sabato 23 aprile 2016

CLARETTA PETACCI

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Clarice Petacci, conosciuta come Claretta o Clara (Roma, 28 febbraio 1912 – Giulino di Mezzegra, 28 aprile 1945), è famosa per essere stata amante di Benito Mussolini, da lei idolatrato fin dall'infanzia, e per tale motivo uccisa dai partigiani insieme a lui. Era sorella dell'attrice Miria di San Servolo (vero nome Maria Petacci).

Figlia di Giuseppina Persichetti (1888-1962) e del medico Francesco Saverio Petacci (1883-1970), direttore per alcuni anni di una clinica a Roma e introdotto negli ambienti vaticani in qualità di medico dei Sacri Palazzi apostolici. Per un periodo di vari anni ebbe anche una sua clinica personale, "La Clinica del Sole". Clara studiò con rendimenti alterni musica e fu allieva del violinista Corrado Archibugi, amico dei suoi genitori.

Il 24 aprile 1932 la Lancia Astura vaticana con a bordo oltre all'autista Saverio Coppola, Claretta Petacci, la sorella Myriam, la loro madre e il futuro marito di Claretta, Riccardo Federici, lungo la via del Mare che da Roma va al Lido di Ostia, viene sorpassata dalla rossa Alfa 6C 1750 Gran Turismo Zagato guidata da Benito Mussolini. La Petacci, che già da tempo inviava al duce numerose lettere di ammirazione, lo riconosce e trova il modo di attirare l'attenzione del duce, il quale accetta poi di scambiare qualche parola con lei. Da allora sempre più frequenti furono le "udienze" a Palazzo Venezia, che dopo una serie di colloqui confidenziali acquisirono il carattere di una vera e propria relazione.

Petacci, ormai sposata con il sottotenente dell'Aeronautica Militare Italiana Riccardo Federici (1904-1972), aveva in realtà già preso le distanze da quest'ultimo (dal quale si sarebbe separata ufficialmente nel 1936). All'epoca del suo incontro con Mussolini, Clara aveva vent'anni, trenta di meno del suo amante.

Mussolini era sposato dal 1915 con rito civile e dal 1925 con rito religioso con Rachele Guidi (detta "donna Rachele"), che aveva conosciuto già durante l'infanzia e alla quale era legato sin da prima del 1910. Gli erano inoltre state attribuite numerose amanti, tra le quali Ida Dalser (che gli diede il figlio Benito Albino Mussolini), e aveva da poco concluso una lunga ed importante relazione con Margherita Sarfatti.

Mussolini prese a frequentare la Petacci con regolarità, ricevendone le visite puntuali anche nel suo studio di Capo del governo a Palazzo Venezia. Clara rimase per molti anni fedele «all'amato "Ben"», come chiamava Mussolini anche nella corrispondenza, solo in parte pubblicata. Diversi gerarchi del fascismo, d'altra parte, reputavano la relazione tra il duce e la Petacci - per quanto ufficialmente inesistente e tollerata da donna Rachele - molto inappropriata, perché possibile fonte di scandalo e di accuse di corruzione al regime, suscitando altresì facezie ed amenità tra quanti ne erano informati.

Clara era appassionata di pittura. Ebbe il ruolo di compagna segreta di Mussolini, di cui condivise i momenti più bui e il destino finale, pare senza mai avanzare la pretesa che l'amante lasciasse per lei la moglie Rachele.

La vicinanza di Clara a Mussolini finì per innalzare il rango della sua famiglia, alimentando voci relative a favoritismi e possibili episodi di corruzione, dei quali veniva prevalentemente ritenuto responsabile (anche da ambienti legati alla gerarchia fascista) il fratello Marcello Petacci (Roma 1º maggio 1910 - Dongo 28 aprile 1945).

Verso la fine del 1939 i Petacci si trasferirono dalla residenza medio-borghese di via Lazzaro Spallanzani (confinante con villa Torlonia) nella splendida villa "Camilluccia" (sita sulle pendici di Monte Mario, allora ai margini della città), progettata dagli architetti italiani Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti, e che rappresentava un notevole esempio del Razionalismo italiano.

La grande casa era divisa in 32 locali distribuiti su due piani sovrastati da una terrazza. Nel sottosuolo, come nella residenza del duce di Villa Torlonia, era ricavato un rifugio antiaereo, mentre nell'ampio parco erano presenti anche una piscina, un campo da tennis, un giardino fiorito, curato da Clara, un orto e un pollaio, curati dalla madre. L'accesso al complesso era sorvegliato da una guardiola per il portiere ed una per la guardia presidenziale assegnata alla proprietà.

