lunedì 2 marzo 2015

QUARTIERI MILANESI : MAGGIOLINA

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La Maggiolina (Magiulìna in milanese) è un quartiere della periferia nord-orientale di Milano, nella Zona 2, difficilmente distinguibile dal Villaggio dei Giornalisti.

Originariamente limitato al nucleo compreso fra le vie Emanuele Muzio, Melchiorre Gioia, Stresa e Timavo, il quartiere della Maggiolina deriva il proprio nome dalla Cascina Maggiolina, un'antica cascina che sorgeva lungo il Seveso, all'altezza dell'attuale via della Maggiolina. La presenza della cascina risulta da documenti risalenti al XVI secolo, ma il nome è di origine incerta: secondo le tesi maggiormente accreditare, pare che il nome derivi dalla famiglia dei Maggiolini, antichi proprietari della cascina, setaioli venuti in quel periodo in Lombardia da Firenze; potrebbe anche derivare dal dialetto magiòster, cioè fragole, assumendo che la cascina coltivasse quel particolare frutto.

La cascina venne demolita nel 1920, lasciando come unica traccia di sé il nome alla via della Maggiolina. Al termine della guerra il nome venne riutilizzato da un ristorante (già Gallo d'Oro) che si trovava in via Torelli Viollier 28. Il nome nel corso degli anni sessanta passò pertanto dal demolito ristorante al nuovo complesso residenziale recintato (con ingresso appunto da via Torelli Viollier e da via Dario Papa) che ha preso il nome di Villaggio Maggiolina.

Il quartiere è interamente residenziale, caratterizzato da caratteristiche villette a due piani. Piazza Carbonari, sormontata dalle vie che collegano il quartiere con la circonvallazione esterna di Milano ne rappresenta il centro, da cui inizialmente si dipartiva verso nord-ovest il Villaggio dei Giornalisti. Dalla piazza verso sud si snodano due isolati dedicati al verde, per un'area di oltre 20.000 m²: il Giardino Aldo Protti ed il Giardino Gregor Mendel, divisi da viale Nazario Sauro. Queste due aree furono realizzate sul sedime abbandonato della ferrovia per Monza.

Anche il Mirabello (quartiere di Milano), toponimo che indicava il quartiere sorto attorno all'omonima villa è stato interamente assorbito dalla Maggiolina, al pari dell'attiguo Villaggio dei Giornalisti.

Dal punto di vista storico, è degna di nota la Villa Mirabello. Costruita nella seconda metà del Quattrocento dal Michelozzo, con la collaborazione di Bartolomeo da Prato, è uno degli esempi di maggior interesse per quanto riguarda la tipologia della villa-cascina suburbana quattrocentesca. Perfettamente conservata, si trova in via Villa Mirabello.

Interessante è anche la chiesa di Ss. Carlo e Vitale alle Abbadesse. Essa ricorda come il quartiere una volta costituiva il confine nord della Milano dell'XI secolo: il luogo di culto infatti, eretto nel Seicento, è stato posizionato al centro di quello che erano le Cascine delle Abbadesse del monastero di Sant'Agostino, destinate alla coltivazione di campi, orti e vigneti solcati da fiumi e canali.

Il quartiere della Maggiolina conserva ancor oggi al suo interno architetture interessanti e particolarmente di rilievo. Fra queste meritano una citazione particolare alcune architetture che sorgono a ridosso del Villaggio dei Giornalisti (insistendo proprio sui suoi confini). Queste sono le case a igloo e a fungo (quest'ultime purtroppo demolite), in via Lepanto, dell'ingegnere Mario Cavallè e la Villa Figini, detta "Palafitta", progettata da Luigi Figini come sua personale abitazione, in via Perrone di San Martino.

Le case a igloo.
Approfondendo la storia e la particolarità di queste casette, si può facilmente notare quanto queste costituiscano un forte (o magari semplicemente curioso) punto di riferimento per i residenti del quartiere. La via Lepanto (la parallela della ferrovia, entro la quale sono comprese oggi queste casette) è spesso conosciuta come strada degli gnomi, o addirittura strada delle case a fungo. Queste stravaganti mini-abitazioni risalgono al 1946, realizzate dall’ingegnere Mario Cavallè (che importò questo modello abitativo e la relativa tecnica di realizzazione direttamente dagli Stati Uniti). Dal punto di vista tecnico, queste abitazioni vennero realizzate con un sistema a volta formato da mattoni forati disposti a losanghe convergenti.

La curiosa forma dell’edificio consente un’assoluta libertà nella disposizione degli interni (all’incirca 45 m²): i vari occupanti hanno via via interpretato ed adattato secondo le proprie esigenze gli spazi, andandone a stravolgere la disposizione originaria.

