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mercoledì 8 luglio 2015

SONICO

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Sonico è un comune  della Val Camonica, il suo territorio comunale si estende dall'ultima parte della media Val Camonica superiore all'iniziale alta Val Camonica, che è caratterizzata dalla linea Insubrica.

Il nome ha origini abbastanza incerte tant'è che gli studiosi di toponomastica hanno espresso più tesi: la più accreditata è quella di una derivazione da "summus vicus" già presente in altre antiche denominazioni di vari paesi della Valle Camonica (Sommaprada, Sellero ecc ecc), potrebbe altresì derivare dell'aggettivo "Iustionicus", tratto a sua volta dal nome personale "Iustio". Da non scartare pure la tesi che fa derivare Sonico dal sostantivo medievale "Tzònec" che identificava in genere gli abitanti di una zona recintata o fortificata. Con analogo significato di "recinto" o zona cintata sono le antiche voci, iberica "düno" e germanica "dönk", che nella parlata comune possono essere facilmente passate poi a "Süno" o "sönoc".

La presenza in zona di antichissimi insediamenti umani o il passaggio di gruppi di uomini preistorici, forse cacciatori che si erano spinti in alta Valle Camonica o che erano scesi dalla non lontana Valtellina, seguendo la cacciagione in fuga, è attestata da alcuni utensili in selce ma specialmente da belle incisioni rupestri che sono state individuate sul (Còren de le fàte) Corno delle Fate, a circa 800 m. di quota.

La posizione elevata e panoramica del paese di Garda, da cui si domina un vasto tratto della valle sottostante, dovette essere il motivo principale perché nella zona venisse insediato, già in epoca pre-romana, un recinto fortificato, un castelliere o una torretta di avvistamento per il controllo visivo dell'alta Valle Camonica: dalla zona che inizia alla "strettoia" sopra Cedegolo, alla impervia valle di Paisco, fino ad oltre Edolo.
Anche i Romani, dopo la conquista della Valle Camonica, nel 16 a C., posero nella zona un punto di cambio cavalli, forse custodita e sorvegliata da una piccola guarnigione o impiantarono una stazione di posta. La loro presenza è chiaramente attestata anche dai resti di un ponte che, venuto alla luce durante l'alluvione del 1960, in località Dassa (dove sorge un altro ponte sull'Oglio, molto più recente, e un sovrappasso ferroviario che, nel 2010, è stato inagurato per evitare una strettoia, sulla SS42, che aveva creato per decenni un strozzatura alla viabilità di tutta l'alta Valle Camonica), è caratterizzato da un arco a sesto ribassato e da pietrame locale con conci fortemente e saldamente incuneati tra loro.
Una prima certa documentazione dell'esistenza di un centro abitato (vicus), dove oggigiorno sorge il borgo di Sonico, è posteriore alla dominazione Longobarda e successivo alla conquista Carolingia: nell'anno 842, Autchari, in accordo con il fratello germano Alcario, "Duchi dell'alta Valle Camonica", investirono il ricco monastero di San Ambrogio di numerosi beni, vaste proprietà e servizi sulle terre di Sonico: il documento diomostrava che i Longobardi, in circa 400 anni di dominazione, si erano radicati profondamente anche nell'alta Valle Camonica, ma con il sopraggiungere dei Franchi dovettero cedere le loro proprietà.
Forse anteriore all'anno mille è la costruzione di un edificio fortificato (forse una rocca o un castelaltico) a Rino: ne è testimonianza una bella torre che sorge in piazza Sant'Antonio. L'importanza del sito in epoca medioevale è attestata anche da un vasto caseggiato, annesso alla torre, che dovette essere edificato, forse su una costruzione precedente, nel 1200 e poi ampliato nel secolo successivo. Interessante è il portone principale a tutto sesto. Passato l'anno mille, le terre di tutta la zona, vennero inglobate nelle proprietà della Curia vescovile di Brescia (il vescovo di Brescia aveva anche il titolo di Duca della Valle Camonica) che nel 1198 concesse, a titolo livellario (e cioè solo per lo sfruttamento del soprassuolo) l'affitto di numerosi appezzamenti. Sono diversi gli atti ufficiali che riportano i testi di questi (contratti) giuramenti che furono frequenti (e forse necessari per ribadire, a diverse scadenze, la supremazia e il possesso della lontana Curia) nel 1200, 1233 e 1299 ma anche pere tutto il secolo successivo.
Importanti e antiche famiglie bresciane e della Valle Camonica, giurando fedeltà alla Curia, ebbero a Sonico vasti possedimenti e ricevettero molti diritti feudali che il Vescovo di Brescia concedeva per la riscossione delle imposte e la ricca raccolta delle decime che andavano poi all'antichissima pieve di Edolo. Di queste stirpi che in zona, dopo l'infeudamento vescovile, rivendicarono per un lungo periodo dei diritti e privilegi di proprietà e possesso vanno ricordati i Ronchi di Breno, i Federici di Erbanno (uno dei tanti rami in cui si divideva questa famiglia che ricevette benefici anche da Federico Barbarossa, da cui sembra abbiamo preso il nome), i Magnoni di Malonno, i Personi di Ossimo, i Dalla Torre di Cemmo che nella zona rivendicarono privilegi fino oltre il 1300.
Fu solo verso la fine del 1200 che Sonico venne staccato dalla grande Pieve di Edolo e ottenne il fonte battesimale ed ebbe la possibilità di far svolgere nella chiesa del paese i propri servizi religiosi. Questa indipendenza religiosa (che era anche indipendenza economica, dato che le decime non venivano più inviate a Edolo, ma investite nella parrocchia locale) dovette essere riaffermata ufficialmente anche nel 1459 quando, in zona, fece sosta il delegato, inviato in alta Valle Camonica, del Vescovo di Brescia, monsignor Benvenuto Vanzio che con atto ufficiale documentò, finalmente, la definitiva avvenuta separazione.
Fu nel 1500 che a Sonico venne eretta la parrocchiale di San Lorenzo che fu edificata dove prima esisteva una semplice diaconia che oltre a luogo di culto era anche posto di rifugio e riparo (ospizio) per pellegrini e poveri. Gli ospizi erano una presenza frequente in tutto l'arco alpino e sorgevano lungo le strade percorse dai pellegrini, dai viandanti ma anche dai mercanti. E' documentato che proprio a Sonico era già presente, nella stessa epoca, anche un altro (e forse più importante e antico) ospizio che però sorgeva sul dosso posto ad ovest dell'abitato di Sonico, dove poi fu edificata la chiesa di San Andrea. Era antichissima consuetudine, per i parrocchiani di questo tempio, stendere delle lenzuola bianche sul sagrato, prima dell'inizio delle funzioni religiose o di riti propiziatori (molti dei quali di chiara origine pagana e che risalivano all'epoca pre-romana dei riti naturali dei Camuni), perché visibili da molto lontano e fungessero da richiamo ai fedeli, dato che le campane non erano ancora presenti sui campanili di molte chiese.
Sul bel santuario della Madonna della Pradella esiste una "bota" (una storia locale, trasmessa oralmente: metà verità storica ma metà anche leggenda) che si è tramandata fino ai nostri giorni e che racconta come sul campanile venisse issata la più antica campana della Valle Camonica e forse di tutte le terre bresciane: la data fusa su questa campana è quella del 1421: dunque testimone attendibile della propria veneranda età. Si racconta anche che il nobile Omobono dei Federici di Sonico, durante la fusione della campana, che avveniva sul sagrato e nei pressi del campanile, abbia gettato, nel crogiolo ardente, con un gesto teatrale, le proprie argenterie perché la campana stessa, fusa con questa lega così impreziosita, potesse avere "un timbro più squillante nel cielo delle montagne".
Solo nel 1630 la parrocchiale di Rino ottenne la separazione da quella di Sonico che fino ad allora era ritenuta la chiesa madre e in cui si svolgevano tutte le funzioni religiose (che in quel periodo avevano anche un profondo significato politico e amministrativo). Come in altri numerosi paesi della Valle Camonica, anche per Sonico, dall'epoca romana, durante tutto il medio evo e poi sotto la lunga dominazione della Serenissima Repubblica Veneta, una grossa fonte di reddito e ricchezza fu l'estrazione e la lavorazione di materiali ferrosi. Numerose erano le fucine e i forni fusori tra cui uno di proprietà della potente famiglia bresciana dei Martinengo che aveva vasti possedimenti in tutta l'alta valle.
Una certa notorietà, non solo locale, ebbero numerosi artigiani Sonicesi che, insieme a quelli di Santicolo di Corteno, gestivano una rinomata scuola di arte muraria da cui partivano numerosi lavoratori che si recavano anche in stati esteri e molto lontani a costruire palazzi e magioni signorili ma specialmente edifici religiosi.
Anche Sonico e le sue terre furono colpiti a più riprese da carestie e pestilenze. La più tragica e devastante fu la grande peste del 1630 (di Manzoniana memoria) che ridusse, in brevissimo tempo, quasi della metà la popolazione residente.
Nella millenaria storia della Valle Camonica grandi sventure naturali colpirono periodicamente queste terre: erano le inondazioni che l'Oglio o i numerosi e violenti torrenti, non regimentati per secoli, procuravano ai borghi che attraversavano o lambivano. Ma specialmente erano i furiosi incendi che, avendo facile esca nelle abitazioni costruite prevalentemente in legno, devastavano case e opifici: anche a Sonico alcuni di questi disastri fecero grandi danni e molte vittime.
Come in quasi tutti i paesi della Valle Camonica, anche Sonico, a causa delle difficili condizioni di vita, ha conosciuto la piaga endemica dell'emigrazione, che raggiunse notevoli flussi negli anni 1904/1905: furono 177 i Sonicesi, su una popolazione di 1441 residenti ad andarsene anche in terre lontane a crecare fortuna, mentre ancora negli anni dal 1946 al 1960, su 1840 residenti, furono in 323 a emigrare. Sonico negli ultimi anni, forse per la sua vicinanza a Edolo, ha ripercorso le tappe del più popoloso vicino e sfruttando la sua vocazione turistica (specie nelle piccole frazioni montane), si è affacciato a questo settore.

Nel territorio di Sonico vi sono molte testimonianze di antichissimi insediamenti umani o il passaggio di gruppi di uomini preistorici, forse cacciatori che si erano spinti in alta Valle Camonica o che erano scesi dalla non lontana Valtellina, seguendo la cacciagione in fuga, è attestata da alcuni utensili in selce ma specialmente da belle incisioni rupestri che sono state individuate sul (Còren de le fàte) Corno delle Fate, a circa 800 m. di quota. Questo sito è uno sperone roccioso posto in stupenda posizione panoramica, su cui gli antichi sacerdoti del popolo dei Camuni (del ceppo Ligure e poi Celtico) sicuramente, come in altri siti elevati e perciò più vicini algi dei, celebravano i loro ancestrali culti pagani. Le varie incisioni rupestri trovate sul Corno rappresentano infatti dei simboli solari, delle figure di idoli, degli ominidi ma anche animali, armi e palette. Altre incisioni sono state rinvenute su alcune rocce levigate poste nei pressi del dosso “Fobbio”, ai cui piedi doveva transitare l’antichissimo sentiero che collegava i primi insediamenti abitativi della zona: i borghi di Garda e di Rino. Anche i Romani, dopo la conquista della Valle Camonica, nel 16 a C., posero nella zona un punto di cambio cavalli, forse custodita e sorvegliata da una piccola guarnigione o impiantarono una stazione di posta. La loro presenza è chiaramente attestata anche dai resti di un ponte che, venuto alla luce durante l’alluvione del 1960, in località Dassa, è caratterizzato da un arco a sesto ribassato e da pietrame locale con conci fortemente e saldamente incuneati tra loro.

