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giovedì 23 aprile 2015

PERSONE DI LUINO : DON PIERO FOLLI

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Piero Folli (Premeno, 18 settembre 1881 – Voldomino, 8 marzo 1948) è stato un presbitero italiano, antifascista.

Don Folli, figlio di operai, “personalità complessa, austera, aperta, decisa, ribelle per amore”, sensibile sin dagli anni del Seminario alle problematiche politiche e sociali “chiaramente affermando la sua solidarietà con le prime battaglie operaie del 1898”, si fece trovare puntuale al proprio posto.

In reazione aperta contro ogni sopruso e ingiustizia, antifascista dichiarato, fin dal 1923 subisce angherie di ogni tipo, compresa la punizione fascista dell’olio di ricino.

Nel 1923 arriva a Voldomino, dove denuncia spesso nelle prediche domenicali i soprusi e i torti della dittatura fascista.

La sua parrocchia, a un passo da piazza Piave, era diventata dopo l’8 settembre l’approdo sicuro, prima del passaggio, l’ultimo, il più delicato, il più popolato da legittime paure, verso la Svizzera. Ci arrivavano “i prigionieri di Mussolini”, statunitensi, inglesi, neozelandesi, francesi, polacchi, greci, sudafricani, fuggiti all’armistizio dai campi dove il fascismo li aveva ristretti, e poi i giovani italiani che non avevano risposto ai bandi d’arruolamento della RSI e poi ancora gli antifascisti di ogni idea politica (dal cattolico Guido Miglioli, a Piero Malvestiti, al comunista Mauro Scoccimarro alla presunta spia dell’OVRA Dino Segre, più noto come Pitigrilli) e, più numerosi, gli ebrei provenienti da tutto il Nord del Paese, intere famiglie, genitori, nonni, figli, nipoti. Un esodo biblico segnato dal terrore.

Ospitò in casa, in sacrestia, nell’oratorio, nel vecchio asilo di Santa Liberata, decine e decine di fuggiaschi, diede loro riparo, cibo, vestiti, documenti, quel poco denaro di cui poteva disporre, aiutato dai suoi parrocchiani sempre schierati al suo fianco. Il sacerdote era collegato a due “reti” di soccorso, una laica ed una religiosa.

La prima era quella diretta dalla Centrale del CLNAI, con sede in una villa di Caldè, sulla sponda lombarda del lago Maggiore, dall’ingegner Giuseppe Bacciagaluppi (Joe), uomo di fiducia di Ferruccio Parri, che aveva il compito di traghettare militari e civili oltre confine; l’altra era la Delasem, un’organizzazione ebraica con sede a Berna, che aveva a Genova nella persona del cardinale Boetto il punto di riferimento. La Curia ligure inviava gruppi di ebrei in Lombardia per poi dirottarli nel Luinese, zona adatta alla fuga (montagne basse e la Tresa quasi sempre in secca) seppure i confini fossero sotto il serrato controllo della Milizia Confinaria del comandante della V Legione “Monte Bianco” Marcello Mereu (storico il suo ferale slogan rivolto ai semiti, “Maledetti figli di Giuda vi prenderemo!”) e del V Grenzwache della Guardia Doganale di Frontiera di Varese. Così faceva il CLNAI da Caldè in parte via lago e in parte per le vie montagnose affidando i fuggiaschi alle “guide”, spalloni e contrabbandieri. Voldomino era una tappa di quel tragitto di speranza.

Folli di quel congegno era un ingranaggio determinante. Non aveva mai paura, si esponeva in prima persona, si muoveva sul territorio come pochi, con quel tratto “modernista”, accusa non troppo velata, mossagli sin dagli anni ’20 da ambienti ecclesiastici tradizionalisti, seppur difeso a spada tratta dal suo Vescovo, il cardinale Ferrari. Era stato quello il tempo in cui don Folli venne bastonato, picchiato a sangue, costretto al rito odioso dell’olio di ricino, gettato in cella. Non si era mai piegato fin che, dopo un peregrinare in provincia, era stato destinato ai limiti estremi della Diocesi, dove, forse, secondo alcuni avrebbe trovato pace. Andò esattamente al contrario.

Il 13 novembre 1943 don Folli era venuto a sapere che, poco lontano, sul Monte San Martino in piena Valcuvia, i nazifascisti avrebbero attaccato il colonnello Carlo Croce e la sua formazione badogliana. Non fece in tempo a trasmettere la notizia ma si impegnò la notte del 16 novembre, a battaglia conclusa, a far passare dal valico di Ponte Tresa il gruppetto di una quarantina di superstiti, Croce in testa, ospitando poi nella sua abitazione don Mario Limonta del Pontificio Istituto Missioni Estere, cappellano della banda partigiana.

I segnali a quel punto per il nemico c’erano tutti. Don Folli doveva essere catturato. Messo fuori gioco al più presto.

È il 3 dicembre quando militi della GNR e della XVI Brigata Nera con tedeschi della Guardia di Frontiera irrompono in Canonica, arrestano il parroco, lo legano all’inferriata dell’asilo di Santa Liberata e gli infliggono una durissima punizione. Sputato, oltraggiato, percosso a sangue. La casa saccheggiata. I fascisti vogliono che confessi i nomi dei “corrieri” e dei collaboratori dei passaggi in Svizzera.
Don Piero, legato alla inferriata, nonostante le torture subite per farlo parlare, ha ancora la forza di reagire duramente quando vede donne e bambini ebrei percossi e caricati sul camion. Per farlo tacere gli rovesciano la testa all’indietro, contro l’inferriata, afferrandolo per i capelli e strappandogliene una ciocca. Si salva solo una ragazza di nome Myriam Pirani, che riesce a nascondersi e a tornare a Genova per dare l’allarme a Massimo Teglio della DELASEM, che organizzava la fuga degli ebrei in Svizzera. Non si sa che fine abbia fatto la ragazza.

Don Folli riesce a tacere e non rivela i nomi di coloro che lo aiutavano nella sua opera, viene pestato e torturato ma tace. Un giorno, durante l’ora di aria, scorge una schiera di detenuti che sta per essere deportata in Germania. Non potendo far arrivare la sua parola di conforto, non esita a benedirli. La guardia fascista che lo osserva lo colpisce duramente col calcio del fucile e lo butta a terra.

