mercoledì 10 agosto 2016

LA SVIZZERA

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La Svizzera confina con l'Italia, la Francia, l'Austria, la Germania e il Liechtenstein.

L'odierno nome Svizzera proviene da Svitto (tedesco: Schwyz), uno dei "Cantoni forestali" (Waldstätte) che formavano il nucleo della Vecchia Confederazione. Il nome Svitto è attestato per la prima volta nel 972 come il villaggio di Suittes ed è forse legato all'alto tedesco antico suedan, "bruciare", con riferimento alle foreste bruciate per creare nuovi spazi agli insediamenti. Probabilmente il nome designava sia il territorio sia la popolazione del cantone, ma dopo la battaglia di Morgarten nel 1315 il nome Switzer, Switenses o Swicenses passò a designare tutti i Confederati. In francese sono attestati i termini Soisses, Suysses e Souyces a partire dal Cinquecento; contemporaneamente in italiano compaiono i termini Sviceri e Suyzeri, per stabilizzarsi nella variante Svizzeri scelta da Machiavelli nel 1515.

Il nome antico Elvezia proviene dagli Elvezi, una popolazione celtica stabilitasi sull'Altipiano in epoca pre-romana. Gli Elvezi sono menzionati per la prima volta nel VI secolo a.C. Il nome Confoederatio Helvetica o Helvetia non figurava invece fra le tradizionali denominazioni del paese ed è stato utilizzato solo dopo la nascita dello Stato federale nel 1848 (quindi è da considerarsi un neologismo), con lo scopo di non privilegiare nessuna delle lingue ufficiali della Confederazione (oppure quando, per motivi pratici, era difficoltosa l'iscrizione in tre o quattro lingue). Tale denominazione compare piuttosto recentemente, in ambiti formali ed ufficiali: sulle monete e sui francobolli a partire dal 1879, sul frontone del Palazzo federale a Berna nel 1902 e sul sigillo della Confederazione nel 1948.

Dal 1995 l'acronimo “ch” costituisce il dominio di primo livello dei siti internet svizzeri.

Alla Svizzera è riconosciuta la connotazione di stato neutrale in quanto si impegna a non schierarsi in caso di guerra tra altri Stati. Questa è una condizione scelta dal Paese stesso, per questo si parla di una scelta libera, permanente ed armata.

La neutralità le è stata riconosciuta con il trattato di Parigi il 20 novembre 1815, dopo la sconfitta di Napoleone. La Svizzera aveva già richiesto di essere neutrale, ma la Francia rifiutò; infatti, a partire dal 1798, la Francia occupò il territorio svizzero ed impose altresì un'alleanza militare.

Prima di allora, precisamente all'indomani della fine della battaglia di Marigliano, la Repubblica Elvetica mantenne un profilo molto basso per quanto riguarda la politica estera. Nel 1515 la Svizzera stipulò infatti un trattato di pace con Francesco I° re di Francia e gli storici considerano questo atto come l’elemento cardine che ha dato vita alla neutralità del Paese.

Nel 1907, con la conferenza di pace dell'Aja, la Svizzera ha aderito ufficialmente alla neutralità in quanto ha firmato tutte le carte concernenti le convenzioni sui diritti ed obblighi della neutralità. Il diritto più importante che ne scaturisce è quello dell'inviolabilità del proprio territorio, a cui segue quello di non partecipare attivamente ad ogni forma di guerra e provvedere alla propria difesa. Questo tuttavia non impedisce alla Svizzera di fornire aiuti umanitari in situazioni di guerra.

Nel 1920 il Paese aderì alla Società delle Nazioni che aveva posto la sua sede proprio in Svizzera, a Ginevra. La Società riconobbe la neutralità permanente della Svizzera e la esonerò dalla partecipazione alle azioni militari.

La politica estera della Svizzera è improntata da cinque secoli (dal 1515) alla neutralità. Questo non ha impedito di sviluppare, soprattutto negli ultimi anni, una politica estera attiva, tesa ad appianare le divergenze fra stati terzi ("i buoni uffici"), a promuovere attivamente i diritti umani e a garantire le basi naturali della vita (l'impegno per lo sviluppo e l'affermazione di un sistema ambientale internazionale). Oltre a ospitare la sede delle Nazioni Unite, la Svizzera è la patria e la sede di due grandi organizzazioni internazionali: la Croce Rossa, fondata a Ginevra, e il World Wildlife Fund (WWF), fondato a Zurigo, ma con sede a Gland, nel Canton Vaud. Nel 1960 la Svizzera ha dato vita all'Associazione europea di libero scambio (AELS), ne è tuttora membro insieme con la Norvegia, il Liechtenstein e l'Islanda. Nel 1963 la Svizzera ha aderito al Consiglio d'Europa e nel 1975 all'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE). Membro anche dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OECD), nel 1992 la Confederazione è entrata a far parte del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e nella Banca Mondiale (WB). Il 10 settembre 2002, con l'approvazione popolare, la Svizzera è entrata a far parte dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), come centonovantesimo Stato.