La Chiesa di San Lorenzo si trova nella frazione di Garda. L’edificio si affaccia da un terrapieno ricavato nella roccia ai margini di Garda, in posizione dominante la valle. La chiesa è orientata ad est e presenta una poderosa torre campanaria. Si presenta divisa in due navate, con un ampio presbiterio rettangolare. Tracce della struttura romanica sono visibili nella parte inferiore della facciata e nel fianco meridionale. Una incisione alla destra del porale sembrerebbe datarla al 1159. A metà del XII secolo doveva essere una struttura ad aula singola, quasi certamente conclusa da un’abside semicircolare. Nel seicento subisce una profonda ristrutturazione con l’aggiunta della seconda navata, e del campanile, forse in sostituzione della torre precedente. Nel corso del novecento l’altare marmoreo viene trasferito in Santa Maria Nascente, la chiesa che ne prende anche il posto di parrocchiale, pur dipendendo comunque dalla Pieve di Edolo. Adiacente alla chiesetta sorgeva in origine un convento utilizzato dalle suore per i ritiri spirituali, ora, ristrutturato e riadattato, ospita un albergo-ristorante.
La rupe sulla quale sorge la chiesa di S. Lorenzo deve essere stata, fin da tempi remoti, un osservatorio che teneva sotto controllo le primitive vie d’accesso a Edolo: infatti, Garda significa in antico germanico recinto militare di osservazione. La tradizione militare parla di un castello che sorgeva sul luogo dove poi fu fondata la chiesa: innegabilmente i muraglioni dell’antica canonica fanno pensare ad un fortilizio.

La chiesa di S. antonio di Rino fu ricostruita agli inizi del '700 sulle vestigia di una chiesa precedente. La facciata, a tre ordini, ha il portale in marmo occhialino e il campanle, del '600, in granito con bifore. L'interno, di stile barocco, è stato interramente affrescato da Giacomo Antonio Cerruti, detto il Pitocchetto e contiene un affresco del '700 del Corbellini.

La chiesa parrocchiale di S. Maria, del XVIII secolo, conserva decorazioni interne in stucco, una bella soasa dell'altar maggiore e un settecentesco pulpito in noce.

La Chiesa di Sant'Andrea, edificata nella prima metà del XII secolo, è stata a lungo la Parrocchiale di Sonico, benché sorga fuori dal paese, su una piccola altura lungo l’argine destro del fiume Oglio. Dell’originaria struttura romanica restano i muri dell’unica navata più volte restaurati durante i secoli, mentre l’abside primitiva è stata sostituita da un presbiterio rettangolare. La porta principale non è sulla facciata, ma su una parete laterale. La dedica a Sant’Andrea e la particolare posizione fanno pensare all’esistenza di un ricovero per i viandanti. Nel 1500 la Parrocchia viene trasferita nella nuova chiesa di San Lorenzo, e Sant’Andrea viene custodita e curata da un eremita, dopo anni di abbandono, le recenti opere di recupero sono volte a restituire alla costruzione l’antica dignità.

Il Santuario della Madonna della Pradella fu eretto nel 1400, ma numerosi sono stati gli interventi nel corso dei secoli successivi: anche attualmente luogo di pellegrinaggio, come lo fu per secoli. Sulla parete di fondo del tempio è visibile una statua della "Madonna con Bambino". Della campana posta sul campanile, recante la data 1421 (la più antica di tutta la provincia di Brescia) si è già scritto nella storia.
Nella bella frazione di Rino possiamo ancora notare la struttura muraria di una Torre medievale, in piazza Sant'Antonio. Questo antichissimo manufatto, di chiara origine militare, risalirebbe a prima dell'anno Mille.

Garda di Sonico sorge sulle pendici nordoccidentali del Piz di Olda, solcate dal torrente Zazza. Si raggiunge seguendo la strada che si avvia dal ponte sul Remulo a Rino di Sonico, in mezzo a castagneti fruttiferi secolari. Un tempo i campi sul pendio che digrada verso l'Oglio erano coltivati a frumento, orzo e segale, mentre sui dossi a monte del paese si estendono i vasti e antichi pascoli di Garda e di Olda, raggiunti da una mulattiera e contornati da rigogliosi boschi di conifere. Nella contrada di S. Lorenzo vi sono la chiesa di S. Lorenzo e il cimitero, mentre la chiesa parrocchiale della Natività di Maria Santissima sorge nel centro storico, più in alto. La sua antichità è ricordata in una lapide dei tempi dell'impero qui reperita e pubblicata dallo storico bresciano Federico Odorici.
L'antico centro industriale del comune di Sonico sorge sopra un dosso tra la Val Rabbia e il torrente Remulo, che sbocca dalla Val Malga descrivendo un'ampia curva prima di scendere nella piaa di Greano. Ancora nel 1820 la Val Rabbia si gettava nel Remulo e cinquant'anni dopo puntava, come ora, diritta nell'Oglio, scorrendo sopra un vasto cono di deiezione formato da enormi massi. L'ambiente circostante è caratterizzato da folti castagneti secolari. Il paesino è collegato con Sonico dalla strada suaccennata e direttamente con la Statale 42 da una stradina che si avvia sulla sponda sinistra dell'Oglio al Ponte di Dazza. Attualmente le case sono costruite su entrambe le sponde del Remulo.



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sabato 4 luglio 2015

BORNO

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Borno è un comune della Val Camonica situato sul cosiddetto Altopiano del Sole, ovverosia la valle percorsa dal torrente Trobiolo, tributaria della media Valle Camonica e dominata dalle vette più orientali delle Prealpi Orobiche. Il comune comprende però, a occidente, anche un tratto del settore bresciano della Val di Scalve.

Recenti studi di etimologia hanno riscontrato che ci sono parecchi nomi di luoghi somiglianti in zone molto diverse e distanti tra loro: ciò indica che gli antichi abitanti parlavano una lingua comune o con caratteristiche alquanto simili. Si è notato che il suono o la radice comuni “br” nelle lingue indeuropee indicava acqua, torrente, fiume, stagno, ecc. e che si trova attualmente in numerose lingue moderne, come ad esempio nell’inglese brook (torrente); in tedesco, con lo stesso significato, vi sono Brunnen, Bronn e Born (fonte, sorgente); in inglese c’è poi burn (sorgente), in ceco, bulgaro e sloveno brod (guado) e in serbo-croato bara (palude).

C’è pure un’altra antica radice, molto simile - “br” o le sue varianti “brn”, “brd”e “brg” - che invece indicano un’altura, un monte, un luogo abitato fortificato, un passo, una selva, ecc.; radice che possiamo ritrovare nelle lingue moderne: il gaelico bar (monte), l’inglese barrow (tumulo), il tedesco Berg (monte), il ceco brdo (collina), il danese borg (castello), di nuovo l’inglese boroug (città) e il polacco bor (bosco); anche i toponimi di Brescia e del Brennero hanno in sé questa radice antica.

Si può allora ipotizzare che gli antichi camuni indicassero questa zona come un luogo abitato in altura o un altopiano separato dalla circostante Valle Camonica. Queste radici le possiamo riconoscere tuttora in alcuni paesi vicini come Berzo, Breno, Braone, Bienno e Prestine ed indicano che i primitivi abitatori volevano identificare varie zone abitate più elevate rispetto al territorio sottostante.

Secondo lo studioso Gnaga in cenomane, lingua parlata da una popolazione celtica stanziatasi nel V secolo a.C. tra i fiumi Oglio e Adige e il lago di Garda, la parola bùrnich significa luogo abitato e ad essa si può far risalire il toponimo Bùren. In numerose zone dell'altopiano sono stati scoperti alcuni massi istoriati dagli antichi camuni, con inciso il disco solare; i celti chiamavano il dio sole Bormo: il luogo potrebbe aver tratto il nome dalla divinità che si venerava in questi luoghi, ma questa ipotesi è abbastanza difficile da verificare.

Con l’avvento della dominazione romana il nome antico potrebbe essersi cristallizzato nel tempo, con deboli variazioni fonetiche, perdendo però il suo contenuto semantico, cioè il significato originario primitivo; oppure, a detta di alcuni storici, i romani avrebbero imposto alla popolazione locale nuovi toponimi, causandone una modifica radicale. Analogamente il nome di Borno potrebbe derivare dal latino eburneus (bianco, candido), da intendersi come luogo splendido ed incantevole, oppure da boreus (settentrionale), in quanto luogo posto a nord rispetto alla Civitas Cammunorum, centro principale dell’occupazione romana; alcuni ne riconducono l’origine ad un nome gentilizio latino, come Burno o Burnus. Fino ad ora, comunque, non sono stati trovati reperti od epigrafi che possano suffragare l’ipotesi latina del nome.

Con le invasioni barbariche molti popoli si insediano nelle valli e, quindi, molte lingue si sovrappongono e si mescolano tra loro: proprio al lungo periodo medievale sono riconducibili varie congetture che indicano un’ipotesi, credibile o fantasiosa, per il nome del paese. Lo studioso Odorici lo fa risalire alla voce del latino medievale burnus, inteso come luogo abitato sull’orlo della valle; dalle parole del latino classico burgens e burgensis (abitante del borgo) pare siano derivate nel Medioevo le parole bùren e bùrengus, che indicherebbero l’abitante del borgo.

In un antico germanico la parola Burn indicava il ferro; già dal periodo pre-romano Borno era situato sulla via di comunicazione con la Valle di Scalve, dove c’erano numerose miniere di questo minerale, che veniva poi trasportato nei vicini forni fusori di Lozio, Malegno e Bienno: il luogo, costituendo un’importante area di scambio, potrebbe avere tratto il nome dal metallo. L’Olivieri lo fa addirittura provenire dalla voce provenzale e piemontese burna (buco).

Un’altra parola tardo-latina è burna, indicante termine o pietra di confine, il che fa ipotizzare che Borno fosse un’importante zona di confine tra vallate. In italiano antico esiste la parola bornio, che significa pietra, roccia sporgente o balza rocciosa, parola usata anche da Dante Alighieri nella sua Divina Commedia. Questo termine deriva dal francese borne (cippo, termine, limite, confine), a sua volta probabilmente derivato dal celtico botina, che voleva dire pietra di confine; pure in inglese troviamo la parola bourne (frontiera) e a Bormio, nella vicina Valtellina, la parola born si riferisce ancora oggi ad una rupe o balza rocciosa. In questo caso il termine indicherebbe un abitato costruito sulle rocce, oppure vicino o confinante con i dirupi, come possiamo notare risalendo dal fondovalle lungo la strada vecchia che da Cogno conduce all’Annunciata.

Si giunge infine al primo documento scritto, datato 1018, che attesta in modo definitivo il nome del luogo: si presume, perciò, che il toponimo fosse già in uso da alcuni secoli. Si legge infatti nel documento, redatto in latino, che dirime una lite tra feudatari e liberi uomini di Borno, questa frase: in villa quae dicitur Burnum. Il nome che in seguito è stato italianizzato in Borno, così come lo conosciamo adesso.

