martedì 7 aprile 2015

LA SERENISSIMA

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La Serenissima, è la Repubblica veneziana, uno degli stati italiani più potenti. La sua flotta di navi dominava tutto il mar Mediterraneo.

Nota anche come Repubblica di San Marco, è sovente indicata col semplice appellativo di Serenissima.

Lo Stato includeva, nel XVIII secolo e sino alla sua caduta, gran parte dell'Italia nord-orientale, nonché dell'Istria e della Dalmazia e oltre a numerose isole del Mare Adriatico (il Golfo di Venezia) e dello Ionio orientale. Al massimo della sua espansione, tra il XIII e il XVI secolo, comprendeva il Peloponneso (Morea), Creta (Candia) e Cipro, gran parte delle isole greche, oltre a diverse città e porti del Mediterraneo orientale.

La Repubblica nacque nel IX secolo, dai territori greco-bizantini della Venetia maritima, dipendenti dall'Esarcato di Ravenna fino alla conquista di questa città da parte dei Longobardi nel 732. La tradizione vuole che il primo doge, Paulicio Anafesto, fosse eletto nel 697 dai Venetici, tuttavia la nascita del ducato è da inquadrarsi nella riforma delle province italiche di Bisanzio promossa dall'imperatore Maurizio Tiberio, con la nomina a capo di queste di duces (dux o dukas, δούκας in greco-bizantino), cioè comandanti militari (di nomina imperiale per tramite dell'esarca ravennate), nel tentativo di arginare l'invasione longobarda. La figura del dux bizantino, divenuto nei secoli doge, conquistò quindi una sempre maggiore autonomia, attuando una politica via via sempre più indipendente. La capitale del nuovo ducato venne originariamente posta nella città di Eracliana.

Nel 726 l'estensione all'Italia dei provvedimenti iconoclasti dell'imperatore Leone III provoca la reazione del Papa e il diffondersi di rivolte in tutti i territori bizantini d'occidente (come del resto in quelli d'oriente): nella Venezia il popolo e il clero in rivolta prevaricano il diritto imperiale alla nomina del Dux, tuttavia, nonostante la ribellione, la Venezia interviene a sostegno dell'Esarcato contro i Longobardi. Tra il 737 e il 741 i Bizantini riportano il governo della provincia nelle mani di magistrati elettivi annuali, i Magistri Militum, fino a che nel 742 l'imperatore concesse al popolo la nomina del Dux. Nello stesso anno la capitale venne traslata a Metamauco.

La definitiva perdita bizantina di Ravenna, nel 751, e la conquista del regno longobardo da parte dei Franchi di Carlo Magno nel 774, con la successiva creazione del Sacro Romano Impero nella notte di Natale dell'anno 800, mutano definitivamente il contesto circondante il Ducato di Venezia. Franchi e Bizantini se ne contesero il dominio, mentre all'interno ci si divise tra il partito filofranco, capeggiato dalla città di Equilio, e quello filobizantino, con roccaforte ad Eracliana: nell'805 l'aperto conflitto esploso tra i due centri spinse il doge Obelerio Antenoreo a raderli al suolo e deportarne la popolazione a Metamauco. Messa così a tacere ogni opposizione il doge si risolse nell'806 a porre il ducato sotto la protezione di Carlo Magno, ma un blocco navale bizantino lo convinse ben presto a rinnovare la propria fedeltà all'imperatore d'Oriente, trasformando il ducato in una base per le azioni militari bizantine in Italia.

Nell'809, in risposta alle aggressioni condotte dai Bizantini su Comacchio, l'esercito franco comandato da Pipino invase la Venetia, assediando Metamauco e costringendo il Dux a rifugiarsi nelle isole interne della laguna, presso la città di Rivoalto. Il conflitto ebbe termine nell'810, quando la flotta veneziana riuscì a intrappolare e distruggere quella franca nelle secche tra Metamauco e Popilia. La vittoria portò al potere il partito filobizantino, che approfittò immediatamente dell'occasione per sbarazzarsi dell'odiato Antenoreo e a sostituirlo con il nobile eracleense Angelo Partecipazio, il quale, nell'812 trasferì definitivamente la capitale a Rivoalto, decretando così l'effettiva nascita di Venezia.

Al sicuro nella nuova città il ducato veneziano rimane un'isola bizantina nel mare del Medioevo feudale d'occidente. Tuttavia nei due secoli successivi le istituzioni e la politica veneziane si distaccheranno progressivamente sempre più dalle vicende di un impero sempre più lontano, la cui sovranità si farà sempre più meramente formale (nell'840, ad esempio, il doge di propria iniziativa promulgherà il Pactum Lotharii con il Sacro Romano Impero). È in questo periodo che, a fianco dei tentativi di costituire un sistema politico su modello imperiale bizantino (con il tentativo di rendere ereditaria la carica ducale tramite l'adozione del sistema di associazione al trono di un erede "co-Dux"), si viene sviluppando un sistema di famiglie patrizie in concorrenza per il potere (segno ne sono le frequenti rivolte e deposizioni dei "Dogi", tonsurati, accecati ed esiliati), nucleo della futura oligarchia mercantile a capo dello Stato.

Nel basso medioevo, Venezia divenne estremamente ricca, grazie al controllo dei commerci con il Levante, e iniziò ad espandersi nel Mar Adriatico e oltre. Questa fase d'espansione ebbe inizio a partire dall'anno 1000, quando la flotta guidata dal doge Pietro II Orseolo per combattere i pirati Narentani che opprimevano con le loro incursioni le coste veneziane ricevette la sottomissione delle città costiere istriane e dalmate e il successivo riconoscimento da parte dell'imperatore bizantino del titolo di duca della Venezia e della Dalmazia (Dux Venetiae et Dalmatiae).

