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sabato 23 maggio 2015

LA CHIESA DI SAN PIETRO A GALLARATE

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La chiesa San Pietro è situata nel centro di Gallarate, in piena zona pedonale, si trova questo gioiello di arte lombarda in stile romanico (con elementi gotici).

Fu costruita tra il XI secolo e il XIII secolo dai maestri comacini, il suo stile architettonico è romanico con elementi gotici, il suo interno è a navata unica.

Nel XVI secolo era stata adibita a piccola fortificazione ed al suo interno trovavano posto un macellaio ed un fabbro. Al punto tale da suscitare le ire del Cardinal Borromeo, che ne prescrisse il totale ripristino a edificio religioso.

A cavallo fra Ottocento e Novecento ebbe inizio il restauro dell'edificio, con il ripristino della sua immagine originaria, medievale, in un momento storico molto positivo per la città di Gallarate, che in quegli anni viveva una florida stagione. Un restauro architettonico che assume un forte valore simbolico, costituendo il recupero del valore di antichità della chiesa.

Nel corso dei secoli ha subito diverse modifiche come la costruzione di un campanile, la costruzione di absidi laterali, l'allargamento di quello centrale, l'apertura di finestre barocche, la trasposizione della porta di ingresso ed altre modifiche che ne hanno rovinato la primitiva bellezza. Nel XV secolo fu trasformata in fortilizio e successivamente fu adibita ad altri usi come luogo per riunioni, locale per falegnami e macelleria.

Nel 1844 fu dichiarato monumento nazionale, dal 1897 al 1911 furono eseguiti lavoro di restauro che consistettero nella demolizione del campanile e delle case addossate alla chiesa, nella ricostruzione dell'antico tetto in legno e dell'abside originario e nella decorazione delle pareti interne. Il 28 ottobre 1911 venne nuovamente consacrata.



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mercoledì 20 maggio 2015

LA CHIESA SI SAN FRANCESCO A SARONNO

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La chiesa di San Francesco è una chiesa di Saronno. Alle origini era conosciuta come chiesa parrocchiale di San Pietro. L’attuale edificio fu ricostruito nel 1297 con annesso convento. La creazione di questa chiesa è si deve, probabilmente a sant'Antonio di Padova, mentre visitò Saronno sulla strada per Varese per l’insediamento di un monastero di conventuali, datato 1230 e soppresso nel 1797 da Napoleone. È monumento nazionale dal 1931.

La chiesa ha un'adiacente convento, di epoca medioevale, che ospitava frati francescani.

All'esterno della chiesa è conservata un'ara di epoca romana che risale ad un periodo compreso tra il I ed il II secolo. Sull'altare compare un'iscrizione che recita: Quintus Cassius Mercator Deis Deabus.

La presenza dei francescani a Saronno è documentata dal 1286.
Nel 1297 una lettera dell’Arcivescovo Fontana invitava la Diocesi a contribuire alle spese per la “fabbrica” della nuova Chiesa di S.Pietro in Saronno, della cui esistenza si hanno notizie dal 1154. Questa dedicazione rimase alla Chiesa fino al 1570 quando S.Carlo diede il titolo di S.Pietro alla Chiesa parrocchiale e di S.Francesco alla Chiesa dei frati.
Nel 1400 i francescani con Duns Scoto, sostengono il culto dell’immacolata Concezione. Si costruisce una cappella in suo onore. In seguito nel 1712 vi fu collocata la statua che fu portata poi in Prepositurale.  Segue un periodo di grande splendore spirituale, artistico e musicale.
Nel 1797, durante il governo della Repubblica Cisalpina, per ordine del Direttorio, si è giunti alla soppressione del convento. Le chiavi della Chiesa furono consegnate al Parroco. L’ex Convento ha poi ospitato Scuole e Collegi.
Mons. Angelo Ramazzotti, che fu poi Patriarca di Venezia, nel convento, che era diventato proprietà della sua famiglia, ha fondato prima l’Oratorio maschile e un orfanotrofio e poi,
come ricorda una lapide, nel 1850, ha dato inizio al PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere).
Il Cav. Felice Carcano, che era diventato il proprietario della Chiesa e del convento, nel 1898 ha fatto atto di donazione della Chiesa e dell’annessa canonica alla Prepositurale.
Dal 1960  si eseguirono i lavori di restauro della Chiesa che aveva subito tanti danni. La conclusione dei grandi lavori fu nel 1990 ma la Chiesa ha bisogno di continue cure.
Nel 1992 torna a S.Francesco l’antico coro che era stato salvato portandolo in Prepositurale.
Dopo il restauro della facciata nel 2003, vi sono state collocate nel 2004 due nuove statue di S.Francesco e S.Antonio, le precedenti, che erano cadute, sono conservate in Chiesa.