Nell'ala destra del piano terreno (probabilmente per ragioni di sicurezza dovute alla necessaria vicinanza con il rifugio) era posizionata l'alcova di Claretta e Benito. Composta da una camera con pareti e soffitto ricoperte da specchi ed arredata con mobili rosa, era servita da una stanza da bagno rivestita in marmo nero e dotata di grande vasca mosaicata, posta a filo del pavimento, che voleva imitare le vasche termali romane.

All'indirizzo della residenza Petacci (via della Camilluccia 355/357) erano inviate numerose lettere che richiedevano i buoni uffici di Clara per petizioni rivolte a Mussolini.

Dopo la caduta del fascismo la villa fu confiscata con l'accusa che fosse stata acquistata da Mussolini con fondi sottratti al bilancio dello Stato. La famiglia riuscì ad opporsi a tale provvedimento di esproprio e successivamente ottenne la restituzione della villa, dimostrando l'accusa come infondata.

Più tardi la villa fu venduta, e finì in stato di abbandono, fino ad essere definitivamente demolita per far posto ad un complesso di edifici che oggi ospitano le ambasciate dell'Iraq presso l'Italia e la Santa Sede.

Travolta dagli eventi della seconda guerra mondiale, Clara Petacci fu arrestata il 25 luglio 1943, alla caduta del regime fascista, per essere poi liberata l'8 settembre, quando venne annunciata la firma dell'armistizio di Cassibile. Tutta la famiglia abbandonò Roma e si trasferì nel Nord Italia controllato ancora dalle forze tedesche, e dove poi si instaurò la Repubblica di Salò. Clara si trasferì in una villa a Gardone, non lontano dalla residenza di Mussolini e dalla sede del governo repubblicano a Salò.

In questo periodo ebbe un fitto rapporto epistolare con Mussolini e nonostante il parere contrario del Duce conservò tutte le missive: in una di queste, chiese che al processo di Verona Galeazzo Ciano fosse condannato a morte in quanto "traditore, vile, sudicio, interessato e falso", esprimendo quindi una posizione durissima (valevole anche per Edda Mussolini, "sua degna compare") che venne definita dallo storico Emilio Gentile di "rigore nazista".

Trasferitisi a Milano a seguito dell'abbandono della riviera gardesana da parte del duce, poco dopo la metà di aprile del 1945, il 23 aprile i Petacci - salvo Clara e il fratello Marcello, che rimasero nel capoluogo lombardo - si misero in salvo in aereo, giungendo a Barcellona dopo un avventuroso volo durato quattro ore. Il 25 aprile, sia Clara sia Marcello si allontanarono da Milano assieme alla lunga colonna di gerarchi fascisti in fuga verso Como, Marcello tentando di riparare in Svizzera con false credenziali da diplomatico spagnolo. Il 27 aprile 1945, durante l'estremo tentativo di Mussolini di sottrarsi alla cattura, Clara fu bloccata a Dongo da una formazione della 52ª Brigata Garibaldi partigiana, che intercettò la colonna di automezzi tedeschi con i quali il duce viaggiava. Taluni affermano che le sia stata offerta una via di scampo, da lei ricusata decisamente. Avrebbe potuto fuggire in Spagna con i suoi familiari in aereo (Miriam Petacci: "Chi ama è perduto").

Il giorno seguente, 28 aprile, dopo il trasferimento a Bonzanigo di Mezzegra, sul lago di Como, Mussolini e la Petacci furono uccisi, secondo la versione diffusa a Giulino di Mezzegra, sebbene su Clara non pendesse alcuna condanna. La versione ufficiale, e anche alcune versioni alternative, affermano che venne uccisa perché si oppose all'esecuzione di Mussolini, frapponendosi tra il duce e l'esecutore, oppure perché testimone scomoda.

Nella stessa giornata anche il fratello di Clara, Marcello Petacci, fu ucciso a Dongo dai partigiani, insieme ad altre quindici persone che accompagnavano la fuga di Mussolini.

