« In verità coloro che credono, siano essi Giudei, Cristiani o Sabei, tutti coloro che credono in Allah e nell'Ultimo Giorno e compiono il bene riceveranno il compenso presso il loro Signore. Non avranno nulla da temere e non saranno afflitti. »
(Corano, II:62)
« Dicono: «Siate giudei o nazareni, sarete sulla retta via». Dì: «Seguiamo piuttosto la religione di Abramo, che era puro credente e non associatore». »
(Corano, II:135)
« Chi vuole una religione diversa dall'Islam, il suo culto non sarà accettato, e nell'altra vita sarà tra i perdenti. »
(Corano, III:85)
« Coloro che credono, i Giudei, i Sabei o i Nazareni e chiunque creda in Allah e nell'Ultimo Giorno e compia il bene, non avranno niente da temere e non saranno afflitti. »
(Corano, V:69)
« Sono certamente miscredenti quelli che dicono: «Allah è il Messia, figlio di Maria!». Mentre il Messia disse: «O Figli di Israele, adorate Allah, mio Signore e vostro Signore». Quanto a chi attribuisce consimili ad Allah, Allah gli preclude il Paradiso, il suo rifugio sarà il Fuoco. Gli ingiusti non avranno chi li soccorra! »
(Corano, V:72)
« E dissero: Abbiamo ucciso Gesù il Messia, figlio di Maria, il messaggero di Dio. Essi non lo uccisero, non lo crocifissero, ma così parve loro... »
(Corano, IV:157, traduzione di Roberto Hamza Piccardo, 1994)
« In verità vi reco un segno da parte del vostro Signore. Plasmo per voi un simulacro di uccello nella creta e poi vi soffio sopra e con il permesso di Dio diventa un uccello. E prendo la morte per la vita con il permesso di Dio. E vi dico quel che mangiate e quel che accumulate nelle vostre case... »
(Corano, III:49, traduzione di Roberto Hamza Piccardo, 1994)
« In verità, per Dio Gesù è simile ad Adamo. Egli lo creò dalla polvere, poi disse: “Sii!” ed egli fu. »
(Corano, III:59, traduzione di Roberto Hamza Piccardo, 1994)
« Guidaci per la retta via, la via di coloro sui quali hai effuso la Tua grazia, la via di coloro coi quali non sei adirato, la via di quelli che non vagolano nell'errore! »
(Corano, I:6-7, traduzione di Alessandro Bausani, 1955)
« Guidaci sulla retta via, la via di coloro che hai colmato di grazia, non di coloro che sono incorsi nella tua ira, né degli sviati. »
(Corano, I:6-7, traduzione di Roberto Hamza Piccardo, 1994)
Controversa è l'interpretazione di chi sarebbero gli "incorsi nell'ira di Dio" e gli "sviati", nel versetto 7 della prima sura, (al-Fatia, "l'Aprente".) Piccardo, nel suo commento, sostiene come "tutta l'esegesi classica, ricollegandosi fedelmente alla tradizione, afferma che con questa espressione Allah indica gli ebrei (yahud) ". Quindi gli ebrei sarebbero "coloro che sono incorsi nella Tua ira", non avendo riconosciuto come profeta Isa (Gesù); i cristiani sarebbero invece "gli sviati", in quanto trasgrediscono il Primo Pilastro dell'Islam, quello dell'unicità di Allah, poiché adorano la Trinità.
Studiosi occidentali invece si oppongono a un'interpretazione così "personalizzante" del versetto, giacché riferendosi esplicitamente a ebrei e cristiani sminuirebbe il valore universale del Libro. Si preferisce quindi riferirsi a due possibili errori nel seguire la Via, concettualmente opposti: uno, quello riconducibile alla maggior parte degli ebrei, sarebbe quello di perdersi in un astratto ed eccessivo formalismo nell'ubbidire al Messaggio Divino, l'altro, quello riconducibile alla maggior parte dei cristiani, sarebbe quello al contrario di seguire troppo lo spirito della Legge e non il suo dettato formale (antinomismo) e di fatto perdere la Via.
