mercoledì 4 marzo 2015

MILANO & CRIMINI : STRAGE DI PIAZZA FONTANA

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La strage di piazza Fontana fu conseguenza di un grave attentato terroristico compiuto il 12 dicembre 1969 nel centro di Milano. Viene da molti ritenuta, convenzionalmente, l'inizio del periodo passato alla storia in Italia come strategia della tensione.

Le indagini si susseguiranno nel corso degli anni, con imputazioni a carico di vari esponenti anarchici e di destra; tuttavia alla fine tutti gli accusati saranno sempre assolti in sede giudiziaria (peraltro alcuni verranno condannati per altre stragi, e altri si gioveranno della prescrizione, evitando la pena). Nel 2005 la Corte di Cassazione ha affermato che la strage di piazza Fontana fu realizzata da «un gruppo eversivo costituito a Padova nell'alveo di Ordine Nuovo» e «capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura», che però non furono più processabili in quanto «irrevocabilmente assolti dalla Corte d'assise d'appello di Bari».

L'esplosione avvenne il 12 dicembre 1969 alle ore 16:37: una bomba scoppiò nella sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura in piazza Fontana a Milano, uccidendo diciassette persone (quattordici sul colpo) e ferendone altre ottantotto.

Una seconda bomba viene rinvenuta inesplosa nella sede milanese della Banca Commerciale Italiana, in piazza della Scala. Vengono eseguiti i rilievi previsti e successivamente viene fatta brillare distruggendo in tal modo (come dichiarato dal giudice Gerardo d'Ambrosio e confermato dalla Cassazione) elementi probatori di possibile importanza per risalire all'origine dell'esplosivo e a chi abbia preparato gli ordigni. Una terza bomba esplode a Roma alle 16:55 dello stesso giorno nel passaggio sotterraneo che collega l'entrata di via Veneto della Banca Nazionale del Lavoro con quella di via di San Basilio, ferendo tredici persone. Altre due bombe esplodono a Roma tra le 17:20 e le 17:30, una davanti all'Altare della Patria e l'altra all'ingresso del Museo centrale del Risorgimento, in piazza Venezia, ferendo quattro persone.

Si contano dunque, in quel tragico 12 dicembre, cinque attentati terroristici, concentrati in un lasso di tempo di appena 53 minuti, che colpiscono contemporaneamente le due maggiori città d'Italia: Roma e Milano.

La vicenda è tuttora oggetto di controverse interpretazioni; secondo una, le responsabilità di questi attacchi possono essere ricondotte a gruppi eversivi di estrema destra, che miravano a un inasprimento di politiche repressive e autoritarie tramite l'instaurazione di un clima di tensione nel paese.

Le indagini vennero orientate inizialmente nei confronti di tutti i gruppi in cui potevano esserci possibili estremisti; furono fermate per accertamenti circa 80 persone, in particolare alcuni anarchici del Circolo anarchico 22 marzo di Roma (tra i quali figura Pietro Valpreda) e del Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa di Milano (tra i quali figura Giuseppe Pinelli). Secondo quanto dichiarato da Antonino Allegra, ai tempi responsabile dell'ufficio politico della questura, alla Commissione Stragi, gli arresti erano stati particolarmente numerosi ed avevano interessato anche esponenti della destra estrema, con lo scopo di evitare che nei giorni seguenti questi individui, ritenuti a rischio, potessero dare vita a manifestazioni o altre azioni pericolose per l'ordine pubblico.

Il 12 dicembre l'anarchico Giuseppe Pinelli (già fermato ed interrogato con altri anarchici nella primavera 1969 per alcuni attentati, successivamente rivelatisi di matrice neofascista), viene fermato e interrogato a lungo in questura. Il 15 dicembre, dopo tre giorni di interrogatori, Pinelli precipita dal quarto piano della questura milanese e muore. L'inchiesta giudiziaria, coordinata dal sostituto procuratore Gerardo D'Ambrosio, individuò la causa della morte in un "malore attivo", in seguito al quale l'uomo sarebbe caduto da solo, sporgendosi troppo dalla ringhiera del balcone della stanza: l'autopsia non fu mai pubblicata e fu accertato durante l'inchiesta che il commissario Calabresi non era nella stanza al momento della caduta (fatto contestato dagli ambienti anarchici in base alla testimonianza di uno dei fermati, Pasquale Valitutti).

Il 16 dicembre viene arrestato anche un altro anarchico, Pietro Valpreda, indicato dal tassista Cornelio Rolandi come l'uomo che nel pomeriggio del 12 dicembre era sceso dal suo taxi in piazza Fontana, recando con sé una grossa valigia. Rolandi ottenne anche la taglia di cinquanta milioni di lire disposta per chi avesse fornito informazioni utili. Valpreda fu interrogato dal sostituto procuratore Vittorio Occorsio che gli contestò l'omicidio di quattordici persone e il ferimento di altre ottanta.

