lunedì 6 aprile 2015

IL REGNO LOMBARDO VENETO

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Il nome di Regno Lombardo-Veneto fu istituito dall'Impero Asburgico il 7 aprile 1815 nelle aree riunite della Lombardia e del Veneto, ricevute grazie alle decisioni del Congresso di Vienna. In precedenza e per secoli, la Lombardia era stata divisa fra lo Stato di Milano e la Repubblica di Venezia (più la Valtellina appartenente ai Grigioni), mentre il Veneto (che comprendeva anche il Friuli) era interamente compreso nei territori della Repubblica di Venezia.

Lombardia e Veneto divennero così le due parti di una nuova entità statale bicefala, in quanto all'interno non mancavano differenti aspetti amministrativi per motivi di eredità storica tra la radicata società veneta di stampo repubblicano e la patriziale Milano di stampo monarchico.

Il nome venne scelto ad esito di un, non breve, dibattito. Gli austriaci (o i loro alleati) non vollero conservare il nome scelto da Napoleone, Regno d'Italia. Vi sono evidenze che si prese in considerazione la dizione Ost und West Italien (Italia orientale ed occidentale), e perfino Österreichische Italien (Italia austriaca). Vennero infine scartate dizioni eccessivamente legate ad una delle due capitali o regioni: d’altra parte, Milano e le Venezie non erano mai state unite sotto un unico governo sin dall'arrivo dei Longobardi. Non esisteva quindi alcun termine per definire unitariamente i due territori. Si preferì quindi pronunciarle entrambe, con l'intento di stimolare un senso di avvicinamento che rendesse possibile un futuro unitario tra le popolazioni lombarde e quelle venete, ed anche per ridurre il senso di appartenenza storica delle stesse. La difficile onomastica segnalava bene, tuttavia, l'artificiosità della nuova creazione amministrativa.

Il 20 agosto 1813 l’Austria dichiarò guerra a Napoleone, reduce dalla disastrosa campagna di Russia ed abbandonato dai Prussiani. Essa costituì un'armata per invadere l'Italia affidata al feldmaresciallo Heinrich Bellegarde, che fu sconfitto dall'esercito del Regno d'Italia del Viceré Eugenio di Beauharnais sul Mincio l’8 febbraio 1814.

Nei due mesi successivi la posizione di Beauharnais peggiorò però sensibilmente, a causa del passaggio del Regno di Napoli di Gioacchino Murat all'alleanza con l'Austria l'11 gennaio, del successo della parallela offensiva austro-prussiana sulla Francia che portò il 31 marzo all'occupazione di Parigi e il 6 aprile all'abdicazione di Napoleone, e di una congiura anti-francese a Milano, sostenuta dalla meglio nobiltà milanese, che sfociò il 20 aprile nel saccheggio del Senato e nel massacro del ministro Giuseppe Prina: fu così che il 23 aprile il Viceré dovette firmare a Mantova la capitolazione. Il 26 aprile il commissario austriaco Annibale Sommariva prendeva possesso della Lombardia a nome del feldmaresciallo Bellegarde, e il 28 aprile Milano veniva occupata da 17.000 soldati austriaci.

Il 25 maggio Bellegarde sciolse la Reggenza del Regno d'Italia, che cessava di esistere, ed assunse i poteri come Commissario plenipotenziario delle province austriache in Italia per il nuovo sovrano, l’Imperatore Francesco I d'Asburgo. Il 12 giugno assunse la carica di Governatore generale in conseguenza dell'annessione della Lombardia già milanese all'Impero, proclamata il giorno stesso.

La caduta di Napoleone avrebbe dovuto, nei piani delle Potenze vincitrici, riportare l'Europa a quella che era prima del 1789, sennonché la profondità dei cambiamenti portati dalla conquista francese, unita ad alcuni vantaggi territoriali che qua e là le antiche dinastie avevano ottenuto negli ultimi cinque lustri, consigliarono l'apertura a Vienna di un Congresso per la risistemazione dell'Europa.