Le più antiche testimonianze delle presenza dell’uomo a Borno, partono dal Paleolitico Finale, un lasso di tempo compreso tra i 15.000 e 10.000 anni fà, dopo lo scioglimento dei ghiacciai pleistocenici che avevano ricoperto la Valle impedendone l’accesso.
Il territorio di Borno è importante per il periodo del IV e del III millenio a.C., l’età del Rame, a testimonianza del quale troviamo stele e massi con incisioni. Tra questi vi è anche il masso noto come “Masso di Borno” il primo ad essere rinvenuto dagli studiosi nel 1953 nella zona dell’altopiano. Detta roccia si può ammirare oggi nel Museo Archeologico di Milano.
A Borno, oltre hai resti di queste necropoli, vi sono dei resti di strutture murarie di un possibile insediamento. Nel periodo longobardo, sotto il regno di Liutprando, all’incirca verso il 735, dovrebbe collocarsi l’inizio dell’astio tra i Bornesi e gli Scalvini per il possesso del monte Negrino, una plurisecolare contesa con omicidi e incendi dolosi d’ambo le parti, terminata nel 1682.
A seguito dell’arrivo dei Franchi in Italia nel 764, la Valcamonica venne donata in feudo, da Carlo Magno, al Monastero benedettino di San Martino di Marmoutier. Proprio negli anni che seguirono la donazione carolingia fu costruita in Borno la Cappella Santi Martini. Dall’anno 893 al 953, a seguito delle invasioni degli Ungari e dei Saraceni, i Camuni edificarono numerosi fortilizi, rocche e torrioni per rifugiarvisi durante le scorrerie. A questi si fanno risalire le presunte 12 antiche torri medioevali di Borno molte delle quali riedificate su fortificazioni preesistenti (attualmente sono state individuate soltanto sette torri).
Nel Medio Evo la comunità bornese fu al centro delle maggiori lotte coni comuni limitrofi. Nel 1156 avvenne una rissa tra due schiere di Bornesi e Loziesi, nei pressi di Malegno, durante una comune processione di catecumeni alla Pieve di Cividate, in seguito alla quale nel 1186 i Bornesi ottennero il sacro fonte battesimale divenendo chiesa autonoma. Nell’anno 1166 un fatto d’armi, che portò all’uccisione di 11 uomini, avvenne in zona di Confine tra Borno ed Esine, scaturito per il possesso di una palafitta sull’Oglio, installata dai Bornesi per la pesca. Nel 1386 le famiglie dei Fostinoni, Lanzoni e Gerboni, del partito guelfo, si ribellarono al vescovo di Brescia per ragioni fiscali e vennero ammonite assieme ai reggenti del comune. Feudatari di Borno furono i Federici, Camozzi, Gandellini, Fostinoni, Montanari, Gerboni, lanzoni, lazzaroni, Curti, Gheza, Magnoli, lupi, Negri, Guarnieri, Pernici, Dabeni. Sebbene le famiglie guelfe risultino più numerose di quelle della fazione avversa, la Comunità di Borno resterà sempre ghibellina, sia per il predominio della famiglia Federici in Valle, sia per la controversia con gli Scalvini di parte guelfa.
Nel primo periodo della dominazione veneta Borno divenne il primo comune della Valcamonica per numero di abitanti con circa 1500 anime e 330 fuochi, possedeva 812 bestie grosse e 1652 bestie minute, possedeva 6 fucine a maglio 19 mulini, 2 folli e 2 raseghe. Forniva legname da opera e manufatti in ferro a Venezia ed armava l’esercito della Serenissima con decine di Cernide (militi ausiliari locali). La parrocchia, sia pure in tempi diversi, disponeva di tre romitori con altrettanti romiti: la Chiesa di S. Cosma, la chiesa campestre di S. Fiorino e I’eremo montano di S. Fermo. Per interessamento del frate Amedeo Mendez da Silva negli anni 1467-69 sorse, poco distante dalla località Rocca, il convento che ospitò dapprima i frati del Terz’Ordine della Penitenza, poi gli Amadeiti, i Minori Osservanti, i Minori Riformati e infine i Frati Minori Cappuccini, che nel ‘900 tennero il noviziato, le scuole elementari, il servizio mensa per i poveri e prestarono servizio ai Sanatori di Croce di Salven.
Nel 1580 cessò la contesa tra Borno ed Erbanno per il possesso di boschi e pascoli in località Calvarina e nello stesso anno la comunità ricevette la visita pastorale del cardinal Borromeo. Nell’anno 1630 la peste bubbonica mietè 38 vittime, l’ospedale degli appestati venne edificato in località lazzaretti, ai margini dell’abetina sottostante l’attuale località Corna Rossa. Il 3 agosto del 1688 un vastissimo incendio distrusse oltre 200 case su 300, tutto il grano, mietendo 8 vittime. Durante la cosiddetta guerra di Gradisca, tra Venezia e Austria, i Bornesi, in soccorso della Repubblica marinara, armarono ben 270 Cernide capitanate da Stefano Magnolo. Con l’avvento napoleonico e della Repubblica Cisalpina Borno, appartenente al dipartimento del Serio, divenne sede di Municipalità e di Giudicatura di pace. Sorse la Congregazione di Carità e fu edificato il cimitero per la sepoltura collettiva dei morti.
Durante il periodo austriaco si abbatterono sulla comunità numerose carestie, pestilenze e calamità naturali. Tra 1905 e il 1907 la prima società elettrica valligiana diffuse l’elettrificazione in Borno e nel vicino Ossimo. Sorsero in questo periodo le ville signorili e prese consistenza il turismo estivo d’elite. Nelle guerre italo-abissina, di Libia e d’ Africa Orientale, caddero 7 soldati bornesi. Durante la grande guerra perirono 33 soldati. Durante il periodo fascista, nel 1923, venne costruita la strada provinciale Malegno-Ossimo-Borno che sostituirà il vecchio percorso delle viti. Nel 1928 iniziarono i lavori per la costruzione dei Sanatori antitubercolari in località Croce di Salven. Negli anni 1930-31 venne realizzato dalla Società Olcese, in località Prati di lova, un bacino artificiale con relativo canale di derivazione e condotta forzata che scende dalla centrale della Rocca. Il secondo conflitto mondiale richiese altro tributo di sangue bornese: caddero 20 soldati e 1 8 risultarono dispersi in Russia, Grecia e Dalmazia.
Durante la Resistenza un gruppo di ufficiali tedeschi rocciatori fu fatto oggetto d’imboscata, in località Sedulzo, da parte di una brigata delle Fiamme Verdi della Valle di Scalve. Nello scontro perirono 14 tedeschi e 2 partigiani. Il paese dovette sopportare una cruenta rappresaglia. Furono bruciate numerose cascine sul versante di Lova, rastrellato il bestiame dei contadini e deportati un centinaio di giovani nel campo di concentramento di Villafranca. A partire dagli anni ‘60 l’economia bornese si trasforma da agrosilvo- pastorale in economia turistica. Nel 1962 si stacca da Borno la frazione di Piamborno che unitamente a Cogno di Borno e Cogno di Ossimo costituisce la nuova municipalità di Piancogno. Negli anni ‘70 Borno diviene stazione turistica invernale, viene realizzata la funivia-bidonvia Ogne-Monte Altissimo. Dalle circa 900 abitazioni degli anni ‘60 si passa alle 2900 censite nel 1991; nel periodo estivo la popolazione varia dai 2.700 residenti a circa 20.000 persone. Da ricordare, nel luglio 1998, la storica visita a Borno del Papa Giovanni Paolo II.



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venerdì 3 luglio 2015

BERZO INFERIORE



Berzo Inferiore è un comune della Val Camonica.

La zona di Berzo Inferiore era frequentata e abitata dagli antichi Camuni fin dalla preistoria, che vi transitavano, risalendo la Val Grigna, per raggiungere i passi montani che collegavano le valli contigue (Passo Maniva, Passo Corcedomini). Era probabilmente la propaggine più a nord del lago d’Iseo o il confine di una vasta palude che giungeva anche alle pendici dei colli a nord dell’abitato di Berzo. I Romani, dopo aver conquistato la Val Camonica, fecero passare per Berzo un ramo della via Valeriana; un’epigrafe romana attesta come a Berzo venissero onorate le “Fonti Divine”. Le terre del Comune di Berzo prospicienti l’Oglio, confinanti con il Comune di Esine, sotto il dominio longobardo appartennero al “Gasindo”, un vassallo di rango inferiore del re Desiderio, che nel 774 lasciò per testamento la volontà di vendere la corte di “Bergis” (Berzo): questo è il primo atto in cui viene nominata la zona. Un documento attesta la cessione, avvenuta nel 960, di proprietà berzesi dal Vescovo di Cremona al Conte di Lecco. Nel Medio Evo anche a Berzo sorgeva un castello, di cui ora non si hanno più tracce: è menzionato soltanto fra le tante proprietà della potente famiglia dei Conti Lambertini. La diaconia di Berzo fu la prima, in ordine alfabetico, a essere nominata tra quelle dell’antica pieve di Cividate, che aveva competenza amministrativa religiosa sulla media Val Camonica. Intorno al Mille, probabilmente sulle rovine di un tempietto precedente, fu costruita la piccola chiesa di San Lorenzo, che, nel 1415, fu poi ricostruita totalmente e divenne per secoli l’antica parrocchiale. Il “Catastico” del Lezze (1610) ricorda la buona produzione di biade e vini e soprattutto la rifinitura, in dieci fucine, dei prelavorati per armature provenienti da Bienno. Nel periodo fascista, quando più paesi di piccole dimensioni venivano riuniti in uniche amministrazioni, Berzo fu aggregato a Bienno. Riacquistò l’indipendenza amministrativa nel 1947.

La chiesa parrocchiale di Berzo Inferiore, dedicata alla Natività di Maria, è conosciuta anche come santuario della Madonna Pellegrina. Realizzata nel ‘600 deve la devozione a un’apparizione mariana. La leggenda narra che nel 1609 presero avvio i lavori per la costruzione di una nuova chiesa parrocchiale, che però progredivano a rilento. Così il 24 settembre del 1616 la Madonna apparve a una ragazza berzese (Marta Damioli Polentini) dicendole che se i lavori fossero proseguiti alacremente, l’intero paese sarebbe stato risparmiato da un’alluvione che incombeva sulla valle del fiume Grigna. La ragazza corse a riferire agli abitanti quello che la Madonna le aveva detto e i lavori per l’erigenda parrocchia si risolsero in poco tempo. La Madonna mantenne il voto fatto e l’abitato di Berzo fu salvo. L’apparizione venne rappresentata sulla parete sinistra (per chi guarda il portale) esterna della chiesa e una lapide ricorda l’evento. All’interno della chiesa è possibile vedere la pala della “Natività della Vergine” del Fiamminghino opera del 1633 e diversi affreschi dell’artista Scalvini e Paglia. In un altare laterale sono conservate e ben visibili le spoglie del beato Innocenzo da Berzo (per i camuni ma soprattutto per i berzesi affettuosamente chiamato ‘l fratasì).