La Chiesa di S.Francesco è mirabile nella semplicità del suo stile romanico lombardo. Ha una armoniosa facciata, un bel campanile, la cupoletta di quella che era la Cappella dell’Immacolata.
È a tre navate, sui due lati vi sono 12 cappelle edificate a cura di famiglie saronnesi.
Sono notevoli: sulla destra la Cappella del Crocifisso e quella di S.Antonio; sulla sinistra l’affresco della Madonna del S.Rosario, che è di Aurelio Luini (figlio di Bernardino) e la Cappella dell’Immacolata che si nota per la sua cupola, qui si trovava la Statua dell’Immacolata.
Particolare importanza assume la Cappella del “Compianto”. Vi si trova un gruppo di statue lignee: la Madonna con il Cristo morto, S.Giovanni e la Maddalena. L’opera è della fine del 400, inizio del 500. Attualmente è attribuita ad Andrea da Milano, che ha lavorato in Santuario.
Anche l’interno della Chiesa è tutto affrescato: sulle colonne e nei medaglioni vediamo figure di Santi e di personaggi che hanno avuto rapporti con i francescani, importante è l’apoteosi francescana che si trova nella navata centrale. Rappresenta storie della vita di S.Antonio e S. Francesco. Il ciclo degli affreschi è stato commissionato dal Maderna ad Ambrogio Legnani nel 1678. In seguito vi lavorò anche il figlio, Stefano Maria Legnani, detto “il Legnanino”.
Nel presbiterio vi sono affreschi del Lanzani e, dietro l’altare, è il coro riportato dalla Prepositurale.
Sono stati tanti gli artisti che hanno prestato la loro opera, la tradizione artistica continua nella raccolta di opere moderne nel museo allestito nelle sale della canonica.
Uscendo sulla via Carcano, inserita nell’abside, troviamo un’ara romana (I-II sec. d.C.) è il mercante Quinto Cassio che la dedica agli dei ed alle dee.



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venerdì 1 maggio 2015

LA CHIESA DEI SS. PIETRO E PAOLO A BREBBIA

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La Chiesa di S.Pietro di Brebbia è una delle chiese romaniche più belle della zona di Varese, di essa si ha documentazione dal X secolo, in cui viene specificato che fu edificata nel V.

La pieve di Brebbia o pieve dei Santi Pietro e Paolo di Brebbia (Plebis Brebiae o Plebis sancti petri et pauli brebiae) era il nome di un'antica pieve dell'arcidiocesi di Milano e del ducato di Milano con capoluogo Brebbia.

I patroni erano i santi Pietro e Paolo che vengono ancor'oggi festeggiati in città il 29 giugno. A loro è tuttora dedicata la chiesa prepositurale di Brebbia.

Il primo documento storico che riporta esplicitamente la presenza di un'organizzazione plebana a Brebbia è un atto di permuta del 22 giugno 999, ma il nome di un prevosto ci perviene solo in epoche più tarde.

Nel 1148 la pieve accolse per la prima volta una dipendenza monastica del monastero di Sant'Ambrogio di Milano che si sviluppò attorno al santuario di San Sepolcro di Ternate, il quale passò poi agli agostiniani e nel XV venne definitivamente ceduto ai benedettini di San Pietro in Gessate. Altrove, sempre nella pieve, si instaurarono carmelitani e cluniacensi che fecero crescere sempre più il prestigio dell'antica pieve.

Secondo la "Notitia cleri" del 1398, la canonica di Brebbia comprendeva a quell'epoca un prevosto e ben diciotto canonici, il che si può dire che fosse quasi un unicum in tutta la regione lombarda, anche se alcuni critici moderni hanno ritenuto essere troppo elevato questo numero e quindi poco verosimile dal momento che solo nel 1455, l'arcivescovo Gabriele Sforza valutò appena otto canonici ed il prevosto. Già quando la macchina del concilio di Trento si era avviata, alla visita del visitatore apostolico Melchiorre Crivelli del 1545, era stata ravvisata la presenza di un vicecurato che aveva funzioni di sostituire il prevosto, il quale quindi non risiedeva in paese, contravvenendo a quelle norme che San Carlo Borromeo avrebbe in seguito fortemente voluto.

Malgrado la ricchezza della sua pieve, la città di Brebbia era quasi praticamente spopolata e tale si trovava all'epoca della visita dell'arcivescovo milanese Carlo Borromeo nel 1574. Giudicando quindi inadatto l'assetto urbano per ospitare un'istituzione tanto importante come la pieve, fu egli stesso il 6 ottobre di quello stesso anno a stabilire che le funzioni plebane venissero trasportate a Besozzo. Oggi il suo territorio ricade sotto il decanato di Besozzo e comprende 28 parrocchie su un'area di 98,04 km² e una popolazione di 42.701 abitanti nel 1972.