Nel 1071 la lotta per le investiture tra Gregorio VII ed Enrico IV era già in atto, ma Venezia, rimanendo fedele alla sua politica di equilibrio tra le grandi potenze, non parteggiò né per il pontefice, né per l'imperatore. Nel sud dell'Italia i Normanni erano diventati i veri protagonisti. Dapprima i Veneziani avevano allacciato buoni rapporti con gli Altavilla; ma allorché essi cominciarono ad intervenire nell'Adriatico avvenne la rottura.

L'occupazione normanna di Durazzo e di Corfù indusse i Veneziani all'azione armata. La guerra durò più di due anni e le operazioni navali e terrestri non furono favorevoli agli alleati veneto-bizantini. Quando Roberto il Guiscardo moriva il suo esercito abbandonava le posizioni raggiunte per ritornare in Puglia.

Con la scomparsa del normanno, Venezia riuscì ad ottenere da Costantinopoli quanto aveva desiderato. La Crisobolla (o "Bolla Aurea") del maggio 1082, con cui l'Imperatore d'Oriente concedeva ai suoi mercanti ampi privilegi ed esenzioni in tutta la Romània: questa iniziale concessione venne poi successivamente più volte ampliata ed affiancata da altri atti con cui gli imperatori via via premiarono e poi pagarono il sostegno navale dei loro ex-sudditi.

L'accresciuta potenza e l'alto numero di privilegi misero nel tempo in rotta Bizantini e Veneziani, portando ad un succedersi di contrasti, con le guerre del 1122-1126 e del 1171-1175, che favorirono l'espansione commerciale genovese in Oriente.

Meno sforzi profuse Venezia per aiutare le prime crociate: intervenne per favorire la presa di Gerusalemme quando la Prima Crociata era già avviata, non partecipò alla Seconda Crociata, ma inviò una flotta al seguito della Terza Crociata, che procurò notevoli vantaggi commerciali sia a lei, sia alle rivali Pisa e Genova.

Nel 1148 venne istituita la Promissio Ducale, il giuramento di fedeltà costituzionale del Doge, che da quel momento, continuamente rinnovata ad ogni nuova elezione, limitò progressivamente sempre più i poteri del principe, ponendo le basi di sviluppo delle altre istituzioni repubblicane.

Nell'ultimo ventennio del XII secolo Venezia fu impegnata contro l'Ungheria nella guerra di Zara per il controllo della Dalmazia, conclusasi nel 1202 con la presa della città.

Sotto il dogado di Enrico Dandolo, la partecipazione alla Quarta Crociata fu fondamentale per la presa di Zara (1202) e nel sacco di Costantinopoli (1204), che portò a Venezia anche grandi tesori rapinati a Costantinopoli e causò grandi distruzioni nella città imperiale e l'indebolimento definitivo di Costantinopoli quale presidio della cristianità in Oriente. La crociata pose temporaneamente fine all'impero Bizantino e originò l'Impero Latino d'Oriente, che assumeva le forme istituzionali caratteristiche della feudalità occidentale. I territori dell'Impero bizantino vennero spartiti in quattro tra l'Imperatore Baldovino di Fiandra, il Marchese del Monferrato, i principi e i baroni franchi e la Serenissima. Venezia guadagnò molti territori nel Mar Egeo, tra cui le isole di Candia (Creta) ed Eubea, e numerosi porti e piazzeforti nel Peloponneso, oltre ad una posizione di assoluta preminenza nell'effimero Impero Latino creato dai crociati, dove venne riservato al doge veneziano il titolo di Signore di un quarto e mezzo dell'Impero Romano d'Oriente, che comportava anche la facoltà di nominare il Patriarca latino di Costantinopoli e di avere un proprio rappresentante (bailo o podestà) a Costantinopoli.

La conquista di Candia, in particolare, impegnò intensamente la Repubblica, richiedendo quasi l'intera prima metà del Duecento.

Tra il 1255 e il 1270 la Repubblica si scontrò poi duramente con Genova nella guerra di San Saba per riaffermare il proprio predominio nei mercati levantini. Mentre la riconquista bizantina di Costantinopoli, modificando nuovamente l'assetto politico dell'Oriente, fornì presto l'occasione per nuovi scontri tra le marinerie italiane.

Precluso, a partire dalla Serrata del Maggior Consiglio del 1297, a nuove famiglie l'accesso al governo, sopravvissuta lo Stato alla grave minaccia rappresentata dalla congiura del Tiepolo del 1310, Venezia si diede la definitiva forma di Repubblica oligarchica, governata da un Patriziato mercantile.

La Repubblica si espanse nei secoli successivi, in molte isole e territori dell'Adriatico e del Mar Mediterraneo, venendo a comprendere per secoli quasi tutte le coste orientali dell'Adriatico (interamente noto come "Golfo di Venezia"), ma anche le grandi isole di Creta ("Candia" per i veneti) e Cipro, gran parte delle isole greche e del Peloponneso ("Morea" per i veneti). Le sue propaggini arrivano a più riprese fino al Bosforo. Il complesso di questi vasti domini insulari e costieri venne a costituire quello che i veneziani chiamavano lo Stato da Màr (lett. lo "Stato marittimo", contrapposto ai "Domini di Terraferma" e al "Dogado").

