domenica 28 giugno 2015

SALTRIO



Saltrio è un comune  della provincia di Varese che si può già definire montano, per scoprire la sua storia legata a martelli e scalpelli, gli attrezzi con cui “picasass”, ma anche grandi scultori come Pompeo Marchesi hanno portato la loro arte in giro per il mondo e un antico fossile a cui il paese ha dato il suo nome.

La collocazione geografica del comune, alle pendici dei monti Orsa e Sant’Elia e del monte Poncione d’Arzo si caratterizza come una lingua di terreno che rientra nel territorio svizzero.
Il paese, reso comune autonomo nel 1953 dopo un connubio durato sin dal 1928 con Viggiú, ha costantemente diviso la propria identitá tra la provincia di Como e quella, istituita nel 1927, di Varese, entrando a far parte di quest’ultima pur rimanendo nella Diocesi di Como fino al 1982, data di passaggio alla Diocesi Ambrosiana.
Derivato probabilmente dal latino saltus, con significato di “bosco”, il nome del paese sin dalle prime memorie storiche riporta alle attività estrattive della pietra calcarea, detta comunemente “pietra cenerina” a causa del colore grigio.
Attualmente le cave sono tutte abbandonate, mentre le maggiori attivitá economiche poggiano sul frontalierato verso la Confederazione Elvetica e su qualche attività artigiana.
Numerosi sono stati i Saltriesi, scalpellini, marmisti e ornatisti, che nel corso dei secoli hanno abbellito con la loro arte incisoria palazzi, basiliche romane e cattedrali, come il Duomo di Milano.
Cessata via via l’attività estrattiva, gli abitanti di Saltrio, specie a partire dalla fine dell’Ottocento, conobbero la via dell’emigrazione verso paesi stranieri, soprattutto verso gli Stati Uniti, sebbene dovesse di lì a poco iniziare il moto migratorio da altre regioni d’Italia verso Saltrio.
Attualmente, il fenomeno è stato assorbito dal frontalierato e la popolazione di Saltrio è per la maggior parte impiegata in Svizzera o nei centri vicini.

Essendo paese di confine fino alla fine degli anni 50 Saltrio annoverava fra i suoi abitanti molte persone addetta al trasporto del contrabbando di sigarette, caffè, zucchero.
Sulle pendici di monti Orsa e Poncione si possono vedere ancora oggi cave da cui nel passato si estraeva la famosa "Pietra di Saltrio" che veniva usata per la realizzazione di colonne, portali, scalini, etc.
Girando per Saltrio ancora oggi si possono vedere portoni di accesso alle corti decorate con tale pietra lavorata in modo più o meno artistico.

Mancano di Saltrio notizie storiche di qualche rilievo anche se la zona è comunque interessata da insediamenti di sicura antichità come dimostrano i molti ritrovamenti di epoca romana a Stabio, Ligornetto, Clivio, Viggiù, Arcisate (molte lapidi, monete, ecc.). Saltrio in particolare deve avere avuto una certa importanza per le sue cave di pietra, dato che la pietra di Saltrio si ritrova già usata nel rivestimento delle mura romane di Milano (datate circa al 32 - 27 a.C.).
E' una pietra calcare dal bell'aspetto grigio cenere, grana compatta. Il suo impiego perdura per tutto il medioevo, anche in luoghi lontani, come nel Chiostro di Piona (sul Lago di Como), alla Certosa di Pavia - ove la pietra dominante è tuttavia quella d'Angera, nel Duomo di Lugano, sino ad alcuni impieghi moderni nel cimitero di Staglieno a Genova ed al Monumentale a Milano.

Nel medioevo il paese gravitava sulla ricca pianura del Mendrisiotto, ove prendeva man mano importanza quella che sarà la "Strada d'Europa" collegante Milano con Chiasso, Lugano, il Gottardo, Lucerna, Basilea, Zurigo e la Renania. E' la strada che seguono nel XV - XVI sec. le armate mercenarie svizzere al servizio dei signori italiani; le stesse armate che, sfruttando la superiorità del momento, conquisteranno in varie riprese le terre dell'attuale Canton Ticino, sottoponendole ai Cantoni primitivi e poi via via agli altri Cantoni d'Oltralpe.
Quello che diventerà il confine tra le due nazioni si attesta al limite attuale nel 1526, quando anche la Pieve di Balerna viene riconosciuta agli Svizzeri; Saltrio e Clivio rimangono con il Ducato di Milano e quindi con l'Italia.

Questa è stata quindi terra di scalpellini e scultori la cui crescita fu certamente favorita dalla ricchezza di pietra da taglio (Cave di Arzo e di Viggiù oltre che di Saltrio) ma anche da quel clima culturale da cui trassero origine, se non i primitivi "maestri comacini", le ininterrotte schiere di artisti che dai "maestri campionesi" in poi percorsero tutta l'Italia e molti paesi esteri.

