venerdì 6 marzo 2015

LA BATTAGLIA DI GOITO

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La Battaglia di Goito fu un episodio della prima guerra di indipendenza. Ebbe luogo il 30 maggio 1848, quando l'esercito austriaco del feldmaresciallo Radetzky tentò di sloggiare il 1° Corpo d'armata dell'esercito sardo dalle posizioni che teneva a protezione dei ponti sul Mincio, circa 20 km a nord di Mantova, e venne invece respinto.

Il 18 marzo 1848 ebbero inizio le cinque giornate di Milano. Il comandante dell'esercito del Lombardo-Veneto, il feldmaresciallo Josef Radetzky, prima eccitò la rivolta, poi non seppe domarla, vedendosi costretto ad abbandonare la città dopo cinque giorni di furiosi scontri. Contemporaneamente manifestazioni si ebbero in diverse città del Lombardo-Veneto e a Como l'intera guarnigione si consegnò agli insorti.
Il giorno dopo l'evacuazione di Radetzky da Milano, il re di Sardegna Carlo Alberto di Savoia dichiarò guerra all'Austria e attraversò il Ticino. Il suo esercito era organizzato su due corpi d'armata: il 1º affidato al generale Eusebio Bava e il 2º al generale Ettore de Sonnaz.

L'esercito piemontese attraversò il Ticino il 25 marzo. L'8-9 aprile forzò il passaggio del Mincio al ponte di Goito e a Monzambano. I passaggi conquistati sul Mincio erano segnati da due grandi fortezze: a sud Mantova e a nord Peschiera, il cui assedio venne cominciato il 13 aprile, dal lato meridionale.

Il 26 aprile i piemontesi mossero in forze oltre il Mincio, con movimento verso nord-est. Il 30 spezzarono le forti posizioni austriache sui colli di Bussolengo e Pastrengo, giusto a occidente dell'Adige, a monte di Verona. Ciò costrinse Radetzky a chiudersi dentro le nuove mura di Verona per attendere tempi migliori.

Qui Carlo Alberto condusse, il 6 maggio, una energica ricognizione che si tradusse nella battaglia di Santa Lucia: essa permise di occupare due delle quattro posizioni fortificate del rideau, un "campo trincerato" che cingeva Verona verso la pianura a sud-sud ovest. Non disponendo di attrezzature d'assedio (tutte impegnate a Peschiera del Garda), Carlo Alberto commise l'errore di comandare il ripiegamento alle posizioni di partenza, in attesa della caduta della fortezza di Peschiera.

Tale inopinata decisione rese del tutto sterile l'ultima vittoria e segnò anzi la fine dell'iniziativa sarda, consentendo invece all'esercito asburgico di riprendere a manovrare.

Nel frattempo, Carlo Alberto aveva ricevuto le grosse artiglierie d'assedio necessarie alla azione su Peschiera. La cui conduzione venne affidata al Duca di Genova, assistito dai comandanti del genio e dell'artiglieria, generali Chiodo e Rossi, nonché, ovviamente, dal generale della divisione che teneva l'assedio, il Federici. I nuovi cannoni avevano cominciato a battere la fortezza il 18, e, il 21 messo fuori combattimento il forte Mandella. Ciò permise, il 26 di proporre la capitolazione al comandante austriaco generale Josef von Rath. Questi tergiversò 24 ore, inviò messaggeri al Radetzky, eppoi la respinse. Ma al suo comandante aveva comunicato di non poter resistere oltre la fine del mese.

Ciò non distolse l'attenzione dello stato maggiore sardo che, anzi, dispose l'intera armata a protezione dell'assedio: in quel mese lo schieramento piemontese si estendeva lungo un semicerchio di circa 70 km da Curtatone, a sud, attraverso Villafranca, sino a Pastrengo, con, a tergo, l'assediata Peschiera.

Dopo il ritiro di Verona, i sardi restano per tre settimane in attesa della caduta di Peschiera, dando così modo al feldmaresciallo Josef Radetzky di ricevere i rinforzi tanto attesi. Il corpo d'armata di Laval Nugent entrò in Veneto il 5, occupando Belluno e Feltre. L'8-9 maggio disarticolò a Cornuda, sul Piave il corpo pontificio di Giacomo Durando, che, però, lo sconfisse nel successivo tentativo di occupare Vicenza.

