Visualizzazione post con etichetta soncino. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta soncino. Mostra tutti i post

lunedì 1 giugno 2015

LA CHIESA DI SANTA MARIA ASSUNTA A SONCINO




E' la più antica chiesa foranea della diocesi cremonese (sec.VI).

Eretta in Collegiata nell'828, la chiesa fu riedificata nel 1150 e ristrutturata nel 1280. Tra fine '500 e primo '600, l'edificio fu rimaneggiato con allungamento verso est e costruzione a sud delle cappelle laterali. Su progetto dell'arch. Carlo Maciachini, la chiesa fu ancora allungata ad est e ristrutturata con abside poligonale e cupola ottagonale (1883-1888). Sulla cuspide del campanile romanico fu posta la statua in rame progettata dal Maciachini e realizzata da Carlo Riva.(1888).

 La chiesa attuale è il risultato di numerose trasformazioni. L'organismo romanico originario dei secoli XII-XIII, con pianta basilicale a tre navate absidate con copertura a capriate lignee la nave centrale e volte a crociera le navi laterali, presentava una facciata preceduta da un protiro ed un rosone centrale, di chiara impronta. Un modello di come doveva essere la pieve soncinate è la Basilica di S. Sigismondo a Rivolta d'Adda, a sua volta modellata sull'esempio di S. Ambrogio a Milano. Le aggiunte dei secoli XIV e XV non avevano intaccato in alcun modo la struttura romanica, mentre invece il rifacimento del 1580 mutò profondamente la struttura antica, in quanto dovette adattarsi alle nuove norme liturgiche stabilite dal concilio tridentino. In epoca tardo rinascimentale la chiesa venne interamente affrescata dai cremonesi Coronaro (1585) ed Uriele Gatti, il quale, nel 1589, dipinse la controfacciata. L'epoca barocca lasciò un coro allungato (1601-1615) e le cappelle laterali, mentre nel XIX secolo l'architetto Carlo Visioli edificò la cappella della SS. Trinità. Il terremoto del 1802 danneggiò seriamente la chiesa, tanto che intorno agli anni che vanno dal 1883 al 1888, il celebre architetto Carlo Maciachini la restaurò e la ampliò. Le navate e le cappelle meridionali furono conservate, come pure il campanile, mentre il muro settentrionale venne rettificato e la facciata venne riportata al suo presunto aspetto medioevale. Infatti oggi si presenta tripartita da lesene, con possenti pilastri angolari sormontati da pinnacoli. Al centro si apre il portale preceduto da un protiro sorretto da leoni stilofori, con rosone centrale. La parte absidale venne demolita per realizzarvi un tamburo ottagonale su cui s'imposta la cupola. Negli anni Venti del secolo scorso, e precisamente tra il 1924 ed il 1925 si procedette all'isolamento della chiesa, mentre negli anni '30 venne eseguito un nuovo restauro. Il bel campanile, a canna quadrata, è alleggerito da monofore e bifore scalari, con cuspide conica su cui poggia la statua della Madonna Assunta, opera moderna di Antonio Ferrarotti, in sostituzione di quella fusa da Carlo Riva e progettata dal Maciachini nel 1888, rovinata da un fulmine nel 1952. L'interno, in stile neogotico, si presenta in forme solenne, decorato da una vivace policromia eseguita nel XIX secolo (1897). La cupola è decorata dalla grande Teofania, preceduta dai Santi protettori di Soncino, Martino e Paolo. Sugli archi del tiburio sono rappresentati la Madonna Assunta con gli Angeli, il Cristo Risorto, S. Pietro, papa Leone XIII ed altri santi, entro medaglioni su fondo dorato a finta decorazione musiva. Negli archetti della cornice in cotto una serie di piccoli santi invitano alla visione del cielo stellato della cupola. Partendo dalla navata destra, troviamo un dipinto proveniente dalla chiesa di S. Paolo, dell'ordine delle Domenicane, raffigurante la Madonna col Bambino ed Angeli adorata dalla Beata Stefania Quinzani, risalente alla seconda metà del XVII secolo ed attribuita al veronese Ruggero Milani. La prima cappella, dedicata all'Immacolata Concezione, venne edificata nel 1631 quale voto per la cessazione della peste. Attualmente si presenta coperta da una cupola, e conserva un pregevole altare barocco in marmi policromi. Nell'ancona si trova una statua lignea della Madonna Immacolata, opera dell'intelvese Antonio Ferretti che l'intagliò nel 1759. Le due sculture lignee imitanti il marmo, raffiguranti i profeti Davide e Salomone, sono opera del 1785 del bergamasco Giovanni Sanz, originario della Baviera. La cappella della SS. Trinità venne edificata nel 1845 dal Visioli in forme neoclassiche, con grande vano quadrato preceduto da un arco poggiante su colonne corinzie e con cupola. L'altare neoclassico contiene un dipinto della fine del XVI secolo raffigurante la Trinità con Angeli e Santi, opera del cremonese Uriele Gatti. Nei pressi si possono ammirare delle lapidi già diversamente murate all'interno della pieve ed un dipinto di Angelo Massarotti, risalente al XVII secolo e raffigurante La Buona Morte. L'opera proviene, con ogni probabilità, dall'Oratorio della Compagnia della Buona Morte fondato nel 1593. La cappella del Santo Presepe venne costruita nel 1610, anche se attualmente si presenta in stile neoclassico, per onorare la reliquia della mangiatoia della sacra grotta proveniente dalla Basilica romana di S. Maria Maggiore e dono di Paolo V al soncinatese Carlo Cropello, allora protonotario apostolico. Purtroppo un incendio sviluppatosi nella metà del XIX secolo cagionò la perdita di una Natività, probabilmente opera della scuola dei Bassano. Attualmente l'altare è ornato da un'ancona lignea che ospita una Natività del soncinatese pittore e storico Francesco Galantino. Un meccanismo manuale consente di fare scorrere la pala rivelando un armadio contenente il Crocifisso della Beata Stefania Quinzani. Sulla parete sinistra si trova un dipinto raffigurante la Madonna del Rosario ed i Quindici Misteri del Rosario, questi ultimi inseriti entro una cornice intagliata e dorata. I dipinti sono opere secentesche del bergamasco Enea Salmeggia detto il Talpino. Queste opere provengono probabilmente da S. Giacomo, allorché nel XVIII secolo la cappella del Rosario venne rinnovata. Giunti nei pressi della sacrestia, sopra la porta di accesso a questa, possiamo ammirare un dipinto raffigurante Vespasiano che fa liberare Giuseppe Flavio dalle catene, opera secentesca del fiammingo Mathias Stom. Il dipinto, probabilmente dipinto a Palermo, giunse a Soncino al seguito di qualche capitano siciliano che all'epoca presidiava la rocca. Nella sacrestia si conserva un affresco proveniente dalla facciata del distrutto Oratorio di S. Bernardino raffigurante la Madonna col Bambino tra S. Bernardino da Siena e il Beato Pacifico Ramati, opera del lodigiano Francesco Carminati che lo eseguì intorno al 1530. In fondo alla navata destra si trova l'altare dedicato a S. Antonio da Padova. L'altare maggiore è un'opera pregevole in marmi policromi intarsiati, eseguito nel 1667 da Bartolomeo Manari da Gazzaniga, mentre l'alzata è opera eseguita nel 1747 da Paolo Bombastoni e Pietro Sanguinelli. Nel coro troviamo le finestre con vetrate realizzate nel 1854 da Giuseppe Bertini e raffiguranti la Madonna Assunta adorata dagli Angeli; oltre a queste, ammiriamo diciannove stalli neogotici con colonnine tortili. Le pareti ospitano tre dipinti provenienti da altari distrutti. A destra troviamo il Martirio di S. Vittoria, opera del ravennate Matteo Ingoli che la eseguì nella prima metà del XVII secolo. Il dipinto venne realizzato come pala per la cappella costruita nel 1610 da Orazio Guarguanti, medico, filosofo, astrologo e musico che risiedette a lungo a Venezia. Al centro dell'abside è posta una Incoronazione della Vergine, opera cinquecentesca di Uriele Gatti, mentre a sinistra troviamo S. Rosalia, del soresinese Gian Giacomo Pasini che la dipinse nel 1630 quale ex-voto per impetrare la cessazione della peste. Percorrendo la navata sinistra, possiamo ammirare la cappella dedicata a S. Luigi Gonzaga con un bell'altare in marmi policromi. Una pala raffigura il santo ed è opera del soncinese Angelo Monti, che la copiò da un'analoga pala di Gallo Gallina, conservata presso il Seminario Vescovile di Cremona. Nella stessa cappella troviamo un dipinto del cremonese Cesare Ceruti, raffigurante la Madonna col Bambino in gloria ed i Santi Giovanni Batista, Girolamo, Caterina d'Alessandria e Francesco che presenta la committente Olimpia Foresti Vacani, opera eseguita nel 1604. Il dipinto, un tempo situato nella cappella di S. Francesco fatta erigere dalla Vacani, venne in seguito qui trasportato. Lungo il muro della navata sono addossati due altari neogotici della Madonna del Rosario e dell'Addolorata, oltre a quello neoclassico di S. Giuseppe. Sopra l'antico fonte battesimale possiamo ammirare un bell'affresco degli inizi del XVI secolo raffigurante la SS. Trinità. La particolare iconografia del dipinto con le Tre persone assolutamente identiche indussero le autorità ecclesiali durante la Controriforma a far coprire l'immagine, ritrovata nel 1843 durante i lavori di rifacimento della cappella della Trinità. Nonostante non vi siano indizi certi, l'affresco dovrebbe essere di un pittore soncinatese, probabilmente di Alberto Scanzi o del figlio Francesco. Il battistero rinascimentale, posto in fondo alla navata, presenta una coperta lignea neoclassica. Pregevoli sono pure i confessionali in radica, realizzati nel 1771.




LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/05/le-citta-della-pianura-padana-soncino.html






FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE


LA NOSTRA APP



http://www.mundimago.org/



LA CHIESA DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE A SONCINO

.


I Carmelitani si insediarono fuori Porta San Giuseppe nel 1468, acquisendo l'officiatura d'una chiesetta campestre. Costruito il modesto plesso conventuale, l'11 febbraio 1501 il card. Raimondo Perauti, vescovo di Gurk in Carinzia, pose la prima pietra della nuova chiesa voluta da padre Pietro da Mortara. Probabile progettista fu padre Antonio Maestri, già a lungo nel convento mantovano. Nel biennio 1515-126 fu eretto il campanile su progetto di maestro Gerardo da Piacenza.
Il sacro edificio fu solennemente consacrato l'8 settembre 1528 da mons. Luca da Seriate alla presenza di Francesco II Sforza che ne finanziò la decorazione.