Queste case si sviluppavano su due livelli, quello esterno, al di sopra del piano stradale, e quello seminterrato, accessibile solo dall'esterno (o da una ristretta botola all'interno): quest'ultimo, pur non avendo l'abitabilità, si presta ugualmente a innumerevoli usi. Il seminterrato riceve l'illuminazione da alcuni piccoli lucernai disposti all'altezza della strada.

Tuttora sono forse due le case che hanno mantenuto la disposizione degli spazi originaria, con l'ingresso, il bagno, le due stanzette e la cucina. Le altre hanno subito tutte pesanti interventi di ristrutturazione: per esempio una di queste ha subito una sorta di ampliamento, col bagno ricavato in un nuovo vano aggiunto e accorpato al preesistente edificio circolare, un'altra non ha più pareti al suo interno, ed è strutturata su un unico ambiente.

Inizialmente in numero di 12, ne sono sopravvissute soltanto 8. Al loro posto oggi si possono trovare edifici successivi (tuttora abusivi) realizzati negli anni sessanta all'interno dei piccoli lotti d'origine delle case a igloo, che tuttora appaiono interposti fra queste ultime.

Analogamente alle demolizioni delle unità mancanti fra le case a igloo, nel corso degli anni sessanta vennero demolite anche le due case a fungo (da cui probabilmente la vera origine del soprannome della via Lepanto). Contrariamente alle precedenti, si sviluppavano su due livelli sovrapposti: uno più ristretto (il gambo) ed uno più ampio (la cappella) e sembravano ispirarsi alla Amanita Muscaria, famosa specie di fungo da cui sembravano trarre la forma caratteristica. Vennero demolite nel 1965 dal nipote stesso dell’ingegnere Cavallè che le aveva progettate: al suo posto venne innalzato un edificio che risulta tutt’ora abusivo.

Contro il dilagare di questi abusi tentò di opporsi vanamente l'architetto Luigi Figini, che abitava nella così detta Palafitta da lui stesso progettata, nell'attigua via Perrone di San Martino.

Alcune architetture simili (in numero di tre) si possono tuttavia trovare ancora oggi a Novate Milanese, in via Puccini.

Nel corso degli anni trenta, in un contesto come quello della Maggiolina, a ridosso del Villaggio dei Giornalisti, in cui veniva ampiamente applicato un modello di architettura per così dire classico, il giovane architetto Luigi Figini decise di sperimentare le istanze più avanzate del razionalismo, progettando secondo i relativi canoni la propria abitazione.

L'architetto elabora il proprio progetto prima ancora di acquistare i relativi terreni su cui poi realizzare l'edificio, tanto da consegnare tutta la documentazione relativa l'edificazione di un villino ad uso di abitazione agli uffici competenti del Comune di Milano il 7 luglio 1934, ricevendo il nulla osta alla costruzione subito un mese più tardi. L'atto di vendita del lotto di terreno in via Perrone di San Martino(circa 300 mq) verrà siglato soltanto il 18 ottobre 1934. Cominciano così i cantieri, che verranno conclusi già nell'estate del 1935. L'edificio ricevette l'abitabilità dal Podestà di Milano il 28 aprile 1936.

L'edificio, a pianta rettangolare, poggia su una serie regolare di pilastri, un'esile griglia a pilotis che rimanda agli insegnamenti di Le Corbusier, su modello delle case al Weissenhof di Stoccarda, del 1927 e della Ville Savoie a Poissy, del 1929. A questo particolare va imputato il soprannome di palafitta, che le venne affibbiato fin da principio.

La struttura portante è in cemento armato; il primo livello di abitazione è raggiungibile da una scala interna (anch'essa in cemento armato), che ha origine dal piano terra, parte integrante del giardino. Qui si trovano il salone di soggiorno, aperto sul terrazzo, la cucina e una stanza da letto. Al piano superiore, di dimensioni ridotte, si trova la zona notte, con la camera da letto e il bagno, affacciati su due terrazze attrezzata l'una come palestra, l'altra dotata di vasca marmorea a pavimento.

Le pareti dell'edificio, ad intonaco civile, sono tinteggiate di bianco; le murature delle terrazze, trattate al rustico, erano originariamente verdi. Le facciate sono caratterizzate dalle finestre a nastro del primo piano, dotate di serramenti avvolgibili di colore verde.

Originariamente la casa era circondata da ampi spazi coltivati, del tutto inedificati: la città si limitava al nucleo originale del Villaggio dei Giornalisti. A partire dagli anni successivi tutta la zona verrà interessata da un'edificazione di carattere intensivo, che porterà a un'indistinta fusione del quartiere Maggiolina col Villaggio dei Giornalisti.


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