In generale la Svizzera affronta la politica europea, così come quella estera, con prudenza e pragmatismo. Dopo il fallimento di alcuni referendum su un'eventuale adesione (ma con margini molto ristretti: il primo di questi, sullo Spazio economico europeo nel 1992, venne respinto dal 50,3% dei votanti), la Svizzera ha scelto una via basata su accordi bilaterali con l'Unione europea. Nel 2000 un importante pacchetto di 7 accordi, rispettivamente su libera circolazione delle persone, trasporto aereo, trasporti terrestri, agricoltura, ostacoli tecnici al commercio, appalti pubblici e ricerca, ha avuto l'avallo popolare. Questo pacchetto di 7 accordi è tenuto insieme dalla cosiddetta clausola ghigliottina, ossia che se uno solo dei 7 accordi viene messo in discussione, cade l'intero pacchetto. Nel giugno del 2005 la Svizzera ha aderito agli accordi di Schengen, negoziandone l'attuazione pratica in modo di mantenere controlli saltuari alle frontiere, e reclamando un eventuale diritto di rescissione. Il 25 settembre 2005, un altro referendum ha esteso l'accordo della libera circolazione delle persone ai 10 Paesi entrati nell'UE nel 2004 (il referendum riguardava solo questo accordo, in quanto gli altri 6 si erano già automaticamente estesi ai nuovi Paesi).

Il 26 novembre 2006, sulla scia delle trattative bilaterali in corso, un ulteriore referendum ha permesso l'approvazione della "Legge federale sulla cooperazione con i Paesi dell'Est": tale legge funge da base legale per il versamento di un miliardo di Franchi svizzeri (650 milioni di Euro), che avviene a tappe nell'arco di 10 anni, dal 2006 al 2016, a sostegno dello sviluppo sociale ed economico dei 10 Paesi che hanno aderito all'UE nel 2004. Il 12 dicembre 2008 la Confederazione è entrata nell'area Schengen come 25º Paese. Da allora non vi è più nessun controllo alla frontiera per le persone, mentre sono stati mantenuti i controlli per le merci. L'8 febbraio 2009 il popolo svizzero è stato chiamato a rispondere attraverso un referendum alla domanda se allargare l'accordo sulla libera circolazione delle persone anche alla Romania e alla Bulgaria e al rinnovo dello stesso accordo con gli altri stati Europei; il risultato è stato positivo con il 59,6% di preferenze.

La Svizzera è un paese di immigrazione da lunga data: nel 1830 gli immigrati rappresentavano il 2,1% della popolazione, cresciuti al 18% nel 1913. Da allora il numero è rimasto, in termini percentuali, praticamente costante. Nel 2012 gli stranieri rappresentavano circa il 22,7% della popolazione, facendo della Svizzera il paese europeo con la più alta presenza di immigrati dopo il Lussemburgo. Annualmente viene naturalizzato circa un decimo della popolazione straniera (ma la tendenza è in aumento: le naturalizzazioni sono triplicate dal 1992 al 2005). Nel 2005 circa un terzo della popolazione residente era immigrato o discendente di immigrati. Secondo i dati del 2012, la maggior parte degli stranieri proviene dall'Italia (16,2% ? Italo-svizzeri), dalla Germania (15,7%), dal Portogallo (13,0%), dalla Francia (5,6%) e dalla Serbia (5,4%). Nel 2009, 43.400 residenti avevano acquisito la cittadinanza elvetica.

A coloro che emigrano in Svizzera per ragioni economiche, vanno aggiunti attualmente circa 16.000 richiedenti l'asilo, pari allo 0,21% della popolazione: una percentuale - tradizionalmente - più alta di quella dei paesi vicini.. In passato la Svizzera ha offerto asilo politico a interi gruppi di persone in fuga da situazioni particolari. Durante la seconda guerra mondiale la Svizzera accolse oltre 51.000 profughi civili (pari all'1,2% della popolazione svizzera di allora: 14.000 dall'Italia, 10.400 dalla Francia, 8.000 dalla Polonia, 3.250 dall'Unione sovietica, 2.600 dalla Germania e 2.200 apolidi; complessivamente 21.000 erano ebrei). Nel 1956 vennero accolti 56.000 rifugiati provenienti dall'Ungheria, nel 1968 circa 11.000 rifugiati provenienti dalla Cecoslovacchia, nel 1973 oltre 8.000 rifugiati provenienti dal Cile e altri 8.000 provenienti dal Sud-est asiatico. Nel 1981 2.500 provenienti dalla Polonia. A partire dagli anni novanta il flusso si è intensificato: la Svizzera ha accolto circa 30.000 bosniaci (dal 1992) e 53.000 kosovari (dal 1999). A partire dal 2000 la principale comunità di rifugiati è quella eritrea.