La chiesa di San Lorenzo secondo la tradizione fu edificata da Carlo Magno nell'ambito del Castello di Berzo, ed è costruita nel luogo di una struttura fortificata, di cui rimangono tratti di muratura lungo il sentiero ed integrati ai successivi edifici.
Citata in alcuni documenti del XIV secolo, essa subì una ristrutturazione nei primi decenni del XV così da apparire, al delegato del vescovo che la visitò del 1459, di recente ricostruita e riparata. Nel XVII secolo fu aggiunta sul lato nord la cappella del battistero e nel secolo scorso fu eliminata la loggia dei Disciplini.
Svolse funzioni di parrocchiale fino al 1648 quando, ritenuta oramai scomoda, fu sostituita in tale ruolo dalla nuova chiesa di Santa Maria, collocata in paese.
Accanto alla chiesa sorgono due piccoli edifici: il Lazzaretto, o oratorio dei Disciplini, e la cappella di San Carlo Borromeo.
Nell'aspetto attuale la chiesa di San Lorenzo conserva in massima parte i caratteri quattrocenteschi.
Ha un'unica navata con copertura lignea sostenuta da archi acuti, ed il presbiterio formato da due ambienti comunicanti: l'anteriore con volta a botte acuta e il successivo con volta a crociera.
Al presbiterio si accostano da un lato la sacrestia, dall'altro il campanile. Sulla controfacciata si appoggiava una loggia, ora demolita, raggiungibile attraverso la scala in muratura esterna, sotto cui è ricavata la tomba che secondo la tradizione popolare appartiene a san Glisente.
A sinistra, in aggetto rispetto alla prima campata, vi è la "cappella del battistero", aggiunta all'inizio del XVII secolo; a destra, appoggiata alla parete della seconda campata, la cappella della famiglia Federici.
La facciata è a capanna, resa asimmetrica dalla presenza della cappella del battistero; vi si apre un portale in pietra simona, con lunetta contenente un affresco. Sull'architrave sono incisi una scritta dedicatoria, il monogramma di san Bernardino e la data del 1486.
Sul prospetto principale, in alto a destra, si intravedono le tracce delle aureole e di un cartiglio, appartenuti ad un enorme figura di San Cristoforo, oggi quasi scomparso. San Cristoforo, protettore dei viandanti e dei Disciplini, era dipinto in grandi dimensioni sull'esterno delle chiese, poiché si riteneva che la sua immagine, vista anche da lontano, preservasse per quel giorno dalla morte improvvisa.
La chiesa presenta un ricco repertorio di affreschi attribuiti ad autori diversi (tra cui Girardo da Cemmo) che vi lavorarono nel corso del XV secolo. A Giovan Pietro da Cemmo spetta la decorazione della cappella Federici, datata al 1504 e dedicata ai santi Fabiano, Sebastiano e Rocco dopo una epidemia di peste. Vi sono raffigurati, oltre ai tre santi, alcuni episodi della vita dei santi Sebastiano e di Rocco.
La volta del presbiterio è decorata con storie del santo titolare (san Lorenzo), mentre sulla parete di fondo si trova una Crocifissione dove compaiono anche i santi Lorenzo e Glisente. Nella parete laterale del presbiterio si trovano gli affreschi con la storia di san Glisente, secondo la leggenda un valoroso cavaliere al seguito di Carlo Magno che si sarebbe ritirato a vita eremitica sui monti di Berzo Inferiore; egli è inoltre ripetutamente raffigurato nella tradizionale iconografia del santo cavaliere.
Gli affreschi di San Lorenzo presentano particolare interesse per la presenza, oltre alle consuete raffigurazioni di Gesù, della Madonna e dei Santi, di molteplici riferimenti alla ritualità dei Disciplini ed alla devozione per san Glisente.
L'oratorio dei Disciplini, chiamato "Lazzaretto" poiché utilizzato come ospedale durante le epidemie, fu originariamente oratorio dei Disciplini.
Contiene infatti la sala dove i confratelli si riunivano, decorata, sulla parete di fondo, da un semplice affresco con una Flagellazione, cui assistono alcuni Disciplini inginocchiati.
L'oratorio fu ricavato, probabilmente nel XV secolo, riutilizzando il perimetro murario di una persistente struttura medioevale. Vi si aggiunse, verso il fianco della chiesa, il piccolo portico dove ancora si leggono le tracce di antichi affreschi. A questo ciclo appartiene anche l'affresco della Deposizione oggi distaccato e restaurato ed esposto nella cappella del battistero entro la chiesa.
La Cappella di San Carlo, costruita nel XVII secolo, si apre sui due lati contigui con archi poggianti su colonna con capitello. La parete di fondo, a cui si addossa un rozzo altare, reca tracce di affresco.

La chiesa di San Glisente è adagiata ad alta quota (quasi 2.000 m s.l.m.).
La prima attestazione della chiesa risale al 1222, in un documento conservato nella parrocchia di Esine. L'attuale aspetto si deve ad una ricostruzione del XV secolo.
San Carlo Borromeo visitò l'edificio durante la sua visita pastorale in valle Camonica nel 1580.
Presenta in facciata un rustico e asimmetrico profilo a capanna. Al di sotto della struttura è presente una cripta di stile romanico di notevole interesse; vi si accede da un lungo e stretto cunicolo. La leggenda vuole che in questo luogo vivesse san Glisente.

La casa-museo dove visse il frate cappuccino Fra’ Innocenzo, detto “Il Fratino” (dichiarato Beato da Papa Giovanni XXIII nel 1961), è di proprietà della Parrocchia di Berzo Inferiore. L’edificio, ristrutturato, è costituito da due piani: al pianterreno ci sono tre vani, che non sono più stati modificati dalla morte di Innocenzo, con alcuni strumenti di cucina della madre, abiti per le celebrazioni e altri oggetti appartenuti al fratino, come il piccolo altare francescano. Al primo piano si trovano tutti gli ex voto posti a riconoscenza, “per grazia ricevuta”; in particolare troviamo una piccola bacheca contenente un pezzo di corda che testimonia un “fatto miracoloso” avvenuto negli anni '20 in Adamello. Al secondo piano troviamo una sala con soffitto e balconi in legno, arredata con mobili d’epoca.

La Chiesa di Zuvolo, dedicata agli Alpini, si trova in località Zuvolo (1420m) sul monte di San Glisente.


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IL PARCO ARCHEOLOGICO DI CAPO DI PONTE

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Il Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri di Naquane, a Capo di Ponte, è stato il primo parco istituito in Valle Camonica nel 1955. L’area si estende per oltre 14 ettari e costituisce uno dei più importanti complessi di rocce incise nell’ambito del sito del Patrimonio Mondiale UNESCO n. 94 “Arte Rupestre della Valle Camonica”. Al suo interno, in uno splendido ambiente boschivo, è possibile ammirare ben 104 rocce incise, corredate da pannelli informativi e suddivise in 5 percorsi di visita.

Su queste ampie superfici di arenaria di colore grigio-violaceo, levigate dall’azione dei ghiacciai, gli antichi abitanti della Valle realizzarono immagini picchiettando con un percussore litico o, più raramente, incidendo con uno strumento a punta. La cronologia delle istoriazioni del Parco si colloca tra il Neolitico (V-IV millennio a.C.) e l’età del Ferro (I millennio a.C.), anche se non mancano incisioni di età storica. L’epoca meglio rappresentata è sicuramente l’età del Ferro, quando la Valle era abitata dai Camunni delle fonti romane.

Il toponimo Contrada Aquane compare su una mappa catastale ottocentesca della proprietà Agostani, che corrisponde all’area centrale del parco. Con il termine Aquane, Aguane o Enguane sono chiamate le fate, figure fantastiche metà donna e metà animale spesso connesse all’acqua come ninfe abitatrici di sorgenti e fiumi, che popolano le leggende della tradizione alpina.

Dalle più antiche raffigurazioni schematiche del Neolitico, raramente raggruppate in scene, si passa alle composizioni simboliche più articolate dell’età del Rame e del Bronzo, fino alle scene narrative dell’età del Ferro, caratterizzate da uno stile dinamico e descrittivo.

Le incisioni dell’età del Ferro sono attribuite alla popolazione dei Camunni. Il loro nome compare sul trofeo di La Turbie, nei pressi di Montecarlo, fatto erigere da Augusto al termine della conquista delle popolazioni alpine alla fine del primo secolo avanti Cristo. La maggior parte delle scene di questo periodo ha come protagonista il guerriero, impegnato in scene di duello, di caccia al cervo e di equitazione, che sono state interpretate come prove o riti di iniziazione sostenuti dai giovani dell’aristocrazia camuna per diventare adulti.

Con l’arrivo dei Romani si può considerare concluso il ciclo artistico camuno “classico” ma  non termina in valle l’uso di incidere le rocce: le raffigurazioni di questa epoca non sono state ancora sufficientemente studiate, salvo per le attestazioni epigrafiche.

Sporadiche raffigurazioni attestano la prosecuzione delle incisioni fino all’età medievale (periodo post-camuno).

Alcune rocce sono di notevoli dimensioni, come la Roccia 1, che colpisce il visitatore per la straordinaria ricchezza e varietà delle figure incise, circa un migliaio. Sono presenti molte figure di animali, uomini armati, telai verticali a pesi, palette, edifici, coppelle e un labirinto.

Molte rocce sono dominate da figure umane realizzate in modo schematico, nella posizione detta dell’orante: hanno braccia rivolte verso l’alto, gambe contrapposte e corpo lineare, con alcune varianti. Gli studi mostrano la lunga durata di questo tipo di figura che ha inizio nel Neolitico e perdura fino agli inizi età del Ferro. Sulle rocce del Parco possono essere presenti guerrieri, cavalieri, animali, edifici, figure simboliche ed iscrizioni camune, a volte interpretati come elementi di scene di significato complesso, ma è necessaria molta prudenza. Molto spesso le superfici rocciose erano ripetutamente incise, sovrapponendo tra loro figure di età diverse. È così che ad esempio è nata la cosiddetta “scena del villaggio” della roccia 35, dove alcuni edifici che si sovrappongono a precedenti scene di caccia al cervo sembrano mostrare un villaggio con le sue attività. Alcune figure presentano una particolare valenza artistica, come la famosa raffigurazione del sacerdote che corre della roccia 35.



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martedì 30 giugno 2015

LA VALCAMONICA

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Una valle che affonda le sue radici nella storia antichissima, un territorio d’interesse naturalistico internazionale e protetto dall’UNESCO, una civiltà dalla cultura e dal folklore unici: questa è la Valle Camonica, un gioiello che offre un patrimonio dalla ricchezza unica. La quasi totalità della valle appartiene al territorio amministrativo della Provincia di Brescia, ad esclusione di pochi comuni facenti parte della Provincia di Bergamo.
Si tratta di un territorio dalle caratteristiche naturali e geografiche uniche che, per la sua notevole estensione e per la flora e fauna presenti, viene considerata sia una vallata alpina, nel suo settore più a nord, sia prealpina, nella zona della bassa Valle. Copre una superficie molto ampia e al suo interno si snodano numerosi torrenti che scendono dai laghi alpini per congiungersi con il fiume Oglio. La Valle Camonica è suggestivamente racchiusa tra i monti dei gruppi dell’Adamello e delle Prealpi Orobiche.

Il turismo è una delle attività più rilevanti per la Valle Camonica che presenta diversi parchi e riserve naturali d’interesse regionale e nazionale. La zona di massima concentrazione turistica è stata dichiarata sito protetto dall’UNESCO.

La Valle Camonica, grazie alla grande varietà di scenari che offre, ha consentito la nascita di un turismo invernale di tipo sciistico, mentre durante la stagione estiva le maggiori attrattive sono costituite dalle escursioni su sentiero.
Un altro punto d’eccellenza è costituito dalle cure termali e dai centri benessere delle Terme di Boario.

La Valle Camonica è un territorio che ha molto da offrire, sia dal punto di vista naturalistico, sia dal punto di vista culturale e storico, una comunità ricca con un patrimonio da tutelare e valorizzare al meglio.

La storia della Valle Camonica ha radici profonde che risalgono alla fine dell’ultima glaciazione, infatti le prime testimonianze umane risalgono al XII millennio a.C. ed è a questo periodo preistorico che risalgono alcune incisioni rupestri di grandi figure animali che compongono il grande corpus di oltre trecentomila graffiti, dal 1979 patrimonio dell’umanità Unesco, oggi conservate nel complesso museale delle incisioni rupestri.

La Valle Camonica deriva il suo nome dal termine in lingua latina con cui gli scrittori classici chiamavano anticamente la popolazione che vi abitava: i Camunni.