Pompeo Marchesi nacque a Saltrio il 7 agosto 1783, figlio di Gerolamo di Saltrio, e di Caterina Tamburini, di Brunello, e morì a Milano l'8 febbraio 1858.
Avviato alla scultura dall'esempio del padre, sentendo una forte vocazione artistica, studio all'Accademia di Brera di Milano dove ebbe come maestro lo scultore Giuseppe Franchi. All'età di 21 anni, nel 1804, dopo aver ultimato gli studi a Brera,  su segnalazione della Commissione per la cultura di Brera al Ministero dell'Interno, fu inviato a Roma come Alunno pensionato presso la locale Accademia diretta da Antonio Canova.
Nel 1810, Pompeo Marchesi ritornava a Milano dove iniziò la sua carriera artistica con le prime opere presso il Duomo di Milano.
Nel 1826, su precedente consiglio del Canova, fu chiamato a succedere a Camillo Pacetti alla cattedra di scultura di Brera che tenne fino al 1852 con molto onore, formando una folta schiera di alunni fra i quali i viggiutesi Giosuè Argenti, Guido Butti e Luigi Buzzi Leone.
I Milanesi lo chiamavano "el Dio dei piccaprei" e si interessavano ai suoi lavori prima ancora che fossero compiuti. Notevolissimo fu il suo contributo al sorgere della Galleria di Arte Moderna di Milano dove, in una sala riservata, si conservano di lui ben 95 opere.

Luigi Marchesi, figlio di Carlo Gerolamo Marchesi e di Caterina Tamburini, nasce a Saltrio il 16 aprile 1799; il padre scultore della fabbrica del Duomo di Milano, in ancor giovane età lo porta con se a Milano facendogli frequentare l'Accademia di Brera nella quale conseguì risultati brillanti e si rilevò uno dei migliori allievi.
Nel 1818 venne premiato nel concorso di seconda classe, per figura, disegno e plastica; nel 1819 ricevette un secondo premio per un disegno che rappresentava Cefalo e Procri, presentato sotto il motto "Intanto con maniere alme e devote. Spria lalma infelice del mio volto".
Nel 1823 entrò a far parte degli scultori del Duomo di Milano assieme ad altri giovani scultori usciti dall'Accademia di Brera: Benedetto CACCIATORI, Giovanni PIAZZA, Gerolamo RUSCA, Abbondio SANGIORGIO, Francesco SOMAINI, i quali nel corso della loro carriera artistica faranno scrivere pagine bellissime, storiche e culturali dell'arte scultorea milanese.
Manterrà l'incarico per circa quarant'anni, durante i quali vennero commissionate oltre trenta statue di piccola, media e grandezza naturale, delle quali le più importanti sono: San Mario, San Calimero, San Patrizio e Sant'Ignazio di Loyola.
A Saltrio nella Cappella di famiglia sono conservati due busti eseguiti nel 1838 che ritraggono i genitori, purtroppo in parte deturpati.

La Cappella della SS. Trinità, così denominata perchè al suo interno custodisce la statua omonima, rappresenta un raro documento artistico trasmessoci dai nostri antenati.
La statua è opera di un maestro non meglio identificato, ma appartenente ai "Giudici", una delle più illustri casate saltriesi, che per vari secoli fu protagonista dell'attività estrattiva della nostra pietra.
Da notare che nelle cappelle della Valceresio e del Varesotto le sacre figure: Gesù, la Madonna, i Santi, le simbologie cristiane, vengono rappresentate pittoricamente, mentre in quella saltriese la rappresentazione è di pietra.
Dobbiamo porre particolare attenzione a questa statua della SS. Trinità, realizzata agli inizi del '500, perchè potrebbe passare inosservata essendo collocata in una località periferica lontana dai luoghi dove fu intensa l'attività artistica e scultorea.
La statua della SS. Trinità appare molto complessa, ed una critica pur affrettata non può essere più che positiva per quello che l'artista ha saputo realizzare.
A conclusione il complesso statuario meriterebbe un più approfondito studio al fine di scoprire come il Magistro abbia saputo accostare e conciliare le sue concezioni artistiche con un dogma fondamentale della Fede Cristiana.
La Cappella presenta ampia apertura ad arco, al centro in alto è collocato in un tondo il simbolo della SS. Trinità "Le tre dita" in pietra di Saltrio.
Lungo tutto il frontale sono collocati due gradoni per accedervi all'interno, è chiusa da un parapetto dell'altezza di circa un metro e mezzo in pietra con lavori ornamentali dell'epoca. Si riscontra una inferriata, con accesso posto al centro, per cui la cappella rimane completamente aperta, in modo che il passante o il visitatore possa avere un'ampia visione delle opere contenute.
Tutto il complesso dell'altare è in pietra grigia di Saltrio, al centro si riscontra un ovale, il cui interno è in macchia vecchia di Arzo o broccatello.
La nicchia è sostenuta da un gradone o ripiano per tutta la lunghezza dell'altare è pure in pietra grigia locale.
La base di sostegno ha una altezza di circa trenta centimetri, in cui si possono notare delle incisioni alquanto smunte e da decifrare, al centro un ulteriore basamento con finalità ornamentali.
Le due colonne laterali di un consistente spessore, sostengono il cappello a forma semicircolare, chiusa da una serraglia rettangolare ed al centro semicurva.
Si notano quattro piccoli incastri in tondo ovale, due al centro delle colonne, due sotto la serraglia pure in broccatello.
Una cordonatura in pietra grigia corre lungo le pareti laterali e frontale.
La statua della SS. Trinità mostra il Padre Eterno con una folta barba, tiene lo sguardo verso l'alto, il capo è interamente coperto dalla capigliatura, dalle spalle scende il manto che copre parzialmente il corpo con delle pieghettature convergenti al centro, e si intravedono solo le estremità delle dita.
Al centro del corpo è scolpita la Croce con Gesù Crocifisso, che tiene il capo inclinato, sulla parte superiore della croce è posata la colomba, infine ai lati degli avvolgimenti che si possono definire delle nubi che circondano il Padre Eterno in cielo.