Oltre agli stranieri che trasferiscono il loro domicilio in Svizzera, nel paese entrano giornalmente (o settimanalmente) circa (il numero varia annualmente) 250.000 frontalieri (lavoratori domiciliati nei paesi vicini che passano regolarmente il confine per lavorare, attratti da migliori condizioni di lavoro). Nel 2012 i frontalieri registrati erano 264.741. Oltre la metà proviene dalla Francia (138.542), quindi dall'Italia (61.801), dalla Germania (55.311), dall'Austria (8.120) e da altri paesi europei (967). La maggior parte dei frontalieri si concentra nella regione lemanica (89.017), nella Svizzera nord-occidentale (66.074) e nel Canton Ticino (55.879).



Fino al 1900 il saldo migratorio svizzero era passivo: coloro che lasciavano la Svizzera erano più numerosi di quelli che vi arrivavano. Tradizionalmente, prima che la Costituzione del 1848 lo proibisse, il mestiere più praticato dagli svizzeri all'estero era quello del mercenario: si calcola che dal 1400 al 1848 oltre due milioni di svizzeri combatterono nelle guerre europee. Tra la metà dell'Ottocento e la prima guerra mondiale emigrarono dalla Svizzera circa 400.000 persone. La maggior parte si diresse verso gli Stati Uniti, il Brasile (Nova Friburgo, 1819), l'Argentina (Villa Lugano, 1908), l'Uruguay (Nueva Helvecia, 1862; Nouvelle Berne, 1869), l'Australia e il Sud Africa.

Accanto all'emigrazione economica, vi è stata, a partire dal XVI secolo, la fuga da persecuzioni religiose. In particolare furono gli Anabattisti nel Cinquecento a dover abbandonare la Svizzera. Alla fine del Seicento, una nuova ondata di persecuzioni investì la comunità mennonita: nel 1693 Jakob Ammann (il fondatore della comunità Amish) e i suoi seguaci dovettero rifugiarsi prima sulle Alpi quindi, nel 1720, in Pennsylvania e successivamente nell'Indiana (Berne, 1852) dove hanno potuto conservare le loro peculiarità sino a oggi. Attualmente, per designare gli svizzeri emigrati all'estero, si parla di Quinta Svizzera (dopo le quattro realtà linguistiche nazionali). I cittadini svizzeri che risiedono all'estero sono circa 700.000 (quasi il 10% degli svizzeri che vivono in patria): la maggior parte di essi risiede in Francia (179.106), negli Stati Uniti (74.966), in Germania (74.966), in Italia (48.638), in Canada (38.866), nel Regno Unito (28.861), in Spagna (23.802), in Australia (22.757), in Argentina (15.624), in Brasile (14.653), in Israele (14.251) e in Sudafrica (9.035).

La neutralità è la condizione giuridica di quegli stati che intendono rimanere estranei in una guerra fra altri, cioè non partecipare né per l'uno né per l'altro dei contendenti. Tale condizione è costituita da rispettivi diritti e doveri internazionali, cui dà origine il rapporto giuridico che si viene a creare fra i detti stati e gli stati belligeranti. L'opposizione è dunque fra neutralità e guerra e non v'è, nel diritto internazionale moderno, posto per nessuna condizione giuridica intermedia. Un preciso concetto giuridico di neutralità fu infatti ignoto al diritto internazionale più antico; dipendeva dall'arbitrio del belligerante considerare o no come nemici gli stati che non parteggiavano per esso e i neutri generalmente si limitavano a trattare allo stesso modo i belligeranti.

Non mancarono convenzioni di neutralità, con cui gli stati reciprocamente si garantivano una certa immunità per il caso di guerra d'uno di essi con qualche altro stato; ma la nozione mancava d'ogni uniformità e precisione, mentre il vocabolo - che va comparendo qua e là in Francia, in Italia, in Germania, dalla fine del sec. XV al sec. XVII - viene registrato dal Wolff, alla metà del sec. XVIII (nel suo Jus gentium, 1749), come già d'uso comune nel linguaggio volgare per indicare quelli che U. Grozio chiamò: medii in bello (dicuntur vulgo neutrales).