In epoca augustea la valle era inserita nella Regio X Venetia et Histria. Assoggettata a Roma nel contesto della conquista di Rezia ed arco alpino sotto Augusto, la Val Camonica subì una rapida romanizzazione a partire dall'insediamento romano di Cividate Camuno; l'area mantenne margini di autogoverno interno (la Res Publica Camunnorum), ma già prima della fine del I secolo a tutti i suoi abitanti fu estesa la cittadinanza romana. I Camuni subirono poi - come tutti i popoli dell'Italia settentrionale - una rapido processo di latinizzazione sia linguistica, sia culturale, sia religiosa.

Cristianizzata tra IV e V secolo, durante il Medioevo la valle passò sotto controllo longobardo prima (VI-VIII secolo) e carolingio poi (VIII-IX secolo), per entrare quindi a far parte del Sacro Romano Impero (X-XIV secolo). Ai Visconti dal 1337, nel 1428 la valle entrò nei Domini di Terraferma della Repubblica di Venezia. Tra il 1797 e il 1814 la valle fu soggetta al dominio napoleonico, per entrare quindi a far parte nel Regno Lombardo-Veneto asburgico. Dopo la seconda guerra di indipendenza la valle entrò nel Regno d'Italia (1861-1946), del quale seguì le sorti; fu in particolare teatro, nel corso della Prima guerra mondiale, della Guerra bianca in Adamello.

Le prime testimonianze umane in Val Camonica risalgono al periodo successivo al termine dell'ultima glaciazione: recenti scavi presso la rupe di Santo Stefano a Cividate Camuno hanno evidenziato un fondo di capanna attribuibile al Paleolitico superiore. Si tratta della più antica presenza dell'uomo ritrovata in questa zona e risale al XII millennio a.C..

Tra IX e VIII millennio a.C. penetrarono in valle gruppi semi-nomadi di cacciatori e raccoglitori, che si spostavano di luogo in luogo solitamente seguendo gli spostamenti degli animali selvatici e abitavano in capanne o bivacchi stagionali. A questo periodo risalgono alcune incisioni rupestri di grandi figure animali, oggi conservate presso il Parco archeologico comunale di Luine a Darfo Boario Terme.

A partire dal VII millennio a.C. iniziò a diffondersi in tutta Europa la civiltà agricola e stanziale nota, secondo l'espressione coniata da Marija Gimbutas, come "Europa Antica". Le valli alpine furono toccate dal processo nel VI millennio a.C., anche grazie a un miglioramento complessivo delle condizioni climatiche; i gruppi di cacciatori-raccoglitori paleolitici furono assorbiti dai più numerosi agricoltori neolitici, che si insediarono stanzialmente nell'area. Queste comunità sedentarie furono in grado di praticare le prime forme di allevamento e di agricoltura; conoscevano l'utilizzo della ceramica e della tessitura del lino e una migliore tecnica nella costruzione e nella lavorazione della pietra.

In questo periodo l'arte rupestre in Val Camonica adottò come soggetti figure umane e tratti simbolici geometrici: rettangoli, cerchi, punti.

Dall'inizio del III millennio a.C., con l'Età del rame, in Val Camonica si affermò una prima metallurgia e ci furono dei miglioramenti nell'agricoltura, con l'introduzione dell'aratro, nell'allevamento, con l'avvio di una produzione casearia, nella tessitura, con l'impiego della lana, e nei trasporti, con l'introduzione della ruota e del carro. Le accresciute disponibilità alimentari consentirono un aumento della popolazione e una differenziazione sociale. Di questo periodo sono le prime statue stele, blocchi monolitici istoriati con simboli celesti, animali, armi, figure umane e altri segni.

Durante l'Età del bronzo si affinano le tecniche artigianali, soprattutto metallurgiche, e il territorio fu ripartito tra gruppi in lotta tra loro. Le incisioni rupestri risalenti a questo periodo rappresentano soprattutto armi.

In località Dos dell'Arca (Capo di Ponte) si trova, presso la chiesa delle sante Faustina e Liberata, un sito risalente all'Età del bronzo e frequentato fino alla tarda Età del ferro; gli scavi sono stati condotti da Emmanuel Anati nel 1962 e hanno rinvenuto i resti di alcune capanne e ceramiche, probabilmente resti di attività religiose. Il sito è noto soprattutto per il ritrovamento di molti frammenti di boccale, alcuni inscritti con lettere in alfabeto camuno, definiti appunto "tipo Dos dell'Arca".

La scoperta della lavorazione del ferro fu notevolissima per quel popolo che nelle fonti romane è ricordato come Camunni (nome attestato per la prima volta alla fine del I secolo a.C.): la valle possedeva numerose miniere di questo minerale, tanto che molte rimasero attive fino a metà del XIX secolo. Fu questo il periodo di massima attività nella creazione di incisioni rupestri: è databile all'Età del ferro quasi l'80% dell'intero patrimonio finora scoperto. A Temù è stata ritrovata un'abitazione risalente all'Età del ferro, con un piano interrato rivestito in pietra sul quale sorgeva una struttura in legno: simili quindi ad altre costruzioni alpine del periodo.

Attorno al V secolo a.C. gli Etruschi, già diffusi nella Pianura Padana, ebbero contatti con le popolazioni alpine che lasciarono tracce nell'alfabeto camuno e nell'arte rupestre. Verso il III secolo a.C. giunsero in Italia i Galli celtici che, provenendo dalla Gallia transalpina, si stabilirono nella Pianura padana ed entrarono in contatto con la popolazione camuna: lo testimonia la presenza, tra le incisioni rupestri della Val Camonica, di figure di divinità celtiche quali Cernunnos.

La Val Camonica venne assoggettata a Roma nel contesto delle campagne di conquista di Augusto di Rezia e arco alpino, condotte dai suoi generali Druso maggiore e Tiberio (il futuro imperatore) contro i popoli alpini tra il 16 e il 15 a.C. A completare la conquista del fronte alpino orientale fu Publio Silio Nerva, governatore dell'Illirico, che procedette all'assoggettamento delle valli da Como al Lago di Garda (compresa quindi la Val Camonica), oltre ai Venosti della Val Venosta.

L'azione romana di conquista è celebrata nel Trofeo delle Alpi ("Tropaeum Alpium"), monumento romano eretto nel 7-6 a.C. e situato presso la città francese di La Turbie, che riportava nell'iscrizione frontale il nome dei Camuni tra i popoli alpini sottomessi.
Ai Camuni, in quanto popolazione conquistata risiedente nell'arco alpino, venne inizialmente assegnato lo status di peregrini, che indicava la condizione giuridica degli abitanti delle province che non godevano dei diritti dei cittadini romani.

Dopo la conquista romana i popoli alpini furono annessi alle città più vicine in condizione di semi-sudditanza, tramite la pratica dell'adtributio. Questo permetteva di mantenere una propria costituzione tribale, ma la città dominante diveniva centro amministrativo, giurisdizionale e fiscale. La città a cui vennero assegnati i Camuni fu probabilmente la Colonia Civica Augusta Brixia; il loro territorio si posizionava quindi ai confini occidentali della Regio X Venetia et Histria. Le popolazioni soggette all'adtributio passavano dalla condizione di peregrini al beneficio dapprima del diritto inferiore (ius Latii), e in seguito della piena cittadinanza (plenum ius), con un processo che poteva essere anche molto lungo e che costituiva una sorta di apprendistato all'acquisizione di tutti i diritti dei cittadini romani. Epigrafi sembrano dimostrare che i Camuni ottennero questi diritti precocemente, in quanto vi è una iscrizione che ricorda la Civitas Camunnorum probabilmente attorno al 23 d.C. con Druso minore, durante il principato di Tiberio. Con il termine Civitas Roma indicava una entità politica autonoma, o un complesso dei cittadini, con i quali aveva a che fare (ad esempio Civitas Helvetia, la nazione Elvetica); pertanto il nome Civitas Camunnorum non va inteso come il nome latino dell'abitato di Cividate Camuno (che assunse questo nome solo nel XX secolo).

In Età flavia i Camuni vennero iscritti alla tribù Quirina, diversa da quelle cui erano state assegnate le vicine Brixia (Fabia) e Bergomum (Voturia), e sono ricordati come Res Publica Camunnorum, ovvero un centro dotato di autonomia amministrativa. Molte iscrizioni risalenti a questo periodo riportano nomi composti, ad uso romano, con tria nomina.

Non solo i Romani ebbero una forte influenza in Val Camonica, ma risultano anche epigrafi che citano il nome Camunni in altre zone dell'Impero romano. Molte tra queste riguardano legionari, come ad esempio tale "Cerialis Pladae f." centurione della cohors Alpina, oppure di "L. Statius Secundus", soldato della Legio VI. Altri camuni che servirono Roma furono "C. Valerius Quir.", della Legio VIII Augusta, morto a Corinto, e "Sex Apronius Quir.", della Legio XIIII Gemina, seppellito a Carnuntum. Un anonimo "Camunnus" si arruolò nella Classis Ravennatis e morì dopo 24 anni di servizio navale, all'età di 49 anni. La presenza di un montanaro nella flotta si spiega probabilmente con la necessità di carpentieri ("fabri navales") esperti nel taglio del legno.

Durante il periodo romano, a Breno fu costruito il santuario di Minerva. Le divinità romane non vennero imposte ai Camuni, ma tramite il meccanismo dell'interpretatio si tentava di assimilare il culto preesistente con la divinità romana che più gli assomigliava. L'iscrizione al Sole Divino, attualmente collocata all'esterno della chiesa parrocchiale di Breno ma di ubicazione originaria ignota, attesta in Val Camonica la presenza di un culto tipicamente orientale, diffusosi in tutto l'Impero romano a partire dal II secolo. Non è certo se l'epigrafe stessa risalga al II secolo o se sia invece successiva.

Il potere massimo della Res Publica Camunnorum era affidato a due duoviri e al consiglio dei decurioni. I primi avevano in compito di mantenere l'ordine e la giustizia e rimanevano in carica cinque anni; i secondi amministravano le finanze, nominavano i magistrati minori e dirigevano la vita religiosa della comunità. Il consiglio dei decurioni era formato dai cittadini più in vista della valle, che erano soliti firmare i loro decreti con "D.D." ("decretum decurionum").

I Romani insediarono il centro amministrativo della valle nell'odierna Cividate Camuno, una vera e propria città romana, costruita su cardo e decumano, con terme, teatro, anfiteatro e un foro lungo il fiume Oglio.

Altri insediamenti di epoca romana sono stati indagati a Pescarzo e a Berzo. Necropoli e lapidi tombali sono state rinvenute a Borno e Rogno.

L'inizio del Medioevo in Val Camonica coincise con l'introduzione del Cristianesimo. A partire dal IV-V secolo si assistette alla distruzione degli antichi luoghi di culto, con l'abbattimento delle statue stele di Ossimo e Cemmo e l'incendio del santuario di Minerva di Breno. Non sono comunque registrati casi di violenza contro i predicatori cristiani come invece avvenne nella vicina Val di Non, a Sanzeno, con il martirio di Sisinnio, Martirio ed Alessandro nel 397.

Nel 568-596 i Longobardi entrarono in Italia e sottomisero rapidamente gran parte delle regioni settentrionali (Langobardia Maior); il ducato di Brescia fu tra i primi ducati longobardi a essere costituito, all'indomani della conquista.

La Val Camonica è citata per la prima volta in un documento datato 774: il testamento di un gasindio longobardo che rivendicava il possesso di alcune terre nella zona, tra cui l'attuale Berzo Inferiore.

Come tutta la Langobardia Maior, la Val Camonica entrò a far parte dell'Impero carolingio nel 774; immediatamente venne ceduta, il 16 luglio 774, dallo stesso Carlo Magno all'abbazia di Marmoutier, presso Tours.