In particolare Bausani, nel suo commento, sostiene che "tali interpretazioni, oltre a diminuire il valore universalistico della bella preghiera sono anche difficilmente accettabili sintatticamente, data la forma negativa nella quale le espressioni suddette appaiono nel testo". Da altre parti del Corano risulterebbe inoltre che ebrei e cristiani avrebbero corrotto (cioè modificato volontariamente) le Rivelazioni precedenti, nascondendo alcune parti, modificandone altre (ad esempio, secondo il Corano, la frase evangelica "Verrà il Consolatore" nel Vangelo di Giovanni profetizzerebbe la venuta di Maometto). Non esistono versetti che esortino a uccidere o a convertire con la forza i politeisti (mushrikun), un cui sinonimo nel Corano è "idolatri". Per tutti costoro si reitera più volte la minaccia di tremendi castighi, riservati però loro da Allah solo nell'Aldilà. Le uniche esortazioni a combattere gli "associatori", i "negatori" e i politeisti e a ucciderli, come si può esemplarmente leggere nel versetto 191 della Sura II,
« Uccidete dunque chi vi combatte dovunque li troviate e scacciateli di dove hanno scacciato voi, ché lo scandalo è peggio dell'uccidere; ma non combatteteli presso il Sacro Tempio, a meno che non siano essi ad attaccarvi colà; in tal caso uccideteli. Tale è la ricompensa dei Negatori »
(Trad. di A. Bausani)
si trovano di fatto solo nei consimili passaggi riguardanti il "jihad minore", che storicamente il testo sacro sembra riferire alle azioni ostili che, fin dall'inizio della vita della Comunità organizzata da Maometto a Medina, contrapposero i nemici pagani della Umma islamica ai musulmani.
Fra i miscredenti non sono in ogni caso da annoverare gli appartenenti alla "Gente del libro" (Ahl al-Kitab), ovvero i cristiani, gli ebrei e i sabei, che sono considerati custodi di una tradizione divina precedente al Corano che, per quanto alterata da tempo e uomini, è ritenuta comunque basilarmente valida, anche se per difetto.
Ponendosi come Terza Rivelazione dopo la Torah e i Vangeli (Injil), ovvero come completamento del Messaggio trasmesso a ebrei e cristiani, il Corano contiene diversi riferimenti ai personaggi della Bibbia e a tradizioni ebraiche e cristiane. Sulla figura di Gesù in particolare il Corano ricorda dottrine gnostiche e docetiste, sostenendo che sulla croce sarebbe stato sostituito con un sosia o con un simulacro, solo apparentemente dotato di vita.
Il Corano, secondo i musulmani, contiene la parola di Dio (Allah), che l'arcangelo Gabriele ha dettato al profeta arabo Maometto (Muhammad). La parola Corano deriva dall'arabo al-Qur'an, che significa letteralmente "la recitazione" o "la lettura". Diviso in capitoli e in versetti, il Corano contiene sia precetti di ordine morale e religioso sia regole che riguardano il diritto.
La tradizione musulmana racconta che intorno all'anno 612, nella notte tra il 26 e il 27 del mese di ramadan, l'arcangelo Gabriele apparve in sogno a Maometto e gli dettò la prima rivelazione. A questa ne seguirono molte altre, anche dopo l'emigrazione l'egira di Maometto da Mecca a Medina.
Le rivelazioni che Maometto cominciò a ricevere, nonostante la cultura araba (Arabi) fosse principalmente orale, furono annotate su vari materiali: pietre piatte, cuoio, ossa piatte (scapole) di cammello e di montone, fibre di palma. Qualche anno dopo la morte del profeta, i musulmani sentirono l'esigenza che quanto era stato dettato da Allah a Maometto non andasse perduto e soprattutto non venisse modificato: il califfo 'Umar mise insieme tutti questi materiali sparsi e li fece ricopiare su fogli, che vennero raccolti in un solo Libro, divenuto l'unica versione del Corano considerata autentica. Il Corano, in quanto parola di Dio, è inimitabile ed è considerato dall'ortodossia sunnita non creato, ma coeterno a Dio.
