martedì 3 marzo 2015

MILANO & CRIMINI : LE BRIGATE ROSSE

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Le Brigate Rosse (BR) sono state un'organizzazione terroristica italiana di estrema sinistra costituitasi nel 1970 per propagandare e sviluppare la lotta armata rivoluzionaria per il comunismo.

Di matrice marxista-leninista, è stato il maggiore, più numeroso e più longevo gruppo terroristico di sinistra del secondo dopoguerra esistente in Europa occidentale.

In base ai racconti di alcuni dei principali militanti, la decisione di intraprendere la "lotta armata" sarebbe stata presa in un convegno tenuto nell'agosto del 1970 in località Pecorile, comune di Vezzano sul Crostolo (RE) a cui partecipò un centinaio di delegati dell'estremismo di sinistra. Nell'organizzazione confluirono i militanti del cosiddetto "gruppo reggiano", tra cui Alberto Franceschini, quelli del gruppo proveniente dall'Università di Trento, tra cui Renato Curcio e Margherita Cagol, e quelli del gruppo di operai e impiegati delle fabbriche milanesi Pirelli e SIT-Siemens.

Le prime "azioni" rivendicate come "Brigate Rosse" risalgono al 1970, e continuarono con il massimo dell'attività tra il 1977 e il 1980. Dopo una fase di cosiddetta "propaganda armata" con attentati dimostrativi all'interno delle fabbriche e sequestri di dirigenti industriali e magistrati, nel 1974-76 vennero arrestati o uccisi i principali brigatisti del gruppo iniziale. Da quel momento la direzione dell'organizzazione passò ai brigatisti nel nuovo Comitato Esecutivo in cui assunse un ruolo determinante Mario Moretti, che potenziarono notevolmente la capacità logistico-militare del gruppo, estendendo l'azione oltre che nelle città del nord anche a Roma e Napoli e moltiplicando gli attacchi sempre più cruenti contro politici, magistrati, industriali e forze dell'ordine.

Momenti culminanti dell'attività del gruppo furono l'agguato di via Fani e il sequestro Moro nella primavera 1978; con il drammatico rapimento di Aldo Moro le Brigate Rosse sembrarono in grado di influire in modo decisivo sull'equilibrio politico italiano e di poter sovvertire l'ordine democratico della Repubblica.

L'organizzazione entrò in crisi nei primi anni ottanta per il suo irreversibile isolamento all'interno della società italiana e venne progressivamente distrutta grazie alla crescente capacità di contrasto da parte delle forze dell'ordine ed anche grazie alla promulgazione di una legge dello Stato italiano che concedeva cospicui sconti di pena ai membri che avessero rivelato l'identità di altri terroristi. Nel 1987 Renato Curcio e Mario Moretti firmarono un documento in cui dichiaravano "conclusa" l'esperienza delle BR.

Secondo l'inchiesta di Sergio Zavoli La notte della Repubblica, dal 1974 (anno dei primi omicidi ad esse attribuiti) al 1988 le Brigate Rosse hanno rivendicato 86 omicidi: la maggior parte delle vittime era composta da agenti di Polizia e Carabinieri, magistrati e uomini politici. A questi vanno aggiunti i ferimenti, i sequestri di persona e le rapine compiute per "finanziare" l'organizzazione.

Renato Curcio ha calcolato che 911 persone siano state inquisite per avere fatto parte delle BR, alle quali vanno aggiunte altre 200-300 persone facenti parte dei vari gruppi armati che dalle BR si staccarono (Partito Comunista Combattente, Unità Comuniste Combattenti, "Partito Guerriglia", Colonna Walter Alasia).

La denominazione "Brigate Rosse" è ricomparsa, dopo anni di assenza, nel 1999, per rivendicare nuovi cruenti attentati nel periodo 1999-2003. In un comunicato emesso nel 2003 dalla Procura della Repubblica di Bologna l'organizzazione veniva considerata ancora attiva con nuovi componenti.

