sabato 27 agosto 2016

ISIS E ITALIA

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Perché il terrorismo islamico non ha ancora colpito le nostre città? Il Belgio ha una rete di intelligence e una serie di rapporti internazionali differenti rispetto a quelli italiani. Secondo quanto riporta l’ultima relazione presentata dai servizi di sicurezza italiani al Parlamento anche se il reclutamento islamico avviene prevalentemente per iniziativa personale, è il contesto a favorire l’ingresso alla jihad. La famiglia, il gruppo di amici, luoghi di aggregazione o disagio (come il carcere), perfino target sensibili, come gli ex combattenti libici da tempo in Italia.

«La Francia – come ricorda Jean Guisnel, esperto di questioni militari e servizi segreti – è in prima linea negli affari del Medio Oriente. E’in prima linea quasi da sola nel Mali, dove combatte gli estremisti islamici. Ed è almeno in seconda linea nella guerra a bassa intensità contro l’Isis, colpendo con i suoi aerei in Iraq e Siria. Piccolo dettaglio, sul suo territorio c’è la più grande comunità islamica d’Europa». Il vicino Belgio ha forse scoperto troppo  tardi le cellule jihadiste nascoste nelle proprie periferie. Noi, dal punto di vista della strategia mediorientale, abbiamo ancora una posizione marginale. O perlomeno non belligerante. I nostri rischi aumentano man mano che l’Italia verrà maggiormente coinvolta sulla questione Libia. Quindi che fare? Il presidente del Copasir (il comitato parlamentare per la sicurezza) Giacomo Stucchi, ha sollecitato: «Ora serve con celerità una missione militare di robusto ‘peace-enforcemente’ in Libia. Se aspettiamo ancora la situazione potrebbe incancrenirsi con un aumento dei rischi per l’Italia». E ancora: «La paura di ritorsioni terroristiche con l’Italia in caso di intervento militare non può frenarci, anche perché i rischi per noi ci sono lo stesso». Anche perché, come ricorda Nicolò Pollari, ex direttore del SISMI, il rischio in un conflitto è «entrare da maiale» e uscire «da salsiccia».

L’Italia dispone di servizi di intelligence con una grande attività alle spalle. Abbiamo strutture come il Comitato di Analisi strategica antiterrorismo, Aisi e Aise. Abbiamo la direzione della Polizia di Prevenzione (l’Ufficio Antiterrorismo) e il ROS dei carabinieri, la DIGOS. E abbiamo in un certo senso pagato e imparato da esperienze come gli anni di piombo.

In Italia dall’11 settembre per adeguare gli strumenti giudiziari e investigativi sono stati ridefiniti i contorni del reato di cui all’art. 270 bis (ovvero l’associazione con finalità di terrorismo anche internazionale). Non solo: è stato istituito da qualche anno il Casa (Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo), ovvero Polizia e Servizi d’Intelligence in collaborazione stretta col Viminale.

Ed ecco che ritorna il grande argomento: gli attentatori dove possono procurarsi le armi in Italia? L’Isis non ci attacca perché c’è la mafia? Questa tesi fu avanzata qualche mese fa da testate giornalistiche che riportavano le parole di un ex agente dei servizi segreti. In realtà non è proprio così. Come sottolineò il vicepresidente della commissione nazionale Antimafia, durante una audizione all’Antimafia regionale sicula ci sono zone e zone. E niente è certo perché «la capacità di infiltrazione di questo terrorismo, talmente liquido, non ha alcuna possibilità di prevedibilità». La Sicilia però potrebbe avere, per esempio, un livello basso. Per supportare tale tesi, citò gli anni di piombo in Italia. «In Sicilia non c’è mai stato l’insediamento del terrorismo e l’unica volta che Prima Linea provò a posizionare una sua base operativa alle porte di Catania fu intercettata e sgominata in sei ore. In quegli anni, a metà degli anni ’70, Cosa Nostra aveva anche una funzione di sorveglianza armata sul territorio, dove non a caso non si sono consumati mai neanche sequestri di persona e quando c’erano non avevano la funzione di estorsione di denaro ma di punizione mafiosa». Il controllo delle cosche in Italia non è quello di una volta. Su Vice, per esempio, è il professore Enzo Ciconte a ricordare che «la mafia non controlla il territorio italiano e non controlla il territorio di nessuna regione. Controlla solo pezzi di territori». Nella relazione dei servizi anche se la nostra criminalità organizzata ha posizioni decisionali e di comando le mafie straniere collaborano in sodalizio con le cosche locali specialmente dal punto di vista della manovalanza agricola.



Altro fattore non indifferente è la mancanza di rete negli attacchi di Bruxelles. La storica spaccatura tra Fiandre e Vallonia non ha mai aiutato la scarsa cooperazione tra le autorità. Poliziotti separati in casa con l’area della Capitale divisa in 19 comuni che eleggono altrettanti borgomastri. Non c’è dialogo. Come ricorda lo scrittore Pieter Aspe a Il Manifesto: «La segnalazione che parte da Anversa o Liegi deve essere prima centralizzata a Bruxelles, presso l’intelligence nazionale, e quindi inviata alle autorità competenti della zona in cui vive il sospetto. Se poi, alla fine di questo lungo percorso si scopre che la persona ha cambiato casa, spostandosi anche di un solo chilometro e mutando perciò il proprio comune di residenza, l’intero iter deve riprendere pressoché da capo. Una vera follia».

L’Italia ha sempre ospitato gli immigrati musulmani, dimostrando di essere lo stato dell’accoglienza e della tolleranza. Altri stati hanno invece chiuso loro le porte. Anche per tale motivo l’Italia non è vista dall’Isis come una nazione “cattiva”.
Roma è la sede della cristianità, molti la reputano per tale motivo un bersaglio facile. Eppure proprio Gesù Cristo è considerato, dall’islamismo, un grande profeta, una figura che (non al pari di Maometto, ma quasi) non deve essere oltraggiata. L’Islam ha rispetto per Cristo, un attacco al Vaticano è impensabile.
Questa “guerra”  ha in parte motivi religiosi, ma grande importanza hanno soprattutto quelli economici. La Francia, tra tutti gli stati europei, è quello che ha maggiore controllo dei giacimenti petroliferi in medio oriente. La Total, multinazionale francese del petrolio, ha interessi che cozzano con quelli dei grandi petrolieri arabi, gli stessi che finanziano la guerra santa dell’Isis; l’Italia, diversamente, non ha un potere tale da essere vista con un’usurpatrice o una rivale per il petrolio.
In Italia, a differenza di molti altri stati europei, non c’è una comunità islamica fortemente radicata. Gli uomini di colore e i musulmani presenti nel nostro paese sono perlopiù immigrati. In Francia, ad esempio, ci sono da parecchie generazioni uomini di fede islamica. E’ più difficile per l’Isis trovare agganci in Italia, ed è per loro logisticamente più difficile fare attentati.



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