La posa della prima pietra avvenne per mano del cardinale Raymond Perault, Vescovo di Gurck, diretto in Germania per predicate la Crociata. All’edificazione della chiesa concorse tutta la popolazione con una serie di lasciti di cospicua entità. Nel 1520 la fabbrica giunse a compimento anche per quanto riguarda l’interno. In un documento del 5 aprile 1519, tra i testimoni sono nominati il pittore Francesco Scanzi ed il suo Figulo Giovan Antonio Pezzoni, autore del fregio in terracotta. Dopo il 1527 alla committenza locale si sostituì quella altolocata del Duca Francesco II Sforza e del marchese Massimiliano Stampa. La chiesa venne consacrata l’8 settembre 1528, giorno della Natività della Vergine, da Luca da Seriate. In quell’occasione il Duca consegnò al patrizio soncinese Nicolò Tonso 200 ducati per la decorazione della cappella della Vergine e di altre due cappelle. La chiesa presenta una facciata semplice, a capanna, tripartita da robusti contrafforti angolari e lesene centrali. Un tempo vi erano affrescate le figure di S. Rocco e S. Cristoforo, oggi scomparse. Il portale, in pietra di Rezzato, reca due stemmi degli Stampa ed una scultura raffigurante la Madonna delle Grazie. Il campanile, incompiuto, venne eretto nel 1515 da Gerardo da Piacenza. L’interno, a navata unica con volta a botte e cappelle laterali, ricalca lo schema albertiano di S. Andrea a Mantova. Sotto l’imposta della volta corre un fregio in terracotta policroma invetriata con sfingi reggenti medaglioni entro cui sono effigiati busti di frati carmelitani. La bella decorazione è opera di Giovan Antonio Pezzoni. Nelle lunette della volta si aprono oculi che illuminano l’interno, circondati da una superba decorazione pittorica. Il presbiterio, a pianta quadrata, presenta una volta a crociera con costoloni mentre su lato sinistro vi si affaccia un palco con bifora. Il presbiterio è diviso dall’abside mediante un’iconostasi dipinta che in origine si presentava più avanzata, sino a chiudere il presbiterio stesso. L’abside è coperta da una volta poligonale con lunette e custodisce i magnifici sepolcri marmorei dei marchesi Stampa. Partendo dalla prima cappella destra, eretta nel 1517 su commissione di Antonio Salandi da Genivolta presenta una bella Assunzione, cui la cappella è dedicata, posta sulla parete di fondo, opera di Francesco Scanzi. Nella lunetta della volta troviamo l’Incoronazione della Vergine, mentre sulle pareti troviamo, a destra, S. Giuliano che uccide i genitori ed a sinistra i Santi Stefano e Lorenzo. La volta di questa ed altre cappelle presenta, entro i cassettoni, delle formelle in terracotta. La seconda cappella, affrescata da Francesco Scanzi intorno al 1528, presenta un bell’affresco raffigurante la Madonna in trono col Bambino, un angelo ed i Santi Cosma, Antonio Abate, Antonio da Padova e Damiano. Nella lunetta ammiriamo il Martirio dei Santi Cosma e Damiano. Sulla parete destra ammiriamo S. Giorgio che uccide il drago, mentre di fronte si trova la Guarigione dell’Infermo, appartenente alle storie dei S. Cosma e Damiano. La pittura dello Scanzi, squisitamente manierista, rivela chiari influssi della scuola cremonese e dell’ambiente bergamasco ruotante intorno a Lorenzo Lotto. La cappella della Vergine, affrescata dallo Scanzi nel 1528 per volontà del Duca Francesco II Sforza, conserva una splendida Visitazione, derivante dal modello fiorentino della SS. Annunziata. Nella lunetta troviamo l’Incontro alla Porta Aurea, mentre sulla parete destra troviamo la Presentazione di Maria al Tempio e su quella sinistra lo Sposalizio della Vergine. Anche la quarta cappella, dedicata ai Santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, venne affrescata dallo Scanzi. Sulla parete di fondo ammiriamo la Trasfigurazione fra i due San Giovanni, mentre la lunetta presenta il Battesimo di Cristo. Sulle pareti laterali troviamo due storie dei Santi. A destra notiamo la Decollazione del Battista, mentre a sinistra ammiriamo S. Giovanni Evangelista resuscita Drusiana. I personaggi della Decollazione, dall’effetto drammatico, derivano i loro modelli dalla pittura del Romanino e da quella del lodigiano Callisto Piazza. L’ultima cappella, purtroppo priva della decorazione originaria, presenta uno strappo d’affresco proveniente dalla parete di fondo della quarta cappella sinistra e qui trasportato nel 1960. Raffigura la Madonna in trono col Bambino e le Sante Barbara, Caterina, Agata e Lucia, sempre opera di Francesco Scanzi. L’arcone del presbiterio, affrescato nel 1530 dal cremonese Giulio Campi, presenta una grandiosa Assunzione della Vergine. Notiamo la Vergine mentre ascende al cielo, portata da schiere di angeli osannanti, mentre ai lati vi sono due schiere di angeli musicanti; in basso, attoniti, si trovano gli Apostoli i quali, contemplando il sepolcro vuoto, scorgono la Vergine in Cielo. Questo affresco riveste grande valore storico in quanto è la prima manifestazione manieristica di uno dei più grandi pittori del ‘Cinquecento lombardo. Nell’angolo in basso a destra dell’arco trionfale, sempre del Campi, notiamo un donatore, identificabile con Massimiliano Stampa, marchese di Soncino dal 1525, all’epoca consigliere e amico del Duca. Quest’ultimo è invece ritratto nella pala d’altare. Passiamo ora al presbiterio, dove troviamo l’iconostasi, decorata con quattro magnifici putti reggicortina, sempre del Campi. Anche la decorazione absidale è di Giulio Campi il quale ricevette la commissione ducale. Sulla volta troviamo quattro medaglioni con nastri da cui sporgono, con illusionismo tipicamente michelangiolesco, i Quattro Evangelisti. Sulla parete destra troviamo uno stemma del cardinale Perault a ricordo del suo passaggio nel febbraio del 1501. I tre tondi con Santi carmelitani risalgono al 1510, mentre gli altri sei vennero eseguiti dal Campi più tardi e raffigurano, a mezzobusto, altri Santi carmelitani, attualmente visibili presso la vicina casa di religiose insediatesi nell’ex-convento. Infatti i tondi campeschi vennero strappati nel 1960 per ripristinare gli altri più antichi. Il tondo principale raffigura l’Eterno Benedicente, opera di pittore di scuola veneziana molto vicino ai modi di Benedetto Diana, in quegli anni impiegato presso S. Maria della Croce di Crema. Gli altri tondi rivelano un certo interesse per la rappresentazione prospettiva e risultano simili a quelli del cremonese Alessandro Pampurino ed allo spagnolo Pedro Fernandez, attivo a Castelleone. La parete di fondo è occupata dalla monumentale ancona lignea intagliata e dorata con gli stemmi della famiglia Stampa. Originariamente conteneva la pala d’altare di Giulio Campi, ma con la soppressione del convento il dipinto venne rimosso finché giunse, dopo varie vicende, alla Pinacoteca di Brera a Milano. Attualmente troviamo un dipinto raffigurante la Madonna in Gloria col Bambino tra la S. Maria Maddalena dé Pazzi e la Beata Giovanna Scopelli da Reggio, probabilmente dipinta nel 1669 dal bresciano Giuliano Caleppi per conto di padre Giovanni Battista Guarguanti. Procedendo verso l’uscita, ammiriamo ora le cappelle di sinistra. La prima cappella, dedicata agli Angeli, presenta la lastra tombale di Pietro Martire Stampa. La parete di fondo accoglie una Madonna in trono col Bambino tra i Santi Michele e Gabriele, mentre nella lunetta troviamo la Caduta degli Angeli Ribelli. La parete destra è ornata da un bell’affresco raffigurante Tobiolo e l’Arcangelo Raffaele, mentre sulla parete sinistra troviamo la Processione di Bologna, opere di Francesco Scanzi. Quest’ultimo affresco rappresenta il viaggio compiuto dal Duca a Bologna dove si trovava Clemente VII, il quale si apprestava ad incoronare imperatore Carlo V, per discolparsi e poter quindi essere reintegrato nella sua carica di Duca di Milano. La cappella successiva, dedicata alle Sante Vergini, presenta un affresco di pittore prospettico lombardo attivo intorno al 1515, raffigurante la Madonna in trono col Bambino tra le Sante Lucia, Caterina d’Alessandria, Orsola ed Apollonia. Nel 1528 l’affresco venne ricoperto da quello di soggetto analogo, opera dello Scanzi, poi strappato nel 1960 e trasferito in un’altra cappella. Nella lunetta troviamo il Martirio di Sant’Orsola, dello Scanzi, mentre ai lati troviamo Santo’Orsola e le compagne ed il Martirio di S. Apollonia. La cappella seguente è dedicata ai santi del Carmelo e venne affrescata da un allievo dello Scanzi, probabilmente Vincenzo Berlendi. L’affresco principale raffigura S. Alberto incoronato dagli angeli tra S. Cirillo di Costantinopoli e S. Angelo di Licata, mentre nella luinetta troviamo la Penitenza di un frate del Carmelo. Lungo le pareti laterali troviamo due Santi del Carmelo. La penultima cappella è dedicata alla Maddalena. Anche qui notiamo un doppio strato d’affreschi. Sulla parete di fondo troviamo la Deposizione nel sepolcro, mentre alle pareti laterali troviamo la Maddalena e gli Apostoli ed il Noli me Tangere. Nella lunetta si trova l’Assunzione della Maddalena. La cappella in origine era affrescata forse dallo Scanzi, ma venne ridipinta nel 1531 da Francesco Carminati, forse dietro committenza ducale. Al livello dello zoccolo vi sono tracce di una Madonna col Bambino, risalente alla precedente cappella del XV secolo. L’ultima cappella era dedicata alla Madonna delle Grazie e presentava un affresco, forse opera di Alberto Scanzi, raffigurante la Madonna delle Grazie. La cappella venne nuovamente affrescata nel 1528 da Francesco Scanzi il quale rispettò il precedente affresco posto sulla parete di fondo. Nella lunetta troviamo l’Assunzione, mentre lungo le pareti laterali troviamo la Fuga in Egitto e l’Adorazione dei Magi. La cappella venne ampliata nel 1631 con l’arretramento della parete di fondo per accogliervi una grossa lampada d’argento donata dalla comunità quale ringraziamento per la cessazione della pestilenza del 1630. Da allora la cappella assunse il nome di Cappella del Ringraziamento. La controfacciata venne affrescata nel 1531-1532 da Francesco e Bernardino Carminati con il Giudizio universale. Qui gli autori, mediante le stampe di Marcantonio Raimondi, si rifanno alla pittura di Raffaello. Nella lunetta sono raffigurati il Padre Eterno benedicente tra gli angeli ed i SantiPietro e Paolo. Anche la volta è riccamente decorata e consta di più fasi. La prima presenta profili e nastri, la seconda medaglioni figurati e svolazzi, modulati su quelli creati da Giulio Campi nel presbiterio e qui affrescati dai Carminati. L’ultima fase, posteriore al 1535, troviamo una decorazione a secco imitante un pergolato entro cui si affacciano putti ed angeli musicanti o reggenti gli stemmi della famiglia Stampa. Le lunette laterali decorate con figure di Profeti sono anch’esse opere dei Carminati. La bella decorazione monocroma delle lesene che separano le cappelle, costituita da strumenti musicali antichi, è opera di Francesco Scanzi il quale dipinse nei piccoli triangoli esterni ai tondi i Dottori e Santi del Carmelo.