Diversa sorte ebbe invece la coestensiva pieve secolare e laica nella quella si articolava la Provincia del Ducato di Milano: la pieve civile raccoglieva ventiquattro comuni. I mutamenti ecclesiastici non influenzarono infatti per nulla l'ambito amministrativo civile, rispetto al quale Brebbia fu il capoluogo della propria pieve per altri due secoli: fu l'invasione di Napoleone del 1797 e la conseguente riforma amministrativa voluta dai rivoluzionari giacobini al suo seguito a determinare la soppressione dell'antico compartimento territoriale, sostituendolo con un nuovo e moderno distretto avente sede a Besozzo.

Risalente alla fine del XII secolo, la chiesa dei SS. Pietro e Paolo a Brebbia è degna di nota per la raffinatezza del paramento murario che, costituito da blocchi di serizzo, granito e pietra d'Angera, crea piacevoli effetti cromatici.

Secondo la tradizione, la prima chiesa di Brebbia sarebbe stata fondata, intorno al V secolo, da S. Giulio, l'evangelizzatore, insieme al fratello Giuliano, del lago Maggiore e di quello di Orta.

La decorazione ad affresco di questa chiesa, che si sviluppa soprattutto nella zona absidale e sulla parete destra, è cresciuta e si è completata nel tempo, con l'apporto di singoli artisti, come risultato di un'attività e di un sentimento collettivi, scegliendo via via il linguaggio più aggiornato e meglio collaudato. Il desiderio di aggiornamento degli artisti vuole, infatti, anche in queste chiese "di periferia", che il linguaggio della pittura sia efficace, comunicativo dei temi e della sensibilità dell'epoca, sino alla massima espressività possibile.

Gli affreschi della zona absidale della chiesa di S. Pietro, vera e propria "mescolanza e composizione" di diverse mani di maestri, sono quelli meno leggibili, a causa della caduta di vaste zone di colore e del sovrapporsi di strati di intonaco, elemento, questo, che ricorre di frequente negli affreschi di tipo devozionale.

Il catino absidale è dominato dalla figura centrale di Cristo, racchiusa all'interno di una mandorla dai colori dell'arcobaleno, circondata da un concerto angelico; nel registro superiore dell'abside si trova una serie di Apostoli, disposti a coppie, ai lati di una Crocifissione; nel registro inferiore, sono affrescate coppie di Santi, tra cui riconosciamo S. Antonio Abate, S. Sebastiano, S. Vittore e S. Bernardino da Siena; un'altra Crocifissione, in alto a destra accanto alla finestra centrale, compare "bruscamente" nello spazio absidale, slegata stilisticamente e tematicamente dalle altre figure dipinte; sotto di essa troviamo un'altra scena frammentaria, con lo stesso soggetto, ma con differenti caratteri stilistici, infine, sul lato sinistro della stessa finestra ci sono una Madonna in trono con Bambino e S. Pietro.

Un gruppo di santi, ritrovati durante i restauri del 1963-1964, si trova sulla parete di fondo nella navata destra. Un tempo sovrastavano un altare addossato a questa parete e dedicato a S. Stefano, più volte nominato nelle visite pastorali della fine del Cinquecento. I santi raffigurati sono Paolo, Antonio Abate, che compare due volte consecutivamente, Stefano e Bartolomeo.
L'immagine di Bartolomeo santo taumaturgo e guaritore di infermi, è molto ben conservata nel disegno e soprattutto nei vivaci e squillanti colori.

Proseguendo lungo la parete della navata destra, troviamo un brano affrescato particolarmente interessante: si tratta di un'architettura dipinta con discreto senso spaziale, composta da un loggiato sorretto ai lati da due esili colonnine, con al centro la Vergine in trono con il Bambino, affiancata da quattro santi. Il motivo architettonico, che illusionisticamente imita la struttura di un altarolo per la preghiera, appare unificato dal pavimento con losanghe di colore rosa chiaro. La Madonna è affiancata da S. Rocco e S. Sebastiano, tradizionalmente invocati contro la peste, e da altri due santi: un guerriero, forse S. Giorgio e un imperatore, forse identificabile come S. Enrico. Ai lati, esternamente al finto loggiato, ci sono infine le due immagini di S. Antonio a destra e di un Santo Vescovo a sinistra.

La parte superiore del finto altare è costituita da un timpano dominato al centro dalla figura di S. Pietro con ai lati due committenti inginocchiati.
Ai lati del timpano notiamo altre due scene. S. Giulio compare in alto a destra e, secondo un'iconografia tradizionale, è in atto di scacciare dall'Isola d'Orta i mostri che la infestavano, uno dei quali è dipinto sotto le sembianze di un drago marino. Il culto di San Giulio è molto vivo nella zona del Lago d'Orta e nell'Alto Partic.