Alla neutralità temporanea o occasionale, sopra definita, fa riscontro quella cosiddetta perpetua o permanente (per alcuni il contrapposto è fra neutralità volontaria e perpetua; sennonché anche quest'ultima è sempre volontaria, per lo meno formalmente), la quale costituisce per certi piccoli stati - nel loro interesse e nell'interesse degli stati vicini - una condizione giuridica prestabilita per ogni eventuale guerra; di conseguenza vincola la libertà dello stato in questione, vietandogli non solo d'intraprendere o di partecipare ad alcuna guerra (e quanto agli effetti il risultato è qui identico a quello della neutralità occasionale), ma anche di fare in tempo di pace una politica o di conchiudere trattati suscettibili di portare alla guerra. Creazione, questa degli stati permanentemente neutri, propria della politica europea del sec. XIX; tale fu la situazione - prima della guerra mondiale - del Belgio, del Lussemburgo, oltre che della Svizzera, la quale è la sola a conservarla anche oggi, avendone fatta una condizione espressa della sua entrata nella Società delle nazioni.

La neutralità presenta indubbi vantaggi, ma importa oneri corrispettivi (questa materia interessa specialmente la guerra marittima, perché è soprattutto in questo campo che esistono i più frequenti rapporti e si urtano i maggiori interessi opposti degli stati belligeranti e neutri).

Lo stato neutrale deve anzitutto astenersi da ogni ostilità e quindi da ogni azione che possa aumentare la forza d'un belligerante, o comunque avvantaggiarlo (la concessione di uguali agevolazioni o aiuti alle due parti avrebbe quasi sempre risultati diversi). Così è vietato allo stato neutrale:  l'invio di truppe o il loro reclutamento sul suo territorio (curiosa situazione quella della Svizzera, che forniva truppe a tutti gli stati; la costituzione del 1848 ha proscritto tali arruolamenti collettivi); la fornitura di armi e munizioni e in genere di tutto ciò che può servire alle forze armate (tale divieto riguarda lo stato e non i privati, a cui lo stato neutrale può lasciare libera, limitare, o interdire una simile attività); la concessione di prestiti o sussidi pecuniari (anche qui il divieto riguarda lo stato come tale, non i privati);  il far passare truppe dei belligeranti, o convogli a loro destinazione, o fare installare mezzi di comunicazione: nel caso di militari fuggiaschi, o di truppe in ritirata o disfatta, lo stato neutro ha l'obbligo di disarmarle e internarle fino alla fine della guerra. Il passaggio di feriti e malati di un belligerante può essere permesso a condizione che i relativi convogli non servano a nascondere o trasportare materiali di guerra o armati; i prigionieri di guerra evasi o rifugiati in territorio neutro devono essere lasciati liberi e così pure i prigionieri trasportati da truppe che abbiano sconfinato; circa il soggiorno nelle acque neutrali di navi belligeranti il divieto non è così rigoroso come per il passaggio di truppe; all'infuori del pericolo di mare, la tolleranza d'un breve soggiorno (per es., di 24 ore, o per il tempo di rifornirsi di viveri strettamente necessari, o di provvedere a riparazioni indispensabili) è ammessa. Nel caso poi che navi da guerra delle due parti nemiche vengano a trovarsi nello stesso porto neutrale, la loro uscita è regolata dalle autorità del luogo.

In cambio dei detti doveri lo stato neutrale ha diritto a che sul suo territorio (compreso il mare territoriale) non vengano compiuti atti di guerra o preparativi di nessun genere, a che le persone dei propri cittadini o sudditi e i loro beni siano rispettati: tale protezione cessa se l'individuo si espone, a favore d'un belligerante, ad atti colpiti dalle leggi e dagli usi di guerra.

Lo stato neutrale deve sopportare le restrizioni che alla libertà del commercio sono apportate dalle norme e dagli usi di guerra. È in questo campo principalmente che il contrasto di interessi fra stati belligeranti e neutri si è sempre rivelato più acuto. La Ligue de neutralité armée - che nel 1780 riunì contro l'Inghilterra quasi tutti gli altri maggiori stati - fu conchiusa appunto per opporsi alle pretese eccessive sollevate dalla detta potenza, al principio della guerra d'indipendenza americana.

In massima il commercio dei neutri è libero. La libertà del commercio neutrale significa il diritto per tutti i sudditi degli stati neutri di esercitare il commercio, durante la guerra, anche con i belligeranti e anche sul loro territorio e nell'alto mare. Le restrizioni a detta libertà concernono la confisca delle merci e delle navi neutre, nei due casi del contrabbando di guerra e del blocco.

