lunedì 16 marzo 2015

IL PETROLIO E IL LAMBRO



Il disastro ambientale del fiume Lambro è il termine coniato dai mass media e della stampa, per indicare un disastro ecologico ed ambientale, causato dall'immissione dolosa di una ingente quantità di petrolio nel fiume Lambro, già da anni vittima di pesanti forme di inquinamento che lo fanno annoverare tra i corsi d'acqua più inquinati d'Europa, nella notte tra lunedì 22 e martedì 23 febbraio 2010, provocando un disastro ambientale senza precedenti per questo fiume.
Oltre al Lambro, anche il Fiume Po venne "colpito" dal disastro, e una piccola quantità di idrocarburi si riversò nel Mare Adriatico, senza tuttavia creare pericoli.

Il disastro ebbe origine alle 3.30 della notte tra lunedì 22 e martedì 23 febbraio 2010, quando degli ignoti sabotatori (ancora oggi non identificati), entrarono nella "Lombarda Petroli" situata a Villasanta nella provincia di Monza e Brianza, una raffineria in disuso dagli anni ottanta, e svuotarono dolosamente, senza un motivo ben preciso, il contenuto di sette "silos" carichi di petrolio per abitazioni e vari tipi di idrocarburi, il tutto pari a circa 2,5 milioni di litri (pari a circa 170 autocisterne), secondo una stima del direttore centrale ambiente della provincia di Milano, Cinzia Secchi.

Il petrolio fuoriuscito dalle cisterne defluì nei terreni vicini alla raffineria e da lì si riversò nel condotto fognario.
Dalle fogne, il petrolio, raggiunse in breve tempo il depuratore di "Monza - San Rocco", posizionato nei pressi del fiume Lambro.
Il petrolio inizialmente defluì in una "vasca", ma dopo pochi minuti, a causa dell'enorme quantità riversata "esondò" dalla vasca, finendo nel Lambro e scendendo verso valle trasportato dalla forte corrente del fiume, gonfio dalle piogge invernali. L'allarme fu lanciato verso le 5 del mattino del 23 febbraio, da un operatore del Depuratore di Monza, che insospettito dal mal funzionamento del depuratore, scoprì il petrolio.
In pochi minuti fu istituito un piano d'emergenza, atto a fermare o a quantomeno "mitigare" gli effetti di un Disastro che si preannuncia di proporzioni mai registrate, per un fiume lombardo.
Una task force formata dai Vigili del Fuoco, dai volontari dalla Protezione Civile e dai tecnici dell'ARPA, con l'aiuto del corpo forestale dello stato subito cominciò ad installare lungo tutto il corso del fiume delle dighe galleggianti in grado di fermare il petrolio. Intanto presso il centro del WWF a Vanzago cominciarono ad essere portati tutti gli animali contaminati dal petrolio. Centinaia furono gli animali estratti morti dal Lambro e quelli ancora vivi in gravi condizioni.

Intanto il petrolio superò il primo sbarramento, giungendo intorno alle 16 a Melegnano. Qui è previsto uno sbarramento fisso, creato per verificare lo stato delle acque del fiume, e quindi la task force decise di creare il secondo sbarramento. Le "chiuse" dello sbarramento vennero fatte alzare per consentire all'acqua pulita di defluire, mentre il petrolio fermo in superficie fu aspirato in apposite "autocisterne".

La quantità di petrolio era però enorme, e anche lo sbarramento di Melegnano cedette, consentendo alla "marea nera" di proseguire il viaggio. Superato lo sbarramento di Melegnano, il petrolio, intorno alle 20, giunse a San Zenone al Lambro, dove la task force, aveva creato il terzo sbarramento, utilizzando una diga, usata da Enel Energia per produrre energia elettrica da fonti rinnovabili (il fiume). Alla Diga di San Zenone, i vigili del fuoco e i volontari della Protezione Civile, con l'aiuto del Corpo Forestale, lavorarono duramente tutta la notte per impedire che il petrolio potesse raggiungere il Po.

Ma gli sforzi risultarono vani e il petrolio proseguì la sua corsa.

In tarda serata, la "marea nera" giunse a Lodi, inquinando i condotti agricoli, con gravissimi danni ambientali e al raccolto.

Qui la task force creò un quarto sbarramento, utilizzando dei prodotti assorbenti per poter fermare il petrolio, ma anch'esso cedette e il petrolio proseguì la sua corsa.

Verso le 6 del mattino di mercoledì 24, la "marea nera" arrivò a Sant'Angelo Lodigiano, sede dell'ultimo sbarramento prima dello sbocco del Lambro nel Po.
Per quanto la task force lavorasse duramente, gli idrocarburi superarono anche quest'ultimo sbarramento all'alba di mercoledì mattina, raggiungendo il fiume Po al punto di confluenza, nel tratto piacentino del fiume.

Verso le 11 di mercoledì 24 febbraio, il petrolio raggiunse il tratto piacentino del Po, e da qui in poi le operazioni per fermare il petrolio, passarono alla regione Emilia-Romagna e alla protezione civile nazionale.
Il peggior timore fu che il petrolio potesse raggiungere il delta del Po e di conseguenza il Mare Adriatico. Essendo l'ecosistema del delta fragilissimo, il passaggio della "marea nera" avrebbe causato danni gravissimi all'ambiente e all'economia della zona.