La mutilazione dei domini dalmati a seguito della pace di Zara del 1358 spinse la Repubblica a riaffermare il proprio dominio sull'Adriatico combattendo, tra il 1368 e il 1370, la guerra di Trieste per punire la città giuliana delle minacce rivolte alle proprie rotte commerciali.

Nel 1379, però, Venezia venne gravemente minacciata proprio nell'Adriatico da Genova durante la guerra di Chioggia che, dopo aver posto la Serenissima in stato d'assedio nelle sue stesse lagune, terminò con un nulla di fatto e l'indebolimento della rivale.

Tra il 1409 e il 1444, infine, Venezia riacquisì il dominio sulla Dalmazia, grazie ai trattati stipulati con i sovrani ungheresi.

Per secoli la Repubblica è stata primariamente uno stato composto di isole e fasce costiere, che costituivano il cosiddetto Stato da Màr. Solo limitate inclusioni di aree del retroterra lagunare erano state effettuate per costituire capisaldi difensivi contro l'espansione di città come Padova e Treviso. All'inizio del XV secolo, i veneziani iniziarono tuttavia ad espandersi notevolmente anche nell'entroterra, in risposta alla minacciosa espansione di Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano dal 1395.
Nel 1410, Venezia aveva già conquistato gran parte dell'odierna regione italiana del Veneto, comprese importanti città come Verona e Padova, e dieci anni più tardi assoggettava il Friuli. La Repubblica arrivò a comprendere il territorio di quella che era stata la X regione augustea della penisola italica (Venetia et Histria). Nel 1428 divennero veneziane pure le città oggi lombarde di Bergamo, Brescia e Crema con i relativi contadi. Un ruolo importante in queste campagne militari lo giocò il condottiero Bartolomeo Colleoni. Nel 1489 fu annessa l'isola di Cipro, precedentemente uno stato crociato, ceduto dalla sua ultima sovrana, la veneziana Caterina Cornaro (in ven. "Cornèr"). Nel 1495 Venezia riuscì ad espellere Carlo VIII dall'Italia grazie alla battaglia di Fornovo, respingendo il primo di una serie di assalti francesi. Temporaneamente ad inizio del XVI secolo furono venete pure Cremona, Forlì, Cesena, Monopoli, Bari, Barletta, Trani ecc.

Con tale espansione i veneziani entrarono però in conflitto con lo Stato Pontificio per il controllo della Romagna. Questo portò nel 1508 alla formazione della Lega di Cambrai contro Venezia, nella quale il Papa, Re di Francia, Imperatore del Sacro Romano Impero e il Re d'Aragona si unirono per distruggere Venezia. Anche se nel 1509 i francesi furono vittoriosi nella Battaglia di Agnadello, le armate della lega dovettero arrestarsi ai margini della laguna: la coalizione si ruppe ben presto, e Venezia si ritrovò salva senza aver subito gravi perdite territoriali; la flotta fu però quasi completamente distrutta nella battaglia di Polesella alla fine di quell'anno, sotto il fuoco dell'artiglieria degli Estensi. La Repubblica dovette rinunciare ad esercitare la propria pressione politica sul piccolo ducato ma i confini rimasero assestati su quelli segnati alla fine della Guerra del Sale nel 1484. Il conflitto si protrasse sino al 1516, quando Venezia, passata all'alleanza con la Francia, sconfisse le forze della Lega Santa, riprendendo il pieno possesso della Terraferma.
Col Trattato di Noyon (1516) la Serenissima perse l'alta valle del fiume Isonzo (Gastaldia di Tolmino con Plezzo ed Idria) a favore della Contea di Gorizia e Gradisca, ma manteneva Monfalcone.

Dall'inizio del XV secolo un altro pericolo minacciava la repubblica: l'espansione dell'Impero ottomano nei Balcani e nel Mediterraneo orientale. Nel secolo XVI il successore di Solimano sul trono ottomano, Selim II, riprese le ostilità nei confronti dei superstiti domini veneziani nell'oriente attaccando l'isola di Cipro, che cadde dopo una lunga ed eroica resistenza. Venezia reagì inviando una flotta nell'Egeo e allacciando rapporti con Pio V allo scopo di creare una Lega santa per sostenere lo sforzo bellico della Serenissima.

Essa, formatasi il 25 maggio del 1571, vedeva riunite le forze di Venezia, Spagna, Papato e Impero, sotto il comando di Don Giovanni d'Austria, fratello di Filippo II di Spagna. Le duecentotrentasei navi cristiane riunitesi nel golfo di Lepanto si scontrarono con le duecentottantadue navi turche comandate da Capudan Alì Pascià. Era il 7 ottobre del 1571 e la Battaglia di Lepanto, combattuta da mezzogiorno al tramonto, si risolse con la vittoria della Lega santa.
Nonostante la vittoria di Lepanto, di fronte alla scarsa volontà di Filippo II di continuare ad aiutare la Repubblica e alle esauste casse dello Stato, prosciugate dal conflitto e dalla crisi dei commerci, Venezia fu costretta a firmare un trattato di pace e a cedere agli Ottomani l'isola di Cipro ed altri possedimenti sulle coste della Morea. Quel trattato iniziava la decadenza militare e marittima della Serenissima.

