Nel corso del II secolo a.C. vennero definitivamente inglobati nello stato romano sia i Galli dell'Italia settentrionale sia quelli di gran parte dell'attuale Mezzogiorno francese. Politicamente disomogenei, frazionati in varie tribù tra loro spesso in conflitto, i Galli restati ancora indipendenti si sottomisero a Roma solo nel 51 a.C., a seguito di una serie di campagne condotte da Giulio Cesare. Tali campagne, protrattesi per sette anni, furono lunghe e sanguinose, costellate da episodi di eroismo da entrambe le parti e contraddistinte dalla tenace resistenza opposta dai Galli ai propri avversari, soprattutto quando, sotto la pressione della minaccia romana, seppero trovare una guida riconosciuta nella figura di Vercingetorige. Successivamente vennero ripartiti in varie province romane e sottoposti a un intenso processo di latinizzazione.
Il termine latino Galli origina dal termine greco Γαλάται (Galatai), etnonimo attestato sin dal III secolo a.C. e che i Greci riferivano alle tribù celtiche che invasero la Tracia nel 281 a.C. spingendosi con incursioni fin nel cuore della Grecia. Per Gal è stata ipotizzata una derivazione dalla radice celtica *gal- ("potere", "forza") o dalla radice indoeuropea *kelH ("essere elevato"). In entrambi i casi, trattandosi di un attributo positivo, potrebbe essere stato un endoetnonimo, anche se probabilmente riferito ad un singolo gruppo cui appartenevano le tribù celtiche spintesi nella penisola Balcanica e nel centro della Turchia, piuttosto che dell'intero popolo dei Celti.
Il termine Celti (latino Celtae) con cui oggi indichiamo l'intero popolo condividente la stessa origine etnica, culturale e lo stesso fondo linguistico, deriva dal greco Κελτοί (Ecateo di Mileto e Erodoto) o Κέλται (Aristotele e Plutarco), che è il primo attestato etnonimo riferentesi ai Celti nel momento in cui i Greci vi vennero a contatto alla fondazione della colonia greca di Marsiglia. Probabilmente anche il termine Celti era proprio di una singola tribù dell'area dell'odierna Francia meridionale, poi applicato per estensione a tutte le genti affini.
I Celti, probabilmente formatisi come popolo indoeuropeo a sé stante in un'area dell'Europa centrale compresa tra le attuali Germania meridionale e la Francia orientale, si espansero fino alle coste atlantiche dell'odierna Francia e lungo il corso del Reno tra i secoli VIII e V a.C., nel corso dell'Età del Ferro (culture di Hallstatt e di La Tène). Più tardi, a partire dal 400 a.C. circa, penetrarono nell'odierna Italia settentrionale.
A partire dall'inizio del IV secolo a.C., migrazioni di popolazioni celtiche attraversarono a più riprese le Alpi e si installarono nella Pianura Padana. Vennero così a contatto con i Liguri e i Veneti, popoli con i quali si scontrarono e in parte assorbirono, e gli Etruschi che invece vennero spinti al di là degli Appennini. Continuarono a premere verso Sud, tanto che nel 388 a.C. la tribù dei Senoni attaccò Chiusi e poco più tardi, guidati da Brenno (il nome Brennan, dio celtico della guerra, era assunto dai condottieri galli durante le operazioni militari), saccheggiarono Roma (nel 390 a.C. o, più probabilmente, nel 386 a.C.). Nel 385 a.C. i Senoni si installarono definitivamente nel Piceno settentrionale, colonizzandolo interamente nel 322 a.C..
In seguito i Galli cisalpini presero parte a varie iniziative militari contro l'ascesa di Roma, dalle guerre sannitiche alle guerre puniche (un forte contingente gallico era presente alla battaglia di Canne), prima di essere assoggettati definitivamente con una serie di operazioni militari condotte dai Romani nel III secolo a.C.
I Galli stanziati al di là delle Alpi erano frazionati in numerose tribù; Cesare attesta che al momento delle sue campagne si distinguevano due fazioni, capeggiate rispettivamente dagli Edui e dai Sequani, presto scalzati dai Remi.