Il coordinamento di un certo numero di collettivi autonomi, nell'autunno del 1969 a Milano, prese il nome di Collettivo Politico Metropolitano (CPM), un movimento che raccoglieva tutte le idee in fermento della nuova sinistra di quel periodo. Il CPM raccolse decine di collettivi eterogenei composti da operai, cantanti, grafici, insegnanti, tecnici, attori e musicisti e lavorò sotto forma di centro politico-ricreativo-culturale fino al dicembre del '69, quando per le mutate condizioni politiche (la tensione generale dovuta alla strage di piazza Fontana) cessò l'attività e diede vita all'organizzazione extraparlamentare Sinistra Proletaria.

Tale organizzazione esprimeva alcune delle posizioni teoriche che saranno alla base della piattaforma ideologica brigatista: l'occupazione statunitense dell'Italia tramite le multinazionali si esprimeva con la collocazione al potere di una classe dirigente immutabile e non eliminabile per via pacifica tramite le elezioni. Sinistra Proletaria sarà l'organizzazione di riferimento per alcuni gruppi di operai e tecnici di due grossi stabilimenti produttivi milanesi, la Sit-Siemens e la Pirelli.

Ad essi si affiancarono studenti di diversa estrazione e sotto-proletari dei quartieri popolari di Milano (in particolare il Lorenteggio, Quarto Oggiaro e il Giambellino).Milano, quartiere del Lorenteggio, nella primavera del '70 appaiono dei volantini firmati Brigate Rosse, vi è disegnata una simmetrica stella a cinque punte; è nato un progetto di guerra civile, ma l'opinione pubblica non se ne accorge. Eppure il testo è esplicito: «L'autunno rosso è già cominciato, una scadenza di lotta decisiva nello scontro di potere Contro le istituzioni che amministrano il nostro sfruttamento  la parte più decisa e cosciente del proletariato in lotta ha già cominciato a combattere per costruire una nuova legalità, un nuovo potere ne sono esempi l'occupazione e la difesa delle case occupate come unico modo di avere finalmente la casa e l'apparizione di organizzazioni operaie autonome che indicano i primi momenti di autorganizzazione proletaria per combattere i padroni e i loro servi sul loro terreno, alla pari, con gli stessi mezzi che usano contro la classe operaia: diretti, selettivi, coperti». Non ci si allarma nemmeno il 14 Agosto, quando nello stabilimento della Sit-Siemens apparve un pacco di volantini ciclostilati il cui contenuto, aspro e provocatorio, illustrava delle situazioni aziendali mischiandole con insulti feroci rivolti a «dirigenti bastardi» e «capi reparto aguzzini». Otto giorni più tardi le Br si fanno ancora vive: un motociclista passando davanti allo stabilimento della Sit-Siemens lancia un centinaio di volantini, contenenti nomi, cognomi e indirizzi di dirigenti ed operai dell'azienda accusati di avere legami col padrone; questa volta l'invito ad agire era perentorio, le persone citate nel volantino «devono essere colpite dalla vendetta proletaria». Come racconta P. Peci: «il progetto, detto in due parole, era questo: prima fase, la propaganda armata. Bisognava far capire che in Italia c'era bisogno della lotta armata e che l'organizzazione era lì per farla. Infatti nei primi tempi il problema non era che si parlasse bene delle Brigate Rosse, ma che se ne parlasse. Seconda fase, quella dell'appoggio armato. Un numero sempre maggiore di persone, capito che l'unico sistema di cambiare era la lotta armata, si sarebbe unito a noi. Terza fase, la guerra civile e la vittoria». Alle parole ben presto seguirono i fatti. Il 17 Settembre in Via Moretto da Brescia a Milano, una rudimentale bomba incendiò il box dove teneva la macchina Giuseppe Leoni, direttore centrale del personale alla Sit-Siemens. Come racconta Franceschini, uno degli autori materiali dell'attentato: «scegliemmo lui perché i compagni della fabbrica avevano sempre quel nome sulle labbra. Ed era anche un democristiano, quindi un nemico naturale». L'azione venne rivendicata