Malgrado ciò, Radetzky poté unire a Verona il corpo d'armata di Nugent ai due già presenti.

Scopo della operazione era aggirare le truppe piemontesi impegnate nell'assedio di Peschiera. Traversare il Mincio a Mantova e sfondare la estrema destra dello schieramento sardo, affidata al piccolo esercito toscano. Di lì risalire la riva destra del Mincio, distruggendo per via, i ponti e tagliando le linee di approvvigionamento dalla Lombardia. A quel punto il grosso dell'esercito sardo si sarebbe trovato obbligato a cercare battaglia, nei luoghi e nelle condizioni che il feldmaresciallo avesse preferito e, per giunta, non rifornito. Al minimo, Carlo Alberto avrebbe dovuto lasciare la morsa su Peschiera, permettendo alle non innumerevoli forze del von Zobel di approvvigionarla, scendere da Trento.

Il piano di marcia era estremamente ambizioso, specie in quanto esso contava su una sostanziale inazione di Carlo Alberto che avrebbe dovuto consentire al feldmaresciallo di marciare per almeno 50 km in territorio ostile, senza offrire adeguata resistenza.

L'unica possibilità di riuscita era offerta dalla estrema dispersione in cui era stato disposto l'esercito sardo (come succederà poi ancora a Custoza): il comando sardo, in effetti, si aspettava piuttosto un attacco sulla direttrice più diretta, la Verona-Peschiera. In un simile schema, l'ala destra, all'estremità meridionale del lungo fronte, doveva solo tenere a bada la guarnigione di Mantova, limitata a 7 battaglioni e 17 cannoni da campagna (da aggiungere a quelli di fortezza), affidate a Eugen Wratislaw. Per tenere a bada una simile forza, bastava ed avanzava la divisione toscana, completata da tre battaglioni napoletani (1° - 2° del 10º Reggimento fanteria "Abruzzi" e 1 di volontari), in totale circa 6.000 uomini, tra effettivi e volontari, inclusi moltissimi studenti delle Università di Pisa e Siena, tutti agli ordini del generale Cesare De Laugier, oltretutto ben barricati nel borgo di Curtatone e nella vicina frazione di Montanara, capisaldi della linea tra Goito e il lago di Mantova. Ma queste forze non sarebbero state in alcun modo sufficienti per opporsi al grosso dell'esercito austriaco, come era nei piani di Radetzky.

In subordine, anche se Carlo Alberto avesse reagito velocemente, non avrebbe potuto comunque richiamare più di una parte dell'esercito sardo, e ciò avrebbe naturalmente accresciuto le possibilità di vittoria austriache.

In ogni caso, tuttavia, Josef Radetzky avrebbe dovuto condurre la sua prima battaglia campale.

Il limite principale di tale situazione era che non avrebbe potuto appoggiarsi ad una delle fortezze del Quadrilatero, con le relative numerose artiglierie. Tenuto conto della qualità delle piazzeforti di cui il feldmaresciallo disponeva, si trattava, chiaramente, di un azzardo, talmente elevato da non poter essere portato alle estreme conseguenze: ragionevolmente Radetzky avrebbe tentato la fortuna in battaglia ma, posto di fronte ad una eventuale accanita resistenza sarda, non avrebbe potuto che ripiegare. L'unico errore che egli non poteva commettere era essere tagliato fuori da Mantova o da Verona.

Così rafforzato, la sera del 27 uscì da Verona (ove lasciò il Thurn, di guarnigione) diretto verso Mantova. Per raggiungere la città-fortezza fece un giro largo, marciando a sud, sulla strada di per Isola della Scala, in modo da aggirare le posizioni sarde a Villafranca. Giunse a Mantova la sera del 28. Si accampò a San Giorgio, poco prima delle mura della città.