Il Corano è diviso in 114 capitoli (sure), composti di versetti (ayyàt) contrassegnati con numeri. L'ordine secondo il come è organizzato il Corano, quale ora lo possediamo, non è cronologico ma tiene conto della lunghezza dei singoli capitoli, ed è ordinato in modo decrescente: esclusa la prima breve sura, chiamata fàtiha ("aprente"), si parte da quella più lunga per terminare con quella più breve. Diversamente da quanto avviene per altre composizioni letterarie scritte in arabo, nel Corano sono segnate anche le vocali proprio per evitare ogni tipo di fraintendimento.
La lingua è straordinaria nel suo genere, soprattutto se si considera che nel 7° secolo l'epoca in cui il Corano fu dettato a Maometto non esisteva altra forma letteraria tra gli Arabi che non fosse la poesia. Il Corano, invece, è scritto in prosa rimata (saj') ed è considerato una delle espressioni più alte di arte letteraria araba anche da chi non è musulmano. Il testo non dovrebbe essere letto con gli occhi, ma salmodiato, ossia recitato come una nenia: solo così se ne apprezza la musicalità. Sono pochi i musulmani che non conoscono almeno una sura del Corano a memoria.
Il contenuto del Corano è generalmente diviso in tre grandi parti: i precetti, ossia le leggi che regolano la vita del credente; le storie, racconti cioè che riguardano Maometto o altri profeti (l'Islam crede in tutti i profeti biblici precedenti, da Noè a Gesù, rispetto ai quali Maometto è l'ultimo o il sigillo) e varie leggende; le esortazioni e gli ammonimenti. Il Corano comprende quindi le regole che il musulmano è tenuto a seguire. Questi precetti riguardano sia il comportamento quotidiano del credente per esempio, quante preghiere deve fare in un giorno sia precetti di ordine morale-religioso per esempio, il divieto di credere negli dei pagani o adorare simboli. Ci sono anche regole che riguardano più strettamente il diritto, come nel caso in cui un uomo voglia divorziare dalla propria moglie: in base al Corano l'uomo deve assicurare una certa somma per lei e per i propri figli.
Il tafsir ("esegesi") è la scienza che studia il contenuto del Corano. È facile immaginare quanti possano essere i testi che analizzano frase per frase lo scritto, alla luce della tradizione musulmana e da un punto di vista filologico.
La prima parte della I sura del Corano dice: "Nel nome di Allah Clemente e Misericordioso": questa frase, che in arabo viene chiama basmala, costituisce l'inizio di molte altre sure coraniche. Sembra ormai appurato che questa frase è stata aggiunta in un secondo momento, posteriore a Maometto, il quale comunque la utilizzava già come formula propiziatoria. La basmala è utilizzata anche all'inizio di discorsi ufficiali: è un modo propiziatorio di cominciare un discorso, una lettera o qualsiasi altra attività rendendo omaggio ad Allah e ringraziandolo per la sua clemenza e la sua misericordia.