Prima di spirare l’8 marzo 1948, benedisse i presenti al letto di morte, col segno della Croce del Cristo partigiano-combattente, ebbe la forza ancora di alzare lo sguardo verso i suoi amati parrocchiani e, con un sorriso ironico, un tratto della sua spiccata personalità, pronunciò una frase che è rimasta scolpita nella memoria di Voldomino, il paesino di millesettecento anime, sulle collina di Luino, di cui era parroco dal 1923: “Che volete di più, avete anche la benedizione di un vecchio avanzo di galera!”.
Don Piero Folli, sessantasette anni, un gigante della Chiesa, quella povera, senza anelli preziosi, crocefissi d’oro e paramenti scintillanti, nel fondo delle galere c’era stato per davvero, cacciato dai fascisti e dai tedeschi lungo l’arco della sua coraggiosa esistenza. 

Don Folli, come confiderà nel dopoguerra al senatore luinese, il democristiano Pio Alessandrini, fra i suoi più cari amici, non aprì bocca. Non c’era bisogno che lo rivelasse. Tutti ne erano certi. Per lui non “cadde” nessuno.

Don Folli vivrà ancora tre anni, piegato nel fisico ma non nell’animo.

Il funerale fu un estremo partecipato tributo. Fiori e canti. Bandiere. Centinaia di persone giunte da ogni vallata. Una lapide a Voldomino (che nell’autunno del ’44 visse l’eccidio della banda Lazzarini) ne ricorda la figura e la missione compiuta senza paura e con impresso nel cuore il giuramento di libertà e di fede fatto nel 1904 alla prima Messa, padrini i futuri esponenti del Partito Popolare, il conte Stefano Jacini e l’avvocato Miglioli.

Il CLNAI alla sua scomparsa affermò: “Ricordiamo don Folli come persona di grande lealtà e coraggio. Ci aiutò senza risparmio di sé stesso”. L’equivalente di una medaglia al Valor Partigiano.







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PERSONE DI LUINO : LUCIANO LILLONI

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Luciano Lilloni (Milano, 25 settembre 1929 – Luino, 28 aprile 2000) è stato uno scacchista italiano.

Ottenne il titolo di Maestro a tavolino FSI nel 1952, conseguendo il 9º posto nel Campionato Italiano.
Per corrispondenza conquistò per due anni consecutivi (1959 e 1960) il titolo di Campione italiano ASIGC.
A livello internazionale conseguì la 1° Norma di Maestro Internazionale ICCF.

Giurista, avvocato e notaio Laveno Mombello molti anni fa a Milano, non era soddisfatto con l'attuale interpretazione della legge e di approfondire l'interazione tra la logica del "ufficiale" e la logica della "dialettica di" comprensione significativa del diritto: è stato la pubblicazione di un libro di filosofia Milano 1988-1989 legge chiamata "l'alba di una nuova logica giuridica ".
Una passione per l'egittologia e la storia ha scritto il romanzo, con il quale ho pensato di prendere le differenze tra i risultati di testi e oggetti sul interpretazione ufficiale degli storici anche ampiamente noti, il cui scopo è quello di spegnere le imprecisioni e gli errori.
Morì dopo una lunga malattia Luino 28 Aprile 2000.


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PERSONE DI LUINO : FRANCESCO CARNISI

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Francesco Carnisi (Luino, settembre 1803 – Luino, 23 maggio 1861) è stato un organaro italiano, figlio di Emanuele e Maria Caterina Primi.

Il censimento delle sue opere è tuttora in corso e mostra una straordinaria vitalità con presenze nel varesotto, nel comasco e nella bassa Valtellina. Per ora, non si hanno notizie d’organi costruiti dal Carnisi prima del 1837: questo può far pensare che, fino a tale data, il maestro luinese abbia praticato un periodo di apprendistato presso la bottega di un abile organaro. L’organo di Montegrino Valtravaglia (VA) sembra essere il suo primo strumento e ci dice poco sul suo costruttore, perché a inizio novecento è stato sistematicamente modificato nella sua natura. Lo stesso vale per lo strumento costruito per la chiesa di Cadero in Veddasca, posato nel 1843 e modificato in modo irrecuperabile nel 1955. Per entrambi gli strumenti, tuttavia, il materiale originale è di qualità eccellente. Morbegno sembra sia stata la sua ultima fatica. Vi era già stato nel 1850 per il restauro del Serassi della Collegiata e per S. Martino. Qui darà corso ad un nuovo restauro. La morte lo coglie il 23 maggio 1861 nella sua Luino. Una lettera del fratello e coerede Giacomo, aggiunto d’ordine del R. Tribunale di Como, richiederà alla fabbriceria di Morbegno il pagamento residuo per i lavori condotti a S. Martino.

Quello che emerge dagli strumenti del Carnisi, è una continua ricerca di miglioramento, soprattutto per quanto riguarda la parte meccanica, pur rimanendo fedele, nel complesso, ai canoni dell’organaria italiana dell’ottocento. Egli consigliava sempre la tastiera estesa, quando le fabbricerie erano disposte a spendere cifre più consistenti (l’uso delle ottave corte era dovuto, per la stragrande maggioranza dei casi, esclusivamente a motivi economici).

Il fatto che egli fu chiamato dai canonici del Duomo di Como a restaurare il prestigioso Antegnati, in un periodo nel quale, in Lombardia, erano attivi molti organari di valore, dimostra quanto il Maestro di Luino fosse riconosciuto e stimato nella sua epoca più di quanto oggi si possa immaginare. Organari sui quali si sono raccolte notizie anche più povere appaiono, a distanza di uno o più secoli, più trasparenti. Francesco Carnisi si circonda invece d’indefiniti contorni, sfugge ad un’analisi che non riguardi l’organaro e cerchi invece l’uomo (sappiamo che fece parte di una confraternita laica, la quale alimentò a lungo la pietà popolare luinese). Tra le sue prime opere di certa attribuzione e l’incondizionata fiducia accordatagli per interventi su organi di grande interesse storico passano pochi anni. Artisti anche più famosi attenderanno una vita prima di entrare in Cattedrali come quella di Como, illustrata dai più grandi nomi d’arte non solo lombarda. Si ha l’impressione che l’organaro appaia all’improvviso ed ottenga tutto in un tempo relativamente breve. Anche alla famiglia pensa quando è ormai entrato nella piena maturità. Il matrimonio fu celebrato nel 1849 ed egli si spegnerà lasciando i figli in età ancora tenera. Una figlia, nel 1855, gli morirà di tisi. In termini di pura supposizione si sarebbe indotti a pensare ad una giovinezza trascorsa oltralpe, ripetendo l’esperienza di altri organari varesini.