Il 29 fece avanzare 19 battaglioni, 2 squadroni e 52 cannoni verso le posizioni fortificate di Curtatone e Montanara: 20.000 uomini contro 6.000 ma, soprattutto, 3 cannoni contro 52. Toscani e napoletani offrirono una inaspettata resistenza (166 morti, 510 feriti e 1.186 prigionieri), che costò agli austriaci ben 1.000 fra morti e feriti e, soprattutto, diede il tempo all'esercito piemontese di concentrarsi su Goito.

Era accaduto che il comandante del 1º Corpo sardo, generale Bava, che teneva la parte meridionale del lungo fronte, aveva avuto notizia della ‘grande manovra' austriaca già a mezzogiorno del 28, da patrioti veneti, ma non vi prestò attenzione sino all'alba del 29, con diciassette ore di ritardo. E solo a quel punto richiamò la divisione toscana, ma l'ordine giunse quando la battaglia stava già per iniziare. Ed il De Laugier ritenne preferibile difendersi dalle forti posizioni già possedute.

Nelle battaglie di Curtatone e Montanara, prima, e Goito, poi, caddero 183 tra soldati e volontari napoletani con il conferimento di numerose onorificenze sabaude.

Dopo Curtatone e Montanara, l'esercito austriaco rallentò la marcia e si fece prudente. Radetzky commise due fondamentali errori: inviò 12.000 uomini del II Corpo in una lunghissima manovra aggirante, per Rodigo sino alla lontana Ceresara, talmente lontano da non poter poi partecipare in alcun modo alla battaglia; non proseguì che il giorno seguente, 30 maggio, formando il I Corpo in schieramento di battaglia di fronte a Goito solo alle tre del pomeriggio, dove però i Sardi lo aspettavano a piè fermo.

Il ritardo aveva, infatti, permesso a Carlo Alberto di prepararsi alla manovra aggirante preparata dal Radetzky, concentrando su Goito ventitremila uomini.
La difesa di Goito era un imperativo per i Sardi, tenuto conto che un eventuale arretramento avrebbe compromesso i passaggi sul Mincio di Goito, appunto, della vicina Pozzolo, nonché, poco più a nord, di Valeggio-Borghetto e Monzambano. Una sconfitta avrebbe, quindi, tagliato fuori l'intera metà dell'esercito sulla sinistra del Mincio ovvero, nella migliore delle ipotesi, tutte le conquiste dell'ultimo mese.

Lo schieramento era stato completato a mezzogiorno, ed andava da Goito, a sud-est, alla frazione di Cerlongo, a nord-ovest, lungo la strada dal ponte di Goito verso Brescia, con alle spalle il nodo viario di Volta, circa 7 km più indietro:

Il ritardo nel riconoscimento del pericolo, tuttavia, aveva permesso di raccogliere solo una parte delle truppe potenzialmente a disposizione. Bava mise insieme 21 battaglioni, 23 squadroni e 56 cannoni. Ovvero poco più di 23'000 uomini, tutti del 1º corpo, e della divisione di riserva. Mancava all'appello la Brigata Regina, 2 dei 5 battaglioni della Brigata Cuneo, tre dei cinque battaglioni della Brigata Acqui, che non fecero in tempo a raggiungere il campo di battaglia. Mancava, inoltre, l'intero 2º corpo del De Sonnaz, schierato all'assedio di Peschiera e a protezione del fronte settentrionale. Si trattava, insomma, di poco più della metà dell'esercito che Carlo Alberto aveva portato nella campagna di guerra.

La truppa venne fatta marciare da nord verso Goito, man mano che le esplorazioni confermavano l'assenza di avanguardie austriache, attardate, come si è visto, a Curtatone. Giunta in loco, venne divisa in cinque gruppi principali:

all'estrema destra due dei tre reggimenti di cavalleria, insieme a molti bersaglieri, ad evitare eventuali tentativi di aggiramento
a destra, su Cerlongo, stava la Brigata Cuneo, (solo 3 dei 5 battaglioni)
a sinistra, sino a Goito, stava la Brigata Casale, sostenuta dalla Brigata Acqui (solo 2 dei 5 battaglioni) un piccolo battaglione napoletano (1º battaglione del 10º Reggimento fanteria "Abruzzi")
all'estrema sinistra Goito era occupata da due battaglioni, fortificata e protetta da numerosa artiglieria, e veniva ad appoggiarsi al fiume.
in seconda linea, sulle alture dette ‘dei Somenzari', la Brigata Aosta, la brigata Guardie e una forte riserva d'artiglieria.
Si trattava di tutto ciò che il Bava era riuscito a richiamare. Ma non sarebbe stato sufficiente se Radetzky avesse portato tra Goito e Cerlongo l'intero esercito che si era trascinato da Verona, aggiunto ai 7 battaglioni di Mantova: in totale fuori Mantova aveva a disposizione 37 battaglioni, 27 squadroni ed 88 cannoni: sino a 44.000 uomini contro 23.000. Si trattava, insomma, di circa i 2/3 dell'esercito del feldmaresciallo, contro poco più della metà dell'esercito di cui disponeva Carlo Alberto.

Ciò che non accadde: l'esercito austriaco che si presentò di fronte al Bava ed a Carlo Alberto era composto solo dal I Corpo del Wratislaw, rinforzato di alcune unità del II Corpo e seguito dalla divisione di riserva del Wocher. In tutto, probabilmente, 29.000 uomini.

Il resto, 12.000 uomini, affidati al d'Aspre, si erano incamminato sulla lunga strada per Rodigo - Ceresara, mirando ad aggirare le linee sarde sulla direttrice Ceresara – Guidizzolo. Che non avrebbe mai raggiunto. Senza nemmeno entrare in battaglia.

Il 30 maggio Carlo Alberto, dal suo punto di osservazione sulla collina detta "dei Somenzari", vide arrivare le truppe di Eugen Wratislaw che marciavano lungo la direttrice Sacca-Goito, per l'esistente strada. Giunte in prossimità del punto di attacco, le colonne si arrestarono, furono raggiunte dalla retrovia d'artiglieria e cavalleria ed impiegarono molto tempo per schierarsi sul terreno intricato di colline e coltivazioni.

L'assalto austriaco iniziò molto tardi, verso le 15:00, contro la sinistra di Eusebio Bava appoggiata su Goito, e fu annunciato da un nutrito fuoco d'artiglieria, ben risposto dai 14 pezzi dei difensori. Bava staccò truppe dal centro e fece passare sulla riva sinistra del Mincio un battaglione con quattro pezzi per prendere il nemico di fianco: in tal modo l'attacco austriaco fu cinque volte ripetuto e cinque volte respinto.

Poco dopo cominciò anche l'assalto delle brigate Wohlgemuth e Strassoldo alla destra sarda. La linea difensiva piemontese cominciò a vacillare e alcuni battaglioni della Brigata Cuneo presero a ripiegare. Gli austriaci giunsero quindi ad impadronirsi delle prime case di Cerlongo. A quel punto l'artiglieria sarda, dalle retrovie, fu posta in batteria e sostenne la fanteria con un nutrito fuoco di sbarramento, arrestando l'avanzata austriaca. La Brigata Aosta, posta in seconda linea, fu mandata a tappare la falla e recuperò terreno; intervennero anche l'Aosta Cavalleria ed il Nizza Cavalleria, all'inizio della battaglia schierate sul centrale poggio "dei Somenzari", accanto ai Carabinieri a cavallo; l'azione consentì di interrompere il tentativo di aggiramento di Radetzky, e porne le avanguardie sulla difensiva.

Venne, quindi, l'ora del contrattacco; Vittorio Emanuele, erede al trono e Duca di Savoia, condusse la Brigata Guardie (l'ultima riserva) verso il fronte: quella marcia intercettò la fuga della brigata Cuneo, che fu arrestata e riorganizzata. Riannodate le file, le due brigate, verso le 18:00, contrattaccarono il centro e l'ala sinistra del feldmaresciallo e li fecero indietreggiare per poi caricarli alla baionetta, gettarli nello scompiglio e costringerli ad un precipitoso dietro-front. Vittorio Emanuele guidò personalmente all'assalto la brigata Guardia, rimanendo lievemente ferito.