Nella scena a sinistra, invece, è rappresentato un Santo vescovo, con la mano levata a benedire, davanti ad un cavallo condotto da un uomo in armatura. Si tratta sicuramente di S. Eligio, ricordato non solo per la sua attività di orafo e monetiere di corte, prima della consacrazione, ma anche per una leggenda diffusa a partire dal XIV secolo, che gli attribuisce la facoltà di guarire e proteggere i cavalli. Nel contado a sud Ovest di Varese restano ampie tracce iconografiche della devozione verso Eligio: a Monate un affresco evoca la potenza taumaturgica del Santo, all'eremo di Santa Caterina del Sasso compare Sant'Eligio affiancato dalla figura di Sant'Antonio.

Più volte nominato è anche l'altare di Simonino, posto a destra della porta del coro, oggi scomparso insieme con gli affreschi che ritraevano il martire "infante nudo flagellato dai Giudei".
Forse essi si trovano tuttora sotto lo strato di intonaco che ricopre la parte finale della navata, e da cui affiorano i resti di una composizione con S. Nicola e il miracolo dei tre fanciulli. Questo soggetto, era abbastanza diffuso nella zona: ne abbiamo un esempio nel battistero di Varese e uno tardo-quattrocentesco nell'abside di S. Donato a Sesto Calende, che presenta notevoli analogie con il frammento di Brebbia.




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lunedì 27 aprile 2015

IL BATTISTERO DI SAN GIOVANNI A VARESE

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E' il monumento più antico di Varese. Fu eretto tra il XII e XIII secolo, sulla base di un edificio altomedievale a pianta presumibilmente ottogonale. È in stile romanico con numerose soluzioni gotiche la facciata, infatti, è a capanna, coronata da una serie di archetti pensili, con un'edicola gotica per la statua trecentesca di San Giovanni Battista. Al centro si apre il portale, chiuso da un arco a tutto sesto; ancora più in alto vi è il grande oculo centrale, che illumina l'interno. L'interno, articolato in aula e presbiterio dotato di tribuna, rivela le testimonianze dell'edificio preesistente nelle murature e nel pavimento lasciato a vista dai restauri del 1948-50. Durante gli scavi fu anche scoperto, incassato nel pavimento altomedievale, il primitivo fonte ottagonale a immersione, del VII-VIII secolo.

Edificio dalla vicenda architettonica particolarmente complessa e dibattuta, nel suo aspetto attuale il battistero di S. Giovanni si presenta all'esterno come un alto e stretto parallelepipedo con fronte a capanna, stretta fra due lesene con semicapitelli a decorazione vegetale; una cornice ad archetti pensili ne sottolinea i salienti, proseguendo lungo i fianchi. A fianco dell'unico portale, leggermente strombato, si aprono due monofore e al centro un oculo; al colmo della facciata una nicchia accoglie una statua raffigurante San Giovanni Battista. L'edificio è costituito da due aule a pianta quadrangolare accostate per il lato minore e disposte sull'asse est-ovest: quella a occidente era destinata al rito battesimale mentre quella orientale, di dimensioni più piccole, forma il presbiterio, scandito in due vani sovrapposti di sezione quadrangolare, entrambi coperti da ampie volte a crociera con sottili costoloni in laterizio, a sesto acuto. Le ricerche condotte nell'ambito dei restauri degli anni 1948-50 hanno dimostrato l'esistenza di un edificio precedente, altomedievale che, in linea con la tradizionale tipologia del battistero, aveva impianto esagonale e funzioni anche di chiesa (Dell'Acqua 1952). Se per la Romanini (1964) il Battistero varesino, che ha valore emblematico nella storia del primo gotico lombardo per la fusione di suggestioni provenienti dall'architettura cistercense - la sobrietà e la regolarità dell'impianto - e comunale - la robusta compattezza, il gusto per la squadratura volumetrica -, può essere datato alla prima metà del Duecento, gli studi più recenti tendono a spostare in avanti tale collocazione cronologica fino agli inizi del XIV secolo (Colombo 1982; Cassanelli 1993).
Al centro dell'aula principale è una grande vasca battesimale a pianta ottagonale che insiste probabilmente su quella originale, altomedievale; le otto facce presentano rilievi raffiguranti il Battesimo di Cristo e gli Apostoli. Realizzata in un unico blocco di pietra, l'opera è incompiuta e consente di cogliere le diverse fasi della lavorazione; è stata ultimamente avvicinata alla produzione monzese della bottega di Matteo da Campione e datata alla seconda metà del Trecento.
Nella zona del presbiterio si concentra una serie di affreschi (più di una trentina) assai eterogenei per stile, qualità e cronologia, frutto di un'accumulazione progressiva - spesso una vera e propria sovrapposizione - e privi di un progetto unitario, che coprono nel loro insieme i decenni che vanno dal 1320 circa all'inizio del Quattrocento. Tra i dipinti più antichi è una Madonna del latte sulla parete sinistra del presbiterio, databile al 1320 circa.
Allo stesso maestro appartengono probabilmente il San Leonardo sulla stessa parete, alcune figure di Santi ed una sciupata Madonna in trono affiorati alla fine degli anni Quaranta del Novecento nella tribuna.
Un successivo, cospicuo nucleo di affreschi fa capo al cosiddetto Maestro della Tomba Fissiraga, legato al celebre dipinto votivo del S. Francesco di Lodi. In parte già assegnati all'anonimo frescante di Lodi dal Toesca (1912), in parte invece ricuperati durante i restauri degli anni 1948-50 gli affreschi, collocabili intorno al 1325, manifestano la corposa e aneddotica parlata lombarda del maestro, fatta di attente notazioni di costume e acuta resa dei dettagli ma anche di figure di robusta plasticità ed espressività. Nella drammatica Crocifissione dell'arcone trionfale la critica ha creduto inoltre di scorgere, per l'esasperata caratterizzazione dei volti e dei gesti e per l'insistita trattazione chiaroscurale delle forme, qualche suggestione del giottismo bolognese, peraltro non nuova nella coeva pittura lombarda (S. Eustorgio a Milano, volta della cappella Visconti; monastero Matris Domini a Bergamo).
Il grosso degli affreschi rimanenti, di cronologia molto diversa, può essere collocato nel filone di una tradizione locale che ripropone stancamente formule e modelli di ampia circolazione.