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PERSONE DI LUINO : GIUSEPPE FERRARI

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Giuseppe Ferrari nacque a Milano il 7 marzo 1811 e si spense a Roma nella notte tra l’1 e il 2 luglio 1876. Prima avvocato, passò poi completamente agli studi filosofici, considerando come proprio maestro Romagnosi. Per alcuni anni studiò Vico, delle cui opere fu anche editore; spirito irrequieto, proteso verso l'azione, le lotte e i contrasti ideali, Ferrari trovò in Francia, ove si recò nel 1838, un ambiente consono al suo spirito. Il pensiero e l'atteggiamento politico di Ferrari ruotavano attorno al principio di libertà ed uguaglianza sociale e all'idea di federalismo repubblicano e democratico come unica forma di soluzione del problema italiano del Risorgimento. Il federalismo per Ferrari si doveva manifestare nell'assetto da dare all'Italia libera, ma per raggiungere questo era necessario che vi fosse un'unione rivoluzionaria. Egli fu però contrario al principio dell'"Italia farà da sè", perché ritenne necessario l'intervento francese in Italia: le delusioni del 1848 esasperarono le sue idee federaliste, repubblicane e radicali e dal 1852 al 1859 si raccolse negli studi. Nel problema dei rapporti tra Stato e Chiesa, come non partecipò dell'entusiasmo per Pio IX, così non approvò né la formula di Cavour, né il pensiero di Mazzini, e auspicava una completa indipendenza del moderno stato italiano da ogni legame religioso. Non fu nemmeno un uomo di governo; ebbe però un grande interesse per la vita politica, così che rientrato in Italia nel 1859 ed eletto deputato per il collegio di Luino, partecipò per molti anni ai dibattiti parlamentari. Sedeva sui banchi della sinistra, in realtà fu un isolato della tenace idea del federalismo. Cavour, Minghetti, Crispi, riconoscendone il valore e l'onesta sincerità lo stimavano, ma in fondo vedevano in lui il superstite di una corrente politica sconfitta. Fu però favorevole a una Roma capitale e, nonostante il suo federalismo, votò per la convenzione di Settembre; nel maggio del 1873 propose che la soppressione delle corporazioni non si restringesse entro i confini della legge. Prese parte soprattutto alle discussioni economiche, sociali ed amministrative e i meriti scientifici di Ferrari ottennero ampi riconoscimenti ufficiali: ebbe una cattedra universitaria a Milano e tenne corsi liberi a Torino e a Pisa.



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mercoledì 22 aprile 2015

LA CHIESA DI SAN PIETRO A LUINO

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La chiesa è stata edificata in stile barocco nel XVII ed è un rifacimento di un precedente edificio romanico dell'XI secolo. San Pietro è stata parrocchiale di Luino fino al XVII secolo, quando san Carlo Borromeo trasferì la sede della parrocchia all'interno della cittadina.

San Pietro in Campagna spicca per la sua preziosa antichità. Era la parrocchiale di Luino prima che tutto il nucleo urbano si trasferisse nell'attuale centro storico. Fulcro della vita dei luinesi di un tempo, oggi la chiesa è un punto di riferimento per i cultori di arte e di architettura. Un gioiello di cultura che può vantare un campanile romanico dell'undicesimo secolo dalla bellezza suggestiva, due affreschi attribuiti a Bernardino Luini e le spoglie del carmelitano Beato Jacopino che fondò il Convento del Carmine nel 1477. Gli scavi del 1968/1969 hanno portato alla luce non solo la fondazione della chiesa romanica ma anche la presenza di un abside. In profondità sono state ritrovate delle strutture murarie non ben identificate che avvalorano l'origine antica della chiesa e la sua ubicazione nel centro storico di un tempo.
E' il campanile il fiore all'occhiello dell'antica parrocchiale; secondo i critici risale all'ultimo quarto dell'anno mille o ai primi decenni del secolo successivo. E' l'esempio più bello di campanile romanico della Valtravaglia dove si possono ritrovare anche delle influenze comasche..
I veri tesori di San Pietro in Campagna sono gli affreschi di Sant'Ambrogio e Sant' Agostino e l'Adorazione dei Magi che l'illustre critico Bernard Berenson attribuì a Bernardino Luini.



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PERSONE DI LUINO : PIERO CHIARA

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Nacque il 23 marzo 1913 a Luino, sulla sponda lombarda del Lago Maggiore. Figlio unico di Eugenio, doganiere, nato nel 1867 a Resuttano, nel cuore della Sicilia, e di Virginia Maffei, originaria del Vergante, che a Luino gestiva con il fratello Pietro un negozio di cesti e ombrelli, venne battezzato Pierino Angelo Carmelo.

Trascorse l’infanzia in una casa situata nei pressi del porto di Luino. In ambito scolastico manifestò presto gravi difficoltà, che in terza elementare si tradussero in una bocciatura, dovuta all’abitudine di evadere l’obbligo per bighellonare in campagna, sulle rive del lago o tra i banchi dell’animato mercato locale. L’anno successivo ottenne la promozione a patto che si ritirasse dalla scuola pubblica. Nell’autunno del 1923 entrò dunque nel severo collegio salesiano S. Luigi di Intra, dove resistette sino alla quinta, quando i genitori lo trasferirono al collegio De Filippi di Arona. Di nuovo respinto in seconda ginnasio, si impiegò come apprendista nella bottega di un fotografo luinese. Fallito quest’ultimo, si iscrisse all’istituto Omar di Novara, per diplomarsi perito meccanico. Abbandonò tuttavia il proposito e fece ritorno al paese natale, dove preparò da privatista gli esami per la licenza complementare, che ottenne nel giugno 1929. Maturava intanto un’avida passione per la letteratura, che lo portava ad alternare le biblioteche alle palestre, dove praticava pugilato e lotta per tonificare il fisico minuto.