La chiesa parrocchiale, dedicata ai Santi Gervaso e Protaso, è il nucleo storico intorno al quale nel 1517 la comunitá si rende autonoma per la somministrazione dei sacramenti principali.
Pur non essendo disponibili notizie sulla fondazione del primo edificio di culto, ne conosciamo alcune vicissitudini, legate ai restauri e agli ampliamenti succedutisi nel corso dei secoli.
Un fulmine, che colpí la chiesa nel 1759, fu infatti all’origine della demolizione dell’antica parrocchiale e della ricostruzione della navata centrale.
Restauri interni ed esterni, come l’aggiunta delle due navate laterali e del coro dietro l’altare maggiore, vennero compiuti verso la fine del XVIII secolo per culminare nel rifacimento della facciata, che risale, nel suo aspetto attuale, al 1887.

La Chiesetta di San Giorgio posta su di un poggio a circa 570 metri sul livello del mare. Dalla struttura ed architettura sembra che le sue origini risalgano al '700, mentre il campanile porta una data (1848) che forse è da identificare come l'anno del suo restauro.
Da Saltrio attraverso facili sentieri segnalati dalla comunità montana della Valceresio si può raggiungere la sommità del monte Orsa (2 ore per una facile strada sterrata) oppure l'ingresso delle antiche cave che si trovano alla base del monte Pravello (che sta alle spalle del monte Orsa). Scendendo dal monte Orsa verso Viggiù si incontrano le profonde gallerie e camminamenti costruiti durante la prima guerra mondiale come linea di difesa in caso di invasione tedesca/austriaca attraverso la Svizzera.

La linea Cadorna è il sistema difensivo costruito a inizio Prima Guerra Mondiale per contrastare un'eventuale invasione austro-tedesca dalla Svizzera. C'è un sentiero ben attrezzato, segnalato come itinerario anche sul sito tematico della Provincia.

Sotto il colle San Giorgio c'è una caverna che fungeva da ricovero logistico (la linea dista una trentina di minuti a piedi): "c'erano quattro gallerie d'accesso, oggi rimane accessibile solo questa, usata come cantina, perché mantiene temperatura costantemente fresca"
La piazzetta centrale del paese si chiama Piazza Monumento, per la presenza del monumento ai Caduti.

Il gigantesco edificio della colonia montana ex INAM, usata per l'ultima volta nell'estate del 1979. Passata al Ministero del Tesoro, è stata venduta ad un privato svizzero..
Cascina Luraschi, costruita nel 1935, passata all'Inam nel 1939, abbandonata da un anno e mezzo dopo che se ne è andato l'ultimo contadino. Sui silos per le granaglie si intravede ancora l'ombra del fascio littorio, cancellato dopo il 1945.

La maggioranza della popolazione è di religione cristiana appartenenti principalmente alla Chiesa cattolica; il comune ha quattro edifici di culto amministrati da una sola parrocchia dei Santi Gervaso e Protaso, e appartiene oggi all'Arcidiocesi di Milano, ma la sua storia è del tutto particolare: Saltrio è appartenuta fin dal Medioevo alla Diocesi di Como, tanto che nel borgo è in uso il rito romano, rappresentata in loco dal prevosto di Riva San Vitale attraverso la vicina Arzo. L'anomalia si generò nel 1516 allorquando, in seguito al Trattato di Friburgo, tutto il resto del territorio plebaneo passò alla Svizzera: quando nel 1884 il governo svizzero decise la nazionalizzazione delle istituzioni religiose, e fu creata la Diocesi di Lugano, Saltrio si trovò isolata dalla propria diocesi e, caso unico in Lombardia, priva di un prevosto di riferimento. Alla situazione si cercò di mettere una pezza dichiarando il paese vicariato foraneo di sé stesso, ma fu solo nel 1982 che Carlo Maria Martini mise ordine al problema cambiando diocesi alla parrocchia uniformandola a quelle italiane ad essa circostanti.
L'altra confessione cristiana presente è quella evangelica dal 1950 circa.

Nel 1996 nella cava Salnova vennero ritrovate le prime ossa di quello che è il primo grande dinosauro carnivoro italiano: il Saltriosauro.



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