prudenza dei due amministratori di giustizia e ottiene il permesso di visitare il luogo e la regione circostante a suo piacimento.

E così si conclude la rocambolesca avventura di Goethe sul lago di Garda, ma solo dopo i primi lustri dell’Ottocento si diffonde la conoscenza del suo diario di viaggio e il Garda acquisterà una sempre maggiore notorietà nelle terre d’Oltralpe, fino a diventare il lago italiano più amato e frequentato dai viaggiatori tedeschi e, in particolare, da poeti e scrittori.

Dal Lago di Garda, lo scrittore si reca a Verona e ne resta affascinato. Poi, si sposta a Vicenza e qui visita le opere architettoniche del Palladio. Verso la fine di settembre, Goethe arriva a Venezia e fa un tradizionale giro in gondola. Il viaggio di Goethe in Italia continua a Roma. Nella città eterna , l’intellettuale tedesco di fermerà fino alla primavera del 1787. La tappa successiva, invece, è Napoli, in cui Goethe soggiornerà per oltre un mese. In questo periodo, il romanziere si reca ben due volte sul Vesuvio e visita anche le altre località del territorio. Successivamente, Johann Wolfgang Goethe arriva in Sicilia e visita Palermo, Catania, Agrigento, Messina e Taormina. Dall’isola siciliana, torna a Napoli e poi a Roma. Solo nel giugno del 1788, Goethe rientra a Weimar, in Germania. Nel 1790, lo scrittore torna a Venezia e nel 1829 pubblica la sua celebre opera Viaggio in Italia, che racconta la sua esperienza nel nostro paese. Oltre a questo saggio, Goethe in Italia scrive o termina numerose altre opere, tra cui Ifigenia in Tauride. Il piacevole clima italiano e le bellezze del paesaggio hanno ispirato molto lo scrittore. Anche grazie a lui, il Lago di Garda nell’Ottocento diventa una rinomata meta turistica, scelta da altri intellettuali. Ciò che attrae maggiormente i turisti del tempo è il clima favorevole e le case di cura che sorgono nel territorio.





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martedì 3 marzo 2015

MILANO & CRIMINI : LUCIANO LUTRING

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Luciano Lutring (Milano, 30 dicembre 1937 – Verbania, 13 maggio 2013) è stato un criminale, scrittore e pittore italiano.Luciano Lutring nasce a Milano da Elvira Minotti e Ignazio Lutring e passa la sua infanzia nel milanese, sotto la guida dei genitori che volevano fare di lui un violinista. Ma ben presto manifesta la sua natura ribelle e il suo amore per le belle donne e per la bella vita. Attratto dal mondo della malavita, compra da un conoscente la sua prima pistola, una Smith & Wesson della polizia canadese – senza pallottole, in quanto non erano più in commercio – e da quel momento in poi il giovane Lutring acquisterà il soprannome de "l'Americano".

Secondo il suo racconto un po' romanzato egli compì in maniera casuale con quell'arma la sua prima rapina:

« Un giorno mia zia mi chiese di andare a pagare una bolletta alle poste. Io andai. Ma l’impiegato era lento e detti un pugno sul bancone. Nel movimento si vide la finta pistola che portavo sotto la cintura. L’impiegato credette che fosse una rapina e mi consegnò i soldi. Io pensai: “È così facile?”. E me ne andai col bottino. »
Da quel momento inizia la sua carriera di fuorilegge, fatta di remunerative rapine in molte banche e negozi, se ne contano cinquecento. La sua fama nasce nella Milano degli anni sessanta. Soprannominato "Il solista del mitra" per la sua usanza di nascondere il fucile mitragliatore nella custodia di un violino, conclude centinaia di rapine fra Italia e Francia, per un bottino totale, da lui stimato, attorno ai trenta miliardi di lire dell'epoca.