L'occupazione romana della Gallia cisalpina avvenne in seguito a una serie di battaglie (Sentino, 295 a.C.; Talamone, 225 a.C.; Clastidium, 222 a.C.) condotte contro le varie tribù che appoggiavano volta per volta i nemici di Roma, dagli Italici ai Cartaginesi. Non è nota la data dell'istituzione della provincia della Gallia cisalpina, sottoposta per tutto il II secolo a.C. a un intenso processo di latinizzazione attraverso la creazione di numerose colonie romane; probabilmente avvenne intorno al 90 a.C.
La conquista della Gallia meridionale iniziò attorno al 125 - 121 a.C. con l'occupazione di tutta la fascia mediterranea fra le Alpi Liguri e l'Hispania costituita successivamente in Provincia con capitale Narbona (fondata nel 118 a.C.).
Il dominio romano sulla regione poté dirsi compiuto solo nel 58-51 a.C. grazie alle campagne di Giulio Cesare, che sconfisse le tribù celtiche in Gallia e nelle Isole britanniche e descrisse le sue esperienze nel De bello Gallico (in italiano, Della guerra gallica o La guerra gallica). In questa guerra Cesare si avvalse anche dell'alleanza di molte popolazioni della Gallia, che ottenne in cambio di una serie di concessioni, successivamente non avallate dal Senato romano; fra queste, l'estensione del diritto latino. Al ritorno dalla guerra, Roma si rifiutò di onorare il patto, dato che l'estensione del diritto latino ai Galli avrebbe comportato il riconoscimento di uno status che li avrebbe quasi equiparati ai cittadini romani. Qualche anno più tardi, fu lo stesso Giulio Cesare, uscito nel frattempo vittorioso dalla guerra civile, che concesse la cittadinanza romana e fece distribuire terre ai veterani galli che lo avevano seguito. Fu sempre Cesare che decise di costituire la prima legione non italica dell'esercito romano, la Legio V Alaudae o Legio Gallica, interamente formata da guerrieri galli.
L'intera regione venne divisa in età augustea in province, che originariamente erano quattro: la Gallia Narbonensis, la Gallia Aquitania, la Gallia Belgica e la Gallia Lugdunensis la cui capitale era Lione (Lugdunum).
La situazione della Gallia indipendente era caratterizzata soprattutto dall'assenza di veri e propri centri cittadini, paragonabili a quelli del mondo greco-romano, e dall'organizzazione per tribù, che impediva necessariamente la formazione di una solida struttura statale. Ciò serve a spiegare sia il successo ottenuto da Cesare con forze relativamente esigue, sia l'esito diversissimo della dominazione romana in Occidente rispetto a quella stabilita in Oriente. In Grecia ed in Asia Minore le legioni dell'Urbe poterono imporsi, ma in definitiva la signoria di Roma fu, in quei paesi di antica civiltà, poco più di una lunga parentesi; in Gallia invece la romanizzazione ebbe effetti permanenti ed irreversibili.
Dopo essere stato sottoposto alla crescente pressione da parte delle tribù germaniche a partire dalla metà del III secolo, il dominio romano in Gallia iniziò comunque a crollare nel 406, quando un'orda di Vandali, Alani e Suebi, attraversò il Reno, occupando gran parte della Gallia. Il potere romano sulla regione ebbe definitivamente termine con la sconfitta del governatore Siagrio da parte dei Franchi nel 486.
Nel VI secolo, l'ex Gallia continuava ad essere divisa in tre parti, come già era stata descritta da Cesare. I Franchi occupavano la maggior parte del territorio. Un regno visigoto venne fondato nella regione sudoccidentale che sarebbe divenuta l'Aquitania, mentre nelle aree che sarebbero divenute la Provenza e la Linguadoca una cultura gallo-romana continuò fino all'epoca di Gregorio di Tours.
La struttura sociale era articolata in tre classi: i guerrieri, i liberi (allevatori e agricoltori) e i sacerdoti, o druidi. Al di sotto di questi membri veri e propri del popolo, pare esistessero anche schiavi. Come tutti gli antichi popoli indoeuropei (e, in particolare, quelli celtici dei quali rappresentavano un ramo), si ripartivano in gruppi familiari; il padre aveva diritto di vita e di morte sulla moglie e sulla prole e i figli potevano presentarsi a lui solo nell'età di imbracciare le armi. I funerali, sfarzosi, prevedevano la cremazione mediante pire, nelle quali venivano gettati anche oggetti e animali cari dal defunto.