Nel XVII secolo, dopo un lungo conflitto (1645-1669), venne persa anche Candia, dopo un assedio durato circa 24 anni. Venezia riuscì tuttavia a riconquistare ancora nel 1683-87 l'intera Morea (l'odierno Peloponneso), grazie all'abilità del suo ultimo grande condottiero, Francesco Morosini in seguito alla pace di Carlowitz del 1699; la Morea fu però presto riconquistata dall'Impero ottomano nel 1718, a causa anche dello scarso appoggio delle popolazioni greche, che non vedevano di buon occhio i veneziani.

Con la Pace di Passarowitz del 1718, Venezia dovette cedere ai Turchi le ultime piazzeforti che ancora possedeva presso Candia e rinunciare alla Morea (l'antico possedimento del Peloponneso, perso con le campagne del 1715), ma poté conservare le Isole Ionie ed estendere i propri domini in Dalmazia.

Nel XVIII secolo la Repubblica, persa progressivamente la propria potenza, si adagiò nel perseguire una politica di conservazione e neutralità. A questo si accompagnava un sempre più ridotto dinamismo del ceto politico, sempre più legato ai crescenti interessi fondiari in terraferma del patriziato veneziano. Questo, poi, subì una sempre più massiccia immissione di nuove famiglie nel corpo aristocratico, volto a sostenere l'economia dello Stato (grazie al ricco pagamento fornito dai nuovi nobili all'atto dell'iscrizione al libro d'oro del patriziato) e a rinsaldare i legami coi ceti dirigenti della terraferma.

Tuttavia in questo periodo la "Serenissima" - anche se ormai politicamente sulla via del tramonto - brillava ancora dal punto di vista del profilo culturale, basti ricordare al riguardo i nomi di Vivaldi nella musica, Goldoni nella letteratura e Tiepolo ed il Canaletto nella pittura.

Non mancavano poi gli interventi militari, soprattutto contro la pirateria barbaresca, con le spedizioni del 1766 e 1778 contro Tripoli e quella più massiccia del 1786-1787, quando alla guida di Angelo Emo vennero bombardate Sfax, Tunisi e Biserta.

Alla vigilia del nuovo XIX secolo, la vita pubblica veneziana venne infine agitata da travagli politici interni, provocati dalle nuove idee introdotte dalla Rivoluzione francese, cui il governo, pur arroccandosi su posizioni rigidamente conservatrici, non seppe fornire un'efficace reazione. Tale situazione favorì la caduta finale della Repubblica, di cui non fu secondaria causa il diffuso timore da parte della classe aristocratica dello scoppio di rivolte giacobine, che in realtà non si realizzarono mai.

Nonostante la propria dichiarata neutralità durante la campagna d'Italia condotta dalla Francia rivoluzionaria, la Repubblica venne invasa dalle truppe francesi di Napoleone Bonaparte (1797), che occuparono la terraferma, giungendo ai margini della laguna. A seguito delle minacce francesi di entrare in città, nella seduta del 12 maggio 1797, il Doge e i magistrati deposero le insegne del comando, mentre il Maggior Consiglio abdicò e dichiarò decaduta la Repubblica. Il potere di governo passò a una Municipalità provvisoria posta sotto il controllo del comando militare francese, nel terrore generale di rivolta suscitato dalle salve di saluto dei fedeli soldati "schiavoni" (istriani e dalmati), che obbedirono all'ordine di evacuazione impartito per evitare scontri.

Napoleone entrò così a Venezia senza quasi che fosse sparato un solo colpo, se non una salva d'artiglieria ordinata dal Forte di Sant'Andrea che distrusse la fregata francese "Le Libérateur d'Italie" mentre tentava di forzare l'ingresso in laguna. Poco dopo anche l'Istria e la Dalmazia, ormai caduta la madrepatria, si consegnarono ai francesi.

Le aspettative degli illuministi italiani, illusi che l'arrivo delle truppe napoleoniche avrebbe fatto trionfare anche in Italia gli ideali di libertà affermatisi oltre le Alpi con la rivoluzione francese, furono traditi da Napoleone. Nel trattato di Campoformio firmato il 17 ottobre 1797, la Francia si spartì il Nord-Italia con l'Arciducato d'Austria, al quale furono riconosciuti Venezia ed i suoi territori, decretando in tal modo la fine della Repubblica Veneta. Dopo la definitiva sconfitta di Napoleone, al congresso di Vienna del 1814 fu istituito il Regno Lombardo-Veneto, assoggettato all'Impero Austriaco, comprendente grossomodo i territori degli odierni Veneto, Lombardia e Friuli.

Durante i moti risorgimentali del 1848, di cui Venezia fu grande animatrice sotto la guida di Daniele Manin, vi fu un breve tentativo di restaurare l'antica repubblica contro la dominazione dell'Impero austriaco. Nella generale insurrezione del Veneto contro la dominazione asburgica, Venezia insorse contro gli austriaci il 17 marzo 1848, occupando l'Arsenale e costringendo le truppe imperiali ad abbandonare la città. Alla guida di Daniele Manin e Niccolò Tommaseo, fu proclamata la Repubblica di San Marco che, al procedere della repressione austriaca sulla terraferma, si appellò ai piemontesi chiedendo un'unione col Regno di Sardegna.
Nel generale fallimento dei moti insurrezionali della penisola italiana e dovendo accantonare momentaneamente i sogni di unificazione nazionale, Venezia resistette all'assedio del maresciallo Radetzky fino al 22 agosto 1849, quando dovette capitolare.