La figura di Lutring diviene leggendaria, assieme al suo stile di vita di latitante: grandi alberghi, fuoriserie, belle donne. La sua attitudine da "ladro gentiluomo", unita alle celebri frasi in dialetto milanese pronunciate sui luoghi dei misfatti, contribuisce a rendere Lutring un personaggio popolare. In quegli anni - durante una breve vacanza al mare a Cesenatico, sulla Riviera romagnola, per compiere furti a danno di turisti - rapina una giovane modella valtellinese, ma residente a Zurigo, Elsa Candida Pasini, che utilizzava il nome d’arte Yvonne Candy. Luciano si innamora di lei e, per poterla conoscere, finge di averle ritrovato le valigie. Ben presto i due si sposeranno e resteranno legati a lungo. Definito, sia in Italia che in Francia, "nemico pubblico numero uno", riesce per anni ad eludere le polizie europee.

Il 1º settembre 1965 viene infine ferito ed arrestato a Parigi; sconta in Francia 12 anni di carcere (la condanna iniziale era a 22 anni), durante i quali inizia a scrivere e dipingere; tiene persino una corrispondenza con l'allora Presidente della Camera Sandro Pertini.

Nel 1966, con la regia di Carlo Lizzani, esce un film ispirato alla biografia di Lutring, dal titolo Svegliati e uccidi, interpretato da Robert Hoffmann, Lisa Gastoni e Gian Maria Volonté. Del 1975 è un altro film, Lo zingaro di José Giovanni (tratto dal romanzo Histoire de feu dello stesso regista), nel quale Lutring è interpretato da Alain Delon.

Graziato dal Presidente della Repubblica Francese Georges Pompidou, torna in patria, dove, dopo un periodo di internamento presso il carcere di Brescia, viene nuovamente graziato nel 1977 dal Presidente italiano Giovanni Leone. Nello stesso anno, da una relazione con Dora Internicola, nascerà il figlio Mirko, che morirà in un tragico incidente il 17 gennaio 1991. Nel frattempo, nel 1985, si era sposato con Flora D’Amato, dalla quale avrà due figlie gemelle, Natasha e Katiusha, e dalla quale si separerà nel 1997.

Negli ultimi anni Lutring faceva il pittore e lo scrittore. Ha esposto in numerose mostre, collettive e personali, ricevendo molti premi e riconoscimenti. È scomparso il 13 maggio 2013 all'età di 75 anni.


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mercoledì 25 febbraio 2015

ALESSANDRO MANZONI

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« L'utile per iscopo, il vero per soggetto e l'interessante per mezzo. »
(A. Manzoni, Lettera al marchese Cesare d'Azeglio)
Alessandro Francesco Tommaso Antonio Manzoni (Milano, 7 marzo 1785 – Milano, 22 maggio 1873) è stato uno scrittore, poeta e drammaturgo italiano. È considerato uno dei maggiori romanzieri italiani di tutti i tempi, principalmente per il suo celebre romanzo I promessi sposi, caposaldo della letteratura italiana. Fu senatore del Regno d'Italia.

Il nonno materno di Manzoni era Cesare Beccaria, noto illuminista, autore del trattato Dei delitti e delle pene posto nell'Indice dei libri proibiti. La figlia di Cesare Beccaria e di Teresa Blasco (1744-1774) - donna di notevole avvenenza di nobili origini siciliane e spagnole, figlia di un colonnello spagnolo -, Giulia Beccaria (1762–1841), donna di grande cultura e sensibilità letteraria, fu la madre del Nostro. Il padre dello scrittore, don Pietro Manzoni (1736-1807), discendeva da una nobile famiglia di Barzio, in Valsassina, scesa successivamente a Castello, nel lecchese, e stabilitasi a Milano nel 1612 con il conte Giacomo Maria Manzoni. La famiglia Manzoni, decaduta, aveva perso il titolo comitale e non era stata ammessa a far parte del patriziato meneghino.

Per quanto i Manzoni avessero poi preso possesso del feudo di Moncucco (concesso loro da Vittorio Emanuele I di Sardegna nel 1773), e per quanto in virtù di ciò fossero conti, il titolo a Milano non era valido perché "straniero". Inizialmente don Pietro presentò al governo austriaco una richiesta ufficiale perché fosse riconosciuto, ma poi preferì non insistere. In ogni caso, quando, molto più tardi, Roma attribuirà a Manzoni la cittadinanza, il titolo comitale apparirà sull'atto ufficiale, e verrà mantenuto dalla sua discendenza.