lasciando sul posto due strisce di carta con la scritta "Brigate Rosse", e qualche tempo più tardi con dei volantini lasciati nei bagni della fabbrica sui quali si leggevano anche altri nomi da colpire. Scenario assai simile si verificò alla Pirelli: prima apparvero dei volantini con una "lista di prescrizione", poi, il 27 Novembre, venne data alle fiamme l'auto di Ermanno Pellegrini, capo dei servizi di vigilanza dello stabilimento. La direzione reagì licenziando un ignaro operaio, tal Della Torre, ma di nuovo le Br ribatterono incendiando anche l'auto al capo del personale, e nel rivendicare questa azione misero in risalto l'inumanità del licenziamento, da parte della dirigenza Pirelli, di un "padre di famiglia e comandante partigiano". Questi primi episodi sono importanti, poiché delineano il contesto ideologico e operativo che era all'origine delle prime Br. E anche se al momento non ebbero alcuna eco - se non in fabbrica - poiché sembravano rientrare nella tensione che dopo l'autunno caldo accompagnò varie vertenze sindacali, esse dettero avvio alla fase della c.d. "propaganda". Come affermato dallo stesso Moretti: «le prime azioni delle Br non differivano molto dalle forme di lotta usate comunemente degli operai, quello che c'era di nuovo e dirompente però stava nel fatto che gli attentati venivano rivendicati, e la cosa cambiava radicalmente lo scenario, perché non è più la sporadica azione di un "arrabbiato", ma ci si trova di fronte ad un gruppo che si è organizzato». Le Br insistettero con attentati ed intimidazioni, la tattica per molto tempo non cambiò. Quel nome e quel simbolo vennero però alla ribalta sui mass media agli inizi del '71, e precisamente dopo che nella notte del 25 gennaio vennero collocate 8 bombe incendiarie sotto altrettanti autotreni fermi sulla pista di prova dello stabilimento Pirelli di Lainate (Milano), e tre degli 8 ordigni esplosero causando danni ingenti Questa volta la stampa nazionale dette rilievo all'accaduto, le Brigate Rosse sui giornali divennero sedicenti ed furono per la prima volta oggetto di un'indagine "più attenta" da parte della Polizia, tanto che, come affermato dall'allora Pubblico Ministero al tribunale di Milano Guido Viola: «le indagini portarono all'individuazione di alcuni responsabili tra i membri del CPM, tra i quali Curcio e Franceschini». A questo punto si inserisce la prima storia 'curiosa'. All'interno della Pirelli le prime Br hanno un fiancheggiatore "Raffaele", sindacalista e membro del consiglio di fabbrica. Stando al racconto dei terroristi fu proprio "Raffaele" a fornire tutte le indicazioni necessarie per l'attentato agli autotreni. All'improvviso però la collaborazione del brigatista irregolare "Raffaele" con le Br si interruppe bruscamente, a tal punto che le Br avevano perfino pensato di giustiziarlo; cos'era accaduto? Che Franceschini e soci avevano scoperto che in realtà egli era un confidente dell'Ufficio politico della Questura di Milano (cioè di quella che sarà poi la Digos). Insomma, le forze dell'ordine sapevano tutto ma...lasciavano fare. Parallelamente agli attentati, che si susseguivano regolarmente colpendo - come scrivevano gli stessi brigatisti nei loro ciclostilati - "capi, capetti e fascisti servi del padrone", le Br intensificarono la loro elaborazione di testi e volantini: analisi sempre più specifiche e dettagliate delle varie situazioni nelle fabbriche e nei quartieri popolari milanesi come Quarto Oggiaro divennero un appuntamento ricorrente per gli operai. Ricorda Franceschini che «allora potevamo andare tranquillamente e frequentare i compagni del Movimento. Andavo regolarmente sui marciapiedi della Pirelli per discutere con gli operai, Curcio lo facevano entrare alla FIAT con la tessera di un compagno il 25 Aprile del '72 a Lorenteggio tenemmo addirittura un comizio in piazza, armati, assieme a quelli di Pot. Op. C'era la solita "pantera" della Polizia, ma non ci degnarono della