Nel 1164 l'imperatore Federico Barbarossa concesse con un diploma ampi privilegi alla Val Camonica, considerandola come un'entità unitaria e omogenea, distinta dal Bresciano.

A seguito dei gravi scontri del 1288 tra la città di Brescia ed alcuni comuni e famiglie ghibelline camune, nel 1291 si stipulò un accordo secondo il quale la Valle Camonica accettò di sottoporsi a un podestà nominato dalla città, al quale furono affidati compiti civili (“fare ufficiali e consigli”) e giudiziari (amministrazione della giustizia civile, istruzione dei processi criminali). In cambio di ciò i camuni ottennero l'esenzione da gabelle (eccetto quelle sul sale e sul ferro) ed il reintegro nei diritti civili e politici e nelle immunità e privilegi per le famiglie locali dei Federici, dei Celeri e i loro amici.

Citata da Dante Alighieri nella Divina Commedia (Inferno, XX, 65), la Val Camonica nel 1311 ottenne dall'imperatore Arrigo VII la conferma dei privilegi concessi dal Barbarossa nel 1164. Nel 1330 Giovanni I di Boemia dichiarò l'indipendenza della valle, già dotata di propri Statuti (citati in atti privati fin dal 1324-1325). L'organizzazione del governo locale iniziò a prendere forma, con la presenza, accertata dal 1350, di notai del podestà e del vicario.

A partire dal 1337 l'intero territorio bresciano, inclusa la Val Camonica, entrò definitivamente a far parte dei domini dei Visconti. Alla morte di Giovanni, nel 1354, i fratelli Matteo II, Galeazzo II e Bernabò si spartirono i domini del casato; la valle, come tutti i territori orientali soggetti a Milano, toccò a Bernabò, che li tenne fino a quando, nel 1385, non fu imprigionato dal nipote Gian Galeazzo.

Durante la signoria di Gian Galeazzo (1378-1402) venne insediato un podestà a Lovere, a guardia dello sbocco meridionale della valle.

Nel 1402 la signoria passò al tredicenne Giovanni Maria Visconti, con reggente la madre Caterina Visconti. I domini viscontei furono presto dilaniati da lotte intestine, con il tentativo di impossessarsene condotto da Pandolfo III Malatesta. La Val Camonica fu terreno di scontro, contesa tra le armate ghibelline dei Visconti e quelle guelfe del Malatesta; tra il 1413 e il 1416 è attestata una forte instabilità nella valle, con varie concessioni volte a ottenerne la fedeltà.

A partire dal 1419 tutti i territori della Lombardia orientale tornarono gradatamente sotto il controllo di Filippo Maria Visconti, anche se la Repubblica di Venezia continuò a fomentare dissidi e disordini, che sarebbero sfociati, dal 1425, nella guerra che avrebbe condotto il Carmagnola a conquistare alla Serenissima Brescia, Bergamo e le relative vallate. Anche dopo la caduta del Malatesta i commerci con la valle furono ancora controllati dalla famiglia degli Oldofredi, strettamente legati ai Federici, casato ghibellino della Val Camonica.

Dopo aver cacciato i Visconti (marzo 1426), Brescia fece atto di dedizione alla Repubblica di Venezia (6 ottobre, secondo la tradizione) e poco dopo (23 novembre) rivendica a sé anche la Val Camonica, quale territorio bresciano, ma questa non passò immediatamente tra i Domini di Terraferma della Serenissima: il Senato veneziano si mostrò inizialmente irresoluto nell'ordinare la difficile occupazione della valle, tanto da dichiarare di rinunciarvi già il 26 novembre, per poi protrarre le operazioni di conquista della valle per tutto il 1427. La difficoltà nella conquista va principalmente attribuita alla forte resistenza delle famiglie nobili locali: dai grandi feudatari Federici ai clan nobiliari dei de Bordi, de Cochis e de Cottis. L'annessione della Val Camonica alla Serenissima si completò soltanto il 10 gennaio 1428.

L'area rimase ancora per anni oggetto di contesa tra la Serenissima e il Ducato di Milano. Il castello di Breno fu attaccato dai Visconti nel 1438, che avevano cinto d'assedio la stessa Brescia; una volta ricacciati i milanesi, Venezia riassegnò a Brescia tutto il suo territorio, inclusa la Val Camonica. In valle si stabilirono così un podestà e ufficiali bresciani. Un nuovo attacco milanese fu condotto da Francesco Sforza nel 1454: grazie alle armi da fuoco, il capitano di ventura Bartolomeo Colleoni riuscì ad assoggettare la bassa valle e ad attaccare nuovamente il castello di Breno, che capitolò tra il 24 e il 28 febbraio. Il 9 aprile la Pace di Lodi pose fine alle contese e assegnò definitivamente la Val Camonica alla Serenissima, che distrusse quasi tutte le roccaforti della valle, eccezion fatta per quella di Breno, destinata alla guarnigione locale, e quelle di Cimbergo e Lozio, tenute da famiglie fedeli a Venezia. Nelle guerre contro i milanesi si era distinto il casato trentino dei Lodron; come ricomprensa per i servigi di Paride il Grande, condottiero della Serenissima, i suoi figli Giorgio e Pietro ricevettero intorno alla metà del XV secolo il castello di Cimbergo con la relativa contea. Nel 1493 la valle contava 24.760 abitanti; come in tutti i Domini di Terraferma della Repubblica di Venezia, anche in Val Camonica venivano arruolate cernide, milizie territoriali costituite da contadini che annualmente svolgevano degli addestramenti militari.

Alla fine del XV secolo operò il pittore Giovanni Pietro da Cemmo (attivo tra il 1474 e il 1504); tra i suoi affreschi in Val Camonica, spiccano quelli del convento dell'Annunciata di Borno (oggi nel comune di Piancogno) e della Chiesa di Santa Maria Assunta a Esine.

Agli inizi del XVI secolo la valle passò per un breve periodo sotto controllo francese. Nel 1509 il re di Francia Luigi XII, nel quadro della guerra tra le forze della Lega di Cambrai e quelle della Serenissima, sconfisse i veneziani nella battaglia di Agnadello (14 maggio), combattuta presso l'Adda; Bergamo, Brescia, e la Val Camonica passarono così sotto controllo francese. Il castello di Breno passò sotto il controllo delle forze anti-veneziane il 23 maggio, ma i valligiani diedero vita a una dura resistenza contro i nuovi occupanti. Al termine della Guerra della Lega di Cambrai, il trattato di Noyon (1516) ripristinò lo status quo in Italia, e quindi l'appartenenza della Val Camonica alla Serenissima. Il ripristino del dominio veneziano e la comprovata fedeltà dei valligiani resero meno necessario uno stretto controllo militare sulla valle e il presidio di stanza al castello di Breno venne ritirato; il castello venne poi ceduto al comune di Breno nel 1583 e definitivamente abbandonato nel 1598.

Negli anni trenta del XVI secolo il Romanino iniziò a lavorare in alcune chiese della Val Camonica: Santa Maria della Neve a Pisogne (Storie di Cristo), Sant'Antonio a Breno, Santa Maria Annunciata a Bienno. Nello stesso periodo operò in valle anche Callisto Piazza. Nel 1558 un singolare atto della vicinia di Edolo attesta la diffusione di superstizioni animiste; si tratta di un'ordinanza che impone ai vermi ("rughe") che infestano i campi di sgomberarli, assegnando loro uno specifico territorio e perfino un avvocato difensore.

Nei primi decenni del XVIII secolo la bassa valle fu duramente vessata dal bandito Giorgio Vicario, di Pisogne, e dai suoi bravacci. Secondo la tradizione popolare il bandito, macellaio, fu ucciso da un suo stesso compagno con un'archibugiata sulla soglia della sua bottega di Pisogne, ora inglobata nell'edificio detto "Torrazzo". La testa - mozzata, salata e avvolta in foglie d'alloro - fu portata fino a Venezia per riscuotere la taglia offerta dal Consiglio dei Dieci.

L'amministrazione della valle fu svincolata da quella di Brescia e di Bergamo dal doge Francesco Foscari, che con un decreto del 1º luglio 1428 consentì ai valligiani di seguire i propri Statuti. Nel 1440 tale indipendenza fu tuttavia revocata e la Val Camonica fu ricondotta sotto il controllo di Brescia, che doveva esprimere il capitano di valle.

Amministrativamente e religiosamente, la valle era ripartita in pievi: inizialmente quattro (Rogno, Cividate, Cemmo ed Edolo), nel 1765 risultano essere cinque, con l'aggiunta di quello di Dalegno e Borno.

Parte delle magistrature andava di diritto alla famiglia Federici, antichi feudatari del luogo. Risulta la presenza di un "capitano di valle", insediato presso il castello di Breno fino alla metà del XVI secolo, altrove nel villaggio di Breno in seguito. A partire dal 1440 la Serenissima stabilì che il capitano doveva essere un nobile bresciano, la cui nomina doveva essere approvata dal consiglio della città. A un capitano di valle si attribuisce la proprietà di un letto intarsiato del XVII secolo, conservato presso il Museo Camuno di Breno. Esisteva poi un "sindaco di valle"; si ricordano i nomi di Giovanni Francesco Moscardi, sindaco nel 1615, 1622 e 1630, e di Gian Antonio Guarneri, sindaco nel 1661, 1667, 1673, 1680 e 1687. Accanto al capitano e al sindaco, erano presenti un avvocato di valle, un cancelliere, un vicecancelliere, un giusdicente, un presidente dell'ospedale e un tesoriere. Dell'ufficio della cancelleria civile si sono conservati relitti dell'antico archivio, mentre gli Statuti del 1750 attestano la presenza di tutta una serie di magistrature locali minori: «due deputati alla sanità, un deputato al mercato di Pisogne, due calmedrari, gli stimatori al dazio, i bollatori, gli esattori della tassa ducale e quattro deputati sopra la strada reale».

Sono ricordati diversi organi elettivi attivi in valle nel periodo della dominazione veneziana: il consiglio generale, il consiglio segreto o senato, il consiglio dei ragionati, il consiglio dei deputati e i ragionati aggiunti.

A partire dal 1324-1325 atti privati iniziarono a citare gli "Statuti della Val Camonica" (Statuta Vallis Camonicæ), anche se il privilegio di poter utilizzare i propri Statuti fu affermato soltanto nel 1428 dal doge Francesco Foscari, nel quadro della concessione di un'ampia autonomia in seguito (1440) parzialmente revocata. La Biblioteca del Senato della Repubblica custodisce un manoscritto settecentesco che traduce in italiano Statuti del 1624-1687.

In seguito all'occupazione napoleonica di Brescia e Bergamo, nel 1796, i territori più occidentali della Repubblica di Venezia passarono sotto controllo francese. Tra questi la Val Camonica che, dopo aver fatto parte dell'effimera Repubblica Bergamasca (12 marzo-17 ottobre 1797), confluì poi nella Repubblica Cisalpina (1797), secondo quanto sancito dall'articolo 8 del Trattato di Campoformio, in seguito trasformata prima in Repubblica Italiana (1802-1805) e infine in Regno d'Italia (1805-1814). Le valli lombarde opposero inizialmente una certa resistenza al giacobinismo napoleonico, ma le velleità di rivolta furono rapidamente stroncate.

Nel corso della dominazione francese, l'assetto amministrativo della Val Camonica mutò più volte. Inizialmente (1797-1798) fu importato il modello del cantone, adottato in Francia dal 1790; la valle fu inserita, dal 1º maggio 1797, nel "Cantone della Montagna", con Breno capoluogo. Nel febbraio 1798 fu istituito il "Distretto di Cividate", con Cividate Camuno nuovo capoluogo, fino al definitivo assetto in dipartimenti. I comuni della valle furono assegnati al Dipartimento del Mella, con Brescia capoluogo, e del Serio, con capoluogo Bergamo.