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mercoledì 22 aprile 2015

LA CHIESA DI SAN PIETRO A LUINO

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La chiesa è stata edificata in stile barocco nel XVII ed è un rifacimento di un precedente edificio romanico dell'XI secolo. San Pietro è stata parrocchiale di Luino fino al XVII secolo, quando san Carlo Borromeo trasferì la sede della parrocchia all'interno della cittadina.

San Pietro in Campagna spicca per la sua preziosa antichità. Era la parrocchiale di Luino prima che tutto il nucleo urbano si trasferisse nell'attuale centro storico. Fulcro della vita dei luinesi di un tempo, oggi la chiesa è un punto di riferimento per i cultori di arte e di architettura. Un gioiello di cultura che può vantare un campanile romanico dell'undicesimo secolo dalla bellezza suggestiva, due affreschi attribuiti a Bernardino Luini e le spoglie del carmelitano Beato Jacopino che fondò il Convento del Carmine nel 1477. Gli scavi del 1968/1969 hanno portato alla luce non solo la fondazione della chiesa romanica ma anche la presenza di un abside. In profondità sono state ritrovate delle strutture murarie non ben identificate che avvalorano l'origine antica della chiesa e la sua ubicazione nel centro storico di un tempo.
E' il campanile il fiore all'occhiello dell'antica parrocchiale; secondo i critici risale all'ultimo quarto dell'anno mille o ai primi decenni del secolo successivo. E' l'esempio più bello di campanile romanico della Valtravaglia dove si possono ritrovare anche delle influenze comasche..
I veri tesori di San Pietro in Campagna sono gli affreschi di Sant'Ambrogio e Sant' Agostino e l'Adorazione dei Magi che l'illustre critico Bernard Berenson attribuì a Bernardino Luini.



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domenica 19 aprile 2015

IL CAMPANILE DI SAN MARTINO A CASTELVECCANA

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Il Campanile di S. Martino di stile romanico costruito nel XII sec. si trova nel Borgo di Saltirana.

Il campanile di aspetto massiccio, ha pietre a vista in materiale piuttosto grossolano nella parte inferiore, a salire le pietre sono tagliate con cura e disposte in maniera regolare. La canna è percorsa da tre specchiature coronate da gruppi di quattro archetti (cinque nella cornice terminale) formati da piccoli conci in tufo appoggiati su mensoline. Le aperture sono costituite da strette feritoie e al termine da bifore con colonnine su capitelli a stampella.


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sabato 28 marzo 2015

LA CHIESA SI SAN PIETRO IN MAVINO

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La chiesa di San Pietro in Mavino, a Sirmione, ha origini molto antiche, secondo la tradizione venne costruita dai pescatori del luogo.
I primi documenti che citano la chiesa di S. Pietro in Mavino risalgono all’VIII secolo, in un manoscritto del 756.

L’edificio subì diversi rifacimenti, sia nel periodo romanico, di cui rimane  il campanile risalente al 1070,  che nel 1300.
Altri interventi sulla chiesa avvennero nei secoli XVII e XVIII, quando furono aperte le due finestre ogivali di facciata e la porta inserita sul longitudinale sud.

La tessitura muraria dell’edificio è composta da elementi di vario tipo: ciottoli di lago, conci appena squadrati, mattoni e laterizi.
Nelle parti alte della muratura dell’edificio si possono notare i rifacimenti dovuti al restauro del XIV secolo, con la sopraelevazione delle coperture, intervento che probabilmente determinò anche l’occlusione delle finestre.