Dopo aver soggiornato a Roma e a Napoli, ancora minorenne decise di emigrare in Francia. Abitò a Nizza e poi a Parigi, esercitando svariati mestieri. Rientrato nel 1931 a Luino, fu esentato dal servizio militare a causa della forte miopia. Si diede a una vita scioperata, fra carte e biliardo, con lunghi soggiorni a Milano, dove – oltre ai caffè – era solito frequentare le sale di lettura dell’Ambrosiana e di Brera.

Vinto un concorso nell’amministrazione della Giustizia per un posto di aiutante di cancelleria, nell’ottobre 1932 venne assegnato alla pretura di Pontebba; subito spostato ad Aidùssina, al confine iugoslavo, vi trascorse un duro inverno. Nell’aprile 1933 fu trasferito a Cividale del Friuli, dove trovò un ambiente stimolante, che lo spinse a ragionare criticamente sui precetti fascisti assimilati in precedenza. Sorpreso in piacevole compagnia sul luogo di lavoro, se la cavò con un periodo di aspettativa per motivi di salute, cui fece seguito nella primavera del 1934 la destinazione alla pretura di Varese.

In questa fase irrobustì con l’entusiasmo dell’autodidatta la sua preparazione culturale. Lesse Charles Baudelaire, Paul Verlaine, Arthur Rimbaud, i romanzieri francesi e russi dell’Ottocento, ma anche Boccaccio e il Lazarillo de Tormes. Favorito dal tempo libero a disposizione, avviò qualche collaborazione con periodici locali, scrivendo soprattutto di arte.

Collezionò intanto avventure sentimentali, fino a che si invaghì, corrisposto, della giovanissima Jula Scherb, figlia di un illustre medico zurighese. La coppia regolarizzò la propria unione il 20 ottobre 1936 nella basilica di S. Ambrogio, a Milano, e si stabilì a Varese. Presto montò un crescendo di incomprensioni reciproche, che neppure la nascita del figlio Marco, nel luglio 1937, riuscì a interrompere. Chiara auspicava un radicale cambiamento di vita, che parve prender forma nell’estate del 1939, quando – ottenuto un visto per la Bolivia – si apprestò alla partenza per il Sudamerica. Ma lo scoppio della guerra lo costrinse a rinunciare al viaggio.

Dopo la breve chiamata alle armi, nonostante il suo disinteressamento alla politica, fu costretto a fuggire in Svizzera (1944) in seguito a un ordine di cattura emesso dal Tribunale Speciale Fascista per aver messo, il 25 luglio 1943 alla caduta del Fascismo, il busto di Mussolini nella gabbia degli imputati del tribunale in cui lavorava. In Svizzera visse in alcuni campi in cui venivano internati i rifugiati italiani. Finita la guerra, insegnò lettere al liceo italiano dello Zugerberg e l'anno dopo tornò in Italia.

Inizia un periodo di fervida inventiva e continua creatività.

Nel 1970 Piero Chiara ha un ruolo di attore in Venga a prendere il caffè da noi, film diretto da Alberto Lattuada e interpretato da Ugo Tognazzi, tratto dal suo romanzo del 1964 La spartizione, per il quale collabora anche alla sceneggiatura. Nello stesso anno prese parte sempre come attore allo sceneggiato Rai I giovedì della signora Giulia, tratto dal suo omonimo romanzo (parzialmente modificato nel finale), interpretando la parte del Pretore.

Il suo successo culmina nel 1976 con il capolavoro La stanza del vescovo che diventerà immediatamente un film di grande successo diretto da Dino Risi e interpretato anch'esso da Ugo Tognazzi, insieme a Ornella Muti.

Spesso appare come comparsa o recitando in piccole parti nei film tratti dai suoi romanzi, per esempio proprio come cancelliere del tribunale in La stanza del vescovo.

Morirà dieci anni dopo, a Varese, dopo aver anche ricoperto numerosi incarichi nel Partito Liberale Italiano anche a livello nazionale. Lo scrittore fu inoltre affiliato alla Massoneria nelle logge di Varese, Milano e Como.

Tre anni dopo la sua morte, un gruppo di amici, con il supporto degli enti locali del Varesotto, onorerà la sua memoria istituendo il Premio Chiara, un premio letterario rivolto a raccolte di racconti pubblicate in Italia e Svizzera italiana, cui saranno via via affiancate numerose iniziative a sfondo culturale.

Piero Chiara è il poeta delle piccole storie del "grande lago" che spesso fa da palcoscenico ai suoi brevi ed illuminanti racconti. Narra le piccolezze della vita di provincia con quello stile mai insipido, sempre venato di arguzia, di ironia, a tratti di un sottile e malinconico umorismo, e sempre capace di cogliere nel quotidiano l'essenza, ormai dimenticata, della vita.

Chiara dipinge i tratti della vita dell'alta Lombardia e dei cantoni svizzeri: una vita di frontiera, fatta di spalloni e contrabbandieri, briganti e fuggiaschi, ma soprattutto della piccola borghesia e di personaggi quotidiani.

Amante del biliardo e dell'ozio, molti personaggi saranno in parte autobiografici. Così scopriremo gli altarini del pretore di provincia o della moglie del commercialista che si fa curare dal medico del paese. Storielle ben narrate, che scorrono veloci tra le righe, talmente ben congegnate, che non ci persuadono non esser vere. Nei suoi libri non è importante solo la descrizione dei luoghi ma anche (e soprattutto) l'indagine psicologica dei personaggi, la capacità di metterne in evidenza vizi e virtù con un sorriso ironico, spregiudicato ma mai irrispettoso. Il segreto di Chiara è nella sua capacità di raccontare, nella scelta di argomenti anche "scabrosi" (l'omicidio, l'adulterio, l'ossessione erotica) senza mai cedere a compiacimenti volgari: Chiara descrive caratteri e situazioni, non indulge a cedimenti morbosi. Traspare dalle sue pagine un senso di nostalgia, ma anche la disincantata consapevolezza che il ritorno al passato non è realizzabile. L'amarezza dello scrittore emerge soprattutto nelle ultime opere, da "Il cappotto di astrakan" a "Vedrò Singapore?", fino al postumo "Saluti notturni dal Passo della Cisa", disillusa storia di provincia ispirata a un fatto di cronaca.