Con la caduta del Regno Italico (1814), la Val Camonica, come l'intero lombardo-veneto, entrarono nell'orbita dei domini austriaci, che organizzarono i propri possedimenti diretti in Italia nel Regno Lombardo-Veneto. La Val Camonica fu assegnata alla provincia di Bergamo, nei distretti XVI di Lovere e XVII di Breno, istituiti il 12 febbraio 1816 e in seguito (1853) ridisegnati.

Nel 1859, durante la seconda guerra di indipendenza, Brescia e Bergamo furono occupate dai Cacciatori delle Alpi di Giuseppe Garibaldi, che tuttavia non sarebbero stati in grado di opporsi a un'eventuale controffensiva austriaca attraverso le Valli Giudicarie o la Val Camonica; per questo, a difesa del fronte alpino fu inviata una divisione regolare dell'esercito sabaudo, comandata da Enrico Cialdini.

Con la pace di Zurigo siglata fra il 10 e l'11 novembre 1859, la Lombardia, già di fatto annessa al Regno di Sardegna, passò formalmente a quest'ultimo, che nel 1861 sarebbe diventato Regno d'Italia.

La nuova organizzazione territoriale disegnata dal Decreto Rattazzi (regio decreto 3702 del 23 ottobre 1859) assegnò la Val Camonica alla Provincia di Brescia, all'interno della quale andò a costituire il circondario di Breno, suddiviso nei due mandamenti di Breno e di Edolo. Alla Provincia di Bergamo rimasero i comuni della bassa valle di Lovere, Costa Volpino e Rogno, inscritti nel circondario di Clusone.

La vicinanza della frontiera austriaca, che correva lungo tutto il massiccio dell'Adamello fino al Lago di Garda, faceva di questa zona una delle più soggette a rischio di invasione. Allo scoppio della terza guerra di indipendenza (1866), in effetti, le truppe austriache guidate dal maggiore Ulysses von Albertini forzarono il Passo del Tonale e discesero la valle fino a Ponte di Legno (26 giugno), per poi ripiegare indisturbate. Un'azione di maggiori proporzioni fu condotta il 2 luglio successivo: Von Albertini si spinse fino a Vezza d'Oglio, dove i bersaglieri al comando del maggiore Nicostrato Castellini tentarono invano, il 4 luglio, di sbarragli il passo. In seguito allo scontro, noto come battaglia di Vezza d'Oglio e comunque di modeste dimensioni, gli austriaci ripiegarono comunque sul Tonale il 7 luglio.

Nel 1872 settantadue comuni della Val Camonica, del Lago d'Iseo e della Bassa bresciana inviarono una petizione ai ministeri dei Lavori pubblici e delle Finanze per sollecitare la costruzione di una linea ferroviaria che favorisse il collegamento tra Val Camonica e Cremonese. La Ferrovia Brescia-Iseo-Edolo, appaltata alla Società Nazionale Ferrovie e Tramvie, fu però completata solo il 4 luglio 1909. Nello stesso anno, con una segnalazione di Gualtiero Laeng al Comitato Nazionale per la Protezione dei Monumenti, vennero riscoperte le Incisioni rupestri della Val Camonica.

Durante la Prima guerra mondiale, l'alta valle fu teatro della Guerra bianca in Adamello, che vide contrapposti gli alpini italiani a quelli austro-ungarici. Le condizioni di combattimento furono estreme - oltre tremila metri di quota, temperature rigidissime, costante pericolo di slavine -, e la guerra anche su questo fronte fu principalmente guerra di trincea. L'estate del 1915 registrò numerosi scontri, con provvisorie e limitate avanzate di uno o dell'altro contendente, senza tuttavia che avvenissero mutamenti decisivi nella linea del fronte. Nel 1916 alcuni successi parziali degli alpini (aprile-maggio) non ebbero seguito a causa della forte pressione esercitata dagli austro-ungarici sul fronte trentino con la Strafexpedition, che costrinse i vertici militari italiani a sguarnire l'Adamello. Il fronte entrò così in stallo e rimase inerte anche per tutto il 1917. Il 27 settembre di quell'anno un bombardamento austro-ungarico distrusse l'abitato di Ponte di Legno. Il 25 maggio-28 maggio 1918 il fronte iniziò a muoversi in modo significativo con la conquista italiana del ghiacciaio Presena; altri piccoli avanzamenti culminarono, il 1º novembre nel quadro della generale rotta dell'esercito austro-ungarico, nello sfondamento del fronte al passo del Tonale, dal quale il Regio Esercito poté dilagare verso la Val di Sole.

Il 1º dicembre 1923, alle 7.15, la diga posta sul torrente Gleno, in Valle di Scalve, cedette a causa di errori di progettazione e di cattiva esecuzione dei lavori. L'onda di piena, dopo aver devastato la Valle di Scalve, sboccò in Val Camonica. Le vittime complessive del disastro del Gleno furono oltre 350; commosso per la tragedia, anche re Vittorio Emanuele III si recò in visita nella valle.

Durante la Seconda guerra mondiale, tra l'armistizio dell'8 settembre 1943 e il 1945 in Val Camonica agirono diversi gruppi partigiani. Presso Lozio (Laveno) operava un battaglione della brigata "Ferruccio Lorenzini" della divisione Fiamme Verdi, guidato dalla medaglia d'oro al valor militare Giacomo Cappellini, fucilato dalla Repubblica Sociale Italiana il 21 gennaio 1945. Poco più tardi Monno, nell'alta valle, fu teatro delle due battaglie del Mortirolo, che opposero i partigiani delle Fiamme Verdi al militi della Repubblica Sociale.

Entrambi gli scontri videro prevalere i partigiani: il primo, di proporzioni modeste, fu combattuto sul Passo del Mortirolo tra il 22 e il 27 febbraio; il secondo, ben più rilevante - tanto che è ritenuto da alcuni la più importante battaglia campale della Resistenza italiana - vide invece gli schieramenti fronteggiarsi per quasi un mese, dal 9 aprile al 2 maggio.

Nell'ordinamento della Repubblica Italiana la Val Camonica rimase amministrativamente soggetta alla Provincia di Brescia e, in piccola parte, a quella di Bergamo.

Nel secondo dopoguerra ebbe inizio la valorizzazione delle incisioni rupestri della Val Camonica: nel 1955 a Capo di Ponte venne creato dalla Soprintendenza per i beni archeologici della Lombardia il Parco nazionale delle incisioni rupestri di Naquane, la prima e tuttora la più importante delle aree che custodiscono i petroglifi; nel 1964 venne fondato il Centro Camuno di Studi Preistorici; nel 1979 l'intero patrimonio delle incisioni è stato proclamato Patrimonio dell'umanità dall'Unesco, primo sito in Italia a ricevere il riconoscimento.

Nel 1974 venne approvato dalla regione Lombardia lo statuto della Comunità Montana di Valle Camonica e nel 1983 fu istituito il Parco regionale dell'Adamello.

La riserva naturale incisioni rupestri di Ceto, Cimbergo e Paspardo è compresa tra una altitudine che va dai 420 ai 1000 m s.l.m.
La riserva naturale delle valli di Sant'Antonio si estende nel territorio del comune di Corteno Golgi.
Il parco dell'Alto Sebino è gestito dalla Comunità Montana dei Laghi Bergamaschi.Il parco del lago Moro, gestito dal comune di Angolo Terme, è esteso per 131 ettari.

La Valle Camonica copre un'altimetria che va dai 187 m s.l.m. di Pisogne fino ai 3.539 m s.l.m. del monte Adamello.

Nella fascia submontana  sono diffuse piante come il frassino, la quercia, il castagno.
Nella fascia montana si trovano piante di faggio ed acero di monte.
Nella fascia subalpina sono diffusi gli abeti rossi, il pino silvestre e la betulla.
Nella fascia alpina vegetano piante di pino mugo e pino cembro
Nella fascia nivale sopravvivono solo piante rupicole.

Grazie alla presenza, soprattutto nell'alta valle, di ampie zone protette, come il parco regionale dell'Adamello od il parco nazionale dello Stelvio, si possono ammirare molti animali in libertà, che spesso raggiungono anche le zone antropizzate.

In alta quota, anche durante la stagione invernale, sono diffusi i camosci e gli stambecchi. I camosci sono presenti tra i 1800 ed i 3000 m s.l.m., soprattutto nella zona della Val Dois, nella Val Miller e nel gruppo del Baitone. Gli stambecchi, invece, dopo essere scomparsi in seguito ad una caccia spietata attorno alla metà del Settecento, sono stati re-introdotti a partire dal 1995 nel parco regionale dell'Adamello, ed oggi stanno ripopolando le montagne della zona. Il cervo ed il capriolo vivono invece nelle foreste a quote più basse, e durante i periodi più freddi scendono fino alle praterie di fondovalle. I cervi diffusi nelle aree del parco nazionale dello Stelvio, soprattutto in Val Grande, e qualche esemplare tra le alte radure tra Paspardo e Braone. Il capriolo è invece ampiamente presente tra i comuni di Sonico, Saviore dell'Adamello e Ponte di Legno. Da segnalare la ricomparsa dell'orso bruno, reintrodotto nel parco naturale provinciale dell'Adamello-Brenta e diffuso su tutto il gruppo dell'Adamello. Animali più piccoli, e decisamente più diffusi, sono la marmotta, il riccio, lo scoiattolo. Presenti, ma molto più difficili da osservare, sono la volpe, l'ermellino, la martora e la faina.
Si possono osservare il picchio, la civetta, l'allocco, il gufo, l'astore, la coturnice e la pernice. Nelle zone boschive sono presenti il gallo cedrone ed il gallo forcello. Vi nidifica anche il Gipeto, grazie ad un progetto di reintroduzione che ha portato il Parco dello Stelvio ad essere il primo posto in Italia a riospitare il gipeto.
Tra i rettili si trovano la vipera, il marasso, bisce d'acqua come la natrice, il biacco, l'orbettino e la lucertola muraiola. Durante i periodi caldi nei boschi è visibile il ramarro.Diffusi sono la salamandra, soprattutto in Val Paghera e Val Saviore, il tritone, la rana (diffusissima negli stagni d'alta quota) ed il rospo.
I numerosi torrenti della Valle Camonica sono l'ambiente ideale per la trota iridea, la trota fario, la trota marmorata, lo scazzone e la sanguinerola.

L'attività mineraria è stata fondamentale per lo sviluppo della Valcamonica nel corso dei secoli, fino al XX secolo quando, a poco a poco, tutte le miniere presenti sul ricco suolo valligiano sono state chiuse. Nel passato era possibile estrarre:
Sui monti di Ceto, Cerveno, Ono San Pietro e Cevo possiamo trovare l'allume.
Il calcare sui monti Concarena e Pizzo Badile Camuno.
Il ferro presso Pisogne, Fucine, Pescarzo, Loveno, Malonno, Corteno.
Il marmo sui monti di Vezza d'Oglio.
Il rame sui monti tra Cimbergo e Paspardo.
Lo zolfo sui monti di Sellero.
La ricchezza di ferro fu uno dei principali fattori di sviluppo dei molteplici forni fusori di Gratacasolo, Corna, Malegno, Bienno, Cemmo, Cedegolo e Malonno. Le fucine di Bienno assumeranno una particolare importanza, tanto che nel 1600 ve ne erano ben 135. Erano specializzate nella costruzione di utensili domestici (vanghe, zappe, falci, forche, ecc.), ma producevano anche armature, elmi e corsaletti, tutti oggetti indispensabili per gli scontri armati. La Valgrigna assumerà nel corso dei secoli il soprannome di "Valle dei Magli". All'inizio del XIX secolo venne fondata la Carlo Tassara Stabilimenti Siderurgici a Breno.
Presente già dalla preistoria, con incisioni rupestri raffiguranti telai, il settore tessile ebbe una grande importanza in Valcamonica. Nel periodo della dominazione veneta crebbe il settore laniero, mentre dopo l'annessione al Regno d'Italia vi fu il boom della seta con la coltura del gelso (già presente nel 1600). Dagli anni settanta del Novecento vi fu la crisi del settore con la liberalizzazione dei mercati, mettendo in gravi difficoltà importanti industrie come Olcese di Boario Terme e di Cogno, la Nuova Manifattura Brenese di Nadro e la Franzoni Filati di Esine e di Cividate Camuno.