Il giorno dopo il Corriere della sera titolò che il "mostro" era stato catturato, e il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat indirizzò un assai discusso messaggio di congratulazioni al questore di Milano Marcello Guida avvalorando implicitamente la pista da lui seguita.

Le dichiarazioni del tassista determinano, però, uno scenario della vicenda assai poco plausibile. Il tassista dichiara che Valpreda avrebbe preso il taxi in piazza Cesare Beccaria, la quale dista 130 metri a piedi da piazza Fontana. Viene addotta per questa ragione la motivazione che Valpreda fosse claudicante. Il taxi, però non si fermerà a piazza Fontana, ma proseguirà sino alla fine di via Santa Tecla. In questo modo Valpreda dovrà percorrere 110 metri a piedi, al posto dei 130 metri originari. Il taxi gli avrà fatto risparmiare 20 metri, ponendolo però di fronte al rischio di farsi riconoscere. Inoltre Valpreda avrebbe chiesto al tassista di attenderlo e in questo modo, avrebbe dovuto ripercorrere all'inverso i 110 metri (anche se questa volta non avrebbe portato più con sé la pesante valigia).

Indagini successive vedranno prendere corpo l'ipotesi di un sosia, che prenderà il taxi al posto di Valpreda. Viene quindi avanzata dalla pubblicistica un'ipotesi, secondo la quale il sosia sarebbe stato tale Antonino Sottosanti, un ex legionario siciliano, infiltrato nel circolo anarchico di Pinelli nel quale era conosciuto - per via dei suoi trascorsi - come "Nino il fascista", ipotesi mai riscontrata.

In 43 anni, non è mai stata emessa una condanna definitiva per la strage: ben sette processi si sono celebrati sino ad oggi, ma non si è ancora giunti all'identificazione certa dei colpevoli e delle responsabilità; soltanto alcuni esponenti dei servizi segreti italiani (il generale Gianadelio Maletti e il capitano Antonio Labruna) verranno condannati definitivamente per depistaggi.

Negli anni novanta l'inchiesta del giudice Guido Salvini affacciò anche un'ipotesi di connessione col fallito Golpe Borghese e raccolse le dichiarazioni di Maurizio Siciliano e Carlo Digilio, ex neofascisti di Ordine Nuovo, i quali confessarono il proprio ruolo nella preparazione dell'attentato, ribadendo le responsabilità dei neofascisti Freda e Ventura; in particolare Digilio sostenne di aver ricevuto una confidenza in cui Delfo Zorzi gli raccontava di aver piazzato personalmente la bomba nella banca. Zorzi, trasferitosi in Giappone nel 1974, divenne un imprenditore di successo. Ottenne la cittadinanza giapponese che gli garantì poi l'immunità all'estradizione.

Nel 2000 Digilio ottenne la prescrizione del reato per il prevalere delle attenuanti riconosciutegli, appunto, per il suo contributo alle indagini. Il 3 maggio 2005 la Corte di Cassazione ha assolto definitivamente gli ultimi indagati (Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, militanti della cellula veneziana-mestrina di Ordine Nuovo condannati in primo grado all'ergastolo) scrivendo però nella sentenza che con le nuove prove - emerse nelle inchieste successive al processo milanese nel 1972 e alla definitiva assoluzione nel 1987 - gli ordinovisti veneti Franco Freda e Giovanni Ventura sarebbero stati entrambi condannati. Attualmente non vi è alcun procedimento giudiziario aperto in quanto la condanna arriva tardiva, oltre al terzo grado di giudizio. Dopo decine di anni, la morte di Pinelli è ancora oggetto di discussione, sebbene la Magistratura si sia pronunciata in modo univoco, nel senso della morte accidentale dell'anarchico. Al termine il processo nel maggio 2005 ai parenti delle vittime sono state addebitate le spese processuali.

Negli anni numerose manifestazioni si sono svolte e si svolgeranno in ricordo della strage di piazza Fontana e di Giuseppe Pinelli. Diverse di tali iniziative sono degenerate in scontri tra polizia e manifestanti. Ancora oggi è attiva la contestazione, motivo ricorrente negli ambienti di sinistra milanesi e non solo, ma anche la riflessione, della quale si è fatto interprete anche il Capo dello Stato incontrando i familiari delle vittime il 7 dicembre 2009: in questa circostanza Giorgio Napolitano ha elogiato "la passione civile, l'impegno che mostrate per alimentare la memoria collettiva e la riflessione, due cose alle quali l'Italia e la coscienza nazionale non possono abdicare quello che avete vissuto voi mi auguro diventi parte della coscienza nazionale comprendo il peso che la verità negata rappresenta per ciascuno di voi, un peso che lo Stato italiano porta su di sé.La riflessione è necessaria perché ciò che è avvenuto nella nostra società non è del tutto chiaro e limpido e non è del tutto stato maturato. Continuate a operare per recuperare ogni elemento di verità".

Le manifestazioni che si svolgono ogni 12 dicembre per ricordare la strage e il 15 dicembre per commemorare Pinelli, sono diventate un appuntamento ricorrente per la città di Milano.


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