Chiara, oltre che uno scrittore di grande successo, fu uno dei più noti studiosi della vita e delle opere dello scrittore e avventuriero Giacomo Casanova. Pubblicò molti scritti sull'argomento che raccolse poi nel libro “Il vero Casanova” (1977). Curò, per Mondadori, la prima edizione integrale, basata sul manoscritto originale, dell'opera autobiografica del Casanova: Histoire de ma vie. Scrisse anche la sceneggiatura dell'edizione televisiva (1980) dell'opera di Arthur Schnitzler Il ritorno di Casanova.



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PERSONE DI LUINO : VITTORIO SERENI

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Seréni Vittorio è un poeta (Luino 1913 - Milano 1983).

Trascorse la giovinezza a Luino, sua città natale, per poi trasferirsi - all'età di dodici anni - a Brescia, dove il padre dovette stabilirsi a causa della sua professione come funzionario di dogana. Per quanto breve, il periodo infantile trascorso a Luino è quello che ha lasciato la traccia maggiore nella sensibilità del poeta, ed i luoghi limitrofi al Lago Maggiore sono fra quelli da cui Vittorio trarrà la sua ispirazione poetica più alta.

Visse dal 1932 a Milano, laureandosi in Estetica con Banfi (1936); dopo aver insegnato nei licei (1937-1940), collaborò a "Corrente". Chiamato alle armi nel 1939, viene congedato nel settembre 1940 e richiamato nel 1941; fatto prigioniero nel 1943 in Sicilia, viene trasportato in Nord Africa (Algeria e Marocco), ove rimane prigioniero sino al luglio 1945. Riprende l'insegnamento (1948-52) a Milano; viene poi assunto in Pirelli, all'Ufficio stampa e propaganda, ove rimane sino al 1958, quando passa alla direzione editoriale della casa editrice Mondadori. La sua poesia prende le mosse dall'ermetismo, distinguendosi fin dall'esordio (Frontiera, 1941; ed. accr. Poesie, 1942; ed. defin. Frontiera, 1966) per un dettato sobrio e disincantato.

A Milano Sereni stringe amicizia con alcuni compagni di studio che hanno i suoi stessi interessi letterari. Tra i primi Luciano Anceschi e in seguito Giancarlo Vigorelli, Leonardo Sinisgalli, Alfonso Gatto e lo stesso Quasimodo. Gatto e Vigorelli presentarono il promettente poeta a Carlo Betocchi che, nel 1937, gli pubblica due poesie sulla rivista " Frontespizio". È questo il primo importante traguardo. Negli anni milanesi Sereni aveva conosciuto altri "compagni di viaggio" ed era nata l'abitudine di incontrarsi quotidianamente lavorando liberi da ogni competizione in amichevole e affettuoso contatto

Sereni  è ricordato come il capostipite della corrente che si rifà alla Linea Lombarda (che prende il nome dall'antologia di poesie che Luciano Anceschi pubblicò nel 1952 a Varese presso l'editore Magenta) ha sempre considerato Brescia come la sua seconda patria: entro i tranquilli confini di questa città presero vita i suoi primi interessi letterari, sorti in seguito alla lettura di un grande poeta del Novecento: Ungaretti.

Nel 1937, Sereni era entrato, con Dino Del Bo, Ernesto Treccani, Alberto Lattuada, a far parte della redazione di Corrente dopo aver collaborato alla rivista Letteratura e a Campo di Marte. Il 15 settembre Sereni lascia la redazione della rivista "Corrente", sostituito da Giansiro Ferrata, pur continuando a mantenere contatti amichevoli con i redattori.

La rivista interrompe la pubblicazione il 10 maggio 1940, per trasformarsi in casa editrice, e pubblicherà, nel 1941, la prima edizione di Frontiera e nell'anno seguente la ristampa che porta il titolo di Poesie e che comprende anche altri testi.

Era intanto scoppiata la seconda guerra mondiale e la notizia del conflitto sorprende Sereni a Modena dove insegna italiano e latino in un liceo. Viene richiamato alle armi con il grado di ufficiale di fanteria e nell'autunno del 1941 è assegnato ad un reparto destinato all'Africa settentrionale: come egli stesso racconta, non arriverà mai a destinazione. Il 24 luglio del 1943 viene fatto prigioniero a Paceco, vicino Trapani, e trascorre due anni di prigionia in Algeria e nell'allora Marocco francese, facendo ritorno a casa soltanto a guerra terminata.

Nel 1947 pubblica Diario di Algeria. Nel 1952, proprio quando la società italiana sta avviandosi, con problemi e contraddizioni, verso una economia capitalistica e industriale, Sereni lascia l'insegnamento e sceglie di lavorare presso l'ufficio stampa dell'azienda milanese Pirelli dove rimarrà fino al 1958. Nel 1954 viene pubblicata l'opera Una polvere d'anni a Milano, nel 1955 Non sanno d'esser morti e nel 1957 Frammenti di una sconfitta - Diario bolognese. Nel 1958 diventa direttore letterario presso la casa editrice Mondadori (presso la quale rimarrà fino al 1975) e dal 1962 al 1964 è direttore editoriale della rivista "Questo e altro". Nel 1962 erano intanto stati dati alle stampe Gli immediati dintorni e, nel 1965, Gli strumenti umani; nel 1969 è il primo direttore della collana "I Meridiani" di Mondadori; nel 1972 vince il premio dell'Accademia dei Lincei.

Inizia a viaggiare: Barcellona, Praga, Paesi Bassi e Stati Uniti. Nel 1973 si reca in Egitto, nel 1974 in Messico, nel 1978 in Provenza dove incontra René Char.

Nel 1981 esce dall'editore Einaudi il quaderno di traduzioni Il musicante di Saint-Merry e altri versi tradotti dall'"Orphée Noir", da Pound, Char, Williams, Frénaud, Apollinaire, Camus, Bandini e Corneille.

Questo lavoro di traduttore di poesia gli farà ricevere, nel 1982, il Premio Bagutta. Nel medesimo anno Garzanti gli pubblica Stella variabile che gli farà vincere il Premio Viareggio per la poesia. Il 10 febbraio del 1983 muore improvvisamente in conseguenza di un aneurisma.

Sono usciti postumi nell'ottobre 1983, per desiderio del poeta, Gli immediati dintorni - primi e secondi, Il Saggiatore e nel 1986 Tutte le poesie, Mondadori, a cura della figlia Maria Teresa. Nel novembre dello stesso anno Dante Isella raccoglie con il titolo Senza l'onore delle armi, Scheiwiller, Milano, i testi: La cattura, L'anno quarantatré, L'anno quarantacinque, Ventisei, Le sabbie dell'Algeria.