Il giorno successivo, il 29 aprile, a Piazzale Loreto (Milano), i corpi di Benito Mussolini e Claretta Petacci furono esposti (assieme a quelli delle persone fucilate a Dongo il giorno prima e Achille Starace, che venne ucciso in Piazzale Loreto poco prima), appesi per i piedi alla pensilina del distributore di carburanti Esso, dopo essere stati oltraggiati dalla folla. Il luogo venne scelto per vendicare simbolicamente la strage di quindici partigiani e antifascisti, messi a morte per rappresaglia in quello stesso luogo il 10 agosto 1944.

Non appena comprese che c'era l'intenzione di appendere per i piedi anche il cadavere della Petacci alla pensilina, don Pollarolo, cappellano dei partigiani, prese l'iniziativa di chiedere a una donna presente tra la folla, la sarta Rosa Fascì, una spilla da balia per fissare la gonna indossata dal corpo di Clara. Tale soluzione si rivelò però inefficace e così intervennero i pompieri, sopraggiunti con gli idranti a sedare l'ira della folla, a provvedere a mantenere ferma la gonna con una corda.

Dopo essere stata sepolta in un primo tempo al Cimitero Maggiore di Milano, sotto il nome fittizio di Rita Colfosco, nel 1959, con autorizzazione del ministro dell'interno Fernando Tambroni, è stata inumata nella tomba di famiglia al Cimitero Comunale Monumentale Campo Verano di Roma.

Incredibilmente, Rachele Mussolini viene a sapere di Claretta Petacci, amante fissa di suo marito, soltanto dopo il crollo del regime, il 25 luglio 1943: a ben otto anni dall'inizio della relazione. E solo perché i giornali cominciano a scriverne. Nei suoi diari Claretta mostra sempre rispetto per la moglie del dittatore. Il quale, peraltro, non la illude: lui è sposato, il divorzio non esiste, e mai lei oltrepasserà il rango di amante. La famiglia è sacra.
Mussolini si preoccupa del gossip: «No, non possiamo mostrarci insieme per via del pettegolezzo. Ce n'è già molto in giro, ti devi togliere dalla mente che noi si possa andare in pubblico o fuori di qui (palazzo Venezia), per qualche tempo. Bisogna essere prudenti», dice a Claretta il primo gennaio 1939.

E il 17 aprile, quando lei vorrebbe partecipare al ricevimento per la conquista dell'Albania, Benito glielo vieta: «Non ci faccio venire mia moglie, e ci porto l'amante? Sono cose che offendono, non si possono fare, abbi pazienza. No, la Sarfatti una volta che venne le voltai le spalle». In febbraio Mussolini preannuncia a Claretta: «Andrò qualche giorno al Terminillo con mia moglie e i bambini.
All'Anna (la figlia poliomelitica di nove anni) fa molto bene sciare. Tu potrai dormire all'albergo Quattro Stagioni, civedremo da lontano. Mia moglie è molto allegra e tranquilla, speriamo bene». Poi però cambia idea. Il 19 febbraio Claretta scrive: «È stanco e fiacco, facciamo l'amore senza eccessivo entusiasmo. Mi dice che partirà domani mattina alle 11 con la moglie per il Terminillo: "Guarda di non venire, sarà uno scandalo...".
Vede che sto per piangere, allora mi chiede: "Ma proprio mi ami tanto da non resistere?"». La Petacci gli risponde che lo seguirà lo stesso. Allora Mussolini si arrabbia: «Ci sarà qualche anima buona che lo farà sapere a mia moglie. Desidero farmi vedere molto con lei, appunto per sviare un po' di chiacchiere. Tutta Rieti sarà piena del tuo arrivo, tutto il Terminillo, gli alberghi.
E diranno "Mussolini è venuto ad un albergo con la moglie, e all'altro c'è l'amante". Se questo conviene al mio prestigio, al mio nome, al nostro amore, a te, a me, al nostro avvenire, e la tua sensibilità non ti consiglia il sacrificio, fai come vuoi. Ma te ne pentirai». Si pente invece Benito, due giorni dopo.



Telefona alle otto e venti del mattino dal Terminillo a Claretta, rimasta a Roma: «Mia moglie questa notte è stata malissimo, non ha fatto che vomitare dalle quattro. Abbiamo chiamato il dottore a Rieti, che non ha capito nulla».
Alle cinque del pomeriggio altra telefonata di Mussolini, da Roma: «Siamo dovuti tornare. Sta male, molto. Il vomito continuava e la soffocava, che pena. Non ho mai dormito. Il dottore ha detto che non si assumeva la responsabilità se rimaneva fuori, che venisse subito a Roma. Ma ce n'è voluto per convincerla. Piangeva, voleva restare. Non è stata un'impresa facile metterla in macchina e farle fare il viaggio.
Non ti dico questa notte lassù nella neve, soli senza una medicina, senza una farmacia. Volevano l'atropina, non si trovava, non so se c'era. E lei che si torceva. A un certo punto mi dice: "Non credevo che fosse così difficile morire. Ti raccomando i bambini, curali, non li abbandonare". Mi sono messo a piangere anch'io. Non sapevo più che fare, avevo paura. Io poi non lo capisco il male, mi spaventa. Non posso veder soffrire».