Santa Maria delle Grazie racchiude uno dei cicli decorativi più ampli e completi di tutto il Cinquecento lombardo. L’interno è armonioso, elegante, una vera summa dell’arte rinascimentale secondo l’interpretazione cremonese: colori vivaci, segno morbido, grande forza espressiva. Di molti artisti che lavorarono in questa chiesa nulla sappiamo: senza paternità, ad esempio resta l’imponente «Giudizio Universale» della controfacciata. Ma di altri interventi sono ben noti gli autori. Gli Scanzi, ad esempio, che in Santa Maria delle Grazie operarono nelle cappelle e nella volta della navata: Alberto il padre, Francesco il figlio, Ermes e Andrea i possibili, ma solo secondo la tradizione, fratelli. Giulio Campi, ricoprì di affreschi l’arco trionfale, il coro e il presbiterio, eseguendo fedelmente quanto gli era stato commissionato dal marchese Massimiliano Stampa, che volle farsi ritrarre, si crede, in uno degli oranti che assistono all’Assunzione della Vergine. Già, Massimiliano Stampa. Un personaggio oscuro, dal comportamento dispotico, perfino folle a tratti, che ambiva partire missionario per convertire i Mori dell’Africa settentrionale. Sua nipote fu la sventurata Marianna de Leyva. E «sventurata» la chiamò il Manzoni, perché lei, Marianna, fu la celeberimma Monaca di Monza raccontata ne «I Promessi sposi»: gli anni della prima giovinezza li trascorse proprio qui, a Soncino, tra le mura del castello e quelle di Santa Maria delle Grazie.




LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/05/le-citta-della-pianura-padana-soncino.html




FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE


LA NOSTRA APP



http://www.mundimago.org/



LA CHIESA DI SAN GIACOMO A SONCINO



Il complesso conventuale domenicano fu progettato da padre Maffeo Caleppio. All'originario chiostro cimiteriale, posto al lato est della chiesa, seguirono il secondo (1456-1468), l'unico superstite, raccordato con cavalcavia al terzo, posto al di là dell'attuale via Pio V (1570 ca.).

Si presenta con archi a sesto acuto, poggianti su tozze colonne dai capitelli cubici. Si sviluppa su tre lati, essendo quello meridionale chiuso da un semplice muro verso la strada. Dal chiostro una scala porta agli ambienti superiori dov'erano collocate le celle dei frati.

La chiesa di San giacomo venne edificata nel XIV secolo sull'area di un antico "Xenodochium", ossia un ospizio per pellegrini, la cui esistenza è già documentata nella metà del XII secolo. L'antico ospizio continuò a funzionare fino al 1361, quando la chiesa venne elevata a parrocchia ed affidata ai canonici lateranensi di San Cataldo di Cremona. L'arciprete Prebenzino Cropello nutriva un atteggiamento di ostilità nei confronti dei canonici in quanto vedeva, a cagione di essi, una riduzione della sua giurisdizione e del suo potere. tutto ciò portò le autorità dell'epoca a sospendere l'esperimento e nel 1364 la chiesa tornava a dipendere dalla pieve di Soncino. Nel frattempo i canonici riuscirono a completare la torre campanaria, dall'insolita forma eptagonale (a sette lati), ingentilita da monofore e decorazioni in cotto ad archetti ciechi intrecciati. La fabbrica della chiesa conobbe un nuovo impulso durante il XV secolo, dopo che nel 1428 venne concessa ai Domenicani ed a partire dal 1460, con l'introduzione dell'Osservanza. Tra il 1456 ed il 1468, su progetto del domenicano Maffeo Caleppio, venne costruito il chiostro, ancora esistente; subito dopo venne ricostruita la zona absidale, la cripta ed il presbiterio sopraelevato. Nel 1487 venne costruito un cavalcavia sulla strada posta a sud del convento, per permettere di raggiungere il nuovo chiostro intorno al quale venivano erette le nuove fabbriche, mentre nel 1510 la chiesa venne allungata mediante l'aggiunta di una nuova campata. Per far ciò si dovettero abbattere la facciata ed il protiro trecenteschi. Verso la fine del XVI secolo la chiesa raggiunse la foggia attuale, e nel 1595 il vecchio soffitto a capriate lignee venne sostituito dalle volte in muratura, mentre nel 1630 vennero costruite le cappelle laterali. Il rinnovamento secentesco interessò pure la facciata, mediante la costruzione, al posto del rosone, di una serliana, che rivela un certo influsso del barocco cremonese, ed una cimasa curvilinea coronante la fronte. Purtroppo la chiesa conobbe un periodo di decadenza a partire dal 1798, anno in cui venne soppresso il convento, mentre la chiesa tornò a dipendere dalla pieve. L'interno, a causa degli interventi sei e settecenteschi, si presenta in forme barocche. La ricca decorazione a fresco è dovuta ai fratelli cremonesi Alessandro e Giuseppe Natali, che la eseguirono nel 1696, con l'ausilio dei quadraturisti Pietro Ferrari ed Antonio Sirone. Partendo dall'ingresso, a destra, troviamo la cappella della Beata Vergine dello Spasimo, che conserva, sulla parete sinistra, un affresco raffigurante l'Addolorata, ossia la Vergine trafitta da spade, simboleggiante il dolore per il figlio morto che regge sulle gambe. L'affresco, uno dei pochi resti della decorazione gotica, risale intorno al 1470 - 1480. Particolarmente degno di nota è il gruppo scultoreo in cotto raffigurante il Compianto del Cristo Morto, un tempo conservato nella cripta. Il gruppo scultoreo è probabilmente opera di Agostino de Fondulis (o Fondutis), secondo certe analogie ravvisabili con analoghi modellati del Fondulis eseguiti nel 1483 per S. Maria presso S. Satiro a Milano, e quello del 1510 eseguito per S. Spirito a Crema, ora conservato nella Pieve di Palazzo Pignano. Anche gli atteggiamenti di dolore ed i gesti, caricati di un espressionismo nordico, avvicinano il capolavoro soncinate con quelli sopracitati. Un tempo il gruppo scultoreo si presentava policromo, il che doveva conferire all'insieme un'impronta ancor più realistica e teatrale. Al di sopra vi è un dipinto del manierista bresciano Grazio Cossali, raffigurante la Caduta di Cristo sotto la Croce e la Veronica, un dipinto di marca devozionale. La cappella successiva, dedicata a S. Giacomo, vi è un'ancona con una statua lignea eseguita nel 1917 raffigurante S. Giacomo. La mensa dell'altare poggia su due teste d'angelo, di squisito gusto barocco. La cappella successiva, dedicata a S. Tommaso d'Aquino, venne restaurata nel 1767 grazie alla munificenza di Apollonia Bigolotti, madre del priore Raimondo. La Bigolotti donò pure la bella ancona marmorea entro la quale è collocato un Cristo in Passione, opera del manierista Francesco Carminati. Il dipinto proviene dalla cappella del Corpo di Cristo, un tempo posta in fondo alla nave sinistra, e collocato qui di recente, al posto di un Crocifisso ligneo. Lungo le pareti laterali sono allogati due dipinti raffiguranti San Nicola e S. Pietro Martire, opere del cremonese Giulio Calvi detto il Coronaro. Questi due dipinti, unitamente ad un Cristo Crocefisso, oggi conservato nel Palazzo Municipale, costituivano un trittico. La quarta cappella, dedicata a S. Vincenzo Ferrer, presenta un dipinto settecentesco del bresciano Antonio Dusi raffigurante S. Vincenzo Ferrer che risuscita il figlio fatto a pezzi da una madre lunatica. Il dipinto è opera del 1765 e rivela un'eleganza raffinata nelle scelte cromatiche intonate ai colori freddi, tipica dell'ambiente milanese dei Carloni. Il dipinto è inserito in una cornice neoclassica in stucco. La quinta cappella, dedicata a S. Antonio da firenze. Nel 1590 Vincenzo Cerioli, la cui famiglia deteneva la cappella in patronato, vi collocò una grande pala, raffigurante la Madonna con il Bambino in Gloria fra i Santi Giacomo, Francesco e Antonino che presenta il donatore Vincenzo Cerioli, opera del cremonese Uriele Gatti, che realizzò pure la monumentale ancona lignea intagliata e dorata. La sesta ed ultima cappella, anticamente dedicata ai Re Magi, era di patronato della famiglia Tonsi. Nel XVI secolo vi si sostituì il culto dell'Assunta. Al posto della pala raffigurante l'Assunta, spostata nella quarta cappella sinistra, vi è un confessionale ligneo settecentesco. In fondo alla navata si apre la porta che conduce alla torre campanaria, mentre a sinistra si possono ammirare due affreschi raffiguranti una Crocifissione ed una Madonna in Trono, risalenti tra il 1450 ed il 1460, frammenti dell'antica decorazione pittorica quattrocentesca. Vicino al pilastro si trova un'acqusantiera costruita utilizzando un telamone proveniente dalla decorazione scultorea della facciata romanica. Attraverso una porta in marmi intarsiati, risalente al 1733, si scende nella cripta di Santa Corona, costruita dopo il 1470 ed presto deputata ad ospitare la preziosa reliquia della Sacra Spina, donata ai domenicani dal soncinese Frà Ambrosino dé Tormoli che l'ottenne dal priore del convento milanese di S. Maria della Rosa in cambio di alcune vetrate da lui dipinte nel 1492. Nella cripta si possono ammirare due affreschi raffiguranti l'Assunzione e l'incoronazione della Vergine e l'Incontro di Cristo con la Madre, risalenti rispettivamente al XVII e XVIII secolo, posti a decorare la parete di fondo della cripta, mentre le lunette della volta sono decorate da sette scene della Passione di Cristo, opere del viadanese Domenico Savi, anch'esse risalenti al XVII secolo. Queste ultime, originariamente collocate presso l'oratorio dei Santi Rocco e Sebastiano a Viadana, vennero acquistate nel 1960 e collocate nella cripta definitivamente. Ritornati in chiesa, saliamo al presbiterio sopraelevato. La scalinata di accesso, venne edificata nel 1733 unitamente alle belle balaustre intarsiate, mentre l'altare, anch'esso composto da marmi intarsiati, venne realizzato nel 1723 dai bresciani Domenico e Giuseppe Corbonelli su commissione di Frà Domenico Aglio, lo speziale del convento. Il bel paliotto presenta un medaglione ornato con volute floreali e spighe di grano alludenti il mistero dell'eucarestia. Particolarmente pregevole è pure il coro ligneo in noce a doppio ordine con quarantaquattro stalli, realizzato nel 1507-08 dai conversi Frà Federico e Frà Damiano da Bergamo. Quest'ultimo è identificabile, forse, con Damiano Zambelli, uno dei più celebri artisti dell'arte d'intarsiare il legno, già autore di pregevoli opere conservate nelle chiese di S. Stefano a Bergamo, ora in S. Bartolomeo, e S. Domenico a Bologna, dove realizzò il presbiterio ed il coro. Il coro soncinate è probabilmente una sua opera giovanile, in quanto i disegni intarsiati sono pressoché geometrici, mentre le teste di cherubini poste sopra ogni stallo, denunciano un legame con quella che sarà la sua arte successiva. Le finestre del coro sono impreziosite da due vetrate raffiguranti l'Angelo annunciante e l'Annunziata, opere di Frà Ambrosino dé Tormoli, il quale aveva lavorato anche per le chiese dell'osservanza domenicana di Bologna, Venezia e Milano. Collocate nel 1495, le due vetrate si rifanno ai cartoni di Antonio della Corna, pittore cremonese attivo, in quel tempo, anche a Soncino. Le pareti e la volta del presbiterio, del coro e della navata presentano una ricca decorazione barocca. Sulla volta del coro troviamo una Gloria di S. Tommaso d'Aquino, mentre sulle pareti troviamo Santa Caterina d'Alessandria e S. Maria Maddalena; nei quattro angoli del coro triviamo le Virtù Teologali e la Giustizia. La volta del presbiterio presenta un affresco rappresentante la Gloria di S. Domenico, mentre le lunette della navata raffigurano: S. Domenico tra i Santi Pietro e Paolo, S. Caterina da Siena che riceve le stigmate, S. Rosa da Lima incoronata da Cristo, La Gloria di S. Pio V, la Gloria di S. Pietro Martire ed infine S. Caterina dé Ricci. Nelle lunette dal lato settentrionale presentano, partendo dalla controfacciata, S. Antonio Negrot, il Beato Alvaro da Cordova, S. Domenico e S. Agnese da Montepulciano. L'intera decorazione venne realizzata dai cremonesi Natali nel 1696. La parete di fondo del coro è ornata con un affresco eseguito nel 1774 da Francesco Peruzzotti da Somma Lombardo raffigurante S. Giacomo tra i maghi Ermogene e Filete. La decorazione delle cappelle laterali, in gran parte perduta, sarebbe opera dei pittori Orlando Felicetti di Treviglio e Francesco Chiappi di Crema. Attraverso un corridoio che si apre in fondo alla navata sinistra, entriamo nel chiostro, mentre una porta vicina conduce alla sacrestia, dove è conservato l'arredo ligneo originario del XVIII secolo ed una serie di dipinti con alcuni santi domenicani. Edificato tra il 1456 ed il 1468, il chiostro si presenta ancora nelle tradizionali forme lombarde con archi a sesto acuto poggianti su tozze colonne dai capitelli cubici. Il chiostro si sviluppa lungo tre lati, mentre il lato meridionale è chiuso da un muro prospicente la strada. Dal chiostro una scala conduce ai piani superiori dove un tempo erano situate le celle dei frati. Nella parete di fondo del piano superiore si trova n affresco raffigurante una Natività con S. Domenico e S. Caterina, opera del soncinese Francesco Scanzi. Rientrati in chiesa e procedendo verso l'uscita, passiamo ora ad ammirare le cappelle della navata sinistra. La prima cappella che incontriamo, dedicata a S. Domenico, conserva le spoglie della Beata Stefana Quinzani. La cappella venne risistemata nel 1709 dagli stuccatori luganesi Domenico e Pietro Garoni ed affrescata da Bartolomeo Rusca, anch'egli di Lugano, attivo soprattutto a Madrid ed Aranjuez. Il bell'altare in marmi policromi, del XVIII secolo, presenta un medaglione a commesso entro cui è raffigurato S. Pietro Martire. La pala d'altare rappresenta il Miracolo di Soriano, opera forse a più mani di scuola cremonese della metà dei Seicento. La cappella successiva, dedicata a Gesù Bambino, presenta una nicchia entro cui si trova una scultura lignea settecentesca raffigurante il Bambino Gesù; le pareti laterali sono ornate da affreschi del XVIII secolo illustranti l'Infanzia di Gesù. La successiva cappella è dedicata a S. Anna, di cui si conserva l'immagine lignea accanto a quella della Madonna nel gruppo dell'Educazione della Vergine. La parete sinistra accoglie una tela raffigurante S. Tommaso d'Aquino, opera del malossesco Bartolomeo Bersani detto il Manzino, attivo nella prima metà del XVII secolo. Sulla parete di fronte troviamo un'Assunta, proveniente dalla scuola di Bernardino Campi. Nel 1610 al dipinto vennero aggiunte le quattro figure di santi poste nella parte bassa. Nella cappella seguente troviamo un'ancona lignea di gusto manierista risalente alla fine del XVI secolo e contenente una scultura lignea ottocentesca raffigurante la Madonna del Rosario. Le pareti sono ornate da pitture risalenti al 1901 ed opera di Antonio Mayer, che sostituiscono quelle perdute del bresciano Vincenzo Bigoni. La penultima cappella, già dedicata alla Santa Croce, venne riformata nel 1806 ed ora ospita un confessionale settecentesco. L'ultima cappella, quella del battistero, presenta un bel fonte battesimale con decorazioni in bassorilievo di gusto rinascimentale. Sulla controfacciata, ai lati del portale maggiore, si trovano due dipinti originariamente adibiti a pale d'altare. Il primo a sinistra presenta una Madonna Addolorata con Santi, risalente al 1697, di scuola emiliana, in origine collocato nella cappella degli Azzanelli. Il secondo raffigura la Beata Stefana Quinzani in estasi davanti alla croce tra S. Lucia, S. Pietro Martire e la Beata Luchina Barbò, opera di Francesco Perruzzotti del 1774, originariamente collocata nella cappella della S. Croce.






LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/05/le-citta-della-pianura-padana-soncino.html





FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE


LA NOSTRA APP



http://www.mundimago.org/



IL SANTUARIO DELLA MADONNA DI VILLAVETERE A SONCINO

.


Questo Santuario ha origini molto antiche, infatti risale all'epoca del Cristianesimo, e fu costruito per sostituire il culto pagano diffuso in questa zona. La facciata di quest'edificio presenta uno stile neoclassico, tinteggiata di bianco con cornici laterali a sbalzo e frontone triangolare. All'interno la chiesa è ad unica navata con annessa Sacrestia. In questo Santuario viene venerata anche la statua di Maria Bambina, trafugata nel 2002 e poi riacquistata.

La Madonna di Villavetere a Gallignano è un Santuario Campestre distante circa due chilometri da Gallignano, solo in mezzo ai campi, dopo il borgo di San Gabriele, verso la cascina Bosco.

La tradizione vuole che il Santuario sia molto antico, risalente addirittura ai primi secoli del Cristianesimo, per sostituire il culto pagano di questa zona; tale idea si sviluppò sul finire del XVIII secolo, quando fu ritrovata un’ara votiva dedicata a Giove.
Il Santuario fu visitato dai Vescovi di Cremona Niccolò Sfondrati (1576), Francesco Maria Visconti (1646), Agostino Isimbardi (1680), Ludovico Settala (1688), Alessandro Litta (1722). Il Vescovo Visconti, nel 1646, lo descrive come luogo antichissimo. Del Santuario si parla diffusamente anche nel Libro Mastro Antico della Parrocchia di Gallignano. Il Santuario venne danneggiato dal terremoto del 1802, che lo fece crollare quasi tutto; rimase miracolosamente in piedi solo la cappella della B.V.Addolorata, che, ampliata nella seconda metà dell’ 800, costituisce l’attuale Santuario.

La facciata, di impronta neoclassica, è tinteggiata di bianco, con cornici laterali a sbalzo e frontone triangolare. Sopra l’entrata c’è una finestra semicircolare. Sul tetto si trovano una croce e il campanile in ferro battuto. Un tempo, sotto la fascia del timpano, vi era questa scritta:
"oh voi che passate, fermatevi e vedete se vi è dolore simile al mio."

La chiesa è a navata unica con sacrestia annessa. Sulla controfacciata sono murate due eleganti acquasantiere in marmo a forma di conchiglia. Sulle due pareti laterali del presbiterio si trovavano gli affreschi raffiguranti i santi Fermo e Rustico, che, strappati dalla parete, sono conservati in Chiesa parrocchiale. L’altare è molto semplice e lineare, in esso prevale l’uso del marmo grigio-nero. Al di sopra dell’altare si trova l’antico affresco della Vergine addolorata che sorregge il corpo di Cristo morto affiancata da san Giovanni, sul fondo è raffigurato il Calvario con le tre croci.
 Nel Santuario si venera anche la statua di Maria Bambina: donata nel 1925, è stata trafugata nel 2002 e poi riacquistata e ricollocata in santuario.

La festa del Santuario viene celebrata l'8 Settembre, Festa della Natività della Beata Vergine Maria, la cui effige è molto venerata in Santuario. La Santa Messa Solenne delle 18 è concelebrata dai sacerdoti gallignanesi e viene sempre invitato anche qualche sacerdote della diocesi (ma anche di fuori) che ha oppure ha avuto legami con la parrocchia.



LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/05/le-citta-della-pianura-padana-soncino.html





FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE


LA NOSTRA APP



http://www.mundimago.org/



LA CHIESA DEL TINAZZO A SONCINO

.