Verso le 18:30, dopo tre ore e mezzo di combattimento, Radetzky contemplava la sconfitta: nessuna notizia da Costantino d'Aspre perso per la strada di Ceresara, la destra sfondata, il tentativo di aggiramento della linea Goito-Cerlongo definitivamente fallito; ed ordinò la ritirata.

Radetzky aveva perso la battaglia, poiché aveva commesso un grave errore di condotta strategica: pur disponendo di forze sovrabbondanti, ne aveva impiegato una parte rilevante distraendole in una fallimentare, quanto ridondante, diversione.

Carlo Alberto aveva vinto la terza battaglia, su tre combattute. Bava aveva confermato il successo di Santa Lucia, come il di Sonnaz aveva vinto a Pastrengo. I Toscani a Curtatone avevano dimostrato significative volontà belliche.

Radetzky seppe far tesoro degli insegnamenti e, da quel momento, operò sempre in condizioni di forte superiorità numerica.

I Sardi ebbero 43 morti e 253 feriti. Gli austriaci 68 morti, 331 feriti e 223 dispersi (in gran parte disertori di un reggimento italiano). Fra le vittime Augusto Cavour, ventenne, figlio di Gustavo, il fratello di Camillo.

Di fronte alla ritirata, il contrattacco non venne portato a termine. Salvo che per limitate azioni della cavalleria, sostenuta da qualche battaglione di fanti.
Tale atteggiamento, a volte molto criticato, deve essere fatto risalire a tre fattori determinanti:

tutti i reparti sardi a disposizione erano stati impegnati in combattimento e, quindi, non necessariamente in condizione di condurre una decisa azione offensiva;
Radetzky aveva impegnato in combattimento solo 14 dei circa 22 battaglioni a disposizione, ciò che gli consentiva discreti margini di difesa;
del corpo del d'Aspre avevano perso le tracce non solo il feldmaresciallo, ma anche il Bava.

In effetti, ciò che Carlo Alberto poteva osservare era che l'esercito sconfitto si riformava le file circa quattro chilometri a sud, tra Sacca e Rivalta.

La reazione, quindi, fu conseguente: Entro la sera del 2 giugno vennero concentrati sino a 48 battaglioni, ovvero la grande massa dell'esercito sardo, e predisposto un piano per cercare battaglia verso Mantova.

La battaglia di Goito ebbe una assai rilevante conseguenza strategica: Carlo Alberto aveva interrotto la ‘grande manovra del Radetzky: la liberazione di Peschiera dall'assedio era fallita.

Non solo il grosso dell'esercito non era riuscito a risalire il Mincio, ma, pure, una colonna di soccorso (colma di vettovaglie) scesa da Rivoli Veronese e forte di ben 6.000 uomini era stata bloccata dai Sardi dal Bes (del corpo del di Sonnaz) a Calmasino. Il fatto che tale combattimento sia avvenuto il 29, in coincidenza con gli scontri di Curtatone, testimonia sia della fretta del Radetzky, sia di una certa disarticolazione dei comandi.

In ogni caso, prima ancora che si cominciasse a sparare a Goito, quel giorno stesso la guarnigione di Peschiera si arrese. Si consegnarono 1.600 uomini, 150 cannoni e una gran quantità di polvere e di proiettili. Ciò che portava il saldo generale della ‘grande manovra' decisamente all'attivo di Carlo Alberto.
Per soprannumero, sul campo di Goito, mentre cominciava la ritirata austriaca, un corriere inviato dal Duca di Genova recò la notizia della resa di Peschiera, e per tutto il campo i soldati presero a gridare: ‘Viva il re d'Italia'.

Il punto cruciale, tuttavia, era che Radetzky disponeva ancora di un notevole esercito di manovra, e di tre grandi fortezze. Quando l'armata raccolta a Goito si mosse, il 3 giugno, Radetzky aveva già cominciato un deciso cambio di fronte, spostandosi prima a Mantova, lasciata, poi, il 5 per Legnago e, di lì, per Vicenza, ove gli 11.000 volontari veneti e l'esercito romano del Durando vennero investiti il 10 da forze preponderanti e costretti, all'indomani, alla resa.
Ciò che gli era reso possibile dal mancato sfruttamento sardo della brillante ed insperata vittoria di Goito.


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