La sovranità apparteneva formalmente al popolo veneziano, che sino al Quattrocento si riuniva nell'assemblea della Concio. Il popolo esercitava tradizionalmente il proprio potere nel momento dell'approvazione del Doge, eletto con un complicato sistema, elaborato per impedire brogli: nelle epoche più antiche l'approvazione rappresentava una vera e propria conferma da parte dei cittadini liberi dell'elezione del "Dux" veneto-bizantino da parte dei patrizi e del clero, poi, con il progressivo instaurarsi della forma oligarchica della Repubblica, il residuo dell'antico potere venne a sedimentarsi nella tradizionale acclamazione del popolo al nuovo Doge.

Il Doge rappresentava formalmente la sovranità e la maestà della Repubblica, ma aveva scarso potere (essenzialmente il diritto di guidare in guerra l'esercito e la flotta, se non venivano nominati specifici "Capitano/i de tera" o "Capitano/i de mar") ed era coadiuvato e controllato nelle proprie funzioni da sei consiglieri, coi quali costituiva il Minor Consiglio (o Serenissima Signoria). La sovranità risiedeva invece nel Maggior Consiglio, l'organo fondamentale dello Stato (esso rappresentava fino alla "Serrata del Maggior Consiglio" i notabili della città, poi i membri della sola aristocrazia), al quale appartenevano di diritto i membri maschi e maggiorenni delle grandi famiglie patrizie, mediamente circa un migliaio di individui. Il Maggior Consiglio esercitava poi la propria sovranità attraverso dei Consigli minori di sua emanazione: il Collegio, cioè il governo della Repubblica, il Senato (o Consiglio dei Pregadi), responsabile per la politica estera, il Consiglio dei Dieci, responsabile della sicurezza dello Stato, e i tribunali della Quarantia. In particolare il Consiglio dei Dieci venne nel tempo a costituirsi come un organismo quasi onnipotente, baluardo delle istituzioni repubblicane e dell'ordinamento oligarchico.

Un capitolo a parte merita l'amministrazione della Giustizia, ammirata per secoli in tutto il mondo tanto da meritare alla Repubblica il titolo di Serenissima, proprio per la tolleranza (verso stranieri e verso nuove ideologie, ecc.) derivante dalla maniera equilibrata di fare giustizia. Essa si basava su un ridotto ruolo degli avvocati, su giudici non di carriera (aristocratici nominati per 1 o 2 anni, anche nelle alte gerarchie), e soprattutto per il modo di applicare le leggi al singolo caso concreto, che teneva conto delle decisioni precedenti (giurisprudenza) ma soprattutto mirava a realizzare la giustizia sostanziale, anche negando l'applicabilità di certe leggi se queste ledevano i principi superiori di giustizia, ossia la verità, il buon senso, la fede e l'equilibrio naturale delle cose.

Le istituzioni del Governo della Repubblica di Venezia erano strutturate su più livelli. Alla base c'era il Maggior Consiglio, detentore del potere sovrano, e al vertice il Doge, immagine della maestà dello Stato.
Supremo magistrato della Repubblica, era eletto a vita e dal momento dell'elezione, che avveniva con un complicatissimo sistema di votazioni e ballottaggi (estrazioni a sorte), e dell'incoronazione davanti al popolo, con la pronuncia della Promissione Ducale, risiedeva nel Palazzo Ducale, ricevendo onori e circondandosi di un cerimoniale fastoso e solenne che doveva manifestare la gloria e la potenza della Repubblica. Doveva tuttavia provvedere da sé al sostentamento proprio e della propria famiglia; i suoi unici poteri consistevano nella nomina del Primicerio e dei canonici della Basilica di San Marco e la facoltà di condurre in guerra l'armata.

Il Minor Consiglio si componeva dei sei Consiglieri ducali: coadiuvava e sorvegliava strettamente l'operato del Doge, per limitarne i poteri e curarne finanche la corrispondenza. Il più anziano dei sei consiglieri sostituiva il "Serenissimo Principe" nei casi d'assenza o di impedimento. Il Minor Consiglio e i Tre Capi della Quarantia, costituivano, assieme al Doge, la Serenissima Signoria, organo di presidenza di tutte le assemblee dello Stato.

Il Collegio dei Savi costituiva in pratica il consiglio dei ministri della Repubblica. Si componeva di sei Savi Grandi, cinque Savi agli Ordini e cinque Savi de Teraferma, che disponeva in materia di politica estera, finanze e affari militari, stabilendo l'agenda dei lavori del Senato: nei casi in cui veniva presieduto dalla Signoria il Collegio assumeva il nome di Pieno Collegio.

Noto anche come Consiglio dei Pregadi (lett. di coloro che venivano "pregati" di fornire il proprio consiglio al Doge), il Senato della Repubblica si componeva del Pien Collegio e di sessanta senatori, cui si aggiungevano i sessanta membri della Zonta (lett. "aggiunta"). A questi senatori di diritto potevano aggiungersi ex officio funzionari, ambasciatori, comandanti militari, etc., di volta in volta convocati per riferire delle loro missioni o per fornire il proprio parere nelle questioni trattate. Il Senato era infatti l'organo deliberativo della Repubblica, che si occupava di discutere della politica estera e dei problemi correnti, per i quali si configurava come un organismo decisionale più snello rispetto al Maggior Consiglio.