È stato detto - ma potrebbe piuttosto trattarsi di una «diffusa diceria» - che il padre naturale di Alessandro potesse essere un amante di Giulia, Giovanni Verri (fratello minore di Alessandro e Pietro Verri). Con Giovanni, uomo attraente e libertino, ella aveva avviato una relazione già nel 1780, proseguendola anche dopo il matrimonio. Dalle parole di Niccolò Tommaseo pare evincersi come Verri fosse il vero padre dello scrittore, e come questi ne fosse pienamente a conoscenza: «Anco di Pietro Verri  ragiona con riverenza, tanto più ch'egli sa, e sua madre non glielo dissimulava, d'essere nepote di lui, cioè figliuolo d'un suo fratello».

Alessandro Manzoni nacque a Milano, al n. 20 di via S. Damiano, il 7 marzo 1785 da Giulia Beccaria e da don Pietro Manzoni, figlio di Alessandro Valeriano, pronipote di un ricchissimo mercante-imprenditore lecchese, Giacomo Maria Manzoni, e di Margherita di Fermo Porro. Il battesimo fu amministrato nella Chiesa di San Babila.

I primi anni di vita li trascorse prevalentemente nella cascina Costa di Galbiate, tenuto a balia da Caterina Panzeri, una contadina del luogo. Questo fatto è attestato dalla targa tuttora affissa nella cascina. Sin d'ora passò alcuni periodi alla villa rustica di Caleotto, di proprietà della famiglia paterna, una dimora in cui amerà tornare da adulto e che venderà, non senza rimpianti, nel 1818. In seguito alla separazione dei genitori (avvenuta il 23 febbraio 1792; successivamente, dal 1795 - ma la relazione cominciò molto prima, forse nel 1790, anno in cui sembra si siano conosciuti - Giulia Beccaria andò a convivere con il colto e ricco Carlo Imbonati, prima in Inghilterra, poi in Francia, a Parigi), Manzoni venne educato in collegi religiosi.

Il 13 ottobre 1791 fu accompagnato dalla madre a Merate al collegio San Bartolomeo, dei Somaschi, dove rimase cinque anni, soffrendo per la lontananza dall'affetto materno e per il difficile rapporto con compagni maneschi e insegnanti che lo castigavano spesso. La letteratura era già una consolazione e una passione. Durante la ricreazione, racconterà lo scrittore, «mi chiudevo in una camera, e lì componevo versi».

Nell'aprile del 1796 passò al collegio di Sant'Antonio, a Lugano, gestito ancora dai Somaschi, per rimanervi fino al 1798. Nonostante il collegio perseguisse un fine educativo orientato in senso religioso, l'istruzione impartita teneva conto della letteratura profana, riconoscendo nell'Arcadia e nel Frugoni dei modelli di stile e ammirando Dante più di ogni altro poeta. Nello stesso anno in cui Manzoni arrivò a Lugano, giungeva sul Lago Ceresio il somasco Francesco Soave, celebre erudito e pedagogista. Per quanto sia del tutto improbabile che Manzoni l'abbia avuto come maestro (se non per qualche giorno), la sua figura esercitò sul bambino una notevole influenza. Vecchio e prossimo alla morte, l'autore de I Promessi Sposi ricordava: «Io volevo bene al padre Soave, e mi pareva di vedergli intorno al capo un'aureola di gloria».

Passò in seguito al collegio Longone di Milano, gestito dai Barnabiti. Alla fine del 1798 si trasferì quindi a Castellazzo dei Barzi, vicino a Magenta, dove l'istituto aveva stabilito provvisoriamente la propria sede. In campagna Manzoni trascorse solo il primo anno; il 7 agosto 1799 gli studenti del Longone tornarono a Milano. Non è chiaro quanto l'adolescente rimanesse dai Barnabiti, anche se l'ipotesi più accreditata lo fa supporre allievo della scuola fino al giugno 1801. I registri rivelano come Alessandro fosse compagno di due illustri personaggi quali Giulio Visconti e Federico Confalonieri. Un giorno imprecisato dell'anno scolastico 1800-1801, poi, gli scolari ricevettero una visita che suscitò nel Nostro una grande emozione. L'arrivo di Vincenzo Monti, che leggeva avidamente e considerava il più grande poeta vivente, «fu per lui come un'apparizione di un Dio».