L’Austria poteva riannettere sotto il suo governo diretto territori che le appartenevano da lunga data per dominio diretto, cioè Trento, Trieste e Gorizia, o indiretto, come l'antico Ducato di Milano (Milano, Como, Cremona, Lodi, Pavia) e il connesso Ducato di Mantova - annessione sancita giuridicamente il 12 giugno da un proclama di Bellegarde, ripetitivo di una sanzione imperiale del giorno 7 - ma, differentemente, l'antica Repubblica di Venezia, per la quale l'unico diritto risaliva al disconosciuto Trattato di Campoformio (1797), non poteva avere medesima sorte: lì l'annessione allo stato austriaco era legittimata unicamente dall’accordo delle potenze vincitrici al Congresso di Vienna, che fu ottenuto solo a fronte della rinuncia ai diritti dinastici degli Asburgo sui Paesi Bassi cattolici (l'attuale Belgio). Per comprendere l'utilità per Vienna dello scambio, basti ricordare il classico argomento del Carlo Cattaneo, il quale sempre sostenne che dal Lombardo-Veneto Vienna traeva «un terzo delle gravezze dell'impero, benché facessero solo un ottavo della popolazione». Ben sintetizzò la situazione Giuseppe Martini: «Apertesi le trattative intorno alle cose d'Italia, e volendo quivi, siccome ne faceva pubblica promessa il congresso viennese, incominciare le sue decisioni da un grande atto di giustizia, statuì che l'Austria rientrerebbe in possesso di Milano e di Mantova; acquisterebbe altresì gli Stati veneti di terraferma con la giunta di alcuni territorii che, per antichi accordi fra i potentati italiani, appartennero un tempo agli Stati di Parma e di Ferrara; acquisterebbe ancora, non solo le terre della Valtellina con le contee di Bormio e di Chiavenna, siti molto opportuni a sopravvedere dappresso le cose della Svizzera, ed in caso di bisogno, introdurvi dissensioni, ma più lungi, in fondo alla Dalmazia, quelle che una volta componevano la repubblica di Ragusi».

I territori già veneti sulla costa orientale adriatica furono dunque aggregati direttamente all'Austria, ma Milano e Venezia erano tradizionalmente legittimate, per antica consuetudine, a godere di governi autonomi (anche se, nel caso di Milano, sotto sovrano straniero). Occorreva quindi riorganizzare tali territori in una entità amministrativa apparentemente autonoma, anche se unita all’Austria dalla persona del sovrano. La soluzione scelta fu di creare un unico Regno con una capitale e due governi, cui venne dato il nome di Regno Lombardo-Veneto.

Il 7 aprile 1815 veniva annunciata la costituzione degli Stati austriaci in Italia in un nuovo Regno del Lombardo-Veneto. Esso veniva costituito in base al Trattato di Vienna aggregando i territori dei soppressi Ducato di Milano, Ducato di Mantova, Dogado e Domini di Terraferma della Repubblica di Venezia, oltre alla Valtellina già parte della Repubblica delle Tre Leghe, e all'Oltrepò ferrarese già pontificio, mentre lo Stato da Màr, già sottoposto alla Serenissima, ne fu invece escluso incorporandolo direttamente ai territori dell'Impero.

Il Regno fu affidato a Francesco I d'Asburgo-Lorena, Imperatore d'Austria e re del Lombardo-Veneto. Il re e imperatore avrebbe governato attraverso un Viceré, con residenza a Milano e a Venezia, nella persona dell’Arciduca Ranieri, nato in Toscana e fratello minore dell'imperatore.

Lombardia e Veneto, separate dal Mincio, ebbero ciascuna un proprio Consiglio di Governo, affidato ad un Governatore, e distinti organismi amministrativi detti Congregazioni Centrali, alle cui dipendenze stavano le amministrazioni locali, tra cui le Congregazioni Provinciali e le Congregazioni Municipali.

Le competenze del Governatore, attraverso il Consiglio di Governo, erano assai ampie e riguardavano: censura, amministrazione generale del censo e delle imposizioni dirette, direzione delle scuole, lavori pubblici, nomine e controllo delle Congregazioni Provinciali. Oltre, naturalmente, al comando dell’esercito imperiale stanziato nel Regno, che, negli anni successivi si sarebbe occupato soprattutto di garantire l’ordine pubblico.

L’amministrazione finanziaria e di polizia, infine, era sottratta al Consiglio di Governo ed attribuita direttamente al governo Imperiale a Vienna, che agiva attraverso un Magistrato camerale (Monte di Lombardia, zecca, lotto, intendenza di finanza, cassa centrale, fabbricazione di tabacchi ed esplosivi, uffici delle tasse e dei bolli, stamperia reale, ispettorato dei boschi e agenzia dei sali), un Ufficio della Contabilità, una Direzione generale della Polizia.

Considerata la eccezionale centralizzazione del potere nelle mani del Governatore, nominato da Vienna, e del governo imperiale, ben si comprende come il ruolo del Viceré fosse assai marginale, ridotto a mera rappresentanza. A tal fine egli manteneva splendidi palazzi, ove teneva corte.