Il Consiglio dei X era composto di dieci membri con incarico annuale, dotati di ampi poteri al fine di garantire la sicurezza della Repubblica e del suo governo. Ad essi si affiancava il più snello magistrato dei Tre inquisitori di Stato, incaricato di proteggere il segreto di Stato. L'attività di tali organi era legata in particolare all'uso delle Denunzie Segrete dalle quali si originavano spesso i procedimenti di tali organismi, che giudicavano poi con giudizio esecutivo, inappellabile e, all'occorrenza, segreto. Nato formalmente il 20 luglio 1335 come istituzione provvisoria, venne poi resa permanente e durerà fino alla fine della Repubblica di Venezia nel 1797. Il ruolo dei "Tre inquisitori di Stato" venne però col tempo ad oscurare la tolleranza e la vantata equanimità delle funzioni giudiziarie: essi infatti potevano sostituirsi ai giudici ordinari, procedevano spesso in segreto e senza possibilità di difesa alcuna, con largo uso della tortura e con la facoltà di fatto di spaziare su qualunque materia in nome della difesa dello Stato anche da ideologie ritenute perniciose, da reati verso persone importanti, da presunte intelligenze con lo straniero, ecc.

Il Consiglio dei XL era organo sovrano nella programmazione finanziaria e nel governo della Zecca, operando inoltre come Supremo Tribunale nei procedimenti ordinali civili e penali, suddiviso nelle tre sezioni della Quarantia Criminale, della Quarantia Civil Vecchia e della Quarantia Civil Nuova.

Il Maggior Consiglio era l'organo sovrano dello Stato veneziano, cui appartenevano, automaticamente e di diritto tutti i membri maschi e maggiorenni delle famiglie patrizie: tale assemblea coincideva in pratica con la Repubblica stessa, avendo competenza illimitata in qualunque materia e procedendo all'elezione di tutti gli altri consigli e magistrature.

A vigilare sull'ordine pubblico erano due Magistrature : i "Signori di notte" e gli "Esecutori contro la bestemmia". A vigilare sulla sicurezza sanitaria era il Magistrato di Sanità, il quale, dopo un decreto del 1588, poteva valersi di deputazioni di patrizi e di cittadini per ogni contrada, sino a che poi fu costituita una Magistratura di Sanità composta da diversi Provveditori, che avevano sorveglianza anche sull'Albergo universale dei mendicanti e sfaccendati, istituito nel 1753.

A partire dall'iniziale nucleo territoriale del Dogado cioè il ristretto territorio metropolitano di Venezia e delle lagune, i domini veneziani si espansero sia oltremare che in terraferma attraverso conquiste militari, investiture feudali e dedizioni. Questo diede vita ad un'organizzazione territoriale piuttosto eterogenea, legata alle condizioni storiche e politiche in cui o vari territori, città, castelli o isole erano entrate nel possesso della Repubblica.
Nel tempo tuttavia tutti finirono per essere in generale amministrati da funzionari eletti con vario titolo dal Maggior Consiglio ed inviati nei possedimenti per amministrarli per un periodo detto reggimento.

Il Dogado, anticamente governato come sorta di confederazione di città, ciascuna amministrata da propri tribuni, con il rafforzamento del potere centrale, passò ad essere suddiviso in distretti retti da podestà inviati dalla capitale. Unica eccezione era Grado, che, espropriata nel X secolo all'amministrazione del Patriarca, era amministrata da un funzionario avente il titolo di conte.

Nel corso della loro espansione i Veneziani costituirono in tutto il Mediterraneo Orientale una serie di colonie, cioè di stabili insediamenti commerciali di propri cittadini, spesso separati dal resto delle città ospitanti e cinti da mura, che godevano di particolari privilegi e autonomie concesse dagli Stati ospitanti (particolarmente dall'Impero d'Oriente).

Dal 1204 al 1261 il Podestà di Costantinopoli, cioè della colonia di Costantinopoli, fu il rappresentante del governo veneziano in tutta la Romània: assistito da un consiglio di sei membri, da 5 giudici e 2 camerarii (per le questioni economiche), da lui dipendevano tutti i cittadini veneziani in oriente, tutti i possedimenti e le colonie compresa Candia. Dal 1277 in poi la colonia sul Corno d'Oro fu retta dal Bailo di Costantinopoli (carica biennale). In generale il bailo o balio (dal latino baiolus, portatore, reggitore) era un ambasciatore residente con autorità su una colonia e sui cittadini veneziani presenti nella nazione o territorio ad essa collegato. Baili veneziani risiedettero ad Acri, Tiro, Aleppo, Laodicea, Patrasso, Tenedo, Cipro, Negroponte e Aiazzo.

Con il passare del tempo i baili vennero sostituiti dalla figura del console, cioè del funzionario incaricato di amministrare la colonia e di rappresentare gli interessi dei mercanti. La rappresentanza diplomatica venne invece affidata ad ambasciatori appositamente inviati. Unica eccezione rimase il caso di Costantinopoli, dove dal 1322 il bailo aveva, come in precedenza il podestà, la giurisdizione generale su tutto l'oriente, si trattasse di colonie o possedimenti. Consoli veneziani risiedettero a Corfù, Zante, Cefalonia, Santa Maura, Cerigo, Giannina, Prevesa, Arta, Lepanto, Patrasso, Nauplia, Atene, Tessalonica. Altri ancora risiedettero in Occidente, come a Napoli, Cadice e altrove. Numerosissime località minori furono sede di viceconsoli. Sempre col trascorrere del tempo tutte queste cariche divennero prerogativa dei cittadini, mentre il solo Bailo di Costantinopoli fu scelto tra i nobili.