Il Corano è foriero di alcuni elementi fondamentali dell'Islam: rigoroso monoteismo senza termini mediani fra Dio creatore e l'universo creato; una provvidenza divina che si estende ai singoli individui; un'immortalità personale con un'eternità di felicità o di dolore a seconda della condotta tenuta nella vita terrena. La filosofia greca, che i musulmani conobbero dai siriaci e dai persiani, presentava invece un sistema dottrinario caratterizzato da una complessa tematica scientifica e dal razionalismo aristotelico, aspetti estranei alla precettistica coranica. Le correnti filosofiche musulmane, nate almeno un secolo prima della Scolastica occidentale, si divisero nell'accordo, spesso difficile, tra Corano e approccio filosofico razionalizzante. I mutakallimun ("coloro che disputano", i "dialettici") erano fedeli all'approccio coranico e sostenevano l'eternità del kalam (Parola) divino; i Mu'taziliti ("coloro che si allontanano"), pur con un preciso intento religioso, rappresentavano nei fatti una sorta di razionalismo e affermavano l'espressione nel tempo umano della Parola divina. I Fratelli della Purità elaborarono in una poderosa "Enciclopedia" (secolo X) tutti i motivi fondamentali della metafisica che erano trattati negli scritti pseudo-aristotelici (De Causis, Theologia Aristotelis); i sufi attinsero al pensiero del Neoplatonismo, elaborando una dottrina caratterizzata da un preciso afflato mistico. Grandi filosofi e scienziati furono poi al-Kindi, al-Farabi, Avicenna, Averroè e al-Ghazali.
Malgrado i musulmani considerino che qualsiasi traduzione dal testo arabo del Corano non possa evitare d'introdurre - in quanto traduzione - elementi di ambiguità se non di vero e proprio travisamento semantico, e siano pertanto tendenzialmente sfavorevoli a qualsiasi versione del loro testo sacro in idioma diverso da quello originale, l'estrema esiguità dei musulmani arabofoni (all'incirca il 10% dell'intera popolazione islamica mondiale) ha condotto ad approntare traduzioni nelle più diverse lingue del mondo anche islamico: dal persiano al turco, dall'urdu all'indonesiano, dall'hindi al berbero. La prima traduzione completa del Corano fu completata nell'884 ad Alwar (Sind, oggi Pakistan) per disposizione di Abd Allah b. Umar b. Abd al-Aziz, su richiesta del Raja hindu Mehruk. Non si sa tuttavia se detta traduzione fosse in hindi, sanscrito o nel locale linguaggio del Sind, dal momento che l'opera non ci è pervenuta.
Famosa è invece la traduzione in lingua latina commissionata da Pietro il Venerabile, abate di Cluny, a Roberto di Ketton (o Robertus Ratenensis) e a Ermanno Dalmata, cui partecipò anche l'ebreo convertito al Cristianesimo Petrus Alfonsi. Il lavoro fu completato nel 1143 ed ebbe duratura fortuna perché su di esso fu costruita la traduzione approntata da Bibliander e pubblicata a Basilea nel 1543.
Quattrocento anni dopo la traduzione cluniacense, giunse nel 1537-38 il lavoro stampato a Venezia (presso la stamperia Ad signum putei) da Paganino de Paganini da Brescia. Quest'ultima impresa traduttoria è di particolare interesse per le complesse vicende ad essa connesse. Non sappiamo se essa fosse stata commissionata dagli Ottomani o se (ancora una volta) il Corano dovesse servire ai sacerdoti nella loro opera missionaria o per la confutazione comunque del libro sacro dell'Islam ma si accertò che la traduzione latina era talmente zeppa di errori e di grossolani travisamenti, da essere probabilmente ritirata e fatta bruciare per disposizione di Papa Paolo III. Più tardo, a lungo rimasto un classico ancor oggi fruibile, è il lavoro di Ludovico Marracci (Padova, 1691-1698), che dette alle stampe la sua traduzione a Padova solo nel 1698, dopo quarant'anni di studio solerte e approfondito del Corano e di molte fonti arabe.
Per quanto riguarda la lingua italiana, il Corano fu per la prima volta proposto in volgare toscano nel 1547 a Venezia dal fiorentino Andrea Arrivabene, anche se l'opera fu preceduta da quella allestita da un tal Marco, canonico della Cattedrale di Toledo, che la curò tra il 1210 e il 1213. Di essa rimane un lacerto, scoperto, studiato ed edito da Luciano Formisano, dell'Università di Bologna, che l'ha rinvenuto all'interno del fiorentino codice Riccardiano 1910: autografo di Piero di Giovanni Vaglienti (Firenze, 1438- post 15-7-1514).