Costituiscono contrabbando di guerra anzitutto le merci e cose d'impiego militare immediato ed esclusivo. A questa specie di contrabbando, detto assoluto, si suole accostare - come contrabbando per analogia - il trasporto di corrispondenza per le forze armate, di truppe e di ufficiali. V'è poi il cosiddetto contrabbando relativo, costituito da tutte quelle cose di uso promiscuo, di cui Grozio dava come es. i cavalli, ma la cui lista si è endata grandemente aumentando con gli sviluppi dei mezzi di offesa e difesa moderni. La distinzione vorrebbe avere come conseguenza un più rigoroso apprezzamento della destinazione per il contrabbando assoluto, che basta sia diretto a un qualsiasi punto del territorio nemico (anzi, con la teoria della continuità del viaggio è confiscabile anche se diretto a un porto neutro, quando si ha ragione di credere che questo serva solo di tappa a un ulteriore viaggio verso il nemico); mentre per il contrabbando relativo si vorrebbe la diretta destinazione alle forze nemiche e mai dovrebbe avere luogo l'applicazione della teoria del viaggio continuo. Ma la guerra mondiale ha infranto le poche norme al riguardo e tutto sarebbe qui da rifare. (Il contingentamento è un espediente che ebbe qualche applicazione durante la guerra mondiale e consiste nell'autorizzare una certa quantità d'importazioni, calcolata sulla base delle ordinarie importazioni d'anteguerra, considerando il di più come contrabbando di guerra).

Il blocco consiste nell'interruzione d'ogni commercio e comunicazione, a cui un belligerante vuole sottoporre un dato porto o un dato tratto di coste del nemico. Anche qui l'interesse dei belligeranti li porterebbe a eccedere (restarono famosi i cosiddetti blocchi sulla carta, o fittizi, fra l'Inghilterra e la Francia, durante le guerre della rivoluzione e quelle napoleoniche). Le marine mercantili neutrali devono astenersi dall'accedere al luogo bloccato, la violazione di tale divieto importa confisca della nave e anche del carico nei casi più rigorosi (dichiarazione di Londra, 26 febbraio 1909, art. 21). La pratica del blocco è universale, ma essa ormai soggiace alle condizioni dell'effettività e della notifica. Come spiega l'art. 4 della dichiarazione di Parigi del 16 aprile 1856 l'effettività è data dall'essere il blocco mantenuto "da una forza sufficiente a interdire realmente l'accesso del litorale nemico". Quanto alla notificazione, essa è resa necessaria perché il blocco sia conosciuto e va fatta dal belligerante agli stati neutri, alle autorità del posto bloccato e anche singolarmente alle navi, che si presentano davanti la linea di blocco, quando non è presumibile che ne abbiano avuto conoscenza. Anche per il blocco si è ricorso alla teoria del viaggio continuo, come un diritto di prevenzione per il belligerante di confiscare una nave fin dalla sua partenza, quando si può presumere che il suo viaggio verso un porto non bloccato sia una semplice tappa nella sua destinazione definitiva. La dichiarazione di Londra citata (art. 19) ha condannato una simile pratica. Nella guerra mondiale in principio si seguirono le regole di Londra, ma non in seguito. Anche la presunzione di conoscenza del blocco fu allargata.

All'infuori dei casi di contrabbando di guerra e di blocco, la libertà di commercio dei neutri è oggi integrata col sistema instaurato dalla dichiarazione di Parigi del 16 aprile 1856: il sistema della bandiera che copre la mercanzia e non la confisca, per cui la bandiera neutrale copre la mercanzia nemica e la mercanzia neutrale non è confiscabile anche a bordo di nave nemica. E il sistema più favorevole ai neutri e che, accettato quasi universalmente, è succeduto a sistemi più rigorosi: a quello del Consolato del mare - del contaggio ostile - della bandiera che copre la mercanzia e la confisca.

La nozione della neutralità, quale è stata sopra definita, appare avviata a nuova evoluzione dopo il Patto della Società delle nazioni e gli altri atti intesi a organizzare la difesa della pace e a fare, ove occorra, della guerra l'estremo atto di un'esecuzione forzata collettiva. Si è parlato d'una vera fine della neutralità. Neutralità e Società delle nazioni sono apparsi termini antitetici, poiché mentre neutralità vuol dire astensione dai conflitti altrui, la Società delle nazioni mira a rendere solidali gli stati. Ciò nonostante la neutralità persiste ancora giuridicamente nell'economia del Patto, in quanto in esso pure persiste giuridicamente la guerra.


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