Col titolo di castellano erano invece designati i governatori militari delle fortezze, come le due importanti città di Corone e Modone, principali basi d'accesso per il controllo dell'Egeo e definite Venetiarum Ocellae (gli occhi di Venezia).

In seguito i possedimenti veneziani passarono sempre più sotto il controllo di Provveditori o Provveditori Generale, cioè di funzionari della Repubblica inviati nei territori sotto la diretta amministrazione di Venezia (ad esempio la Morea fu retta da provveditori nel periodo 1685-1715).

Le principali città della terraferma, come Padova, Vicenza, Verona, Brescia, Bergamo, erano rette da una coppia di funzionari: un Podestà e da un Capitano, il primo responsabile civile, il secondo responsabile militare e per l'ordine pubblico. Nei centri minori, quali Crema, Rovigo, Treviso, Feltre e Belluno erano invece un Rettore, responsabile unico civile e militare. Il Friuli, invece, era considerato un territorio autonomo, governato da un Provveditore Generale (similmente ai domini marittimi), da cui dipendevano i vari rettori.

L'amministrazione della Serenissima si assicurava comunque di rispettare le leggi ed i costumi delle varie città, a lei vincolate da un giuramento di fedeltà: la nobiltà locale ed i rappresentanti delle corporazioni affiancavano infatti i magistrati veneziani, con diritto di voto nei giudizi, salvo alcuni settori ben definiti questo secondo la legge del luogo. In caso di contrasti era possibile il ricorso in appello al tribunale della Quarantìa.

Principali possedimenti di terraferma furono i territori del Padovano, della Marca, del Vicentino, del Veronese, del Bresciano, del Bergamasco, del Cremonese, del Friuli, del Polesine e del Cadore.

Per secoli legata esclusivamente alla potenza della propria flotta, costituita da un corpo di cittadini-mercanti che in caso di necessità potevano trasformarsi in marinai-soldati, con la conquista dello Stato da Mar, la Repubblica poté far leva anche su forze reclutate nei domini oltremarini.
Nel Quattrocento, poi, l'espansione e la conquista della Terraferma resero necessario il ricorso a compagnie di ventura e mercenari per potersi dotare di forze terrestri, che però rimasero organizzativamente e dimensionalmente sempre secondarie rispetto all'organizzazione navale.
Nel Cinquecento si procedette alla costituzione di milizie territoriali, le cernide o craine, per consentire una maggiore capacità di risposta alle sempre più frequenti incursioni dei Turchi e per la difesa dei possedimenti terrestri e marittimi. Il Seicento vide, poi, la riforma della flotta, con la creazione di una vera e propria marina da guerra, che verso la fine del secolo venne separata tra una componente tradizionale a remi, l'Armada sottile, e una nuova componente di grandi navi a vela, l'Armada Grossa.
Il Settecento vide infine il tentativo di creazione di un esercito regolare, che venne però bruscamente interrotto dalla caduta della Repubblica.

I due massimi gradi militari, rispettivamente quello di Capitan General da Mar per la flotta e di Capitan General di Teraferma, erano riservati, il primo, esclusivamente a patrizi veneziani e, il secondo, prevalentemente ad esperti mercenari. Entrambi risultavano comunque, almeno formalmente, subordinati al Doge, in qualità di supremo comandante militare dello Stato. Inoltre, la repubblica serenissima faceva ampio ricorso a comuni delinquenti per i suoi assassinii di Stato.

A partire dal Duecento la società veneziana si venne definitivamente a cristallizzare in classi sociali ben definite:

il Patriziato, formato dai maggiorenti della città, partecipi di diritto al potere politico;
i Cittadini, distinti tra i cittadini originarii, cioè i nativi da famiglie veneziane, cioè di coloro che godevano della piena cittadinanza ed avevano accesso alle cariche riservate al corpo sociale dei cives, i cittadini de intra et de extra ("dentro e fuori"), cioè i nuovi arrivati che godevano però della piena cittadinanza e della garanzia dello Stato sia dentro che fuori dai confini ed infine i cittadini de intus tantum ("solo dentro"), cioè di coloro che erano garantiti dallo Stato nel proprio territorio, ma non potevano accedere ai privilegi riservati ai Veneziani fuori dai confini;
i Foresti, cioè gli stranieri di passaggio o recentemente inurbati o appartenenti al basso popolino: accedevano alle garanzie legali, ma non ai privilegi di cittadinanza, e la loro presenza doveva essere regolarmente registrata e sorvegliata dai Capisestiere.
L'aristocrazia veneziana era una categoria sociale relativamente aperta: ad essa si poteva accedere per grandi meriti e servigi offerti alla Repubblica. In pochi casi, per rimpinguare le finanze in tempo di guerra, la Repubblica vendette l'iscrizione al "libro d'oro" dell'aristocrazia. L'aristocrazia non era solo una classe di privilegiati, ma anche di servitori professionisti dello Stato, educati nell'università di Padova. Infatti i nobili veneziani lavoravano nell'amministrazione anche come segretari di ufficio, contabili, capitani di porto, e anche giudici. Per impedire il concentrarsi del potere in poche mani, garantire un certo ricambio e consentire al maggior numero di aristocratici di avere un impiego, tutte queste cariche erano di breve durata, spesso di un solo anno. Erano spesso mal pagate, tanto che molti nobili sopravvivevano grazie all'assistenza pubblica per gli aristocratici poveri.

I cittadini trovavano invece i propri centri di aggregazione nelle Scholae, le confraternite religiose o di mestiere.