Pur insofferente verso la pedantesca educazione dei succitati ambienti cattolici, della quale denunciò i limiti anche disciplinari, e pur venendo giudicato uno studente svogliato, da questi studi gli derivò una buona formazione classica e il gusto per la letteratura. Nel 1799 sviluppò una sincera passione per la poesia e scrisse due notevoli sonetti. Il nonno materno gli insegnò a trarre dall'osservazione del reale conclusioni rigorose e universali.

La formazione culturale di Manzoni è imbevuta di mitologia e letteratura latina, come appare chiaramente dalle poesie adolescenziali. Due, in particolare, sono gli autori classici prediletti, Virgilio e Orazio, ma notevole è anche l'influsso di Dante e Petrarca, mentre tra i contemporanei, assieme al Monti, svolgono un ruolo importante Parini e Alfieri.

Se si escludono gli esercizi di stile precedenti, le primissime esperienze poetiche del ragazzo risalgono al 1801, ma non sono altro che frammenti collocabili nel contesto scolastico del collegio Longone. Tuttavia vi si può riscontrare una vena satirica e polemica che avrà un ruolo non trascurabile nel Manzoni adolescente, pur venendo mitigata già a metà del decennio. Ci restano le traduzioni, in endecasillabi sciolti, di alcune parti del libro quinto dell'Eneide e della Satira terza (libro primo) di Orazio, accanto a un epigramma mutilo in cui attacca un certo fra' Volpino, dietro le cui spoglie è facilmente riconoscibile il vicerettore del collegio, padre Gaetano Volpini.

Uscito dall'angusto mondo del Longone, visse dal 1801 al 1805 con l'anziano padre (ma tra il 1803 e il 1804 fu a Venezia), don Pietro, dedicando una parte non trascurabile del suo tempo al divertimento e in particolare al gioco d'azzardo, frequentando inoltre l'ambiente illuministico dell'aristocrazia e dell'alta borghesia milanese. Giocava nel ridotto della Scala, finché, sembra, un rimprovero del Monti lo convinse a rinunciare al vizio. Fu anche l'epoca del primo amore: quello per Luigina Visconti, sorella di Ermes. Di questa esperienza sappiamo quanto il poeta stesso rivelò sei anni più tardi, nel 1807, in una lettera a Claude Fauriel. A Genova, infatti, l'aveva casualmente rivista, ormai sposata al marchese Gian Carlo di Negro, e l'episodio aveva risvegliato in lui la nostalgia e il dispiacere di averla perduta.

Il compiacimento neoclassico del tempo gli ispirò le prime composizioni di un qualche rilievo, modulate sull'opera di Vincenzo Monti, idolo letterario del momento. Ma, oltre questi, Manzoni si volge a Parini, portavoce degli ideali illuministi nonché dell'esigenza di moralizzazione, e a Francesco Lomonaco, un esule lucano. A questo periodo si devono Del trionfo della libertà, Adda, I quattro sermoni che recano l'impronta di Monti e di Parini, ma anche l'eco di Virgilio e Orazio. Il metodo di scrittura e di poetare manzoniano di questo periodo è molto legato alla tradizione classica.

Il poemetto Del trionfo della libertà, composto di quattro canti, fu ispirato dalla pace di Lunéville, e rivela le simpatie filorivoluzionarie dell'autore, che si mostra ostile alla tirannia, passando in rassegna una lunga serie di eroi antichi e contemporanei - paladini della libertà e dell'amor patrio -, attaccando i sovrani e il Pontefice, e tradendo le influenze stilistiche di cui si è parlato, in particolare quelle del Monti, elogiato negli ultimi versi dell'opera:

« Salve, o Cigno divin, che acuti spiedi
fai de' tuoi carmi e trapassando pungi
la vil ciurmaglia che ti striscia ai piedi »
Al di là di peculiarità stilistiche che già si possono intravedere in filigrana, pare importante un appunto coevo con il quale Manzoni commentava il poemetto: «Io protesto che qui e dovunque parlo degli abusi. Diffatti ognun vede che qui non si tocca principi di sorta alcuna. Altronde il Vangelo istima la mansuetudine, il dispregio delle ricchezze e del comando: e qui s'attacca la crudeltà, l'avidità delle ricchezze e del comando». L'affermazione mette quindi in luce l'adesione del giovane ai valori evangelici, contestandone la realizzazione concreta negli uomini di potere, laici ed ecclesiastici. Il terreno per la conversione era dunque preparato sin dal principio, per quanto negli anni giovanili prevalesse la ribellione contro i modelli educativi ricevuti e contro il divario esistente tra morale cristiana e condotta effettiva di chi la doveva rappresentare.