Al XX secolo vanno invece riferite le versioni di studiosi di vaglia quali Luigi Bonelli, Martino Mario Moreno, Alessandro Bausani e, da ultimo, Ida Zilio Grandi, che si è avvalsa della competenza di Alberto Ventura (un allievo di Bausani) e di Amir Moezzi.
La traduzione di Bausani, considerato tra i massimi islamisti italiani, è tuttora quella più diffusa tra gli studiosi non musulmani, malgrado la prima edizione risalga al 1955, oltre mezzo secolo prima cioè di quella, senz'altro soddisfacente, edita dalla Mondadori. Se ne contano numerose altre, di diversa qualità scientifica, spesso tradotte da musulmani che sono stati mossi all'impresa dalla loro convinzione che le traduzioni scientifiche anzidette fossero comunque tendenzialmente fuorvianti, proprio perché curate da orientalisti non musulmani, senza peraltro poter sfuggire anch'essi alle critiche di fondo di chi sostiene l'inevitabilità dell'adagio "traduttore traditore".
In particolare la traduzione di Hamza Roberto Piccardo, editore italiano convertito all'Islam, è di gran lunga la più diffusa nelle moschee e nei centri islamici italiani, essendo promossa e revisionata dall'UCOII. Secondo il giornalista (ora politico) arabo Magdi Allam, convertitosi per qualche tempo al Cattolicesimo dal natio Islam, prima di entrare in aperto contrasto con la politica vaticana, la versione di Piccardo sarebbe caratterizzata da "terrificanti commenti anticristiani, antiebraici, antioccidentali e lesivi della piena dignità della donna e, più in generale, dei diritti fondamentali della persona" e questo non farebbe che istigare all'odio e alla violenza i musulmani italiani, sfavorendo la pacifica convivenza tra persone di fedi diverse. Un esempio delle differenze tra le due correnti di pensiero (occidentale e orientale) nelle traduzioni è contenuto nel successivo paragrafo.
Prima di pontificare su quanto sia violenta la religione islamica, è bene riflettere sui risultati di un’analisi condotta sul contenuto della Bibbia e del Corano da parte di Tom Anderson, informatico e data scientist. Lo studio di Anderson mostra che la Bibbia (l’Antico Testamento, per la precisione) contiene quasi il doppio della violenza, in termini di omicidi, guerre, stragi e distruzioni, rispetto al testo sacro dell’Islam. “Il mio progetto”, ha spiegato Anderson, “cerca di approfondire la questione della violenza intrinseca apparentemente propagandata dalla religione islamica rispetto alle altre religioni maggiori”. Le cose, a quanto pare, non stanno così.
Per dimostrarlo, Anderson ha sviluppato un algoritmo, che ha chiamato Odin Text, con il quale ha analizzato la Bibbia e la versione inglese del Corano (nell’edizione del 1957). Il software ha analizzato i tre libri (Vecchio Testamento, Nuovo Testamento e Corano) in meno di tre minuti, classificandone i contenuti in otto emozioni (gioia, attesa, rabbia, disgusto, tristezza, sorpresa, paura/ansia, fiducia) e svelando che la Bibbia pende verso la rabbia molto più del Corano.
Un’analisi più approfondita ha mostrato, inoltre, che il Vecchio Testamento è decisamente più violento del Nuovo e molto più violento del Corano.
“Dei tre testi, il Vecchio Testamento sembra essere di gran lunga il più violento”, spiega l’autore della ricerca. “Si fa riferimento più spesso (2,8% delle parole totali del libro) a omicidi e distruzione nel Nuovo Testamento che nel Corano (2,1%), ma il Vecchio Testamento, con il 5,3%, è nettamente superiore. In ogni caso”, sottolinea ancora Anderson, “voglio che sia chiaro che non è mia intenzione provare, né smentire, che l’Islam sia più o meno violento delle altre religioni, anche perché esistono altri libri, che io non ho considerato, nelle rispettive letterature sacre di riferimento”.
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