Lasciata Soncino dalla porta orientale e dirigendo verso nord, si risale il terrazzo alluvionale dell'Oglio. Dopo un paio di chilometri, mentre lo scoscendimento verdeggiante verso il fiume scorre a destra della strada, sulla sinistra si raggiunge un complesso noto come Il Tinazzo. Dalla strada, l'elemento immediatamente percepibile è una chiesetta con semplice facciata a capanna risalente probabilmente alla fine del XIV sec., Santa Maria della Neve. Essa costituisce con gli edifici dellazienda agricola, che gestisce i terreni circostanti, ed un ampio parco di circa due ettari il complesso noto come il Tinazzo, probabilmente a ricordare un qualche piccolo avvallamento, che procurava ristagno di acque. La piccola chiesa è interamente affrescata con immagini della Vergine (in buona parte certamente ex-voto) espressione di una cultura religiosa assai pervasiva in un contesto agricolo non prospero, ma dignitoso. Accedendo al Parco dal cancello immediatamente a sinistra si viene immessi in uno spazio probabilmente concepito per il diletto almeno dal XVI sec., che venne arricchito con l'impianto di numerose essenze esotiche, tuttora pienamente conservate, probabilmente nel XVIII sec. Un completo, ulteriore rimaneggiamento - pur rispettoso dei caratteri esistenti - fu eseguito secondo canoni romantici nella prima parte del XIX sec. A quest'epoca si deve anche un piccolo edificio con torre in stile neo-gotico, utilizzata forse anche come punto di osservazione dell'avifauna, specialmente di passo. Oggi il Parco è aperto al pubblico ed è integrato da un apprezzato ristorante, che serve qualificati cibi della cucina locale.

La chiesa denominata inzialmente  "Madonna della Rosa" posta nella contrada del Tinazzo, venne successivamente rinominata "Beata vergine del Tinazzo.

L'ampliamento della chiesa avvenne nel 1519- 1520. L'attuale facciata  presenta  un'impostazione a capanna, impaginata da due massicce lesene con solidi contrafforti di spigolo  con funzione portante e decoartiva, nella quale si apre un portale a tutto sesto con sguancio a tre cordonature in latreizio con sovrapposto un gocciolatoio. Sopra l'occhio anzichè un rosone si trova un riquadro rettangolare leggermenti incassato nella muratura, e ospita un affresco di madonna col bambino più vo,lte rinnovato nel corso dei secoli.
Le due finestre laterali della nuova campata si aprono dsimmetricamente a metà parete e ripetono la struttura delle due assimetriche ospitate nella campèata originaria. Il pavimento completa quello pre-esistente con piastrelle rettangolari in latrizio disposte a giunti alternati.

Un Oratorio costeggia la parte nord-ovest della chiesetta e al suo interno antichi dipinti e volte lo rendono ricco di particolari.

Il complesso naturalistico e monumentale del Tinazzo sorge sul ciglione settentrionale dell'antica strada che collegava Cremona a Bergamo.
Il toponimo Tinazzo prese origine dalla distesa acquitrinosa che per secoli coprì l'area golenale del fiume Oglio, alimentata dalle periodiche esondazioni del fiume e dal costante afflusso delle acque risorgive.
Del Parco si hanno notizie fin dal primo '500, ma è nel '700 che fu avviata la sistematica organizzazione secondo criteri moderni con l'introduzione di essenze estranee alla tradizione locale. Recentemente riportato all'antico decoro, il parco ospita interessanti specie vegetali che vanno dagli indigeni acero, corniolo, e biancospino ai maestosi tasso, ippocastano, magnolia e bagolaro.
             
Parco romanico dell'800 riportato a nuova vita, è attraversato da un canale alimentato da risorgive formanti un laghetto. Accanto alle piante autoctone e caratteristiche dell'antico habitat padano (come il Noce, l'Avero, il Biancospino),vi sono numerose essenze non spontanee.

Il Tinazzo riveste un grande interesse naturalistico per le sue piante secolari e costituisce inoltre un continuo ambientale con il Parco Regionale dell'Oglio.




LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/05/le-citta-della-pianura-padana-soncino.html

                           http://asiamicky.blogspot.it/2015/05/il-parco-della-gola-del-tinazzo.html



FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE


LA NOSTRA APP



http://www.mundimago.org/



domenica 31 maggio 2015

IL MUSEO DELLA STAMPA A SONCINO

.


A dare origine all'arte della stampa nella famiglia Soncino è Israel Nathan ben Samuel ben Moses Soncino, medico e prestatore a pegno. Spinge il figlio Joshua Solomon ben Israel Nathan Soncino ad iniziare la pratica della stampa spinto da motivazioni sia di carattere religioso legate alla diffusione dei testi sacri che economiche, come ben descritto nel colophon del primo libro edito dal figlio, il Masseket Berakot del 1483: "Tu costruirai l'edificio del mondo, innalzerai le corna della sapienza e produrrai libri mediante la stampa; in questo vi sono due utilità somme: l'una è che prestissimo se ne produrranno molti, fintanto che la terra sarà colma di sapere; l'altra che il loro prezzo non arriverà a quello dei libri scritti con la penna o con lo stilo e chi non avrà sostanze sufficienti per acquisti costosi li comprerà a vil prezzo e al posto dell'oro darà l'argento".

La tradizione ha sempre indicato in una tipica struttura a torre trecentesca la casa degli stampatori ebrei “Soncino” posta nel quartiere di Nord-Est del Borgo abitato un tempo dagli Ebrei dove sorgeva anche il cimitero ebraico e probabilmente la sinagoga.
La Pro Loco, nell’intento di valorizzare una vicenda storica che pone questa cittadina tra le poche in Italia e in Europa sede di stamperie del 1400, è riuscita a farne la sede di un piccolo Museo. L’inaugurazione ebbe luogo nel 1988, in occasione delle celebrazioni del V Centenario della stampa della Prima Bibbia Ebraica Completa ed in questi anni il numero di visitatori è andato continuamente aumentando raggiungendo nel 2002 le 30.000 presenze.

La facciata, che si sviluppa in altezza con tre piani, presenta delle monofore ogivali ed ospita oggi il Museo della Casa degli Stampatori.

In questo spazio espositivo, "lavora" da oltre 20 anni un appassionato competente e accattivante personaggio, chiave di successo di qualsiasi visita per neofiti, scolari e studenti: con sapiente dosaggio di informazioni e manualità istruzione e coinvolgimento diretto, egli trasforma una visita "scolastica" in un'indimenticabile occasione di stamperia antica e i più fortunati se ne vanno sorridenti con una stampa fresca d'inchiostro tra le mani.

Al piano terra si possono ammirare le attrezzature di una vecchia stamperia, nelle cassettiere sono riposti caratteri di diverso stile, in legno ed in piombo e le lettere dell’alfabeto ebraico.

Vi sono sistemate alcune macchine da stampa manuali del fine del secolo scorso e dell’inizio del 1900, ma si può ammirare anche la fedele ricostruzione di un torchio in legno del 1400 e un torchio a leva in ferro della ditta Dell’Orto di Milano datato 1853 con il quale viene stampata per ogni gruppo una copia della prima pagina della Bibbia. Viene illustrata la storia della stampa e degli stampatori ebrei e vengono poste in funzione anche altre macchine manuali da stampa della fine del secolo scorso e dell’inizio del 1900.

Al primo piano, in tre ambienti elegantemente arredati, sono esposti gli originali o le copie dei libri stampati dal “Soncino” ed una importante raccolta delle pubblicazioni relative ai famosi stampatori. Le sale vengono spesso utilizzata anche come sede di mostre di grafica di alto livello nazionale ed internazionale.Nella saletta del secondo piano, il visitatore più attento potrà assistere alla proiezione di un interessante filmato che racconta la vicenda degli stampatori “Soncino” nel suo contesto storico ed ammirare la mostra didattica sulla storia della stampa.

La famiglia Soncino (in ebraico: משפחת שונצינו) era una famiglia di stampatori tipografi ed editori italiani, ebrei aschenaziti che operò in Italia, in Grecia e in Turchia fra il 1483 e il 1527 prediligendo testi di carattere religioso. Il capostipite della famiglia (inteso come il primo a prendere il cognome Soncino) fu Israel Nathan ben Samuel ben Moses Soncino, detto anche Donato da Soncino, che fu anche l'ispiratore della futura bottega della stampa che pubblicò fra le più mirabili opere stampate dell'epoca. Gaetano Zaccaria Antoniucci nel 1870 indica Donato da Soncino come "Celebre Medico", indicando l'orientalista Giovanni Bernardo De Rossi come fonte di tale notizia, e indicando Israel Nathan ben Samuel ben Moses Soncino come autore di un indice del Canone di Avicenna.

Appartenenti a quello che è definito il filone dei Baalei tosafos, i cosiddetti Tosafisti, discendenti del celebre commentatore medievale della Bibbia Rashi acronimo di Rabbi Shlomo Yitzhaqi (רבי שלמה יצחקי) conosciuto con il nome latinizzato di Salomone Isaccide o Salomone Jarco dal quale non è dato sapersi con quale grado di parentela, ma discendenti diretti di Rabbi Moshé Shapiro, che visse nella prima metà del sesto secolo.

Provenienti dalla città tedesca di Spira in Alsazia, la famiglia è presente in Italia e per la precisione a Treviso, dove Moses ben joseph, il primo membro della famiglia ad essere documentato in Italia, ottiene una concessione di prestito a pegno e viene definito, a livello documentale, prestatore de Alemania. Presenti a Treviso più di un membro della famiglia, alla fine del XIV° Secolo, vengono riconosciuti con il cognome "Da Spira". Il cognome Soncino viene dato loro dalla città in cui si stabiliscono e dove iniziano l'opera di stampa libraria, il borgo italiano di Soncino, oggi nella provincia di Cremona, allora sotto il Ducato di Milano. Accusati di atti sacrilegi (non è dato sapersi se veri o presunti) nel 1400 la famiglia deve allontanarsi dalla città di Treviso per raggiungere Cremona, dove Moses da Spira aveva precedentemente (e saggiamente) acquistato un terreno e ivi costituito una società di prestiti con Bonaventura da Zanatano e con Manuele fu Matassia. Moses e la famiglia rimangono cinque anni a Cremona poi si spostano a Mantova, nel 1405.Il figlio di Moses, Shemuel detto Simone da Spira, anche lui prestatore di pegni che ha vissuto a Marostica, a Bassano del Grappa e infine ad Orzinuovi si trasferisce a Soncino il 9 Maggio 1454 su licenza scritta e benestare di Francesco Sforza. Proprio a Bassano del Grappa Simone da Spira gestisce un banco dei pegni per sei anni, su concessione del comune stesso, dal 1435 al 1442.

Durante un viaggio a Pfirt, in Alsazia, Simone da Spira combatte contro le schiere dell'inquisitore Giovanni da Capestrano, il quale è alla ricerca di scismatici, eretici ed ebrei. Questo episodio verrà in seguito ricordato da Gershom Soncino sul frontespizio del Sefer Ha mispar di Eliahau Mizrachi e del Sefer Miklol di David Kimchi.