minima attenzione». Il 3 Marzo 1972 è una data da ricordare per un'altra azione, questa volta nel mirino dei brigatisti finì una persona, l'ing. Idalgo Macchiarini, dirigente alla Sit-Siemens. Le Br lo rapiscono per circa mezz'ora, periodo durante il quale il prigioniero venne fotografato con alcune pistole puntate ed un cartello con su scritto: «Brigate Rosse - Mordi e fuggi - Niente resterà impunito - Colpiscine uno per educarne cento - Tutto il potere al popolo armato». Il legame sentito, e volutamente manifestato, con i gruppi partigiani si palesò di nuovo quando alcuni giorni dopo la liberazione di Macchiarini le Br gli fecero recapitare l'orologio che egli aveva perso nel tentativo di divincolarsi, proprio come anni prima aveva fatto la Volante Rossa. Il clima generale nel paese rimase rovente durante tutto il 1972. L'11 Marzo a Milano, in una delle più violente manifestazioni di piazza che si ricordino, la città venne tenuta in stato d'assedio per delle ore, ed un attacco a base di bottiglie molotov venne scatenato contro il Corriere della Sera, considerato come perno del sistema borghese. Pochi giorni più tardi, il 15 Marzo, il cadavere di Giangiacomo Feltrinelli venne trovato da un contadino sotto un traliccio dell'alta tensione a Segrate, vicino Milano, con accanto alcune cariche di esplosivo ancora innescate; la morte dell'editore guerrigliero spezzò un altro lembo del tessuto di collaborazione tra democratici e movimentisti, interi segmenti di base delle formazioni extraparlamentari iniziarono una discussione sulla necessità della lotta armata. Dopo la morte di "Osvaldo", una parte dei militanti dei GAP confluì nelle Brigate Rosse, e lo stesso pensiero politico delle Br sembrò subire un'improvvisa e profonda accelerazione, una sterzata sicuramente influenzata anche dal clima repressivo in corso e dall'impressione suscitata dal "colpo di stato informale" avvenuto in Francia ad opera di De Gaulle. L'errore di fondo - poi riconosciuto a distanza di anni dagli stessi protagonisti - fu quello di credere che tutto il proletariato, come classe, sentisse quel clima repressivo nella stessa misura in cui lo sentivano gli ambienti della sinistra rivoluzionaria, che della repressione era il principale, costante obiettivo; un'analisi tutta ideologica che fece forse abbandonare alle Br la teorizzazione dei "tempi lunghi". Si noti come tra la fine del '72 e l'inizio del '73 intorno alle Br e al problema dello "spontaneismo armato" si accesero molte discussioni, ma non c'è dubbio che attorno al gruppo di Curcio si formò un'aura di romanticismo e diffusa simpatia, tanto da farli appellare da più parti come i "Robin Hood della classe operaia". Colpiva i militanti, ma anche settori operai di base, la loro competenza sui problemi della fabbrica, il loro fare «inchieste operaie» con metodi rapidi ed efficaci, l'uso limitato della violenza (fino al 1976 le Br non compiranno nessuna azione mortale, fatta salva l'uccisione di due fascisti a Padova in quello che loro stessi definirono un «incidente sul lavoro»), un linguaggio non ancora reso criptico dall'ideologia. Non stupisce più di tanto, quindi, che la base operaia accolse con divertita ironia la diffusione dei verbali dell'interrogatorio fatto ad Ettore Amerio, capo del personale alla FIAT di Torino, rapito e rilasciato a distanza di poche ore dalle Br, e nella più totale indifferenza lasciò il sindacalista Labate (della CISNAL, sindacato vicino al MSI) incatenato a un palo di fronte a Mirafiori, dove le stesse Br lo avevano lasciato dopo il suo sequestro, fino all'arrivo della Polizia. Come ha affermato Moretti nel suo libro: «sentivamo attorno non soltanto simpatia ma disponibilità». Ma nell'organizzazione di Curcio, Moretti e Franceschini era riuscita ad infiltrarsi, quasi da subito, una spia della DIGOS: Marco Pisetta, conosciuto da Curcio ai tempi dell'università a Trento e divenuto un habitué del movimento essendosi