La chiesa è a pianta rettangolare, con un'unica navata terminante con tre absidi semicircolari, di cui quella centrale più grande delle altre, animate da monofore con doppia strombatura e caratterizzate da lacerti di affreschi.

All'interno si possono ammirare affreschi dei sec. XII-XVI.

Sulla parete a sinistra dell’ingresso si può ammirare un affresco staccato con raffigurata una serie di santi apostoli, tra cui San Simone.

Nella cappella dedicata ai caduti si può ammirare un affresco ripartito in tre sezioni con S. Michele, che con la lancia trafigge un drago o il diavolo, un santo con la palma del martirio in mano che, sotto il braccio sinistro, tiene un libro e un nobiluomo identificabile con S. Rocco.

L’emiciclo dell’absidiola nord è completamente dipinto: vi sono raffigurati una Madonna con Bambino e figure di santi.
Nell’abside centrale la decorazione si sviluppa su due livelli: in quello superiore si trovano dipinte le anime dei dannati e quelle dei beati oranti con il Cristo Pantocratore in mandorla, la Vergine e il Battista e angeli, mentre nel registro inferiore ci sono sei figure di santi all’interno di cornici, tra cui San Giacomo e San Paolo.

Nell’abside sud la parete affrescata è divisa in due settori, in cui si ha la raffigurazione di una Crocifissione, con Maria e le donne piangenti e una figura di santa in preghiera.
Nei rimanenti affreschi si riconoscono S. Antonio Abate, San Pietro, Maria Maddalena, una Madonna in trono con Bambino

La chiesa di S. Pietro è visibile dall’esterno solo su tre lati, infatti il lato nord, ampliato con l’aggiunta di ambienti residenziali recenti, non è visitabile, in quanto rimane all’interno di una proprietà privata. L'edificio sorge sul punto più alto della penisola di Sirmione, fuori dal centro abitato, poco lontano dalle rovine delle cosiddette Grotte di Catullo.