Figlio, probabilmente adottivo come indicato dallo storico De Rossi, di Simone da Spira è Israel Nathan ben Samuel ben Moses Soncino, il primo della famiglia "Da Spira" a variare il nome in "Soncino".

Sull'inizio delle attività di stampa ebraica in Europa vi sono state molte discussioni in passato ed è ancora oggi assai difficile stabilire con certezza di chi e quale fu il primo laboratorio di stampa dedicato all'editoria ebraica ad essere attivo nel mondo, anche perché molti dei libri stampati in ebraico, insieme a molti preziosissimi manoscritti, andarono perduti nelle varie vicende di persecuzione degli ebrei occorse nel tempo. Vi sono studi recenti che indicano la Famiglia Soncino come "unici stampatori in ebraico nel mondo" per almeno una decade, quella che va dal 1494 al 1504. In contrasto con questa tesi c'è quella del Riccardo Calimani che invece sostiene che "Dal 1497 al 1503 nessun libro ebraico fu stampato in Italia". L'attività di stampa in ebraico ha dei precedenti a Reggio Calabria (1475) e a Piove di Sacco nel Padovano, per poi comparire a Mantova e a Ferrara. Il celebre ebraista Giulio Bartolocci indicava il laboratorio dei Soncino come il primo a stampare in ebraico: "Ex hoc oppido primo prudierunt in italia impressores librorum haebraicorum ex Judaicis", così come Cristoforo Volfio che scrive: "...interim haclenus mihi contra omnem dubitationem videtur pisitum prima integrorum librorum haebraice exciussorum initia in Italia apud Judaeus Soncinates quaerenda esse." Non si hanno notizie relativamente a dove i Soncino avessero appreso l'arte della stampa, o se usufruissero del servizio di esperti provenienti da altri luoghi. Abramo Conath, un medico che aveva fondato una stamperia a Mantova, descrisse bene il processo faticoso di apprendimento dell'arte della stampa e le difficoltà che aveva incontrato.

Non c'è alcuna indicazione certa sulla tipologia di torchio che i Soncino utilizzarono nel loro laboratorio, ne tantomeno si ha certezza sul numero di torchi installati. Attualmente, presso il Museo della Stampa di Soncino, allestito presso quello che fu il laboratorio dei Soncino, è installata la riproduzione di un torchio mediceo perfettamente funzionante il quale è sicuramente quello che si avvicina di più al torchio o ai torchi utilizzati dai Soncino al tempo, pur non essendoci alcuna certezza in merito. Per certo i Soncino utilizzarono dei torchi da stampa di fattura eccelsa, e ciò lo si deduce dall'uniformità e dalla bellezza delle stampe che si sono salvate dalle ingiurie degli uomini e del tempo. L'arte della stampa era relativamente moderna, in quel tempo, e sicuramente il "macchinario" in questione fu preparato ad-hoc e ivi installato. Logico è pensare che i Soncino avessero già avuto modo di vedere un torchio da stampa in azione prima ancora di iniziare l'avventura che li porterà ad essere gli unici stampatori ebrei in attività in Italia dall'ultimo decennio del Quattrocento al quarto del Cinquecento, peraltro con un livello qualitativo altissimo.

Detto Simone Ibreo, Simone da Spira, Samuele Ibreo, Samuele da Spira. Il 9 Maggio 1454 il Duca di Milano Francesco Sforza autorizza tale Symon ibreo del fu Moisé da Spira a stabilirsi in Soncino insieme ad un compagno di viaggio (di cui non c'è documentazione, ma ci sono dati certi relativi alla presenza di un fratello, padre di Israel Nathan, di nome Samuele, il quale potrebbe essere il compagno di viaggio di Simone da Spira), al fine di esercitare l'arte feneratoria (il prestito senza garanzie oggettive) ed il prestito a pegno. Il documento, facente parte delle Corrispondenze Ducali, è conservato nell'archivio di San Fedele a Milano. Simone da Spira proveniva da Orzinuovi, e prima ancora aveva avuto dei banchi di pegno nel Veneto e a Brescia. Negli archivi Milanesi e Veneziani c'è molta documentazione sugli spostamenti di Simone da Spira da e per Brescia, Cremona e Soncino, in quanto esso, come tutti gli ebrei, doveva rendere conto alle autorità del luogo in cui operava e chiedere permessi per poter spostare o iniziare le nuove attività.

Israel Nathan era nipote e figlio adottivo di Samuele e conseguentemente nipote di Mosé da Spira. Detto anche Mosé Soncino, Israele Mosé Soncinate o Donato Soncino. Ebbe tre figli maschi. Stimato medico e abile feneratore, Israel Nathan scrisse l'epilogo del "Mahzor" di Casalmaggiore nel 1486. Fu dal suo suggerimento che il figlio Jushua Salomone Soncino intraprese l'attività di stampa. Morì a Brescia nel 1492 o forse nel 1493, sicuramente nel periodo che va fra Settembre 1492 e Gennaio 1493. La data esatta della morte di Mosé Soncino è incerta, ma sicuramente cade nel nel lasso di tempo indicato sopra, in quanto il figlio Gersom Soncino scrive nell'epigrafe del volume Mechaberròth seu poeticarum compositionum del Rav. Immanuel, finita di stampare fra la fine dell'anno ebraico, che cadeva in Settembre, e l'inizio dell'anno cristiano, che cadeva nel Gennaio del 1493: Per manum minimi tipogr. Gersom tipogr. filii sapientis R. Mosis memoria justi sit in benedictione, ex semine Israel viri soncinatis In memoria di Mosé. Alcune fonti parlano di Israel Nathan Soncino come di un rabbino, altri lo indicano come medico, altri come prestatore di pegni. Queste ultime due sono le più accreditata, e si da per certo che l'attività di stampa fu avviata grazie all'avvento di un monte di pietà francescano istituito nel 1472 poco distante dalla casa degli stampatori a Soncino, il che sembrerebbe aver demolito le basi che sorreggevano l'attività di prestito a pegno del Nathan. Una ulteriore prova dell'attività di stampa e di prestito a pegno di Israel Nathan Soncino viene da un atto giudiziario del 1488 dove il Nathan viene incarcerato, su ordine di Ludovico il Moro e interrogato da Bernardino D'arezzo con la trascrizione dell'interrogatorio da parte del notaio Materno Figino, insieme ad una serie di altri personaggi, sempre di religione ebraica, con l'accusa di scrivere "maledizioni contro il Papa nei testi ebraici". L'intervento di Papa Innocenzo VIII° scongiurò l'incarcerazione degli accusati, i quali però furono costretti a pagare una penale di 19.000 ducati da pagarsi in tre rate, pena la galera. In questi atti è riportata l'attività sia di stampa sia di prestito a pegno di Israel Nathan Soncino.

Paolo Ceruti, nella "Biografia Soncinate" del 1840, indica Israel Nathan Soncino come un medico, padre di due figli (e non tre come si evince da altri testi).

Citato da diverse fonti e probabilmente Figlio di Israel Nathan ben Samuel ben Moses Soncino, indicato come collaboratore con i fratelli nella stamperia di Soncino esso non figura in alcuna opera, ma è pressoché certa la sua presenza nel contesto dell'officina di stampa. Muore nell'anno 1490. In alcune stampe di Salonicco viene riportato il nome di Mosé Soncino, ma probabilmente si tratta di un discendente che porta lo stesso nome di quest'ultimo ma del quale non si ha memoria.

Detto anche Salomone Soncino, Giosuè Soncino o Giosué salomone Soncino. Di lui si hanno poche notizie, quantomeno dal punto di vista biografico. Fu un prolifico stampatore, a lui sono attribuite alcune delle opere più straordinarie della produzione dei Soncino. Fu Giosué Salomone Soncino che pubblicò il primo libro della stamperia Soncino, il "Talmud Babilonese Berakot", detto anche "Talmud Soncino", un'opera conosciuta e studiata ancora oggi in tutto il mondo. Nel 1488 convoca a Soncino Abramo Chaiìm, figlio del Rabbino Rav. Chaiìm, uno stampatore pesarese di grande esperienza nei testi sacri(aveva stampato diverse opere a Ferrara e un celebre Pentateuco a Bologna), e con questi nel contesto dell'officina di stampa fu prodotta la famosa "Bibbia intera" del 1488. In seguito Giosué Soncino scompare dal testo dei libri prodotti nella stamperia di Soncino lasciando posto ad un generico "Soncinati", per poi ricomparire a Napoli, nel 1492 dove si unisce ad un altro gruppo di stampatori ebrei, dove nei testi prodotti da questa nuova società comprare come Giosué Salomone Soncinate, lasciando così l'officina di Soncino in mano al fratello Gerson.

Gerson da Soncino, Gerson ben Moisé, Hieronimo Soncino, Jeronimo Soncino, Girolima Soncino oppure Girolamo Soncino, Gerson da Soncino fu il più celebre fra gli stampatori soncinati. Figlio di Mosé Soncino (Israel Nathan ben Samuel ben Moses Soncino), Gerson Soncino conosceva oltre alla lingua ebraica quella latina e la greca. Furono suoi maestri i rabbini francesi R. Belvenia, R. Terabóth, R. Merabel, e R. Mosè Bazla. Fu nipote di terzo grado dello stampatore Giosué Salomone detto anche Giosua Salomone. Nella sua vita viaggiò molto, e vi sono documenti che ne riportano la presenza in Savoia, a Ginevra, in Francia alla ricerca di manoscritti Si specializzò nella pubblicazione di testi talmudici, ma non disdegnò altri generi. Il suo primo lavoro fu il "Praeceptorum Kotzensis" del 1488. Nel 1490, per ragioni sconosciute, si trasferisce a Brescia. A Brescia pubblica il "Mecahabberóth seu poeticarum compositionum" del Rabbino lmmanuel, nel 1491. A questo segue un testo della Torah (detto Pentateuco): Meghilloth, seu sacris voluminibus and Aphtaróth, seu Prophetarum lectionibus. La sua produzione fu notevole e di altissimo livello qualitativo. Molti gli spostamenti: Fano, Pesaro, Ortona, Rimini, Salonicco e alla fine anche Constantinopoli. Morì a Costantinopoli probabilmente nel 1534. Nella sua carriera tipografica Gerson Soncino utilizzò caratteri mobili Latini, Greci ed Ebraici incisi da Francesco da Bologna che venne accreditato come il creatore dei caratteri corsivi attribuiti ad Aldo Manuzio. A tutt'oggi la diatriba sul nome e sull'identità di Gershon ben Moses Soncino è aperta. Lo storico ottocentesco Gaetano Zaccaria Antonucci e il Cav. Zefirino Re sostenevano che Gershon e Girolamo fossero due persone distinte, mentre il Cav. Luigi Tonini nel Estratto degli atti della deputazione di storia patria per le provincie della Romagna - anno IV° Pagina 121-168, Bologna, 1866 sosteneva che si trattasse di una sola persona, definendolo "Gersone" o "Girolamo" a seconda della località in cui stampava. Il Tonini parla di Girolamo-Gersone come "Figlio di Leonardo Soncino", aprendo così una ulteriore porta sulla confusa genealogia della famiglia. Sia Antonucci che Z. Re definiscono l'ipotesi del Tonini "Troppo autorevole per non essere tenuta in considerazione". In seguito lo stesso Antonucci trova un documento che riguarda un certo Magister Hieronimus q. Leonardi impressor et habitator Arim. constituit procuratorem etc. nella Collezione Zanotti, P.6 P. 248 citato in un rogito dell'8 aprile 1524. Antonucci e anche Z. Re fanno notare in seguito che sia Girolamo che Gersone Soncino si fossero recati a Rimini, Pesaro e Fano, e molte edizioni fossero firmate da uno o dall'altro, ma, a dispetto di questa ipotesi, mai contemporaneamente. L'unico documento non-librario che documenta uno dei due è una richiesta di "licenza di stampa" fatta al Consiglio di Rimini e rilasciata con il titolo di Librorum Impressorum Egregius nel 1518. La tesi che si tratti di due distinte persone viene sostenuta in seguito anche dagli storici Bianchi, Sacchi e Rebolotti. Gli ebraisti ottocenteschi Füvst e Zunz dichiararono che Gerson e Girolamo erano un'unica persona. I documenti storici indicano che Israel Nathan Soncino avesse tre figli, per cui l'ipotesi che Gershon-Girolamo sia una persona sola è piuttosto fondata, ma ancor oggi non provata.