costruito un personaggio da ultra sinistra; grazie al suo arresto (il suo memoriale, che sosterrà essergli stato ispirato direttamente da uomini dei servizi segreti, fornirà una prima e importante fonte, anche cronologica, di dati sulla nascita della Br) il 2 Maggio '72 venne individuata la principale base milanese delle Br, in Via Boiardo. Pisetta fece nomi, date e località dell'attività brigatista, e nel covo vennero ritrovati archivi importanti, alcune armi e il passaporto di Feltrinelli; con facili appostamenti la Polizia arrestò 30 persone, la quasi totalità dei brigatisti. Moretti e Franceschini sfuggirono quasi per caso all'arresto; in quel momento i militanti "regolari" rimasti ancora in libertà erano appena dieci. Franceschini, a distanza di anni, ripensando all'accaduto dirà: «Quello di cui sono certo è questo: se volevano distruggerci, e distruggere l'esperienza delle Br, lo potevano fare già nel 1972. Quell'anno ci furono numerosi arresti, e se volevano ci potevano prendere tutti. Ma questo non è accaduto ». Curcio e compagni si resero conto che non era più possibile "giocare alla guerriglia", bisognava perfezionare la clandestinità, filtrare più severamente le nuove reclute per proteggere il gruppo dalle infiltrazioni, riorganizzare le Br abbandonando del tutto la c.d. semilegalità. Le forze superstiti si divisero, Franceschini e Mara Cagol si spostarono da Milano a Torino, ove i compagni della FIAT «ci fecero sapere con un lungo giro che intendevano mettersi in contatto con noi» e formarono la prima Colonna in Piemonte. Venne costituito il primo esecutivo formato da Moretti, Curcio, Franceschini e Morlacchi, e l'impostazione della nuova fase delle Br fu presentata in un documento affermando che: «La clandestinità è una condizione indispensabile per la sopravvivenza di un'organizzazione politico-militare offensiva che operi all'interno delle metropoli imperialiste oltre alla clandestinità assoluta, si presenta nella nostra esperienza una seconda condizione, in cui il militante, pur appartenendo all'organizzazione, opera all'interno del movimento ed è costretto ad apparire ed agire nelle forme politiche che il movimento assume nella legalità». Ad ogni modo, i brigatisti in quel momento sono pochi di numero, una pulce saltata sul toro infuriato del movimento operaio; ma recitavano una parte non troppo diversa da quella del sindacato: il sindacato cavalca lo spontaneismo operaio nel tentativo di incanalarlo nel riformismo, le Br nel tentativo di trasformarlo in lotta armata. Sul piano logistico, dopo gli arresti del '72 le Br si strutturarono dunque secondo criteri del tutto nuovi; a tale fine l'organizzazione - con i proventi delle rapine - acquistò vari immobili e li attrezzò come basi, intorno alle quali ruotava un numero limitato di persone incaricate di studiare le diverse realtà locali e raccogliere materiale informativo (fare le indagini, come le chiamavano i brigatisti), per elaborare le azioni. Accanto alle "Colonne" (organismi a carattere territoriale, articolate su varie "Brigate" e di cui facevano parte solo brigatisti regolari), si costituirono i "Fronti", con l'obbiettivo di centralizzare politicamente i vari settori di intervento. Si formarono anzi tutto il "Fronte logistico" (con specifica competenza in materia di reperimento di armi, basi, targhe automobilistiche, e di falsificazione di documenti) «al massimo erano composti da 5 persone, quasi completamente "irregolari"», e il "Fronte delle fabbriche"; tutto era nelle mani del nuovo organismo centrale, il già citato "Comitato Esecutivo", cui venne attribuito il compito di dirigere e coordinare l'attività dei fronti e delle colonne. «Per garantire la massima democraticità oltre all'esecutivo c'era un altro organismo che in pratica lo controlla, è la Direzione strategica, che si riuniva una massimo due volte l'anno e di cui facevano parte, più o meno, quasi tutti i brigatisti regolari». Nei primi 