martedì 15 settembre 2015

TOSSICODIPENDENZA E COSTI SOCIALI



La tossicodipendenza viene intesa come sistema comportamentale che si instaura in seguito all'uso cronico e compulsivo di sostanze (droghe illegali o legali come l'alcol, o farmaci a prescrizione medica). In particolare, secondo Koob e le Moal, la dipendenza da sostanze viene definita come disturbo cronico recidivante caratterizzato da:
compulsione alla ricerca e all'assunzione della sostanza.
perdita di controllo nel limitare l'assunzione della sostanza stessa.
comparsa di uno stato emozionale negativo (caratterizzato da disforia, irritabilità, ansia...) quando l'accesso alla sostanza è precluso.
La dipendenza da sostanze è un problema sociale e sanitario molto diffuso con conseguenze dirette e indirette sull'ordine pubblico e sulla spesa pubblica e in quanto tale è oggetto di interventi generici e specifici dello Stato. Gli effetti negativi sulla salute possono essere diretti e derivare quindi dagli effetti farmacologici della droga e dalla via di somministrazione (per esempio fumata o iniettata utilizzando aghi non sterili) e/o indiretti cioè conseguenti all'utilizzo delle sostanze da abuso come cancro, cirrosi epatica, epatite B e C, AIDS e depressione. Le fasce di popolazione più vulnerabili al fenomeno sono i giovani adolescenti, probabilmente a causa della maggior vulnerabilità dei circuiti neurali ancora in fase di sviluppo accompagnata da una maggior facilità nell'aver accesso (a differenza dei soggetti meno giovani) all'acquisto delle sostanze d'abuso.



Un danno talmente elevato, 31 miliardi di euro nel 2010 (784 euro annui per ciascun abitante tra i 15 e 64 anni, circa il 2% del Pil italiano), nel quale i costi sociali vengono suddivisi in tre macro categorie: costi del singolo individuo, costi della collettività e costi esterni.

Più nel dettaglio, abbiamo: costi derivanti dall’acquisto, quindi dal consumo, di sostanze stupefacenti, che nel 2010 ammontano a ben 22 miliardi di euro; costi per l’applicazione della legge, ovvero relativi agli interventi delle forze dell’ordine, ai Nuclei operativi tossicodipendenze delle prefetture, più spese processuali o costi per la detenzione, per un importo complessivo di 2 miliardi di euro; costi socio sanitari, di competenza delle Regioni e delle Province autonome, dipendenti dai finanziamenti erogati dagli enti per aiutare le strutture socio-sanitarie a fronteggiare il problema della tossicodipendenza, 1,7 miliardi di euro; e, infine, ciò che è più negli interessi di uno Stato capitalista, i costi derivanti dalle spese non rimborsate, ovvero il mancato pagamento delle imposte, a causa dell’improduttività lavorativa del soggetto, 4,7 miliardi di euro. Dove la perdita di produttività è calcolata sui dati forniti dai servizi di assistenza, i quali valutano la potenzialità dell’individuo di inserirsi nuovamente nel mondo del lavoro, tenendo presente l’attuale tasso di occupazione e una retribuzione media nei settori industriali e agricoli.

Il danno, per lo Stato, equivale quindi a una perdita in termini di soggetti consumatori, e a una perdita di soggetti produttori di tasse, utili a coprire le altre voci di spesa, da quelle legali a quelle socio-sanitarie..

Ma, sull’altro lato del bilancio, quali sarebbero i benefici, o meglio, i ricavi di questa chiave di lettura capitalistica del problema tossicodipendenza?
Innanzitutto la ricchezza derivante dalle attività correlate quali: reddito del personale che opera nel settore sanitario e nelle forze dell’ordine; poi i risparmi dovuti al mancato acquisto delle sostanze stupefacenti da parte dei soggetti in trattamento socio-riabilitativo; infine il reddito dei soggetti riabilitati, circa il 70% degli individui sottoposti a cura, reinseriti nel mercato del lavoro (quindi nel mondo del precariato e della disoccupazione...).
Dal 2010, inoltre, il Dpa ha attivato 109 progetti di cura, prevenzione, riabilitazione e reinserimento dei tossicodipendenti per un totale di 42 milioni di euro, affidati a enti e organizzazioni qualificate. Si tratta di Comuni, università, Asl, Rete ferroviaria italiana, Regioni, Province, Croce Rossa, istituti di ricerca privati, fondazioni ecc., con cui il Dpa ha stipulato accordi e convenzioni.

Tramite un accordo Stato-Regioni stipulato il 18 maggio 2011, si è operato quindi con l’obiettivo di favorire l’uscita dal carcere dei tossicodipendenti con l’affidamento in prova, oltre a voler quantificare il fenomeno della tossicodipendenza negli istituti penitenziari e monitorare l’applicazione dell’affidamento in prova. Un nuovo impulso alla prevenzione, che coinvolge sia le istituzioni pubbliche sia quelle private (come aziende sanitarie, direzioni scolastiche, prefetture ecc.).
Ne è un esempio il progetto dedicato a carcere e droga, per il rafforzamento di percorsi alternativi al carcere, sia per tossicodipendenti sia per alcol dipendenti, che nel 2011 il Dpa ha affidato alla Formez PA, associazione di diritto privato “in house alla Presidenza del Consiglio dei ministri, che esercita il controllo e la vigilanza attraverso il Dipartimento della funzione pubblica” , a cui possono aderire enti pubblici, Regioni, Province e Comuni.