Nel "Pentateuco, cantici (e altri libri) stampato a Napoli nel 1491, l'epigrafe reca la seguente dicitura: "Vedete se nel mondo vi sia altro esemplare così accurato e con tanta intelligenza elaborato. A chi interroga chi abbia stampato quest'opera, rispondete: I figli di Soncino la eseguirono, nella città di Napoli l'anno CCLI". E con questo si apre la discussione relativa a chi fossero questi "Figli di Soncino" che si recarono a Napoli per stampare l'opera in questione. Molte sono le ipotesi, e Gaetano Zaccaria Antoniucci ne deduce che lo stampatore in questo caso sia Giosué e non Girolamo (Antoniucci è convinto che si tratti di due persone distinte). Un'altra evidenza è il plurale della frase "i figli di Soncino". Tale era l'accuratezza che è piuttosto lungi dall'essere considerato un errore, tant'é che l'epigrafe in se avrebbe riportato, nel caso del solo Giosué come tipografo, "il figlio di Soncino" e di seguito il nome. E' altresì possibile che insieme al Giosué vi fosse un fratello (Mosé Iuniore?) a coadiuvarne il lavoro. Antoniucci ritiene impossibile che il Gersone (Girolamo) possa essere a Napoli in quel periodo, di conseguenza uno dei "Figli di Soncino" deve essere Giosué. Ma rimane comunque il dubbio di quale sia il nome del secondo. In Soncino e in Brescia vi sono, nello stesso periodo, opere a firma di Gersone-Girolamo. Un altro motivo di discussione è relativo all'epigrafe, a firma del padre di Giosué, Mosé Iuniore e Girolamo, Israel Nathan Soncino, il quale dice testualmente: "Tu costruirai l'edificio del mondo..." e in tale frase è indubbio che si rivolga ad uno solo dei tre figli.

Eleazar ben Gershon Soncino detto anche Elizer, figlio di Gerson Soncino. Tipografo a Costantinopoli dal 1534 al 1547. Il suo "Miklol" (concluso nel 1534), fu iniziata dal padre Gersom. Pubblicò il "Meleket ha-Mispar," nel 1547 e il "responso di Isaac ben Sheshet" nel 1547.

Si hanno notizie di alcuni tipografi stampatori che portano il cognome Soncino in anni successivi alla morte dell'ultimo discendente conosciuto, Eleazar Soncino. A Pavia nel 1565 viene edito il libro Istitutiones Juris Canonicis che porta in calce i nomi degli stampatori: Girolamo, Bartolomeo e Costanzo Soncini.

Molti furono gli spostamenti dell'attività dei Soncino, legati alle persecuzioni subite nel corso del tempo, sia di carattere politico che religioso. Non è certo se con la dipartita dei Soncino venissero a mancare anche le officine di stampa ad essi collegate, ed è ancora oggetto di studio. A onor del vero, essendo documentata una certa permanenza nel tempo delle varie officine di stampa sia a Soncino che a Fano, Rimini, Pesaro, Casalmaggiore, Brescia e in seguito Salonicco e Costantinopoli, ed essendo le edizioni stesse (marchiate) l'unica documentazione disponibile a provare la permanenza in un luogo (tolta la "Licenza di Rimini" del 1518), si presuppone che i Soncino avessero una sorta di attività multipla in molteplici località della penisola, aprendo poi le officine di salonicco e di Costantinopoli. L'attività inizia a Soncino fra il 1483 e il 1486 per poi passare a Casalmaggiore sempre in provincia di Cremona nel 1486; fra il 1488 e il 1490 ritorna a Soncino; poi Napoli fra il 1490 e il 1492; poi a Brescia fra il 1491 e il 1494; poi a Barco in provincia di Brescia fra il 1494 e il 1497. Ghershom (Girolamo) Soncino si ferma a Venezia per un certo periodo di tempo, fra il 1498 e il 1503, dove entra in contatto con Aldo Manuzio per il quale scrive la Introductio perbrevis ad hebraicam linguam In seguito i rapporti fra il Soncino e Manuzio si deteriorano e Ghershom Soncino convince Francesco Grifo a seguirlo a Fano fra il 1503 e il 1506; poi a Pesaro fra il 1507 e il 1520 (con spostamenti ancora Fano nel 1516 ed a Ortona nel 1519); Soncino è a Rimini dal 1521 al 1526. Alcuni membri della famiglia si spostarono successivamente a Costantinopoli fra il 1530 e il 1533 e altri invece a Salonicco fra il 1532e il 1533. Il marchio dei Soncino era una torre, presumibilmente la torre di Casalmaggiore. In seguito al processo di Milano contro Israel Nathan Soncino e altri imputati ebrei, accusati di stampare testi "sacrilegi contro la religione cristiana", tenutosi fra Marzo e Maggio del 1488, la famiglia Soncino decide di lasciare il borgo di Soncino per portarsi a Brescia. Non vi sono certezze sulla permanenza o meno della stamperia nel paese di origine, Soncino anche se vi sono documenti che indicano con poco margine di errore una certa discendenza di stampatori che si dichiarano "discendenti di Mosé di Spira a Soncino".

Quella che fu la casa della famiglia degli stampatori, è stata trasformata in un museo e recentemente restaurata. Nel museo, oggi, viene stampata per i visitatori la prima pagina della "Bibbia Soncino" a mezzo di un torchio da stampa mediceo ricostruito sulla base delle caratteristiche dei torchi antichi, presumibilmente di una tipologia simile a quella utilizzata dagli stampatori Soncino.

Antoniucci stesso ipotizza, per voce del De Rossi, che l'attività di stampa dei Soncino, o meglio di Mosé di Spira, fosse partita a Pesaro prima che a Soncino, e che l'attività nel borgo di Soncino fosse stata avviata già nel 1477 e non nel 1483. Francesco Predari nel "Dizionario di Geografia universale moderna" del 1864 addirittura pone la data di fondazione della stamperia Soncino al 1473, ma senza fornire la fonte di tale informazione.





LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.com/2015/05/le-citta-della-pianura-padana-soncino.html





FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE


LA NOSTRA APP



http://www.mundimago.org/



IL CASTELLO DI SONCINO

.


Il Castello di Soncino è uno dei più tipici castelli lombardi dell'area del cremonese, eretto a partire dal X secolo ed avente un ruolo fondamentale nella difesa dell'area sino al Cinquecento
Le origini della rocca risalgono al X secolo quando venne realizzato un primo cerchio di mura attorno ad una primitiva struttura difensiva per contrastare la calata degli Ungheri. Nel Duecento il castello venne assediato diverse volte sia dai milanesi che dai bresciani alleati e altrettante volte ricostruito sino al 1283 quando il comune di Soncino deciderà la costruzione di una nuova rocca. Nel 1312 il castello viene occupato dai cremonesi e nel 1391 i milanesi lo utilizzano per la loro guerra contro i veneziani, il che portò dal 1426 a nuovi rafforzamenti sul cerchio esterno di mura.