Tutte le alte cariche del Regno erano naturalmente di nomina regia, mai elettive. È questo uno dei motivi per cui esse erano in gran parte affidate ad austro-tedeschi; tutti austro-tedeschi furono i governatori, la grandissima parte degli ufficiali stanziati in Italia (mentre la truppa rispecchiava l’eterogenea composizione delle popolazioni dell’impero) e il Viceré: i forestieri godevano, quindi, del controllo quasi assoluto sulla vita del Regno. Famoso, a tal proposito, un colloquio del 1832 fra il nobile lombardo Paolo de' Capitani e Metternich: "Che necessità c'è di far occupare ogni posto notevole da Tirolesi e da sudditi di altre province?".

Questa situazione si presentava molto diversa dall'epoca di Maria Teresa d'Austria, quando invece si era cercato di far compenetrare molto di più austriaci ed italiani nell'amministrazione dei domini di possesso imperiale, legando simultaneamente la nazione alla corona dell'Imperatrice. Ovviamente questa era la linea che inizialmente si era proposta la commissione del Congresso di Vienna del 1815, anche se le condizioni cambiarono repentinamente già dai moti del 1820-21. Queste rivolte, infatti, avevano portato gli austriaci a ridurre la loro stima nei confronti degli italiani e per questo molte cariche erano state loro precluse per rappresaglia.

Per completare il quadro, il 1º gennaio 1816 entrarono in vigore i codici civile e penale austriaci, cosa che azzerò ogni possibilità di intervento italiano, sia pur attraverso il Consiglio di Governo.

Al patriziato locale italiano non restava quindi che il governo delle Congregazioni Provinciali e Municipali, cioè posizioni assolutamente secondarie. Le Congregazioni Municipali, ad esempio, curavano solamente la manutenzione di edifici comunali, chiese parrocchiali e strade interne, gli stipendi dei propri dipendenti e della polizia locale.

Come ricompensa ulteriore, seguendo il modello caro a Luigi XIV di Francia, il patriziato (in particolare lombardo) viveva di feste ed eventi mondani che si tenevano al Palazzo Reale, ed i rappresentanti dell'aristocrazia venivano sommersi di cariche (anche se di secondo piano) e di onorificenze, per essere legati sempre più all'amministrazione austriaca.

Sempre agli italiani era inoltre riservata la direzione dei teatri più importanti del Regno come quello alla Scala di Milano o La Fenice di Venezia. La sapiente direzione di questi importanti mezzi di comunicazione per l'epoca e la complicità dei direttori, permisero indirettamente e direttamente il passaggio anche dei messaggi che furono fondamento dei moti patriottici per la liberazione d'Italia, che videro impegnato primo tra tutti Giuseppe Verdi che non a caso fece rappresentare alcune delle proprie opere a Milano ed a Venezia. A teatro l'aristocrazia sfogava la propria impossibilità di farsi notare al governo con l'acquisto dei posti più in vista e dei palchi più ricercati in prossimità delle autorità.

Puntando sull'orgoglio degli italiani, va anche detto che il governo austriaco fece di tutto per rivalutare il passato glorioso delle tradizioni dell'area lombardo-veneta e fu così che ad esempio la Corona Ferrea venne mantenuta (seguendo l'esempio già avviato da Napoleone Bonaparte nel suo Regno d'Italia) quale simbolo della regalità nel Regno Lombardo-Veneto e prescelta quale corona ufficiale per le incoronazioni di ogni nuovo sovrano al titolo di Sovrano, incoronazioni che si svolgevano nel Duomo di Milano. Per commemorare l'importanza di queste glorie, venne istituito inoltre il mantenimento dell'Ordine napoleonico della Corona Ferrea, che venne concesso in prevalenza ad italiani per ricompensarli delle loro benemerenze verso l'amministrazione austriaca.

Subito dopo la proclamazione del regno, i sudditi lombardi e veneti si accorsero subito di come l’interezza del potere fosse affidato al governo viennese, sotto predominio austro-tedesco.

I "tedeschi" erano onnipresenti e sottraevano al patriziato e agli intellettuali lombardi e veneti grandi spazi che, in un regno realmente autonomo, sarebbero spettati loro.

Non solo: si trattava di un drastico peggioramento rispetto al Regno d'Italia, il quale era, sì, retto da un re (Napoleone) e da un viceré (Eugenio) francesi, che ne avevano fatto un protettorato di Parigi, ma godeva di un'amministrazione autonoma e quasi totalmente nazionale, come pure di un esercito nazionale, ove numerosi erano gli ufficiali lombardi e veneti.

In definitiva, sembrava ai più che il governo austriaco, ancorché efficiente, non rispettasse i diritti tradizionali della Lombardia e di Venezia e che, quindi, non godesse di alcuna legittimità. Né, com'è evidente, v’era la minima possibilità che tale legittimità venisse recuperata attraverso un processo costituzionale.