Sempre del 1801 è il celebre sonetto-autoritratto, modellato su quello dell'Alfieri, secondo una moda che fu ripresa anche dal Foscolo. Ad una fronte dedicata alla descrizione fisica e morale fa seguito la sirima, quadro già piuttosto preciso delle ambizioni e delle peculiarità dell'autore, petrarchescamente attratto dalla gloria letteraria, ma anche schivo e immune dall'odio («Spregio, non odio mai»). L'impetrazione d'aiuto alle muse, tipica del genere, ricorre anche nel sonetto Alla Musa, scritto poco dopo.

L'innamoramento per Luigina Visconti è invece alla base dell'ode Qual su le cinzie cime, richiamo evidente, nello stile e nei contenuti, all'Amica risanata foscoliana, il cui primo verso, «Qual dagli antri marini», è chiaramente riecheggiato in una composizione mossa da un sentimento ancora vivo e commosso per la giovane, che da ingenua e ignara diventa, nel sonetto A donna amata - se, come sembra, anche questa poesia sia dedicata a Luigina -, una donna vagheggiata con più distacco, come se il tempo avesse ricondotto il sentimento entro i confini della razionalità.

Nell'estate del 1801 Manzoni andò a vivere con il padre nella sua casa milanese (oggi in via Santa Prassede), alternando la vita di città con soggiorni alla tenuta di Caleotto, e recandosi molto spesso a Pavia. Allo Studio pavese giungeva nel 1802 Vincenzo Monti per ricoprire la cattedra di eloquenza. Nei registri dell'ateneo il nome di Alessandro non risulta, ma è quasi certo che egli seguisse le lezioni montiane. Oltre alla nota ammirazione del Nostro per l'autore dei Pensieri d'amore e oltre all'opinione di illustri studiosi, sembra convalidare l'ipotesi il carteggio del periodo. I corrispondenti di Manzoni, infatti, sono quasi tutti studenti (o vecchi studenti) dell'università, da Andrea Mustoxidi a Giovan Battista Pagani, da Ignazio Calderari a Ermes Visconti.

Il contesto accademico lo dovette mettere in contatto anche con due professori giansenisti, Giuseppe Zola e Pietro Tamburini, docenti rispettivamente di «storia delle leggi e dei costumi» e di «filosofia morale, diritto naturale e pubblico». Le loro idee in difesa della morale lo influenzarono molto, oltre a introdurlo per la prima volta al pensiero giansenista. Tamburini condannava la Curia romana per le sue deformazioni ma vedeva nel cattolicesimo un imprescindibile modello. Per l'elevatezza delle sue dissertazioni parve a Manzoni un punto di riferimento al pari di Zola, definito «sommo» in una lettera al Pagani del 6 settembre 1804.

Altrettanto significativa fu la lezione filosofica di Vincenzo Cuoco, presentato a Manzoni da Lomonaco, il senso della storia vicino alle posizioni vichiane che espresse nei suoi scritti. Lomonaco, dal canto suo, accluse in epigrafe alle sue Vite degli eccellenti Italiani il sonetto manzoniano Per la vita di Dante del 1802. A diciassette anni, quindi, il giovane poeta vedeva pubblicato per la prima volta un proprio testo.