Le famiglie erano a loro volta raccolte in numerose tribù. A capo delle tribù l'assemblea del popolo in armi eleggeva un re (rix in gallico, usato come suffisso), mentre i rapporti tra le tribù erano tenuti principalmente dai druidi.
La base della piramide sociale era costituita da persone provviste di diritti, almeno formalmente e inizialmente, ma che a causa del frequente indebitamento si riducevano presto a una condizione servile, che Cesare definisce "plebea". Passati sotto servizio del ceto dominante, perdevano ogni voce in capitolo nelle decisioni politiche, ridotti al rango di schiavi.
Il potere politico e - soprattutto - militare era appannaggio della classe dei guerrieri, che mobilitava in massa nelle frequenti scaramucce che opponevano tribù a tribù. Unica virtù riconosciuta da questo ceto è quella militare. I Galli, pur essendo dei guerrieri coraggiosi, mancavano delle qualità essenziali perché l'esercito potesse prevalere sulle armate romane: la disciplina, l'organizzazione e l'unità di comando. In quest'ultimo caso è raro il caso di Vercingetorige a cui fu affidato il comando supremo nel corso dello scontro con i Romani durante la conquista della Gallia da parte di Gaio Giulio Cesare. Gli eserciti galli, di norma, non erano omogenei. Al contrario, ognuna delle tribù che li componevano, si batteva prima di tutto per i propri interessi. Erano, infatti, individualisti ed indisciplinati, anche se dotati di un coraggio non comune, tanto da essere riusciti in più occasioni a battere gli stessi Romani. La cavalleria era considerata il reparto d'élite ed i suoi componenti portavano una cotta di maglia di ferro o un'armatura in cuoio, oltre ad uno scudo di dimensioni inferiori rispetto a quello della fanteria, che al contrario era molto grandi e composti di assicelle di legno, vimini intrecciati e ricoperti di cuoio. Erano inoltre armati, come la fanteria, di una lunga spada ed una lancia. I cavalli erano dotati, inoltre, di ferri o di zoccoli mobili di metallo, fissati con stringhe di cuoio. Alcuni fanti indossavano sul petto piastre di ferro, mentre altri combattevano nudi. Le lunghe spade che portavano erano ancorate a catene di ferro o bronzo, che pendevano lungo il loro fianco destro, e le loro lance avevano delle punte di ferro della lunghezza di un cubito e di poco meno di due palmi di larghezza, ed i loro dardi avevano punte più lunghe delle spade degli altri popoli.
I sacerdoti, o druidi, erano incaricati delle funzioni religiose, dei sacrifici - sia pubblici sia privati - e dell'interpretazione delle norme religiose, secondo la dottrina elaborata in Britannia e appresa dai druidi attraverso appositi viaggi di istruzione. Ricoprivano inoltre il ruolo di insegnanti e di giudici ed erano fortemente legati tra loro, indipendentemente dall'appartenenza alle varie tribù. Tali rapporti erano cementati dagli annuali convegni druidici, ospitati dalla Foresta dei Carnuti, ritenuta il centro della Gallia.
Esentati dai tributi e dal servizio militare, i druidi erano i depositari della cultura tradizionale dei Galli, tramandata oralmente in forma poetica, e dello studio degli astri e dei segni naturali.
Descritti dalla fonti classiche come di costituzione fisica alta e robusta, spesso con occhi, pelle e capelli chiari, i Galli indossavano tuniche dai colori sgargianti e maniche e brache.
Lo storico greco Diodoro Siculo li descrive così: «Eccedono di molto le dimensioni comuni, il loro aspetto è terribile, sono alti di statura, con una muscolatura guizzante sotto la pelle chiara. Hanno i capelli biondi di natura e quando ciò non avviene se li schiariscono lavandoli in acqua di gesso. Taluni si radono la barba, altri ostentano guance rase e baffi che coprono l'intera bocca.