Queste considerazioni furono alla base della perenne instabilità politica in cui visse il Regno, almeno sin dal 1820, nonché della grande disponibilità delle élite e delle popolazioni a sostenere le guerre di indipendenza.

Il 22-23 marzo 1848 al termine delle Cinque giornate di Milano, gli Austriaci vennero cacciati da Milano e da Venezia. I due Consigli di Governo furono sostituiti dall'auto-proclamato Governo provvisorio di Milano e dalla restaurata Repubblica di San Marco.

Il 9 agosto 1848 con l'Armistizio di Salasco, seguito alla vittoria austriaca del 24-25 luglio a Custoza sulle truppe piemontesi, terminò la prima fase della prima guerra di indipendenza: Milano venne rioccupata ed il Governo Provvisorio di Lombardia viene sciolto. Il 22-23 marzo 1849 Carlo Alberto venne di nuovo sconfitto a Novara e abdicò in favore di Vittorio Emanuele II. Il successivo 24 agosto, dopo un lungo assedio, Venezia si arrese agli Austriaci.

Il Regno Lombardo-Veneto sopravvisse formalmente alla perdita della Lombardia (con l'eccezione di Mantova, come stabilito dai termini della Pace di Zurigo) al termine della Seconda guerra di indipendenza nel 1859 che ebbe come conflitto decisivo la Battaglia di Solferino e San Martino, per poi scomparire definitivamente nel 1866, al termine della Terza guerra di indipendenza quando il Veneto venne ceduto al Regno d'Italia dopo la Guerra delle sette settimane, con il trattato di Praga.

L'economia del Regno Lombardo-Veneto dalla sua fondazione è stata sommariamente imperniata attorno all'agricoltura, la quale ha sempre rivestito un ruolo fondamentale soprattutto nella Lombardia dell'Oltrepò. Le coltivazioni essenziali, che consentivano il sostentamento dello Stato e le esportazioni, consistevano in frumento, orzo, segale e soprattutto riso.

Nella stessa città di Milano, inoltre, era molto attivo il commercio legato alle grandi industrie produttive e manifatturiere comprese i calzaturifici e le fonderie di metalli. A Venezia era invece assai diffusa la pesca e le attività di produzione delle navi in quanto la città, assieme a Trieste, rappresentava il porto principale dell'Impero Austriaco e l'unico grande sbocco verso il Mar Mediterraneo.

Dagli studi condotti già all'epoca, apprendiamo che il Regno Lombardo-Veneto si trovava all'avanguardia anche nel campo dei trasporti e delle linee di comunicazione, in particolare se rapportato per l'epoca ad altri stati della Penisola.

Rilevanti erano stati gli sforzi compiuti per la realizzazione delle strade ferrate che tra Lombardia e Veneto coprivano una distanza notevole che poneva il grande stato di dipendenza austriaca secondo solo al Regno di Sardegna ove, grazie all'impulso del primo ministro Cavour tale opera evolutiva era iniziata alcuni anni prima.

La tratta ferroviaria Novara-Milano venne inaugurata nel maggio del 1859 dopo il frutto di lunghe trattative di collaborazione nei costi tra il Regno di Sardegna e la Lombardia, anche se meno di un mese dopo il milanese sarà conquistato da Vittorio Emanuele II con la Battaglia di Magenta che coinvolgerà direttamente questa ferrovia per l'invasione del territorio austriaco da parte dei piemontesi.

Altro mezzo di trasporto abbondantemente utilizzato nel regno Lombardo-Veneto (data anche la presenza di grandi corsi d'acqua) era il trasporto per mezzo di barche. Le corriere operavano regolarmente lungo il Naviglio Grande e gli altri navigli minori in Lombardia, collegando buona parte della periferia con la darsena di Milano, mentre a Venezia i traghetti collegavano le isole della laguna tra loro e con la costa illirica.

Il governo del Regno Lombardo-Veneto era strutturato secondo una precisa situazione gerarchica che comprendeva poche cariche effettive accentratrici del potere e molte cariche quasi puramente onorifiche.

Sovrano dello Stato era l'Imperatore d'Austria, che aveva il titolo di Re di Lombardia e delle Venezie, ma egli risiedendo a Vienna (capitale dell'intero Impero), governava attraverso un proprio sottoposto o Viceré, il quale come abbiamo detto aveva una rappresentanza solo formale in quanto egli risiedeva prevalentemente alla corte viennese. A reggere i rapporti tra governo centrale e Stato dipendente, erano due Governatori, rispettivamente uno per la Lombardia con sede a Milano ed uno per il Veneto con sede a Venezia. A ciascun governatore sottostava un Vicepresidente di governo il quale aveva funzione di operare in assenza del governatore, al quale seguiva un Imperial Regio Consigliere Aulico prescelto dall'Imperatore, col compito di vigilare sull'operato di governatore e vicepresidente di governo.