L'edificio si presenta oggi a pianta rettangolare a navata unica con tre absidi semicircolari a est, e richiama edifici di derivazione carolingia dell'VIII-IX secolo, anche se bisogna dire che le sole affinità stilistiche non bastano certo a determinare una cronologia attendibile.
L'attuale edificio di S. Pietro rimane visibile all'esterno per tre quarti; solo il lato nord, ampliato con l'aggiunta di ambienti residenziali recenti, non è visitabile, rimanendo all'interno di una proprietà privata. La terminazione orientale a tre absidi semicircolari, ha la centrale di dimensioni maggiori delle laterali, che hanno emicicli poco sporgenti dalla pianta. Un consistente strato di intonaco ricopre la quasi totalità dell'apparato murario della zona est, con scrostature nelle parti basse che permettono di intravedere i conci in opera nella muratura, formata da pietre tenere di color rosato e di color ocra o grigie, mischiate a ciottoli e a mattoni color rosso e ocra, il tutto allestito in abbondante malta.
Le absidi sono prive di decorazione esterna, animate solo da strette monofore a doppio strombo liscio (oggi murate), tre nell'abside centrale, una in ciascuna delle laterali: solo al culmine dell'abside maggiore, meno marcatamente nell'abside nord e in modo irrilevante in quella sud, l'allineamento della muratura si fa irregolare e prominente (l'intonacatura non permette di valutare se tale sporgenza muraria sia dovuta all'eccesso di intonaco - dato che le parti del sottotetto delle absidi minori presentano solo parzialmente questa particolarità - o alla presenza sotto l'intonaco di assetti decorativi che provocano l'aggetto). La copertura delle absidi è realizzata con tegole di tipo romano e coppi. Poco sopra il livello di questo tetto è visibile una specie di profilo in laterizio appena sporgente, a delineare la forma degli spioventi, forse indizio del livello dell'antica copertura, che corre sotto il rialzamento, di un metro e mezzo circa, realizzato nel XIV secolo. I sottogronda di questa parte dell'edificio sono marcati da una doppia cornice scalare di mattoni rossi. L'aspetto austero ed essenziale di questa sezione della chiesa, con l'abside centrale molto più grande rispetto alle due laterali, indicherebbe origini preromaniche, anche se è innegabile che questi caratteri strutturali di gusto arcaico debbano essere considerati semplici indizi per una collocazione cronologica dell'edificazione del S. Pietro, soprattutto perchè questo modello architettonico, in territorio bresciano, si manterrà anche nell'XI, e addirittura, nel XII secolo. Tuttavia secondo alcuni studiosi, in questo caso la coincidenza col tipo di pianta, di muratura, a ciottoli, mattoni e conci in spessa malta, e l'assenza di decorazione fanno propendere ragionevolmente per una datazione anteriore al Mille.
Questa considerazione troverebbe credibilità anche attraverso l'analisi delle murature del vicino campanile, le cui parti basse, realizzate poco dopo la metà del XI secolo (l'edificazione risalirebbe all'anno 1070), sono chiaramente diverse da quelle della chiesa, sia per quanto riguarda l'apparecchiatura muraria, a conci disposti regolarmente e inquadrata da larghe lesene angolari, che per la presenza di una serie di archetti realizzati in cotto, nonchè di finestre a bifora.
In generale, comunque, la muratura si presenta estremamente stratificata, con ampio impiego dei più svariati materiali edilizi: dai ciottoli di lago non lavorati ai conci appena squadrati o altri ancora meglio lisciati, oltre a mattoni e laterizi di varie dimensioni e di diverse epoche (romana, altomedievali e tardogotica).
Gli studiosi, in base anche a recenti ricerche sulle complesse strutture murarie del S. Pietro, leggerebbero in alcune di queste tracce abbastanza significative della prima fase costruttiva, risalente al VIII secolo, in particolare nelle due pareti laterali e nella facciata.
La vista dal fianco sud della chiesa mostra una piccola anomalia costruttiva: la linea sommitale di spiovente del tetto è infatti leggermente inclinata verso la facciata. Il muro longitudinale sud conserva parzialmente uno strato di intonaco anche se, nelle parti basse, rimangono scoperti alcuni tratti che permettono una seppur parziale lettura della composizione muraria.
La muratura, per quasi la totalità della lunghezza dell'edificio e per un consistente tratto dell'alzato, è realizzata in piccole pietre bianche e rosate di materiale tenero, di diversa dimensione e di basso spessore inserite in consistente malta (livelli dello spessore di 2-3 centimetri), poste in opera tentando di collocarle ordinatamente, a corsi orizzontali intercalati da fasce con conci inseriti a spina di pesce. La già ricordata presenza dell'intonacatura non permette di verificare se la diversa applicazione dei conci a livelli orizzontali volesse avere carattere omogeneo e decorativo.
Tale fase edilizia arriva a un'altezza di circa tre metri. comprendendo la traccia di quattro monofore ad arco a tutto sesto piuttosto grandi (i contorni di una di queste finestre, con arco terminale ribassato in mattoncini, sempre murata, sono ancora individuabili), mentre un quinto finestrone rettangolare aperto in tempi più recenti vicino al campanile, s'inserisce in questa fase edilizia. La realizzazione di aperture di questo tipo sui longitudinali ricorda assetti architettonici arcaici caratteristici delle basiliche paleocristiane e altomedievali, come le finestre a doppia cornice aperte nei muri longitudinali del S. Salvatore di Brescia.
Evidenti, nelle parti alte, i rifacimenti dovuti al restauro del XIV secolo, con la sopraelevazione delle coperture, intervento che probabilmente determinò l'occlusione delle finestre e la realizzazione del ciclo affrescato all'interno.
Nella muratura prossima allo spigolo di facciata, per tutto l'alzato, il tipo di materiale in uso cambia rispetto al resto dell'edificio: qui vengono usati conci più grandi e la messa in opera diviene più approssimativa; le malte impiegate sono diverse, anche se l'intonaco attenua le differenze.
Sempre nel longitudinale meridionale, il tratto murario tra l'area absidale e il campanile presenta un consistente strato di intonaco che non permette un confronto con le restanti murature verso ovest. Certamente epoche recenti hanno visto in questa settore dell'edificio la realizzazione sia della porta, sia della finestra rettangolare.