Alla base del successo e dell'ascesa politica di Venezia durante tutto il Medioevo si trovava l'eccezionale floridezza dei suoi commerci. Fin dalle sue origini, infatti, la città vantava uno speciale legame con l'Oriente, che l'aveva resa per l'intera Europa occidentale, una porta privilegiata verso il Levante e tramite verso tutto quel sistema commerciale che si fondava sulla ricchezza delle merci in viaggio lungo la Via della Seta.
I privilegi ottenuti nel corso dei secoli dall'Impero Bizantino (in primis la Bolla D'Oro del 1082) avevano reso infatti la città monopolista in molti mercati orientali e principale attore del commercio in quell'area.

Spezie, sete, profumi, legnami pregiati transitavano così da Venezia diretti verso il continente e in cambio Venezia ne riceveva in pagamento oro e argento o materie prime e armi per alimentare il commercio con l'Oriente.
A ciò si aggiungevano i preziosi prodotti locali, come i vetri di Murano e i tessuti ricavati dai panni grezzi d'importazione.
Il mercato di Rialto diveniva così il fulcro di questi intensi traffici, il luogo d'incontro tra domanda e offerta, dove si battevano i prezzi di merci che viaggiavano per migliaia di chilometri, dalla Cina e dall'India, dall'Arabia sino a Londra e alle Fiandre e dove erano ospitate le botteghe delle Arti come quelle dei fruttaroli (o fruttivendoli), degli erbarali (venditori di erbaggi), dei naranzèri (venditori di arance e agrumi in genere).

Per secoli, la base di questa complessa organizzazione economica venne rappresentato dai convogli navali, le cosiddette Mude: vere e proprie carovane marine, organizzate e controllate dallo Stato, che con periodica costanza collegavano i lontani porti di Alessandria, Acri, Costantinopoli e di Crimea con Venezia e poi questa con, Aigues Mortes, Londra e Bruges.
Era per garantire porti sicuri, punti d'appoggio e protezione a tali convogli che la Repubblica si spinse sino a creare la propria rete di possedimenti, colonie e feudi in Oriente.

Sulla base di questa stessa ricchezza mercantile si fondavano poi le fortune del Patriziato veneziano, contribuendo così a plasmare la stessa organizzazione della società e dello Stato.
Il declino stesso della Repubblica finì infatti per coincidere col declino dei commerci, dettato prima, nel XV secolo, dall'apertura delle nuove rotte marine attorno all'Africa e, con il crescere della aggressiva potenza ottomana, dalla progressiva scomparsa dei tradizionali referenti commerciali, e poi dalla scoperta delle Americhe, con il conseguente spostamento dell'asse commerciale dal mar Mediterraneo all'Atlantico.
Il progressivo inaridirsi dei commerci spinse Venezia a rivolgersi verso la Terraferma, trasformandosi sempre più in una potenza continentale.

Per la rilevante importanza commerciale dello Stato veneziano, grande fu la diffusione e l'influenza della sua produzione monetaria in Europa e nel bacino del Mediterraneo. Le monete veneziane erano caratterizzate dal recare sul dritto l'effigie del doge regnante recante lo stendardo e inginocchiato davanti a San Marco. Il conio a partire dal Cinquecento avveniva in un apposito edificio affacciato sul molo marciano, la sansoviniana Zecca, sulla cui attività vigilava rigidamente la Quarantia.

Nel corso della millenaria storia della Repubblica vennero coniati numerosi tipi di monete, i più importanti dei quali furono il Ducato d'argento o Matapan, il Soldo d'argento, la Lira d'argento o Lira Tron, lo Zecchino d'argento e soprattutto il Ducato d'Oro o Zecchino.

Fin dal trafugamento del corpo dell'Evangelista da Alessandria d'Egitto nell'828 ed il suo arrivo a Venezia, lo Stato lagunare costituì uno speciale e particolarissimo rapporto con il proprio patrono. Questo legame, causato dalla particolare importanza della reliquia e soprattutto dal particolare legame esistente tra il Santo e le Chiese dell'Italia nord-orientale che alla sua predicazione facevano risalire la propria origine, portò a far considerare il santo patrono come custode della sovranità dello Stato, assurgendone a simbolo. La Repubblica amava così farsi chiamare Repubblica di San Marco e le sue terre furono di frequente note come Terre di San Marco. Il leone alato, simbolo dell'Evangelista, compariva così nelle sue bandiere, negli stemmi e nei sigilli, mentre gli stessi Dogi erano raffigurati nell'incoronazione inginocchiati, nell'atto di ricevere dal Santo il gonfalone.

Viva San Marco! fu il grido di battaglia della Repubblica di Venezia, utilizzato fino alla sua dissoluzione nel 1797, causata dalla campagna italiana di Napoleone, e nella rinata Repubblica retta da Daniele Manin e Niccolò Tommaseo. L'ultima volta che fu usata fu nella Battaglia di Lissa nel 1866, quando la flotta austriaca (dove erano presenti equipaggi di varie nazionalità, fra cui anche veneti, giuliani e dalmati) sconfisse la flotta italiana e al momento dell'annuncio della vittoria da parte dell'ammiraglio Von Tegetthoff i marinai e soldati risposero festanti. Il grido "San Marco!" viene oggi utilizzato dal personale militare del Reggimento lagunari "Serenissima" in ogni attività o cerimonia ufficiale, poiché gli odierni lagunari dell'esercito italiano hanno ereditato le tradizioni dei "Fanti da Mar" della Serenissima Repubblica di Venezia.



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