Mussolini utilizza Rachele come informatrice, perché il viso della riservatissima moglie è ignoto alla maggioranza degli italiani. Il 10 settembre 1939, per esempio, la signora Mussolini torna in incognito a Roma con il treno da Forlì: «Pessimo viaggio », racconta poi il duce a Claretta, «dieci ore quasi sempre in piedi perché ha ceduto il posto a donne incinte, ed era pienissimo.
A ogni stazione il treno si fermava per caricare soldati. E tutti dicevano: "Per il Duce andiamo pure a farci ammazzare, ma per Hitler neanche se ci manda il Padreterno". Nessuno l'ha riconosciuta, e lei stava a sentire».
Confermata, insomma, la giustezza della decisione presa dal duce dieci giorni prima: non entrare in guerra a fianco della Germania. A volte Mussolini si lamenta: «Mia moglie è diventata una donna difficile. Baccaglia per ogni nonnulla con le donne, fa un gran baccano per niente.
E poi non risponde,mugugna.Insomma, è veramente difficile viverci insieme» (2 luglio 1939). E in settembre: «Mia moglie è molto nervosa, come una che vive lontana dal marito. Era talmente acida, sì, infatti l'ho placata. In fondo dopo quaranta giorni si aspettava che le dessi questa soddisfazione.
Ma puoi immaginare con quale entusiasmo. Bisogna che un po' ci sappia fare, è già molto stanca. E poi è una donna che ha qualcosa che le rode». Benito parla apertamente con Claretta di quando va a letto con la moglie. Lo fa per placare l'ossessiva gelosia dell'amante, che lo sospetta (e a ragione) di tradirlo con altre. Allora utilizza Rachele come "male minore", accettabile dalla Petacci:
«Mia moglie è partita. Stamane alle otto ho pagato la tassa... È venuta lei, sai come sono queste cose, partiva... Così rimarrà fuori più a lungo. Sono di quelle cose meccaniche». (10 aprile 1939). E ancora: «Ieri sera ho pagato il tributo, ma anche questa finirà perché non c'è più corrispettivo, è una cosa assolutamente senza sapore. Non devi essere inquieta, non do importanza a queste tasse che pago.
Sono un contribuente. Sì, a me dispiacerebbe se lo facessi tu, hai ragione. Ma è necessario quando si devono evitare tragedie, scene, cose spiacevoli ». Il 20 settembre Claretta scrive: «Facciamo l'amore. Fiacco, sento che è stato con un'altra. "No, non sono stato con mia moglie. Non è accogliente, è poco gentile, nervosa e sgarbata, come tutte le donne di 50 anni che vorrebbero averne 40, quelle di 40 trenta, e quelle di 30 venti"».

Il 13 luglio 1937 squilla il telefono, e risponde Claretta Petacci. Al telefono è un furioso Benito Mussolini: "So tutto, di voi non ne voglio più sapere". E lei risponde: "Non so di che parlate". Ne segue un diluvio di improperi, rivolti dal Duce alla Petacci. Lei scoppia in lacrime, dunque annota sul suo diario: "Il mondo crolla su di me. Io muoio...". Una relazione segreta con Luciano Antonetti, latin lover d'antan nonché ex militare dannunziano. Un tradimento le cui prove non erano emerse fino ad oggi. Nella vicenda si è imbattuto Giuseppe Pardini, professore di Storia contemporanea, che ha lavorato sulle carte di Renzo De Felice. Lo studioso ha ritrovato preziosi documenti, dei quali erano state effettuate delle fotocopie dal biografo ufficiale di Mussolini. Stando ai documenti, il tradimento di Claretta è stato scoperto da Enzo Attioli, un noto fiduciario della polizia politica, al quale fu affidato il compito di sorvegliarla. Una notte clandestina col seduttore Antonetti, scoperta proprio da Attioli, e immediatamente riferita a Mussolini.



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