giovedì 5 marzo 2015

LA CROCE DI ARIBERTO DI INTIMIANO

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Ariberto da Intimiano (Intimiano, 970 circa – Milano, 16 gennaio 1045) fu arcivescovo di Milano nella prima metà dell'XI secolo. Portò il potere temporale vescovile a livelli mai raggiunti prima e innalzò ulteriormente il prestigio della diocesi di Milano, anche se alla sua morte si vedevano già i segni del declino di questo potere.

Ariberto era figlio del nobile feudatario Gariardo. A Intimiano la famiglia di Ariberto possedeva una corte incastellata, quindi una corte il cui proprietario cominciava ad esercitare il districtus, il potere civile sul territorio circostante.

Nell'anno 1007 il suddiacono Ariberto era custos (non sappiamo bene in che cosa consistesse di preciso questo ruolo di custode) della chiesa plebana di Galliano, esistente dal V secolo e intitolata a san Vincenzo. Ariberto fece fare dei lavori di ristrutturazione, vi ritrovò delle reliquie di santi, e fu committente di un ciclo di affreschi, in cui egli stesso è effigiato.

Prete almeno dal 1016, nel 1018 Ariberto venne eletto arcivescovo di Milano. La sua scelta era avvenuta in seguito ad un intervento dei maggiorenti della città (i capitanei, principali vassalli episcopali), ma anche per una concessione dell'imperatore Enrico II. Il 28 marzo 1018 venne ordinato in Cattedrale. Una fonte tedesca, l'anonimo Annalista sassone, afferma che Ariberto era praepositus della Chiesa milanese, non tanto indicando una funzione specifica, quanto per dire che egli era il membro più in vista del clero milanese.

L'arcivescovo di Milano non ha mai avuto un titolo comitale come legittimazione del suo potere, eppure in un diploma di Enrico III il Nero si afferma che Ariberto disponeva a un suo cenno di tutto ciò che avveniva nel Regno d'Italia. Nel 1019 partecipò alla dieta di Strasburgo e chiese formalmente all'imperatore Enrico II il Santo di scendere in Italia. Per comprendere quale fosse l'autorità anche civile di cui godeva l'arcivescovo Ariberto in quel periodo, si pensi che il marchese Ugo, conte del distretto di Milano, quindi quello che oggi definiremmo il "funzionario pubblico", teneva i suoi giudizi nel palazzo arcivescovile, per concessione e in presenza dell'arcivescovo stesso.

Ariberto partecipò al sinodo di Pavia del 1022, convocato dall'imperatore Enrico II e da papa Benedetto VIII per affrontare la questione della riforma del clero. In questa sede si affrontò anche la questione del clero ammogliato, che a Milano costituiva ancora la norma, ma da un punto di vista esplicitamente economico (il problema dei servi delle chiese, poi ordinati preti, che si sposavano con donne libere, generando quindi dei figli liberi che poi reclamavano una eredità dai possedimenti delle chiese stesse: come reazione il sinodo proibì il matrimonio di tutti i chierici, disposizione ampiamente disattesa nei decenni seguenti).

Nel 1026, a Milano, fu Ariberto a incoronare re d'Italia Corrado II il Salico.

Nel 1028 Ariberto era impegnato nella visita della diocesi suffraganea di Torino: interrogando il capo di un gruppo religioso sospettato di eresia, l'arcivescovo venne a sapere che gli abitanti di Monforte d'Alba (oggi in provincia di Cuneo) interpretavano in modo allegorico il dogma trinitario, negavano la necessità dei sacramenti e quindi del clero: molto probabilmente questa popolazione aveva abbracciato il catarismo. In quello stesso anno, forze militari alle dipendenze di Ariberto espugnarono il castello di Monforte: l'intera popolazione della zona venne deportata a Milano e invitata ad abiurare la propria fede. La maggior parte di loro rifiutò e venne arsa sul rogo. La zona di Milano in cui gli eretici di Monforte vennero imprigionati, da allora porta il nome del paese di provenienza delle vittime: Corso Monforte.

Ariberto incarna lo spirito espansionistico di Milano nell'XI secolo, un espansionismo che si inquadra in un momento di fermento dell'intera società milanese dell'epoca e che si concretizzò in una estensione del potere temporale della Chiesa ambrosiana su altri territori dell'Italia settentrionale.