I Galli erano politeisti, e adoravano un vasto pantheon di divinità legate alla natura e alle virtù guerriere. Sacerdoti erano i druidi; essi non si limitavano a essere il collegamento tra gli uomini e gli dei, ma erano anche responsabili del calendario e guardiani del "sacro ordine naturale", oltre che filosofi, scienziati, maestri, giudici e consiglieri del re. La fede nella trasmigrazione delle anime si traduceva in un'attenuazione della paura della morte, che a sua volta rafforzava il valore militare dei guerrieri.
La forte religiosità dei Galli, testimoniata da Cesare, si manifestava anche di fronte alle malattie e nelle guerre, quando i guerrieri facevano voto della propria vita e si affidavano, per l'esecuzione del sacrificio, ai druidi. A monte di questo atteggiamento era la credenza che soltanto un sacrificio umano potesse placare l'ira degli dei. L'esecuzione del sacrificio prevedeva, presso alcune tribù, la realizzazione di grandi pupazzi di vimini, al cui interno venivano poste le vittime e quindi incendiati; le persone ritenute più adatte a tale scopo erano i rei di furto, rapina o altri crimini, ma in caso di necessità si ricorreva a innocenti.
Nel pantheon gallico, Cesare testimonia il particolare culto attribuito al dio che assimila al romano Mercurio, forse il dio celtico Lúg. Era l'inventore della arti, la guida nei viaggi e la divinità dei commerci. Altre figure di rilievo tra gli dei gallici erano "Apollo" (Belanu, il guaritore), "Marte" (Toutatis, il signore della guerra), "Giove" (Taranis, il signore del tuono) e "Minerva" (Belisama, l'iniziatrice delle arti).
Il diritto matrimoniale gallico prevedeva un patrimonio comune tra gli sposi, determinato dalla somma della dote della moglie e di un equivalente esatto in denaro portato dal marito. Il patrimonio veniva amministrato congiuntamente; in caso di vedovanza, l'intero ammontare, incluse le rendite maturate, spettava al coniuge superstite.
La giustizia veniva amministrata dai druidi, che avevano piena discrezionalità sulla segretezza delle sentenze.
Accanto alla tradizionale attività venatoria, resa possibile dalle estese foreste delle regioni cha abitavano, i Galli praticavano sia l'allevamento che l'agricoltura. Le attestate presenze greche e fenicie sulle coste del Golfo del Leone e quelle etrusche, italiche e latine nella Pianura Padana confermano inoltre l'esistenza di una rete di scambi commerciali tra i Galli e altri popoli mediterranei. Tra le attività manifatturiere, sono pervenute testimonianze di una raffinata oreficeria.
I Galli parlavano una lingua celtica continentale, il gallico, frazionata in vari dialetti (tra i quali il Leponzio, parlato in Gallia cisalpina, l'odierna Italia settentrionale). La lingua è nota grazie ad alcune centinaia di iscrizioni su pietra e su vasi di ceramica e altri manufatti; le più antiche sono in alfabeto greco (costa meridionale dell'odierna Francia) e in alfabeto italico (Gallia cisalpina), mentre a partire dal II secolo a.C. inizia a prendere il sopravvento l'alfabeto latino.
I Galli possedevano una peculiare tradizione poetica, affidata alla memoria dei druidi. Ritenendo infatti illecita la trascrizione di questa sapienza, e volendone preservare la segretezza, la tramandavano esclusivamente per via orale, dedicando a questo compito molti anni di studio e l'impiego di mnemotecniche. L'uso della scrittura - in alfabeto greco fino a Cesare, in quello latino dopo la conquista romana - era riservato alle funzioni pratiche.
Gli insediamenti abitativi sorgevano generalmente sopra sommità di facile difesa. In gallico erano chiamati dunon. Si trattava di fortezze di collina, secondo uno schema tipicamente indoeuropeo, che Cesare chiamava oppidum; le mura erano costruite con la tecnica del murus gallicus.
L'arte orafa gallica raggiunse elevati livelli qualitativi, come testimoniano per esempio i pregiati collari o bracciali propiziatori (i torque).
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