La Valle Camonica, grazie alle sue risorse idriche, è un'importante realtà per quanto riguarda la produzione idroelettrica.

La prima centralina sorse nel 1888 a Breno, ma dal 1907, con la nascita dell'Elva, vennero poi fondate quelle di Niardo, Darfo Boario Terme, Vezza d'Oglio. Sorsero poi le grandi centrali di Temù, Sonico, Isola, Cedegolo, Cividate Camuno, Gratacasolo e Grevo.

In tempi recenti sono state poi costruite le tre centrali di Edolo, di San Fiorano e di Cedegolo, che producono la maggior parte dell'energia idroelettrica camuna.

Partendo da Cedegolo sino a Cividate Camuno è visibile un canale di convogliamento delle acque dei torrenti orientali della Val Camonica, a fine idroelettrico, costruito nel 1926.

Il vino è molto radicato nella storia della Valle Camonica: nel passato la viticoltura era ampiamente diffusa lungo i terrazzamenti e quasi ogni famiglia aveva una produzione propria. Oggi qualche esempio di questi terrazzamenti, seppur reimpiantati con le nuove tecnologie di produzione (guyot), sono visibili sul versante orografico esposto a est della media Vallecamonica, all'altezza di Piamborno (frazione principale del comune di Piancogno) lungo la strada comunale delle Volte da cui prendono il nome i vini dell'azienda che qui li produce.

I vitigni più diffusi in Valle sono Marzemino e Merlot per i vigneti a bacca rossa e il Muller, Resling Renano e Incrocio Manzoni per i vigneti a bacca Bianca.

Sono inoltre presenti vitigni autoctoni che stanno scomparendo quali il Valcamonec, l'Erbanno ed il Sebina.

In un lontano passato, in Val Camonica, si parlava un'antica lingua camuna.

Oggi il mezzo di comunicazione più utilizzato è la lingua italiana, a dispetto dei numerosi dialetti camuni che, seppur ampiamente parlati e compresi sono sempre più utilizzati solamente in ambito familiare.

Quel poco che rimane di quegli antichi culti è oggi oggetto di studio attraverso i racconti popolari (le bóte) che si sono trasmesse oralmente nel corso dei secoli. Questi racconti parlano di esseri immaginari, sovrannaturali, demonizzati, che secondo alcuni studiosi potrebbero rappresentare miti risalenti all'epoca pre-cristiana.



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giovedì 5 marzo 2015

LA CIVILTA' CAMUNA

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I Camuni erano un popolo dell'Italia antica stanziato nell'Età del ferro (I millennio a.C.) in Val Camonica; vengono individuati anche con il nome latino Camunni, attribuito loro da autori del I secolo, o come antichi Camuni, per distinguerli dagli attuali abitanti della valle. Fra i massimi produttori di arte rupestre in Europa, il loro nome è legato alle celebri Incisioni rupestri della Val Camonica, che costituiscono - stante la povertà di reperti archeologici come necropoli, suppellettili o centri abitati - la principale testimonianza culturale di questo popolo.

Popolo di origine oscura, risulta insediato in una regione, la Val Camonica, segnata già da una millenaria tradizione culturale, risalente fin al Neolitico. I Camuni - Καμοῦνοι in greco, Camunni in latino - sono ricordati dalle fonti storiografiche classiche a partire dal I secolo a.C.; l'epoca precedente, corrispondente in Val Camonica all'Età del ferro (dal XII secolo a.C. circa fino alla romanizzazione), è testimoniata soprattutto dal vastissimo corpus costituito dalle centinaia di migliaia di incisioni rupestri. Sottomessi a Roma all'inizio del I secolo d.C., i Camuni furono progressivamente inseriti nelle strutture politiche e sociali dell'Impero romano: pur conservando margini di autogoverno (la Res Publica Camunnorum), fin dalla seconda metà del I secolo ottennero la cittadinanza romana, subendo poi - come tutti i popoli della Gallia cisalpina - un rapido processo di latinizzazione sia linguistica, sia culturale, sia religiosa.

Johann Jacob Hofmann nel suo Lexicon Universale (XVIII secolo) riprende l'ipotesi di una relazione diretta tra la parola "Camuno" e la parola "Camulo", che designava una divinità, e l'attribuisce a Marco Antonio Sabellico e a Guarino Veronese.

Lo storico greco Strabone (58 a.C.-25 d.C. circa), sosteneva che i Camuni facessero parte dei popoli retici e li accostava ai Leponzi, i quali, invece, derivavano dalla Cultura di Golasecca (ma che furono successivamente influenzati da popoli di stirpe celtica).
Lo storico romano Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) (ucciso dall'eruzione del Vesuvio) parlava invece dei Camunni come di una delle varie tribù euganee assoggettate dai Romani.

Circa 13.000 anni fa, in Valle Camonica, grazie alla presenza di alberi d'alto fusto e svariate specie di vegetazione e dunque alla possibilità di pascoli sempre più fertili, alcune specie animali iniziarono a risalire le pendici montuose delle Prealpi e delle Alpi e dunque a stanziarsi nella valle. Fu in questo periodo che si possono presumibilmente collocare le prime apparizioni dell'uomo anche nelle valli alpine. Inizialmente si trattava solo di radi e sparuti gruppi di cacciatori che, durante le stagioni meno rigide, si avventuravano all'inseguimento di qualche capo di selvaggina che, per sfuggire alla cattura, cercava rifugio risalendo le scoscese pareti rocciose e le folte e inospitali selve delle montagne più impervie. Successivamente la valle fu risalita da gruppi più numerosi di cacciatori, che seguirono i primi, armati di attrezzi rudimentali, spinti dalla ricerca di cibo e quindi di conquista di nuovi territori di caccia. Passarono i profondi avvallamenti, costeggiarono gli altipiani, guadarono il paludoso e inospitale fondovalle ed eressero, a quote di sicurezza, dei piccoli accampamenti stagionali che dovevano avere la funzione di campi base per le lunghe battute di caccia al camoscio e allo stambecco, i quali vivevano, nella stagione calda, ad alta quota. Di questi primi frequentatori della valle rimangono pochissime tracce a bassa quota, mentre sono presenti a quote più elevate. Il motivo è evidente: quasi tutta la vasta area di fondo valle, ai tempi era ricoperta da acque o da paludi e per questo era possibile stabilirsi solo sugli spuntoni rocciosi affioranti o sulle pendici delle montagne, dove sono stati individuati i primi segni concreti della presenza dell'uomo. Col passare degli anni, sempre più uomini si stanziarono nella valle fino a formare, all’inizio del I millennio a.C., dei villaggi costituiti quasi esclusivamente da capanne, sui pendii di media e alta quota e da palafitte, nelle paludi del fondo valle. In poco tempo nella valle nacque una vera e propria civiltà, la civiltà dei Camuni. Secondo ipotesi recenti, i Camuni avrebbero origini dell’odierna Liguria: intorno al I millennio a.C. infatti, i Liguri si erano avventurati in gran parte del Nord Italia.

Attorno al V secolo a.C. gli Etruschi, già diffusi nella Pianura Padana, ebbero contatti con le popolazioni alpine. Tracce d'influenza di questa cultura permangono nell'alfabeto camuno, nel quale sono redatte oltre duecento iscrizioni e che è molto simile agli alfabeti nord-etruschi, e nella stessa arte rupestre.

Verso il III secolo a.C. giunsero in Italia popolazioni celtiche che, provenendo dalla Gallia transalpina, si stabilirono nella Pianura padana ed entrarono in contatto con la popolazione camuna: lo testimonia la presenza, tra le incisioni rupestri della Val Camonica, di figure di divinità celtiche quali Cernunnos.

L'Italia centro-settentrionale secondo l'Historical Atlas con i Camunni all'estremità nord-occidentale della Venetia
La Val Camonica venne assoggettata a Roma nel contesto delle campagne di conquista di Augusto di Rezia e arco alpino, condotte dai suoi generali Druso maggiore e Tiberio (il futuro imperatore) contro i popoli alpini tra il 16 e il 15 a.C. A completare la conquista del fronte alpino orientale fu Publio Silio Nerva, governatore dell'Illirico, che procedette all'assoggettamento delle valli da Como al Lago di Garda (compresa quindi la Val Camonica), oltre ai Venosti della Val Venosta.

Dopo la conquista romana i Camuni furono annessi alle città più vicine in condizione di semi-sudditanza tramite la pratica dell'adtributio, che permetteva di mantenere una propria costituzione tribale mentre la città dominante diveniva centro amministrativo, giurisdizionale e fiscale. La città a cui vennero assegnati i Camuni fu probabilmente Brixia. Inizialmente fu assegnato loro lo status di peregrinus; in seguito ottennero la cittadinanza romana e in Età flavia furono ascritti alla tribù Quirina, anche se mantennero una certa autonomia amministrativa: è infatti ricordata una Res Publica Camunnorum.

La romanizzazione procedette a partire da Civitas Camunnorum (Cividate Camuno), città fondata dai Romani attorno al 23 d.C. con Druso minore, durante il principato di Tiberio; a partire dal I secolo i Camuni risultano già stabilmente inseriti nelle strutture politico-sociali romane, come attestano le numerose testimonianze di legionari, artigiani e perfino gladiatori di origine camuna in varie aree dell'Impero romano. Anche la religione si avviò, attraverso il meccanismo dell'interpretatio, verso un sincretismo con quella romana.

Le incisioni rupestri dovevano avere un particolare valore; ai Camuni è infatti attribuito circa il 70-80% di tutte le figure censite e la loro funzione è riconducibile a riti celebrativi, commemorativi, iniziatici o propiziatori - dapprima in ambito religioso, in seguito anche laico -, che si tenevano in occasioni particolari, singole o ricorrenti.

Di epoca romana è il santuario di Minerva rinvenuto a Spinera di Breno nel 1986 è finemente decorato con mosaici. Sorgeva su uno sperone roccioso sulla riva orientale del fiume Oglio, non lontano da Cividate Camuno.

L'inizio del Medioevo coincise con l'arrivo presso i Camuni della religione cristiana. A partire dal IV-V secolo si assistette alla distruzione degli antichi luoghi di culto, con l'abbattimento delle statue stele di Ossimo e Cemmo e l'incendio del santuario di Minerva.

Le testimonianze della lingua parlata da Camuni sono scarse e non decifrate; tra le incisioni rupestri della Val Camonica, uniche testimonianze epigrafiche del camuno, si contano alcune iscrizioni redatte in un proprio alfabeto camuno, variante settentrionale dell'alfabeto etrusco. Le conoscenze sul camuno permangono troppo incerte per poterne definire l'eventuale appartenenza a una famiglia linguistica più ampia.


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