A queste prime cariche seguivano gli Imperial Regi Consiglieri di Governo che avevano il compito di coadiuvare il Governatore nell'amministrazione fisica dello Stato assegnatogli, ed erano solitamente nel numero di 9 per Lombardia e 9 per il Veneto. A questi facevano seguito gli Imperial Regi Segretari di Governo ed altre cariche minori di cancelleria ed amministrazione spicciola.

Seguivano quindi le Imperial Regie Delegazioni Provinciali che vantavano un delegato ed un vice-delegato per ogni provincia del regno, sia in Lombardia che in Veneto. Tali delegazioni raccoglievano di fatto le questioni dei comuni minori e le portavano a conoscenza del governo.

L'unione fra le due regioni del regno era assai labile, e così l'amministrazione reale del territorio fu affidata a due distinti Consigli di Governo facenti capo ai due Governatori. Le classi agiate erano rappresentate nelle due Congregazioni Centrali, nominate dai Governi su proposta delle stesse, che erano composte da un nobile e un possidente per ogni provincia, un borghese per ogni città, e il governatore quale membro e presidente di diritto.

I due Governi della Lombardia e del Veneto erano suddivisi in diciassette Province. Ciascuna Provincia era retta da una Delegazione Provinciale, istituita per la prima volta il 1º febbraio 1816 e al cui capo era posto un Regio Delegato, che sostituiva il prefetto napoleonico. In ogni Provincia era inoltre presente una Congregazione Provinciale composta per metà da nobili e per metà da possidenti locali, nominati per sei anni dal Governo su proposta delle autorità locali. I deputati provinciali erano proposti al Governo dalla Congregazione Centrale la quale sceglieva sulla base di terne presentatele dalle Città e dalla stesse Congregazioni Provinciali uscenti. Le prime nomine nel 1815 furono fatte direttamente dall'imperatore, mentre in seguito per rinnovi parziali triennali. Le Congregazioni vennero sciolte durante il periodo di governo militare del regno fra il 1848 e il 1857. Le Congregazioni erano composte da quattro o sei o otto deputati provinciali, più un deputato per ogni città, più il Regio Delegato in qualità di componente e presidente di diritto.

Ogni Provincia era suddivisa in Distretti, di cui 127 in Lombardia e 91 nel Veneto. Ogni Distretto era suddiviso in Comuni, cellule di base dell'amministrazione pubblica. A secondo della loro popolazione, i Comuni potevano appartenere a tre classi differenti: i Comuni di I classe, cioè i capoluoghi controllati direttamente dalle Delegazioni Provinciali, avevano un Consiglio Comunale di non più di 60 membri; i Comuni di II classe, dotati di un Consiglio Comunale di almeno 30 membri, erano sottoposti ad un Cancelliere del Censo; i Comuni di III classe, i più piccoli, erano diretti dall'Assemblea dei proprietari che si riuniva una volta l'anno, alla presenza del Cancelliere del Censo, per nominare i funzionari e per approvare il bilancio e i tributi, mentre nella restante parte dell'anno venivano delegati tre proprietari per l'ordinaria amministrazione.

All'interno di tutte le forme di amministrazione del governo Lombardo-Veneto, vennero formalmente mantenute le divisioni tradizionali tra Lombardia e Veneto, a loro volta unitamente dipendenti dall'Impero d'Austria.

È altresì vero, però, che l'Imperatore nominava un suo rappresentante amministrativo e legale nei suoi territori italiani, il quale prendeva il nome di Viceré. È bene premettere che molti dei Viceré del Regno, anche se formalmente accettanti l'incarico, non risiedettero mai entro i confini del Lombardo-Veneto, preferendogli di gran lunga la corte austriaca e l'amministrazione imperiale. Ad ogni modo i Viceré avevano la loro sede formale al Palazzo Reale di Milano, il quale accoglieva gli appartamenti del Viceré che erano utilizzati come residenza ufficiale anche dall'Imperatore quando questi si trovava in visita nel Regno. La residenza di campagna era rappresentata dalla Villa Reale di Monza.