Sereni, al quale nel 1956 era stato assegnato il premio internazionale "Libera Stampa" per alcune poesie di cui facevano parte i Frammenti di una sconfitta, è stato anche redattore-collaboratore della "Rassegna d'Italia" e critico letterario di "Milano-sera".

Numerosi saggi, scritti vari, poesie, sono state pubblicate in "Paragone", "aut aut", "Nuova Corrente", "Tempo Presente", "Il Menabò", "Nuovi argomenti", "Questo e altro" e in numerose altre riviste e giornali. La figlia Maria Teresa ne ha avviato la raccolta in volume.

Quando nel 1941 venne pubblicata l'opera Frontiera, la poesia di Vittorio Sereni fu subito paragonata sia a quella del modernismo minore, sotto l'influenza di Ungaretti e Quasimodo, sia alla poesia dell'ermetismo fiorentino, anche se ad un più attento esame la tonalità discorsiva-elegiaca faceva intravedere, fin da allora, sentimenti, oggetti e situazioni diversamente concreti.

La prigionia e la guerra avrebbero in seguito mutato il suo modo di vedere il mondo che stava diventando ai suoi occhi sempre più indecifrabile (Diario di Algeria) e la voce parlante che egli utilizza, insieme agli elementi lessicali arcaizzanti, serve spesso a distanziare la realtà mentre il ritmo che egli usa, fatto di modulazioni da una strofa all'altra, simboleggia la condizione del prigioniero che è molto simile a quella dello stato umano.

Uno dei libri più impegnativi fra quanti sono stati scritti nel trentennio successivo alla seconda guerra mondiale è certamente gli Strumenti umani.

È questa una raccolta di versi dove si descrivono scene di vita cittadina, di ritorno ai luoghi amati della prima giovinezza, di forti amori e affetti contrastanti.

Pur essendo lontana dalla forma politica, la poesia di Sereni è viva interprete di alcuni decenni della vita della borghesia italiana nel momento del trapasso alle forme dell'ultimo capitalismo.

Gli Strumenti umani, che è la terza raccolta di Sereni ed è pubblicata nel 1965, scandisce il difficile e tormentato dopoguerra del poeta, reduce dai campi di prigionia dell’Algeria e del Marocco. Questo nuovo percorso poetico è articolato in tre diversi momenti che riflettono l’evoluzione del modo con cui Sereni si rapporta alla realtà storica di quegli anni.

Il primo momento (1945-1950) è quello del ritorno ed è animato dalla volontà di chiudere definitivamente con il passato, cancellando i segni della guerra, della corruzione e della violenza; tuttavia a questa speranza di purificazione subentra presto la paura di una nuova sconfitta, come si può riscontrare nella lirica Saba.

Da questo cupo sentimento nasce il secondo momento (1950-1960), in cui Sereni comprende che il presente non è cambiato per niente rispetto a quel passato che voleva eliminare. Scaturisce da qui lo sconforto per non aver partecipato alla Resistenza, per aver sempre vissuto in una continua incertezza e la paura di finire ancora imprigionato a causa del capitalismo, come è evidente nella lirica Una visita in fabbrica.

Da questo momento, inizia il terzo momento (1960-1965): è ora il tempo dell’impegno civile e della chiarezza intellettuale: ciò si manifesta attraverso il tema dell’importanza della testimonianza e della fedeltà alla memoria, come emerge chiaramente dalla lirica Dall’Olanda: Amsterdam.

Un percorso di lettura dell'opera Strumenti umani attraverso i tre momenti in cui si suddivide la raccolta, con riferimento ad alcune poesie e ad alcuni eventi storici:

PRIMO MOMENTO: (1945-1950) Momento del ritorno dalla guerra e voglia di cancellare le brutture del passato. Tuttavia si fa strada il presagio di una nuova sconfitta.
Saba: nell’imprecazione dolorosa di Umberto Saba, Sereni mostra il suo presagio di una nuova sconfitta.
Un ritorno: Sereni torna nei luoghi felici dell’infanzia, ma non è felice perché sente un vuoto dentro di sé.
Via Scarlatti: la via è la metafora della sua vita, col suo passato luminoso, il suo presente e il suo futuro incerto.
STORIA:
La guerra fredda: sono i primi anni del dopoguerra e il clima internazionale preannuncia la guerra fredda.
Le elezioni italiane del 18 aprile 1948: sono queste le elezioni che provocano l’imprecazione dolorosa di Saba.
SECONDO MOMENTO: (1950-1960) Momento in cui, svelata la sconfitta presagita, si alterna da una parte il rimorso per non aver partecipato alla guerra e per aver sempre vissuto ai margini della vita, dall’altra la protesta che nasce dalla paura di un nuovo imprigionamento.
Una visita in fabbrica: con questa lirica, Sereni protesta di dover subire un nuovo tradimento, di finire ingabbiato sotto le grinfie del neocapitalismo.
In questo tempo d’incertezza, Sereni trova consolazione nell’amicizia o nella contemplazione dell’immutabilità dei vecchi strumenti di lavoro.
Anni dopo: in questo tempo di incertezza e precarietà, Sereni si consola trovando conforto nell’amore e nell’amicizia.
Ancora sulla strada di Zenna: altro motivo di consolazione Sereni lo trova nella contemplazione dei vecchi ed immutati strumenti di lavoro.
STORIA:
Il boom economico italiano: fra la fine degli anni cinquanta e gli inizi degli anni sessanta abbiamo in Italia la nascita del neocapitalismo.
TERZO MOMENTO: (1960-1965) Momento dell’impegno civile e della chiarezza intellettuale: ciò si manifesta attraverso il tema dell’importanza della testimonianza e della fedeltà alla memoria.
Dall’Olanda: Amsterdam: con questa lirica, Sereni manifesta di voler affidare alla propria poesia il compito di essere testimone del proprio tempo.
Questa chiarezza intellettuale è ben visibile anche nel tema dei morti: i morti sono coloro che possono svelare il senso ultimo dell’esistenza e quindi incoraggiare il poeta a farsi avanti per riempire quel vuoto che si è formato.
La spiaggia: Questo testo conclude la raccolta Gli strumenti umani. Oltre a definire e riassumere i temi fondamentali del libro, ne racchiude la poetica sottolineando il suo allontanamento sia dall'Ermetismo che dalla tradizione simbolista. Il desiderio di ritrovare nella natura delle corrispondenze è ormai abbandonato, preferendo ricostruire semplicemente il paesaggio marino attraverso i suoi elementi caratteristici che lo accompagnano in un proprio itinerario intellettuale. L'apparente semplicità della tematica nasconde in sé un impegno storico e politico molto forte. L'occasione della poesia è l'annuncio, dato da qualcuno al telefono, che gli amici sono già partiti dal luogo di vacanza e non faranno più ritorno. Questo banale evento quotidiano viene elevato dal poeta ad una situazione analoga alla morte; in particolare il termine "morti" nasconde il riferimento a tutti coloro che perdendo la pretesa della propria individualità sono "condannati storici al mutismo" (Franco Fortini). Contrariamente il poeta si dimostra convinto di poter scorgere in lontananza un futuro riscatto; un giorno, anche coloro che si trovano ancora in una zona di oscurità, storica ed individuale, troveranno il coraggio di rivelare il proprio valore.
Il muro: in questa lirica Sereni narra l’incontro con il padre morto, il quale lo rasserena e lo invita a vivere il presente e a essere se stesso.
STORIA:
La contestazione del sistema: in questo periodo abbiamo negli Stati Uniti i primi segni di protesta e d’impegno civile da parte dei giovani.
Il Sessantotto in Italia: la contestazione del sistema in Italia nei confronti del neocapitalismo.
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IL MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO PALEONTOLOGICO A LUINO