Nel 1025 alla dieta di Costanza, Ariberto ottenne il diritto di potere investire anche temporalmente il vescovo di Lodi come capo della città, e difatti alla prima occasione (1027) mise sulla cattedra di Lodi un canonico milanese, Ambrogio II di Arluno, suscitando l'ira della città lombarda.

Ariberto aiutò inoltre l'imperatore Corrado II a vendicarsi contro Pavia per la distruzione del palazzo regio attuata dalla città nel 1024. Si confermava così la secolare opposizione tra Milano e Pavia.

Al confine ovest della diocesi, Ariberto stabilì un saldo controllo sul monastero di Arona Il possesso del monastero e il controllo del castrum permisero ad Ariberto di annettere alla diocesi di Milano altri territori che fino ad allora appartenevano alla diocesi di Novara.

Oltre che con Lodi, Pavia e Novara, Ariberto ebbe modo di scontrarsi anche con Cremona: Ariberto mandò suo nipote Gariardo ad invadere una pieve cremonese, la corte e l'intera pieve di Arzago d'Adda. Quando nel 1030, alla morte del vescovo di Cremona Landolfo, venne eletto dai Cremonesi il vescovo Ubaldo, Aribaldo pose come condizione per l'ordinazione di Ubaldo stesso l'accettazione dell'occupazione fatta da Gariardo. L'imperatore Corrado II impose ad Ariberto di restituire a Cremona quei territori, ma quando Corrado rientrò in Germania, Ariberto tornò ad invadere la pieve di Arzago, cominciando anzi a esigere anche le rendite di altre due pievi cremonesi, Misano e Fornovo. L'obiettivo di Ariberto era quello di ampliare l'area della giurisdizione milanese anche alla zona allora abbastanza confusa dell'Isola Fulcheria, per arrivare poi al Po e controllare così i traffici dei beni preziosi che passavano dal fiume.La tomba di Ariberto si trova nella prima campata della navata esterna destra del duomo di Milano. Il sarcofago dell'arcivescovo è sormontato da una copia del famoso Crocifisso in lamina di rame dorato (l'originale si trova nel Museo del Duomo), donato originariamente da Ariberto al monastero cittadino di San Dionigi (oggi distrutto).

Una riproduzione della "Croce di Ariberto" è anche il simbolo della vittoria nel Palio di Legnano, corsa ippica che si svolge ogni anno nella città lombarda. La contrada vincitrice potrà esporre questa croce per un anno intero nella chiesa rionale, fino alla successiva edizione del palio.

La croce di Ariberto, detta anche Crocione, rappresenta l' ambito "premio" che la contada si aggiudica il palio ha il diritto di conservare per un anno intero all'inteno della propria chiesa.
La Croce che viene sistemata sul Carroccio e che passa di mano ad ogni edizione del palio è in realtà  una copia dell' originale, presente sul Carroccio in occasione della Battaglia di Legnano nel 1176.
La "vera" Croce di Ariberto è conservata a Milano, al museo del Duomo; si tratta di un crocefisso (rame dorato sbalzato su una base di legno) commissionato alla metà  dell'undicesimo secolo dall'arcivescovo di Milano Ariberto D'Intimiano come ornamento per il suo monumento funebre (nel monastero di San Luigi) ma che poi i milanesi decideranno di utilizzare come ideale simbolo di fede da issare sul Carroccio nella battaglia contro il Barbarossa.
La Croce di Ariberto rappresenta un Cristo sofferente con ai due lati, all'estremità  dei bracci corti, le figure della Vergine e di San Giovanni; sotto i piedi del Cristo, sistemata su un supporto a scacchiera, compare poi la figura dello stesso Ariberto.
La copia fu invece eseguita sotto la supervisione di un pittore legnanese, Gersam Turri, nel 1935, con modalità  di fabbricazioni differenti; è costituita da formelle in gesso sulle quali è stato spruzzato a caldo uno strato di rame, seguendo un procedimento inventato proprio a Legnano per l'occasione.
Le parti di rame sono poi state trattate e dorate in modo da assumere un aspetto il più possibile simile all'originale. Anche le dimensioni della Croce di Ariberto "legnanese" sono differenti da quelle dell'originale; un espediente voluto dalla Soprintendenza milanese per evitare che la copia (di misura più piccola) potesse essere scambiata per la vera Croce ospitata sul Carroccio nella battaglia del 1176.


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