La preferenza di Milano su Venezia per la scelta di una residenza, era dovuta a due fattori fondamentali: innanzitutto essa era una città strategicamente importante per tutta l'area dell'Italia settentrionale e soprattutto l'aristocrazia patriziale milanese era molto più incline a vedere un sovrano che direttamente risiedeva entro i propri confini che non i repubblicani veneziani. Peraltro questa tradizione di residenza milanese, seguiva le orme di quanto aveva fatto già Maria Teresa d'Austria ponendo la sede dell'antico Ducato di Milano a Milano. Tale territorio era stato tradizionalmente austriaco da molto più tempo rispetto a quello veneto, che invece era giunto entro i possessi della real casa d'Austria a partire dal crollo della Repubblica di Venezia nel 1797 e che era andato consolidandosi effettivamente solo a partire dal Congresso di Vienna.

Il senato di giustizia del Regno Lombardo-Veneto dopo che lo stato venne costituito, venne aperto ufficialmente il 7 aprile 1815, con sede a Vienna, rimanendo nella capitale imperiale sino al 28 giugno 1816, ovvero sino a quando il comandante Bellegarde non poté assicurare l'indiscusso potere austriaco sull'area della Pianura Padana. Nelle sessioni di questa prima fase vennero trattati gli affari giudiziari relativi al Veneto ed alla Dalmazia.

A partire dal 30 giugno 1816 apprendiamo che l'Imperial Regio governo diede disposizioni perché a partire dal 1º agosto 1816 venisse attivato il Senato di Giustizia del Regno a favore dell'intero stato da poco costituito e come tale che riprendesse l'attività amministrativa e deliberativa direttamente sul territorio italiano. Esso aveva essenzialmente il compito di controllare che tutte le azioni di governo si svolgessero "secondo la legge stabilita". Tale organo era praticamente un grande tribunale, ovvero aveva il compito di avallare le condanne più gravi che poi dovevano essere sottoscritte dall'Imperatore, giudicando delitti come la lesa maestà, la sommossa generale, fino a comminare il carcere a vita o addirittura la pena di morte nei casi più gravi.

In base alla sovrana risoluzione dell'11 aprile 1829, apprendiamo che il senato era retto da un presidente e da dieci consiglieri aulici, sei austriaci, quattro italiani (solitamente due lombardi e due veneti).

Il Senato sopravvisse di fatti sino al 3 gennaio 1851 quando il Feldmaresciallo Radetzky, con parere favorevole dell'Imperatore, visti i recenti disordini che le rivoluzioni avevano portato soprattutto in Lombardia, ne decise la soppressione e i compiti amministrativi di sua precedente competenza vennero trasferiti al Ministero della Giustizia, quindi a Vienna, altro punto che gettò il Lombardo-Veneto nel malumore, sentendosi gli abitanti di queste regioni privati di un'importante pietra miliare: l'autonomia nella giustizia.

L'amministrazione della giustizia nel regno Lombardo-Veneto era suddivisa in tre gradi: Pretura e Tribunale, Tribunale d'appello e Supremo Tribunale di Giustizia. Ciascun capoluogo provinciale era sede di un tribunale di primo grado, mentre nei due centri regionali di Milano e Venezia erano presenti due corti d'appello. Al vertice del sistema si trovava il Senato, la Corte di Cassazione del Regno, che era stabilita a Verona, presso il Palazzo dei Capitani, a capo del quale venne posto il conte d'Oettingen-Wallerstein.

Circa la giustizia lombardo-veneto sovente gli storici hanno ravvisato incongruenze ed inesattezze tra i vari emendamenti legislativi pubblicati dal 1815 al 1859, il che si ritiene fosse alla base di fraintendimenti, disordini e dei consequenziali inasprimenti delle pene, soprattutto dopo i due periodi rivoluzionari della prima guerra di indipendenza. A differenza di altri domini austriaci in Italia come il Granducato di Toscana, nel Regno Lombardo-Veneto la pena di morte non era stata abolita e continuava ad essere comminata per lesa maestà, ribellione ed altri gravi reati.

In parallelo, altrettanto diffuso, era l'esilio o il carcere duro che la giustizia lombarda e veneta prescrisse in quegli anni in special modo per i cospiratori rivoluzionari ed i carbonari i quali erano presenti in gran numero su tutto il territorio. Vittime illustri di questa giustizia furono Silvio Pellico, Piero Maroncelli e Federico Confalonieri. Il carcere duro era rappresentato dalla Fortezza dello Spielberg presso Brno, in Repubblica Ceca, allora parte remota e sperduta dell'Impero austriaco.

Anche in questo passo, come si è visto, la giustizia austriaca si accaniva in particolare contro gli italiani, in quanto essa era amministrata dagli austriaci, il che penalizzava i giudizi a sfavore degli insorgenti.