Nel 1283 si trova menzionata una nuova Rocca, mentre nel 1312 il castello è occupato dai Cremonesi e nel 1391 i Milanesi ne faranno una testa di ponte contro i Veneziani la cui politica di espansione in terraferma avveniva ormai a danno del Ducato Milanese. Dopo la conquista di Brescia, avvenuta nel 1426, da parte della Serenissima le mura ed il castello vennero rinforzati intorno al 1427 per sostenere gli attacchi dei veneti. La pace di Lodi del 1454 sancì definitivamente i confini tra la Repubblica di Venezia ed il Ducato di Milano, assegnando a quest'ultimo anche Soncino. Nonostante ciò, Francesco Sforza fece rinforzare le mura ed il castello. Nel 1468 i Soncinesi avanzarono al Duca la richiesta di costruire una nuova rocca presso l'angolo di sud-ovest, in sostituzione della precedente. Francesco Sforza, ancora dubbioso della fedeltà degli abitanti, non accolse la proposta e si limitò a costruire un nuovo torrione. Galeazzo Maria Sforza nel 1469 inviò a Soncino gli architetti Serafino Gavazzi da Lodi ed il cremonese Bartolomeo Gadio, quest'ultimo autore anche del Castello Sforzesco di Milano, per approntare i progetti della nuova Rocca. I lavori però non ebbero inizio. Nel 1471 gli ingegneri ducali Benedetto Ferrini da Firenze e Danese Maineri, responsabile delle fortezze di Soncino e Romanengo, intrapresero delle opere di manutenzione dell'antica rocca, oltre alle mura, alle porte ed alla torre civica. Al Ferrini venne pure ordinato di stimare la spesa per la costruzione della rocca gadiana, ma i lavori non iniziarono che nel 1473 sotto la direzione del protomastro Bartolomeo Gadio il quale aveva richiesto la presenza del Maineri e del maestro da muro Giacomo De Lera, di Cremona, esponente della nota famiglia di architetti. I lavori verranno compiuti proprio dal De Lera. Lo stato di avanzamento dei lavori è testimoniato dalle due missive ducali del 1474 nelle quali è contenuta la richiesta di collocare un'insegna con l'impresa sforzesca sopra la porta della rocca. Insieme alla cerchia muraria la rocca costituiva un importante complesso fortificato, anche se non proprio all'avanguardia. Nonostante fosse stata interamente costruita dagli Sforza, la rocca risente degli influssi viscontei: il suo impianto quadrato con torri singolari sporgenti deriva dai castelli di pianura di Pandino, Pavia ed altri. La difesa si limita a potenziare alcuni elementi quali lo spessore dei muri, la maggiore altezza delle torri, la profondità del fossato, ecc. La torre circolare costituiva una novità, un elemento aggiornato che venne edificato però su un preesistente torrione circolare e non intenzionalmente. Anche il castello di Lodi presentava un'unica torre circolare, ancor'oggi visibile, innestata su impianto quadrato ed inserita nella cerchia muraria. Nel 1499 la rocca diverrà possedimento dei veneziani fino al 1509. In seguito passerà dai francesi nuovamente agli Sforza e nel 1535 al dominio Spagnolo. Nel 1536 Carlo V di Spagna elevò Soncino a Marchesato infeudandolo agli Stampa e da allora un lento declino interesserà la rocca: gli Stampa lo trasformeranno progressivamente in residenza, costruendo nuovi corpi di fabbrica addossati alle mura interne e trasformando le strutture esistenti, come la camera superiore della torre di sud-est che diverrà cappella. Nel XVI secolo pittori di fama quali Bernardino Gatti, decorarono alcune sale ottenute chiudendo gli spalti. Vincenzo Campi realizzò al pala d'altare della cappella con una perduta Deposizione di Cristo, mentre Uriele Gatti dipinse alcune sale al piano terreno. Purtroppo la decorazione è quasi completamente sparita e non ne rimangono che poche tracce. Nonostante alcuni tentativi di rafforzare le difese in occasioni d'interventi minacciosi, la rocca cadde in un progressivo abbandono, tanto da divenire magazzino di legname. Nel 1876 Massimiliano Stampa, ultimo marchese di Soncino, cedeva il complesso alla Municipalità per legato testamentario. Nel 1883 l'architetto Luca Beltrami venne incaricato di eseguire un rilievo e nel 1886 iniziò i lavori di restauro che comportò la demolizione di porticati ed altre strutture addossate agli spalti. Le merlature, i tetti delle torri vennero in gran parte ripristinati, mentre il ponte levatoio veniva sostituito da uno un muratura. I lavori terminarono nel 1895 con il restauro del rivellino. Situata in una piazza raccolta, si presenta con un rivellino un tempo chiuso da saracinesca. Al di sopra del portale vi è una finestrella con profonda strombatura dalla quale la sentinella poteva controllare la piazza d'armi. Oltrepassato il rivellino, si entra nella rocca vera e propria, preceduta da una piccola corte che fungeva da disimpegno per i movimenti delle truppe. Due scale addossate alle pareti interne conducono agli spalti, protetti da merlature poggianti su caditoie le quali venivano utilizzate per lanciare pietre e liquidi bollenti quali pece ed olio. Sul lato ovest del rivellino un tempo v'era un ponte levatoio che veniva, in caso di emergenza, calato sul ponte fortificato in modo da permettere l'evacuazione della rocca verso la campagna. L'accesso alla rocca era permesso da due ponti levatoi, uno pedonale ed uno carraio, per il passaggio di cavalli e carri. In caso di attacco e conquista del rivellino, la rocca poteva essere facilmente isolata. Varcato il secondo ingresso si giunge al cortile del castello. Al centro del cortile v'è una vera da pozzo, ricostruita nel XIX secolo, così come è stato messo in luce l'accesso ai sotterranei. La torre di nord-ovest, detta anche Torre del Castellano perché residenza del capitano della fortezza, ha anch'essa un ingresso alla quota del cortile, ma a differenza delle altre due quadrangolari, attraversate dal cammino di ronda posto alla quota degli spalti, presenta un passaggio interrotto da due passerelle levatoie in modo da consentire l'isolamento in caso di assedio. La torre diveniva così l'ultimo baluardo di difesa che poteva garantire la via di fuga degli assediati attraverso i sotterranei della torre ed un passaggio segreto posto sul lato ovest del fossato. Dal cortile, tramite un piccolo atrio con due porte che potevano essere saldamente chiuse dall'interno, si accede ad una stanza coperta da volta a botte. Sulla parete di fronte si apre una finestra, mentre sulla parete di sinistra possiamo ammirare un camino con cappa piramidale. Sulla destra si apre la scala che conduce ai sotterranei mentre vicino alla finestra, in un angolo, si trova un pozzo. Posta simmetricamente, all'ingresso si apre la porta della scala scavata nel muro perimetrale della torre, che conduce alla stanza superiore, anch'essa con volta a botte lunettata. La sala, un tempo decorata con affreschi, presenta un'ampia finestra con sedili in mattoni posti nell'ampio sguancio, era dotata di latrina ricavata nello spessore del muro. Lungo le pareti si trovano le uscite che conducono sugli spalti. Dall'atrio che conduce allo spalto occidentale, parte una scaletta che porta al piano della merlatura, ora coperto dal tetto. Ritornati al piano del cortile, è ora possibile scendere al pozzo interno. Si giunge ad una sorta di atrio che dà accesso alla prima sala sotterranea coperta da volta a botte ed illuminata da una finestrella, mentre un lato della stanza é interamente occupato da un rialzo a forma di bancone. Proseguendo, giungiamo ad un secondo andito che conduce al secondo sotterraneo, a destra, che poteva essere inondato in caso di necessità e che conduceva a due camminamenti, probabilmente vie di fuga. A sinistra si entra in una sala con volta a botte che conduceva, mediante la porta levatoia, al pontile a due arcate sul fossato e da qui ad un'uscita segreta. Mediante una scala sotterranea si risale alla corte centrale e raggiungiamo gli spalti tramite la scala addossata al lato est. Lo spalto orientale mette in comunicazione due torri quadrate, dotate di una stanza al piano terra coperte da volte e finestra strombata. Due porte portano rispettivamente al sotterraneo su due livelli ed al piano superiore aperto sugli spalti con due archi e volte a crociera. Da qui parte un'altra scaletta che conduce al livello degli spalti della torre sud - orientale, dove si possono notare ancora tracce di affreschi, utilizzata nella seconda metà del XVI secolo come cappella. Il più antico di questi affreschi raffigura una Madonna con il Bambino, probabilmente un ex-voto, della fine del XV secolo. Sotto uno strato d'intonaco è possibile ammirare un frammento d'affresco raffigurante il Leone di S. Marco, ricordo della breve dominazione veneziana. Sul terzo strato d'intonaco, risalente alla dominazione sforzesca, è possibile vedere un grande stemma sforzesco fiancheggiato da tizzoni accesi cui sono appese delle secchie, che dovevano illustrare il motto "Accendo e spengo", mentre ai lati, ripetuta controparte, possiamo ammirare l'altra impresa araldica raffigurante una mano nell'atto di sciogliere il cane alla catena legato all'albero. L'impresa araldica, che in seguito venne venduta agli Stampa, significava la libertà che fu portata al Ducato di Milano dagli Sforza. La volta è decorato con un motivo a pergolato, analogo a quello dipinto nella chiesa di S. Maria delle Grazie di Soncino. Il tema del pergolato non è infrequente nelle fortezze sforzesche: basti ricordare quello celebre che da il nome alla Sala delle Assi in Castello Sforzesco a Milano.

La Torre circolare è l'unica ad avere questa caratteristica forma e presenta al livello dei camminamenti una sala rotonda con calotta circolare al centro della quale si trova un pilastro a forma di cilindro che conduce sul tetto del baluardo, di forma conica e di molto sopraelevato rispetto alle altre torri, di modo che l'area potesse essere usata come torre d'avvistamento. Questa torre, eretta nel Cinquecento, presenta altresì molte tracce ad affresco di stemmi e di una crocifissione oggi in forte stato di degrado. La presenza di questo particolare affresco fa pensare che qui un tempo fosse posta la cappella che, a seguito delle trasformazioni volute dai marchesi Stampa, venne trasferita in un'altra torre. Al livello degli spalti la torre presenta un andamento cilindrico, ma verso l'interno presenta un angolo rientrante con le pareti allineate agli spalti stessi. All'incrocio di queste pareti si apre una porta che immette in una stanza rotonda coperta da calotta sferica e con due aperture a doppia strombatura che servivano per puntare le spingarde a difesa del lato sud e del ponte. Vicino alla porta vi è una scaletta con andamento elicoidale che conduce alla merlatura con ordine di piombatoi. Nel pilastro cilindrico posto al centro della stanza vi è una scaletta a chiocciola che conduce alla sommità del tetto conico della torre, una sorta di belfredo che assolveva alla funzione di torretta d'avvistamento. Questa dislocazione, al di sopra dei tetti, permetteva una visione più ampia del territorio circostante. La parte inferiore della torre è costituita da una stanza bassa coperta da volta ed appena illuminata da aperture poste a filo del terreno, probabilmente un magazzino di munizioni. Tra la volta ed il pavimento della stanza superiore vi è uno spessore di circa tre metri, il che fa supporre che vi esistesse una stanza intermedia. La tradizione la vuole identificata come la sala del tesoro, ma che però potrebbe essere, forse, una struttura di consolidamento del bastione della cinta muraria a sostegno della torre cilindrica. Anche durante i restauri ottocenteschi eseguiti da Luca Beltrami, non si è mai trovata l'apertura per questa stanza. A differenza delle altre torri, questa presenta una sola sala sotterranea, di forma circolare e coperta da volta. Tornati in cortile, ammiriamo il corpo di fabbrica addossato alla cortina muraria meridionale. L'edificio è un'aggiunta cinquecentesca tesa a trasformare la rocca in residenza signorile. Le pareti recano tracce di stemmi sforzeschi, mentre la parete occidentale presenta una nicchia ad arco entro cui è affrescata una Crocifissione, ormai sbiadita. Probabilmente questa era la parete di fondo della cappella e l'affresco doveva assolvere alla funzione di pala d'altare. In seguito alle trasformazioni subite dalla rocca nella metà del XVI secolo, la cappella venne demolita per far posto ai nuovi corpi di fabbrica destinati a residenza e fu in quell'occasione che il luogo sacro venne spostato sugli spalti della torre sud orientale.





LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/05/le-citta-della-pianura-padana-soncino.html





FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE


LA NOSTRA APP



http://www.mundimago.org/



Post più popolari

Elenco blog AMICI