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Il Museo Civico Archeologico Paleontologico di Luino nasce nel 1977 all’interno del Palazzo Verbania grazie alla volontà di Piero Astini, che in veste di presidente del Civico Istituto di Cultura Popolare riuscì a raccogliere negli anni diverso materiale archeologico e documentario appartenente al territorio.

Il Museo presenta una sezione archeologica, una pinacoteca e una raccolta di minerali e fossili rilevati nel territorio circostante. Luino è infatti zona archeologica e molti sono stati i reperti ritrovati risalenti dell’Età del Bronzo.

Le sale visitabili sono tre: una pinacoteca di modeste dimensioni, una sezione archeologica, una raccolta di minerali e di fossili.

Tra le pitture si segnalano per importanza gli affreschi strappati, tra cui ricordiamo una Madonna del latte e una Crocifissione del XV-XVI secolo, ma sono presenti anche pregevoli opere d'arte contemporanea.

La parte riguardante la mineralogia e la paleontologia ospita fossili rinvenuti sia nel territorio dell'alto Verbano che in nazioni extra-europee tra cui trilobiti dell'Africa risalenti a 550 milioni di anni fa.

Anche quanto all'archeologia, il Museo, accanto ai reperti locali, ne espone altri provenienti dal deserto sahariano, con asce, punte, frecce, lame e oggetti databili al neolitico.




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LA STATUA DI GARIBALDI A LUINO

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La statua dedicata a Garibaldi che si trova a Luino fu scolpita nel 1867 dallo scultore Alessandro Puttinati. Si tratta del primissimo monumento in Italia eretto in onore dell'eroe “dei due mondi”, in riferimento al noto evento storico che lega il patriota alla città. La Storia ci tramanda che Giuseppe Garibaldi venne richiamato dal Sud America per aiutare il destino dell'Italia: il 14 agosto del 1848, egli sbarcò a Luino con quasi mille uomini, con i quali il 15 agosto iniziò un'aspra battaglia contro le truppe austriache. Fu il primo scontro dell'eroe sul suolo italiano: Garibaldi vinse e fu celebrato con questa statua.

Era il 15 agosto del 1848 quando un quarantunenne con tanto di barba era a capo di due battelli sequestrati e salpati da Arona alla volta di Luino dove, si diceva, stessero giungendo due guarnigioni di austriaci pronte a posizionarsi contro gli italiani. Quell’uomo barbuto e risoluto era Giuseppe Garibaldi, da poco a capo della prima guerra di indipendenza italiana iniziata qualche mese prima. A Luino si svolse un episodio rimasto nella memoria della città tra strade, piazze, edifici e monumenti. Quel 15 agosto il condottiero era giunto a Luino con un manipolo di uomini. Aveva stabilito il quartier generale all’interno dell’Osteria della Beccaccia, sul lungolago, dalla quale dovette anche ricacciare gli austriaci che avevano attaccato i garibaldini. Proprio attorno all’albergo si è svolta questa battaglia con diversi morti, decine di feriti e molti prigionieri tra gli austriaci che batterono la ritirata verso Germignaga inseguiti da Garibaldi e i suoi fino a Morazzone dove si svolse un’altra e più ampia battaglia vinta dall’esercito garibaldino.



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LE CITTA' DEL LAGO MAGGIORE : LUINO

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Luino è un comune italiano di della provincia di Varese in Lombardia. Sorge sulle rive del Lago Maggiore, in prossimità del confine con la Svizzera. Inoltre, essendo situata sulla costa del Lago Maggiore, essa è una Città della costa fiorita.
Già antico borgo medievale di origine romana, (necropoli del III secolo sono state ritrovate dove ora si trova la stazione ferroviaria, che ebbe, in passato, grande importanza: prima della nascita dell'asse Como-Chiasso, era, infatti, passaggio obbligato per il San Gottardo). Luino è citata per la prima volta in documentazioni ufficiali risalenti al 1169 con il nome di Luvino, denominazione che deriverebbe dal nome proprio Luvinum e che si mantenne sino al 1889.

Nel corso del Medioevo fu oggetto di contesa tra potenti famiglie milanesi e comasche, riuscendo, però, pur sempre a difendere la sua libertà ed autonomia comunale. Fu occupata, nel 1512, dagli Svizzeri, ma poi riconquistata da Filippo Maria Visconti nel 1515, Carlo V nel 1541 le assegnò il diritto di mercato, in alternanza a quello di Maccagno che fino ad allora aveva goduto dell'esclusiva; la concessione venne confermata nel 1786 e vide Luino vincente su Laveno che aspirava ad ottenere la stessa prerogativa.  Nel 1821 fu eletto per la prima volta il Consiglio comunale.
Nel 1848 i patrioti piemontesi sbarcarono qui per far insorgere la cittadina contro l'occupazione straniera e Garibaldi si scontrò alla Luina contro gli Austriaci. La città nel 1867, dedicò al generale nizzardo il suo primo monumento italiano, quando egli era, tra l'altro, ancora in vita.
Nella seconda metà dell Ottocento si diffuse nel territorio del Luinese una vivace e prolifica industrializzazione, con grave danno per il lago, risanato, in parte, solo in epoca moderna.