Tutte le milizie armate non austriache, e perciò gestite da italiani soggetti all'amministrazione austriaca (come la guardia civica o polizia municipale), indossavano la caratteristica giubba verde, il che li fece soprannominare non senza un tocco di malizia "remolazz" ovvero "sedani", un termine che nel dialetto lombardo è usato tradizionalmente per indicare un individuo sciocco, uomo da poco, inesperto, ignorante. Evidenti sono gli intenti di odio ed insulto verso coloro che collaboravano con lo "straniero invasore".

L'esercito del Regno Lombardo-Veneto constava di nove reggimenti che rientravano all'interno del più vasto esercito imperiale.
Uno, il 22° (Trieste), apparteneva al Litorale austriaco.
Inoltre il Lombardo-Veneto forniva il personale che costituiva: i battaglioni cacciatori da campo (Feldjäger-Bataillone) N° 6, 11, 18 (lombardi), 8 e 25 (veneti), i reggimenti ulani (unità di cavalleria armate di lancia) N° 9, 11 (lombardi), 6 e 7 (veneti) ed il reggimento dragoni N° 8.

Contingenti lombardi e veneti erano altresì destinati a servire in tutte le altre unità combattenti e di servizio dell'armata imperiale: artiglieria da campagna (reggimenti N° 3, 6, 9 e 10), lanciarazzi (racchettieri) e artiglieria costiera, genio (battaglioni N° 1, 2, 6, 9, 10, 11) e pionieri (battaglioni N° 2, 6). Sudditi del Regno formavano gli equipaggi della flottiglia dei laghi italiani e del Danubio, oltre naturalmente che della marina da guerra: alle province di Treviso e di Venezia (distretti di leva del reggimento di linea N° 16) spettava infatti alimentare il Corpo Marinai, mentre alle province di Padova e di Rovigo per intero e Vicenza in parte (distretti di leva del reggimento N° 13) e a quelle di Udine e di Belluno (reggimento N° 26) spettava inviare i contingenti annui alla fanteria ed all'artiglieria di Marina. Nel territorio del Regno era reclutata anche la gendarmeria locale (Gendarmerie).

Una modifica alla ripartizione territoriale del 1856 venne introdotta tre anni dopo. Già con la chiamata di leva dell'anno di guerra 1859 (seconda guerra di Risorgimento italiano), le reclute prima assegnate ai reggimenti ulani N° 7 (veneto) e 9 (lombardo), che divennero ambedue galiziani, furono avviate ai reggimenti dragoni N° 1 e 3.
(Ordinanza circolare del 17 gennaio 1859)

Il Litorale Adriatico contribuiva, come si addice agli abitanti di una terra affacciata sul mare, ad alimentare la marina da guerra ed il corpo delle flottiglie, oltre a formare il 19º battaglione cacciatori, il reggimento corazzieri N° 5 e quello dragoni N° 4, l'artiglieria costiera, il 6º battaglione genio ecc.

Nel reggimento Cacciatori dell'Imperatore (Kaiserjaeger), reclutato tradizionalmente nelle regioni montane del Voralberg e del Tirolo, di cui faceva parte anche l'attuale Trentino, affluivano invece le reclute italiane che popolavano quella provincia.

Il battaglione era la pedina fondamentale per dosare le forze in funzione del compito da assolvere; in guerra contava 1336 uomini suddivisi in 6 compagnie; la compagnia contava 221 uomini (4 ufficiali, 2 sergenti maggiori "Feldwebel", 4 sergenti "Zugsführer", 8 caporali, 12 sotto-caporali "Gefreite" e 191 soldati semplici inclusi tamburini, trombettieri, zappatori, conducenti e attendenti).

Sul piede di guerra il reggimento era formato da 4 battaglioni operativi (uno di granatieri su 4 compagnie e tre di campagna su 6 compagnie), più il 4º battaglione di campagna, destinato di norma di presidio nelle guarnigioni, e quello di deposito su 4 compagnie, per un totale di 6886 uomini delle 32 compagnie, compreso lo stato maggiore di reggimento, a cui faceva parte la banda musicale che sempre seguiva il reggimento in campagna. Il carreggio, affidato ad un apposito sottufficiale denominato "Wagenmeister", era composto da 32 carri e 76 cavalli, inclusi la fucina da campo ed il carro ambulanza.
(Organisationsstatut für die k.k. Armee, 26 gennaio 1857)

La religione era forse l'argomento che più di ogni altro univa il Regno Lombardo-Veneto al suo interno e con l'Impero Austriaco, in quanto entrambe le nazioni avevano alla loro base una profonda fede cristiana e come tale il cattolicesimo era stato dichiarato religione di Stato.