Secondo gli studiosi la chiesa subì una consistente opera di riammodernamento già durante il XIV secolo (questo intervento è attestato dalla presenza di una incisione in numeri romani MCCCXX, su un mattone murato alla sinistra del portale d'ingresso). A questa fase si devono le modifiche in facciata, con la costruzione di un nuovo portale ad arco ribassato, tuttora in opera. In occasione del medesimo restauro, nella facciata, poco sopra il portale, venivano murati due lacerti di marmo bianco di epoca altomedievale: l'uno decorato con un motivo a graticcio, l'altro, messo di traverso, con scolpito un vaso dal quale fuoriesce un tralcio terminante in un fiore con una colomba che si abbevera. Nel XV secolo, venivano realizzati il rosone al centro della facciata e la finestra quadrata a sinistra del portale. Altri interventi nei secoli XVII e XVIII interessarono l'edificio del S. Pietro e portarono all'apertura delle due finestre ogivali di facciata e della porta inserita sul longitudinale sud.
Nell'odierna facciata a capanna, pertanto, tutta le aperture, dall'oculo alle due finestre ad arco ribassato, dalla finestra squadrata sulla sinistra del portale al portale stesso, sono integralmente frutto di ricostruzioni recenti, che hanno alterato notevolmente l'aspetto originario. Gli stessi due lacerti d'epoca preromanica, murati sopra l'ingresso, rimarcano quali profonde modifiche ebbero a interessare le strutture che caratterizzavano l'antico edificio di S. Pietro. Uno strato di intonaco (a questo punto, certamente necessario date le consistenti manipolazioni degli assetti murari), omogeneizza architettonicamente l'aspetto della facciata.
Solo nelle parti basse la caduta dell'intonacatura permette una parziale lettura della composizione muraria: anche qui sono assemblate pietre di svariata qualità e forma, in abbondante malta. A delineare i fianchi della facciata sono state inserite delle pietre piuttosto grosse e lisciate nelle parti a vista che, per lavorazione ed allestimento, si differenziano notevolmente dal resto dei materiali impiegati nella muratura.
Il campanile quadrangolare, collocato sul lato sud della chiesa, è univocamente riconosciuto come costruzione pienamente romanica e realizzato probabilmente in due fasi edilizie risalenti ai secoli XI (1070) e XII, più almeno una terza fase nel secolo XIV che vedeva l'occlusione delle bifore sommitali e la creazione, un piano sopra, della nuova cella campanaria con al culmine un pinnacolo piramidale. La torre presenta un allestimento murario realizzato con i più svariati materiali, anche se non manca un tentativo di organizzazione omogenea dei conci, sia per corsi orizzontali, sia per tipologia di materiale (questo aspetto è meglio individuabile nell'alzato del lato est da un'altezza di circa tre metri fino alla linea degli archetti pensili). Nel lato est, le parti basse della torre sono composte da pietre assemblate in maniera grossolana, probabilmente anche a causa di restauri, sono difatti ancora visibili i resti dell'arco in mattoni di una porta, ora murata. Gli altri lati presentano ancora la varietà dei materiali in opera, ciottoli, pietre squadrate, scaglie e mattoni; nel lato ovest, nelle parti basse vicine al muro longitudinale dell'edificio, sono addirittura murati dei conci di forma rotonda che sembrerebbero la sezione di colonne di epoca romana (uno di questi pezzi è incavo al centro). A partire invece da un'altezza di circa tre metri, l'allestimento si fa più curato e i conci, appena lavorati, riescono a seguire linee regolari orizzontali anche per più di un filare: qui sono in opera su tutti i lati ciottoli di lago arrotondati, inseriti a corsi orizzontali e in spessa malta in alternanza a fasce di mattoni rossi e ocra, con tratti di muratura interamente realizzati con pietre chiare e squadrate.
Due larghe lesene angolari di pietre abbastanza grandi, lisciate nelle parti a vista, inquadrano su tre lati (quello nord, di cui si può vedere solo la parte sommitale, ne è privo) questi tratti murari con la sezione centrale conclusa da una cornice di archetti rampanti compositi in cotto, sostenuti da mensoline prive di decorazioni sempre in cotto (alla moda veronese). Nel lato orientale, la cornice di archetti è rovinata per un tratto, mentre è ben conservata nei lati sud e ovest (il lato nord del campanile non presenta nessun particolar decorativo: la monofora è stata occlusa e le murature non presentano particolari distintivi, oltre ad un'approssimativa messa in opera di conci irregolari di diverso materiale). Tutto sommato, il campanile non raggiunge una grande altezza; l'attuale cella campanaria è stata interamente realizzata in mattoni e su ogni suo lato sono aperte delle monofore (eccetto, come detto, quella a nord che è murata). Una cornice con un filare di mattoni rossi inseriti a dente di sega corre lungo il profilo sommitale della torre.
Le differenze costruttive tra le sezioni più basse e la sezioni mediana della torre fino all'altezza degli archetti ciechi sarebbero attribuibili alle due differenti fasi edificatorie dei secoli XI e XII.
Il tratto del longitudinale nord d'epoca medievale, visibile nel tratto prossimo all'area absidale, mostra un restringimento rilevabile in pianta e percepibile anche in alzato: a partire dallo spigolo absidale, il muro, dopo pochi metri in lunghezza, sembra patire un rigonfiamento o un allargamento fino al livello della facciata. Il tratto in alzato di questa parte dell'edificio è quasi completamente ricoperto dall'edera e non è possibile osservare il tipo di muratura che lo compone, mentre il restante longitudinale è occupato dagli edifici residenziali moderni.

Lo scavo interno ha portato alla luce un notevole numero di tombe, di diverso formato e prestigio. In alcune erano presenti elementi di abbigliamento e ornamenti, come fibule di cinture e crocette dorate. Sono emersi anche frammenti di arredo scultoreo, una teca per reliquie in muratura e un’area presbiteriale del V secolo, riconoscibile per la sua forma semicircolare. Sotto l’altare è stato poi rinvenuto un frammento di architrave, con inciso il verbo latino cogitate (pensate). Mentre gli scavi esterni, dopo opportuna catalogazione, sono stati ricoperti, l’interno della chiesa aspetta ancora il ripristino del pavimento originale e la messa in evidenza dell’area presbiteriale.


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