Non c’è da stupirsi se ci sono progetti e finanziamenti, nazionali ed europei, ma i costi del ‘capitale umano’ rimangono nell’ordine dei 31 miliardi di euro, e se questi costi pensati per un’economia di Stato finiscono col gravare solo su quei soggetti divenuti ‘improduttivi’.

Il recupero del tossicodipendente inizia con una lunga permanenza nelle comunità terapeutiche.
Vista l’importanza che i centri di recupero hanno per tutto il sistema di reinserimento, nel 2009, a seguito della Conferenza nazionale per le politiche antidroga, il Dpa ha istituito un progetto denominato Comunitalia, con l’obiettivo di monitorare i dati relativi alle comunità terapeutiche, riguardanti: informazioni anagrafiche e strutturali, volume e tipo di attività, informazioni economiche sul fatturato e i relativi crediti.

Il fatturato delle comunità ha la tendenza a diminuire in modo graduale e inesorabile, passando dai 207 milioni di euro del 2009 ai 120 milioni del 2010, con una proiezione presunta sui dati del primo semestre 2011 di soli 41 milioni. Diminuzione affiancata dall’aumento proporzionale dei crediti vantanti nei confronti di Regioni, Province autonome e aziende sanitarie.



Si è quindi avuto il bisogno di creare una rete informativa, quella appunto del progetto Comunitalia, che servirà a diffondere criteri standard nazionali e norme univoche per la definizione delle rette, così da “poter ottenere un idoneo riconoscimento delle prestazioni erogate su cui istituire un sistema condiviso e permanente di recupero crediti”.
È chiaro tuttavia che un tale importante calo di fatturato non può certo dipendere solo dal ritardo nei pagamenti da parte degli enti pubblici, per quanto questo credito inevaso continui ad aumentare nel tempo. In precedenza abbiamo già parlato della difficoltà, del detenuto, di ricorrere all’art. 94 del Dpr 309/1990, che disciplina il trasferimento dal carcere ai centri di recupero e ai servizi territoriali. Il dato preoccupante è l’aumento del tempo intercorso tra l’uso delle sostanze stupefacenti e la richiesta di primo trattamento. La latenza passa dai 5,5 anni del 2009 agli 8,9 anni del 2011; dato che si può leggere guardando anche la differenza tra i trattamenti socio-sanitari erogati dai Sert rispetto al numero dei tossicodipendenti con bisogno di cure. Nel 2009 sono stati eseguiti 160 mila trattamenti su 393 mila soggetti con bisogno di cure (ovvero solo il 40,8%), nel 2011 appena 186 mila su 520 mila (il 35,7%).

La motivazione va ricercata nella legge 49/2006- la Fini-Giovanardi – secondo la quale “il provvedimento sanzionatorio non viene sospeso, come previsto in precedenza, ma viene comunque sempre applicato e, solo successivamente la persona segnalata è invitata a intraprendere un percorso terapeutico”.
Trattare la tossicodipendenza come fosse criminalità, dunque, fa sì che le persone segnalate perdano la motivazione per iniziare un percorso di recupero e reinserimento.
Tuttavia, secondo le conclusioni della relazione del Dpa, non si può accettare la legalizzazione delle droghe perché si incrementerebbe la loro disponibilità e accessibilità sul mercato, facendo di conseguenza aumentare i consumatori e le persone vulnerabili che ne farebbero uso. Ma la riflessione del Dpa dovrebbe focalizzarsi non tanto sulla legalizzazione delle droghe e il relativo traffico, quanto sulla depenalizzazione dell’uso personale, che non era considerato reato fino al 2006. Quello che bisognerebbe fare, quindi, e che ancora non è stato fatto, nonostante i 109 progetti del Dpa e i milioni di finanziamenti nazionali ed europei, è migliorare la rete dei servizi per la riabilitazione e il reinserimento sociale/lavorativo. Smettere di criminalizzare la tossicodipendenza e cominciare a trattarla come un problema sociale e sanitario, curabile attraverso una serie di interventi.

La tossicodipendenza è considerata una malattia grave perché, tra l’altro, tende alla cronicità, in molti casi produce situazioni di invalidità e può portare a morte in giovane età, per effetto diretto di una serie di patologie correlate che non è sempre facile prevenire o curare. Ogni Azienda Sanitaria è dotata di un Servizio Tossicodipendenze (Ser.T.) ed esistono anche molte Comunità Terapeutiche che possono accogliere i tossicodipendenti in cura, a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Quindi, apparentemente, per chi è tossicodipendente viene fornito tutto quanto è necessario per la cura ed anche … di più, visto che tutte le azioni cliniche connesse alla tossicodipendenza sono esenti da ticket.
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