Nel 1803, dopo aver invitato senza successo Monti al Caleotto con l'idillio Adda, Manzoni non continuò a seguire le lezioni universitarie e passò un anno a Venezia, ospite del cugino Giovanni Manzoni, nipote di Pietro. Giovanni si era già stabilito in laguna tre anni prima, dopo aver partecipato alla Commissione che nel 1799 aveva deportato e arrestato i patrioti e i repubblicani milanesi. Non è chiaro perché Alessandro soggiornasse a Venezia, ma non sembrano avere avuto un ruolo ragioni politiche: piuttosto vi entrò il desiderio del padre di allontanarlo da uno stile di vita dissipato. Nella città dei dogi - dove s'invaghì di una donna sulla trentina sentendosi replicare, evidentemente dopo aver in qualche modo dichiarato i propri sentimenti, che «all'età vostra si pensa ad andare alla scuola e non a fare all'amore» - il giovane poeta rimase fino al 1804, scrivendo tre dei quattro Sermoni.

I Sermoni - la cui successione cronologica è incerta - mantengono l'impronta satirica cara a questo Manzoni, come emerge già dal titolo del primo, il Panegirico a Trimalcione, modulato sui versi del Giorno pariniano e ispirato, nel contenuto, a due satire dell'Alfieri, I grandi e La plebe. Di Trimalcione, sotto le cui vesti si celano i nuovi ricchi, coloro che hanno sfruttato la Rivoluzione per raggiungere senza scrupoli il benessere economico, si celebrano ironicamente gli avi "illustri" - truffatori, assassini, lenoni, cantastorie -, con uno stile che, rispetto al modello pariniano, è molto più vicino alla prosa e si vena di un forte realismo, facendo pensare ai Sermoni di Gasparo Gozzi.

D'altra parte, il secondo Sermone, Contro verseggiatori d'occasione (o Della poesia), non fa che rafforzare l'impressione di un riferimento gozziano, se è vero che questi scrisse tre componimenti in cui tracciava la figura del poeta, che non cerca l'approvazione del pubblico, e si scagliava contro coloro che pensano di poter pubblicare un libro di poesie solo per aver messo assieme due versi, o quelli che credono poter giudicare il valore di un componimento senza averne le competenze. Questi temi, presenti in Ad A. F. Seghezzi, Ad un amico e All'abate A. Martinelli, ritornano nel testo manzoniano.

A Giovan Battista Pagani mantiene l'impronta realistica degli altri due Sermoni: ai versi 68-70 troviamo una vera e propria dichiarazione di poetica volta ad affermare il primato della dimensione concreta e civile dell'arte manzoniana, lontana da ogni forma di astrattezza: «Fatti e costumi / altri da quel ch'io veggio a me ritrosa / nega esprimer Talia».

Amore a Delia, infine, è il parallelo tra la vita libertina della madre di Delia, costretta a un matrimonio coatto e poi sposa infedele, e i medesimi atteggiamenti della figlia, in un contesto più ampio in cui si vogliono condannare l'abuso di versi amorosi e gli atteggiamenti che logorano i rapporti di coppia.

Alessandro Manzoni morì di meningite il 22 maggio 1873 alle ore sei e quindici del pomeriggio. La malattia fu la conseguenza di un trauma cranico che si procurò il 6 gennaio quando cadde sbattendo la testa su uno scalino all'uscita dalla chiesa di San Fedele di Milano. Le sofferenze furono acuite dalla morte del figlio maggiore Pier Luigi, avvenuta il 27 aprile.

Nel Cimitero Monumentale della città ambrosiana si tenne il solenne funerale, che vide una grandissima partecipazione e la presenza dei principi e di tutte le più alte autorità dello stato. Nel 1874, nel primo anniversario della morte, Giuseppe Verdi diresse personalmente nella chiesa di San Marco di Milano la Messa di requiem, composta per onorarne la memoria. Nel 1883, a dieci anni dalla morte, la sua tomba venne spostata nel Famedio del Cimitero Monumentale di Milano.

Le prime biografie di Manzoni furono scritte da Cesare Cantù (1885), Angelo de Gubernatis (1879), Arturo Graf (1898). Una parte delle lettere di Manzoni fu pubblicata da Giovanni Sforza nel 1882. L'ultimo ramo rimasto della famiglia di Alessandro è quello dei conti Manzoni di Lugo di Romagna che ha dato personaggi come l'artista Piero Manzoni e il poeta e pittore Gian Ruggero Manzoni.

Il 29 dicembre 1923 in occasione del cinquantesimo anno dalla morte il Regno d'Italia ha emesso una serie commemorativa di sei francobolli ceduta in parte al comitato promotore della celebrazione.


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