La statua di Garibaldi, oltre ad essere la prima ad essergli stata dedicata in Italia, è stata eretta nel 1867 quando l'eroe dei due mondi era ancora in vita.

A Luino, innanzi tutto, si deve percorrere il grandioso lungolago, contrappuntato da giganteschi platani e dalle armoniche architetture dei palazzetti, che delimitano il vecchio porto napoleonico. La visuale, da qui, spazia su di una smisurata distesa di acqua. Durante la passeggiata, si possono rimirare: la Chiesa della Madonna del Carmine del XV secolo; la settecentesca Cappella privata dei Serbelloni e l'attiguo Palazzo; il Palazzo Verbania, sede della biblioteca e del Museo Civico Archeologico Paleontologico. Bella la passeggiata nel nucleo storico, con le stradine in salita, i palazzotti rinascimentali e barocchi, i loggiati dei cortili interni, le botteghe artigiane ed i negozi.

Borgo suggestivo, adagiato sulle rive del Lago Maggiore, vanta fama letteraria: oltre ad essere stato citato da Ernest Hemingway in Addio alle Armi, ha dato i natali a due importanti scrittori italiani del Novecento: il poeta Vittorio Sereni e il romanziere Piero Chiara. Entrambi, anche se in modo diverso, hanno cantato la bellezza di Luino, i suoi scorci pittoreschi e la delicata natura che lo circonda.
Un tempo Luino era punto di sosta obbligato per i treni in viaggio verso la Svizzera; oggi il completamento della linea Como-Chiasso ha reso la Svizzera più vicina al Belpaese, ma Luino ha mantenuto comunque quella magia in grado di far convivere due anime: quella profondamente legata al territorio e alle sue tradizioni e quella dell'accoglienza verso il turista e il viaggiatore.

La chiesa di San Pietro in campagna è stata edificata in stile barocco nel XVII ed è un rifacimento di un precedente edificio romanico dell'XI secolo. San Pietro è stata parrocchiale di Luino fino al XVII secolo, quando san Carlo Borromeo trasferì la sede della parrocchia all'interno della cittadina.

Oltre al severo campanile romanico a monofore e trifore (finestra ad apertura unica e tripla) dell'XI sec., sono degne di nota alcune opere all'interno, quali: l' Adorazione dei magi, affresco del XV sec. attribuito al Luini (1480/85-1532), e la Conversazione spirituale, affresco.

La chiesa di San Giuseppe sorge sul lungolago in continuità con lo scomparso palazzo Marliani (XVI sec.) per iniziativa del Conte Ruggero, come cappella privata.
Organo seicentesco Lombardo, tele del XVII secolo (una di Pietro Ligari); begli intagli nelle cantorie.

In città una delle attrazioni principali è l'appuntamento col mercato del mercoledì, uno dei principali eventi di Luino. Una vera e propria fiera settimanale, con oltre 350 bancarelle disposte lungo le strade del centro e sul lungolago, cui convengono visitatori da ogni parte, anche dalla Svizzera e dalla Germania, con appositi autobus. E' un cosmopolita, pittoresco, coloratissimo spettacolo folcloristico, che si rinnova ogni settimana dal 1541, grazie alla concessione di Carlo V. Il Luino Market è il più importante del Lago Maggiore, anche se non è da dimenticare l'appuntamento domenicale del mercato di Cannobio, sulle sponde opposte del lago.

Alla fine del XIX secolo e agli inizi del XX Luino era una città fortemente industrializzata soprattutto nel settore tessile. La sua fortuna era dovuta all'abbondanza di acqua. Tanti svizzeri si spostavano dalla loro terra di origine proprio per fondare fabbriche e manifatture nel Luinese.

Verso la fine del XX secolo l'industria entrò in crisi. Ora le aree industriali sono dismesse ed è iniziato un lento processo di riqualificazione.

Fortissimo è, invece, il frontalierato, cioè la presenza di lavoratori italiani che si recano giornalmente in Svizzera per lavoro.

Importante è l'apporto del settore servizi pubblici e privati in quanto centro principale delle valli circostanti (stazione, banche, ospedale, comune, agenzia delle entrate etc.)

Il turismo è affidato essenzialmente al mercato spontaneo delle seconde case, anche se sono in fase di sviluppo importanti iniziative di impronta ricettiva.

Persone legate a Luino:
Giuseppe Ferrari, filosofo e storico, è stato deputato di Luino al Parlamento del Regno d'Italia per sei legislature dal 1860 al 1876, e senatore del Regno dal 15 maggio al 2 luglio 1876;
Piero Chiara, scrittore.
Renzo Villa, editore e conduttore televisivo
Vittorio Sereni, poeta e scrittore.
Francesco Carnisi, organaro, attivo attorno alla metà del XIX secolo.
Francesco Salvi, attore comico.
Massimo Boldi, attore comico.
Enzo Iacchetti, attore comico.
Maria Teresa Ruta, giornalista.
Aurelio Grimaldi, regista, ha vissuto a Luino durante la giovinezza.
Sarah Maestri, attrice, scrittrice, conduttrice televisiva e radiofonica.
Eliana Miglio, attrice.
Dario Fo, drammaturgo, attore e scrittore, ha trascorso la sua infanzia e la sua adolescenza tra questo comune e a Porto Valtravaglia
Guido Petter, psicologo.
Don Piero Folli, sacerdote antifascista, parroco di Voldomino, frazione di Luino, dal 1923 al 1948, qui arrestato dai fascisti il 3 dicembre 1943 per aver aiutato un gruppo di ebrei ad espatriare in Svizzera.
Giovanni Reale, filosofo, ha risieduto a Luino.
Roberto Radice, filosofo, ha risieduto a Luino.
Luciano Lilloni, maestro scacchista, giurista e scrittore, che qui ha avuto la propria residenza fino alla morte e riposa ora nel cimitero cittadino.
Nives Zegna, ex annunciatrice televisiva e Miss Italia 1956.
Federico Morlacchi, nuotatore paralimpico.



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