A Piacenza, con l'aiuto dell'esercito italiano, venne organizzata una seconda task force per fermare la "marea nera" prima che raggiungesse Ferrara, dove normalmente i cittadini bevono acqua del Po depurata. Sul luogo giunsero anche il ministro dell'ambiente Stefania Prestigiacomo e il responsabile della protezione civile Guido Bertolaso, fiducioso che la "marea nera" sarebbe stata bloccata prima di Ferrara.

Gli sforzi della task force si concentrarono sulla centrale idroelettrica di Isola Serafini (PC), una diga dell'Enel atta a produrre energia elettrica. Le paratoie della diga furono abbassate per consentire all'acqua pulita sul fondo di defluire e contemporaneamente fermare il petrolio galleggiante in superficie. Il petrolio bloccato sarebbe stato poi aspirato con idrovore.

Purtroppo per quanto bloccata la maggior parte dalla "marea nera", una piccola parte di essa riuscì comunque a superare la diga, e continuare il suo viaggio verso il delta del Po. Il giorno venerdì 26 febbraio, la "marea nera" raggiunse le province di Cremona e di Reggio Emilia, per poi passare in provincia di Ferrara il 27 febbraio. Infine, il petrolio raggiunse ugualmente il Mare Adriatico ma fortunatamente, grazie ad altri interventi attuati velocemente lungo il restante corso del fiume, il petrolio arrivato in mare era così poco da non costituire un pericolo per l'ambiente.

La massa di petrolio restante si è vaporizzata nei giorni seguenti per l'azione della brezza del mare e del sole senza lasciare segni duraturi sull'ecosistema.

Nonostante si temessero gravi danni all'ecosistema del Delta del Po e al Mare Adriatico, queste zone sono state le meno interessate dal fenomeno, perché quando il petrolio vi è giunto, era ormai quasi completamente diluito. Moltissimi invece i danni all'ecosistema del Lambro, con la conseguente morìa delle specie animali e vegetali. Danneggiata moltissimo è l'Oasi del Bosco di Montorfano a Melegnano, sede di numerose specie di piante, alcune anche rare. Della fauna recuperata nelle prime ore dopo il disastro e ricoverata presso l'Oasi non è sopravvissuto un solo animale, le autopsie non hanno riscontrato presenza di idrocarburi ma danni al fegato e neurologici ed emorragie. Dichiarazioni più gravi, fatte a distanza di mesi, sono state fatte del responsabile volontariato LIPU, Massimo Soldarini:

« Nonostante la scrupolosa applicazione dei protocolli internazionali per il salvataggio di animali imbrattati da petrolio, nessuno dei cormorani e dei germani recuperati è sopravvissuto. Non solo, ma l’esame autoptico sui cadaveri non ha rilevato alcuna traccia di petrolio, mentre emergono segni di avvelenamento compatibili con solventi chimici »

Soldarini denuncia anche la confusione sulle cifre ufficiali date dalle autorità a proposito delle quantità di idrocarburi, e la mancanza di "colpevoli" a maggio 2011.

L'8 maggio, a emergenza terminata, il responsabile del programma acque del WWF Andrea Agabito ha evidenziato la necessità di ulteriori analisi sui sedimenti delle sponde del fiume per capire il reale livello di inquinanti e ha dichiarato che, anche se non è più presente la chiazza di petrolio «di fatto gli sversamenti di sostanze inquinanti sono durati fino a pochi giorni fa. Solo da poco infatti è rientrato in funzione il depuratore di Monza, messo fuori uso dal gasolio uscito dalle cisterne della Lombarda petroli. Questo significa che per due mesi i liquami della Brianza sono finiti nelle acque del Po e di qui nell'Adriatico». Seppure l'emergenza sembrasse terminata, le risorse messe a disposizione per il dopo-disastro, denuncia Agabito, sembrano insufficienti, nonostante il Ministero dell'Ambiente abbia già annunciato lo stanziamento di 700.000 euro per un piano di verifica del bioaccumulo sulla flora e la fauna.

Il recupero dell'ecosistema si prevede lungo anche perché il Fiume Lambro è stato colpito ancora, anche se con danni minori:

il 28 febbraio 2010, quando un'azienda sconosciuta ha approfittato della situazione in cui si trovava il fiume per scaricare i suoi effluenti tossici nelle acque, evitando i costi di smaltimento
ad agosto 2010, con un altro svasamento di inquinanti ad altezza di Briosco. Secondo il presidente della Provincia di Monza e Brianza, Dario Allevi, "la vera causa di questi episodi è fortemente correlata all'occupazione urbana ed industriale".
Un nuovo allarme è scattato a gennaio 2011 quando nuovi idrocarburi provenienti dalla zona industriale di Villasanta sono stati immessi nel fiume, nel tratto brianzolo.
I danni non sono relativi solo all'ambiente ma anche alle strutture; canali artificiali e terreni vicino alle rive sono stati contaminati dal petrolio.

Il 24 febbraio, la Procura della Repubblica di Monza ha aperto un fascicolo contro ignoti, per l'ipotesi di reato di "disastro ambientale" e "inquinamento delle acque". L'indagine è iniziata interrogando i dipendenti della "Lombarda Petroli", inclusi quelli licenziati, senza però inserire nessuno nel registro degli indagati. È proseguita per comprendere come accadde che "Lombarda Petroli", per non rientrare nella direttiva Seveso, avesse dichiarato allo stato italiano di avere nei propri serbatoi una limitata quantità di prodotti chimici. Le indagini hanno seguito anche la pista degli appalti, dato che sui terreni dell'ex raffineria dovrebbe sorgere un nuovo complesso urbanistico della società Addamiano Engineering, di Nova Milanese, detto "Ecocity".


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