6 mesi del '73, il partito armato non portò a termine alcuna ulteriore azione, in quel periodo i brigatisti furono impegnati nella costituzione delle due colonne di Milano e Torino e nell'elaborazione del secondo documento teorico datato Gennaio '73 e pubblicato da Potere Operaio in Marzo. Il primo grande successo dal punto di vista pubblicitario le Brigate Rosse lo ottengono con il sequestro di Michele Mincuzzi il 28 Giugno dello stesso anno. Mincuzzi, dirigente dell'Alfa Romeo, è interrogato a lungo in un furgoncino e poi rilasciato ad Arese con addosso un cartello con su scritto: «Dirigente fascista dell'Alfa Romeo - processato dalle Brigate Rosse - niente resterà impunito - tutto il potere al popolo armato». Il Corriere della Sera uscì con un titolo a quattro colonne, l'Unità scrisse di una «banditesca organizzazione che agisce con metodi delinquenziali e il cui scopo è di alimentare la strategia della tensione». Ma un primo salto di qualità, una prima svolta evolutiva, per quello che riguarda le azioni, le Brigate Rosse la ebbero con il rapimento di Ettore Amerio, azione questa che si inserì perfettamente nell'ambito del clima di tensione comportato dalla "crisi energetica" di quell'anno e, soprattutto, in relazione ai licenziamenti fatti dalla FIAT «alla spicciolata ne butta fuori seicento», come ebbe a dire anni dopo Giorgio Semeria intervistato da G. Bocca. L'evoluzione stava nel fatto che per la prima volta le Br tennero in scacco le forze dell'ordine per otto giorni, periodo durante il quale non solo riuscirono a nascondere il cavalier Amerio, ma svolsero anche un'intensa attività di propaganda a Torino, Genova (dove attorno all'operaio Rocco Micaletto si era costituita una nuova colonna) all'Ansaldo e a Milano. Nel capoluogo lombardo, ai cancelli della Sit-Siemens, e a Porto Marghera, davanti a quelli del petrolchimico, vennero addirittura collocate due auto con altoparlanti che diffondevano comunicati brigatisti accompagnati dai canti dell'Internazionale e di Bandiera rossa. Franceschini in merito dice: «Il sequestro Amerio fu un successo, le richieste di incontrarsi con noi aumentarono, le brigate di fabbrica divennero nuclei sempre più vivi. Si rivolsero a noi anche compagni comunisti da sempre, quadri di base del PCI e del sindacato. Il partito si accorse finalmente che la sigla Br non poteva più essere presentata come quella di nemici della classe operaia  sapeva bene chi eravamo, che la maggioranza di noi proveniva dalle sue file». È da considerarsi anche il fatto che - come sostenuto da G. Galli - con il congresso di Rosolina (31 Maggio - 3 Giugno '73), Potere operaio si sciolse, e un notevole numero di suoi militanti affluì nelle Br; l'avvio di questo processo può spiegare l'ampiezza delle iniziative assunte in occasione del rapimento Amerio. Riassumendo, la situazione alla fine del 1973 era la seguente:

Le Br avevano agito con azioni dimostrative e di propaganda senza spargimenti di sangue; le azioni nelle fabbriche furono fittissime e funzionavano con l'appoggio, magari solo in termini di simpatia, di moltissimi operai. Erano realizzate secondo una logica da lotta operaia contro il padrone, e la lotta di massa non veniva mortificata e spazzata dalla lotta armata, ma irrobustita e, in qualche modo, esaltata.
Le forze di sicurezza erano attive, ma caute ritenendo di avere la situazione sotto controllo. E la situazione era veramente sotto controllo, infatti anche se dopo il confidente "Raffaele", anche il primo vero infiltrato era stato "bruciato", all'interno delle Br c'era sicuramente almeno un altro infiltrato, nome di battaglia "Rocco", di cui avremo occasione di parlare in seguito.
La sinistra extraparlamentare 'legale' presenta i militanti coinvolti nella lotta armata come delinquenti strumentalizzati, ma di fatto tollera l'intreccio tra illegalità diffusa e organizzazione clandestina.



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