A Venezia, permaneva un copioso nucleo ebraico con sede nel ghetto di Cannaregio. A Milano il cattolicesimo, ad ogni modo, aveva pesantemente risentito delle riforme apportate da Giuseppe II alla fine del Settecento, il quale aveva soppresso molti conventi e monasteri nel tentativo di incamerare i beni della chiesa nelle casse statali dell'allora Ducato di Milano. La nuova politica austriaca consistette quindi in una parziale e formale riconciliazione con la chiesa milanese, alla quale vennero concessi nuovi onori e privilegi da poter esercitare come ad esempio la presidenza spirituale dell'ordine cavalleresco lombardo-veneto della Corona Ferrea. Non mancarono ad ogni modo le pesanti pressioni d'influenza anche nell'ambito ecclesiastico appena dopo la costituzione del Regno: a Milano, ad esempio, nel 1818 venne eletto arcivescovo l'austriaco Karl Kajetan von Gaisruck che rimase in carica sino al 1846, governando la diocesi per una buona parte della vita del neonato regno lombardo-veneto.

Idioma ufficiale del Regno Lombardo-Veneto era l'italiano, lingua nella quale veniva impartita l'istruzione elementare, che era obbligatoria e gratuita per tutti i bambini del Regno.

La popolazione parlava abitualmente le lingue locali: lombardo, veneto, friulano e ladino. Presenti anche minoranze germanofone (cimbri, sappadioti) nelle province di Vicenza, Belluno, inoltre una minoranza parlava sloveno in provincia di Udine nella Slavia veneta.

Costituita nel 1797 dalla originaria marina veneziana, la "Marina da guerra austro-veneziana" ( österreichische-venezianische Kriegsmarine) usava ufficialmente la lingua veneta, e anche i capitani (austriaci) erano obbligati ad usarla.

Proseguendo nella strada già tracciata sotto il dominio francese, dal 1822 il Lombardo-Veneto conobbe una radicale trasformazione anche in cambio monetario.

Il sistema di conto scelto fu quello milanese, restaurato dopo la parentesi napoleonica e preferito in quanto già armonizzato ai modelli tedeschi, mentre non fu restaurato l'antico retaggio di epoca medievale della complessa monetazione della Repubblica di Venezia. La coniazione austro-milanese consisteva in una monetazione nei classici tre metalli (oro, argento, rame), la quale andò a differenziarsi e perfezionarsi sotto i diversi sovrani che regnarono. All'epoca della sua fondazione nel Regno Lombardo-Veneto circolavano ancora le valute francesi, in quanto i pesanti debiti contratti in guerra non permettevano un'immediata coniazione.

Fu Francesco Giuseppe ad apportare le prime variazioni nel sistema monetario Lombardo-Veneto: egli infatti eliminò il 1/4 di lira austriaca, sostituendolo con una moneta in rame da 15 centesimi, aggiungendone anche una da 10 centesimi. Successivamente alla Seconda guerra d'indipendenza, nel Veneto entrò in vigore come moneta spicciola il soldo e i 5/10.

Il governo austriaco, inoltre, abolì definitivamente tutta una serie di zecche minori che già si trovavano poco attive sul finire del Settecento e sotto l'amministrazione di Maria Teresa e Giuseppe II, mantenendo attive unicamente le zecche di Milano e Venezia.

Parallelamente a questa circolazione di monete, erano usate come monete di libero scambio anche quelle dell'Impero Austriaco (austriaca ed ungherese), che seguivano una tipologia di monetazione differente: il calibro in questi casi era costituito dal peso effettivo del metallo della moneta.

La storia filatelica del Lombardo-Veneto è assai più giovane rispetto a quella numismatica in quanto i primi francobolli stampati ufficialmente (e quindi non a timbro) vennero realizzati a partire dal 1º giugno 1850 sotto l'amministrazione di Francesco Giuseppe che regolamentò anche questi valori tassati con precise normative.

A Milano come a Venezia si diffusero in parallelo anche i valori tassati per i giornali, gli almanacchi e le pubblicazioni ed all'amministrazione austriaca va anche il merito di aver introdotto in queste regioni le marche da bollo ed i valori tassati per la grande quantità di documentazione cartacea che andava producendosi negli uffici governativi.

Secondo le normative postali d'epoca il costo era delle normali lettere era il seguente (1 lega = 7420 metri):

nel circondario di distribuzione dell'ufficio postale di impostazione: cent. 10
per una distanza inclusivamente a 10 leghe: cent. 15
oltre a 20 leghe: cent. 45
Si considerava lettera semplice quel plico che non superasse in peso un "lotto viennese" che corrispondeva a 17,5 grammi.


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