Quante volte ci è capitato di essere fermati da volontari che offrono oggetti per i quali chiedono offerte, che propongono l'adesione o donazioni ad Associazioni?
Solo il 5 per mille, scelto nel 2007 dal 61 per cento degli italiani, vale quasi trecento milioni di euro; e solo le grandi campagne di solidarietà, che spesso passano con messaggi martellanti attraverso la televisione, raccolgono 100-150 milioni di euro l'anno. Ma quei 400-450 milioni di euro sono solo una parte di una torta molto più grande. I soldi che circolano sono molti, molti di più. E non sempre la carità è trasparente.
Prima di fare una donazione sarebbe bene porsi la domanda: "In che percentuale i fondi donati ai poveri arrivano veramente a destinazione e quanto invece viene utilizzato in pubblicità sui giornali e Tv, quanto per le spese di gestione e per raccogliere quei fondi?". Continueremmo a fidarci di una Associazione se sapessimo che su una donazione di 100 euro solo 20 o 30 finiscono ai bambini per i quali vengono raccolti?
Alla luce di tutto questo è troppo allora chiedere un po' di campanilismo nella solidarietà?
Se fosse quotata, l' "economia del bene" peserebbe come sei aziende della stazza di Eni alla Borsa di Milano. Si calcola infatti che nel mondo l' insieme di attività che appartengono al Terzo settore (organizzazioni non governative, onlus, fondazioni, enti caritativi, enti umanitari, cooperative) valgano annualmente 400 miliardi di dollari. Sul pianeta sono operative circa 50mila organizzazioni non governative (ong), che ricevono oltre 10 miliardi di dollari annui di finanziamenti.
Secondo il rapporto delle Nazioni unite, il numero dei volontari è pari a 140 milioni di persone, più del doppio della popolazione italiana. Da dove arrivano i soldi? I finanziamenti possono provenire da enti pubblici o da privati, cioè dalle nostre donazioni.
Anche in Italia, il Terzo settore è lievitato negli ultimi quarant'anni. Negli anni Sessanta le ong italiane (che rappresentano solo una piccola fetta del Terzo settore) non arrivavano a una ventina. Oggi quelle riconosciute ufficialmente sono 248, si interessano di 3.000 progetti in 84 Paesi del mondo, occupano 5.500 persone e gestiscono 350 milioni di euro l' anno.
La domanda più importante è: dove finiscono i soldi dei donatori? Molto se ne va per le spese di mantenimento e promozione delle organizzazioni. Qualche esempio: su un totale di circa 7 milioni di euro, la sezione italiana di Amnesty International ne spende circa un terzo per promuovere l'associazione e mantenerla in vita. Per salvaguardare oceani, balene e foreste, nel 2011 Greenpeace Italia ha utilizzato 2 milioni 349.000 euro, meno di quanto spenda per pubblicizzarsi e cercare nuovi iscritti (cosa del resto essenziale ad ogni organizzazione): 2 milioni 482.000 euro. A queste associazioni va però reso il merito di rendere pubblici propri bilanci, cosa che accade più di rado nel no-profit tutto italiano (da noi nessuna legge obbliga le ong a pubblicarli). Non mancano esempi virtuosi. Chiaro, semplice e tutto on-line. Ci sono poi gli scandali internazionali: "Il 66 per cento di tutte le donazioni che sono state fatte nel mondo - denuncia Evel Fanfan, presidente di Aumohd, organizzazione di avvocati che dal 2002 si occupa dei diritti umani della popolazione di Haiti - non sono state investite per la gente di Haiti, ma per il funzionamento delle ong. Alcune hanno comprato fuoristrada da 40-50.000 dollari e il 20 per cento delle donazioni è andato in stipendi del personale delle organizzazioni." C' è poi l' ossimoro dell' emergenza perenne: nella regione del Sahel (Sahara) dal 1973 a oggi sono stati investiti in aiuti diretti e indiretti oltre 300 miliardi di dollari, eppure nel 2012 c' erano ancora 18 milioni di persone bisognose di aiuto. Il problema? Esiste una sproporzione tra fondi dedicati all'emergenza rispetto a quelli destinati allo sviluppo, il che spinge alcune associazioni ad abbandonare quest' ultimo per l'emergenza, che "rende" molto di più. La cooperazione è nata per generare sviluppo, ma da quando sono stati chiusi i rubinetti per i progetti tantissime ong si sono buttate sull'emergenza, alcune addirittura sono nate ex novo per questo. L' emergenza frutta maggiormente e ha tempi di approvazione più rapidi. Passa pochissimo da quando si presenta un progetto a quando si riceve la risposta, perché se c' è un' urgenza la risposta non può arrivare dopo un anno. Invece da quando un progetto di cooperazione viene presentato a quando è approvato trascorre un lungo periodo.
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