La massima estensione della vita umana è da sempre oggetto di interesse culturale e scientifico (antropologico, demografico, genetico, gerontologico, statistico), fa da sfondo a racconti mitologici, si circonda di curiosità e non di rado dà luogo a millanterie. Tuttavia, soltanto dopo l'istituzione della registrazione neonatale è stato possibile, in vari paesi, raccogliere dati in dettaglio sull'incidenza della longevità estrema e riconoscere autentici primati di longevità umana.
A tal fine, le associazioni che si dedicano alla ricerca gerontologica come il Gerontology Research Group - fonte delle informazioni riportate dal Guinness dei primati - dichiarano di svolgere rigorosi accertamenti documentali, sulla cui base individuano le persone più longeve di cui si abbia mai avuto notizia.
La marcia in piu’ dei centenari, la “ricetta” ideale per spegnere cento e passa candeline sta in un mix di genetica ma anche di stili di vita. Le ricerche sulla longevita’ esaminate della Societa’ Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG) dicono che da una parte i geni ereditati in famiglia aiutano, perche’ nei centenari si sono individuati numerosi meccanismi molecolari che cercano di correggere i danni al patrimonio genetico e quindi vivere piu’ a lungo; ma dall’altra le abitudini e soprattutto l’alimentazione modulano l’attivita’ del genoma, allungando l’aspettativa di vita attraverso l’epigenetica, ovvero tramite la modificazione dell’espressione dei geni implicati nella longevita’.
In tutto questo, un ruolo di primo piano sembra riservato ai batteri dell’intestino, il cosiddetto microbioma: per invecchiare bene e’ importante avere una flora batterica intestinale “efficiente“, da nutrire anch’essa con una dieta adeguata e sana. Tutte conoscenze giudicate in modo molto positivo dagli italiani: stando a un’indagine sulla longevita’ condotta da SIGG, oltre il 90% degli italiani giudica positivi i progressi della scienza in questo settore. “La longevita’ sembra poter derivare da una ‘manutenzione’ particolarmente efficiente dell’attivita’ delle cellule e degli organi, che nel tempo potrebbe contrastare l’inevitabile declino funzionale dell’organismo – spiega Giuseppe Paolisso, past presidente SIGG – Alcuni geni sembrano avere un ruolo in tutto cio’ ma sappiamo che, ad esempio, una singola mutazione genetica “favorevole” puo’ allungare la vita al massimo del 40%. Oggi appare percio’ sempre piu’ evidente che e’ l’attivita’ del genoma nel suo complesso a influenzare la longevita’: l’epigenetica, ovvero la modificazione dell’espressione dei geni nel corso della vita a seconda degli “stimoli” a cui e’ sottoposto l’organismo, sta assumendo un peso sempre piu’ rilevante fra i meccanismi che incidono sull’aspettativa di vita. Un esempio classico e’ la restrizione calorica: una riduzione dell’apporto di nutrienti in assenza di malnutrizione si associa a un aumento della durata della vita, anche nei primati e nell’uomo, perche’ in condizioni di scarse risorse energetiche l’attivita’ dei geni “vira” verso una diminuzione delle attivita’ e un conseguente prolungamento della vita. Tutto questo pero’ significa anche che la longevita’ si puo’ “costruire”: se non si nasce con una familiarita’ che aiuta a diventare centenari si puo’ vivere in modo da favorire una speranza di vita prolungata“.
Un recente studio dell’universita’ di Milano condotto da medici dell’Ospedale Maggiore Policlinico e dell’Istituto Auxologico Italiano, ha dimostrato ad esempio che nei processi della longevita’ sono coinvolti una piu’ lenta crescita e un minor metabolismo cellulare e un miglior controllo nella trasmissione dei segnali cellulari. I geni e la loro espressione possono essere “guidati” verso la longevita’ soprattutto dalla dieta, assieme allo stile di vita in generale. “Gli studi indicano ad esempio che la flora batterica intestinale ha un ruolo nell’invecchiamento: con l’andare degli anni si modifica e la capacita’ di mantenere batteri “buoni” e’ strettamente correlata alla possibilita’ di un invecchiamento di successo – osserva Nicola Ferrara, presidente SIGG – La biodiversita’ dei batteri intestinali si riduce nella terza eta’, favorendo la comparsa di infiammazione e squilibri che possono essere l’anticamera di numerose patologie: favorire attraverso una sana alimentazione il mantenimento della biodiversita’ della flora batterica puo’ aiutare ad aumentare l’aspettativa di vita in buona salute“.
I ricercatori dell’università di Yale hanno svelato il meccanismo d’azione dell’ormone della longevità, capace di allungare la vita del 40% nei topi. Questa molecola presente in tutti i mammiferi, uomo compreso, agisce contrastando l’indebolimento delle difese immunitarie dovuto all’avanzare dell’età. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista dell’Accademia americana delle scienze (Pnas).
L’ormone della longevità si chiama Fgf21 ed è una proteina appartenente alla famiglia dei ‘fattori di crescita dei fibroblasti': viene prodotta dal fegato e anche dal timo, una ghiandola molto importante dove nascono le cellule ‘guardiano’ del sistema immunitario, i linfociti T. Con l’avanzare dell’età, il timo tende a diventare ‘grasso’ e perde la capacità di produrre nuovi linfociti T: questo è uno dei motivi per cui aumenta il rischio di sviluppare infezioni e alcuni tipi di tumore. I ricercatori di Yale, guidati dall’immunobiologo Vishwa Deep Dixit, hanno scoperto che la degenerazione della ghiandola timica può essere arrestata nei topi aumentando i livelli di Fgf21, salvaguardando così la produzione dei linfociti T e le difese immunitarie. La carenza di ormone Fgf21, al contrario, accelera il processo di invecchiamento del timo.
Alla luce di questi dati, i ricercatori ipotizzano che aumentare i livelli dell’ormone della longevità negli anziani e nei malati di cancro sottoposti al trapianto di midollo osseo possa essere una nuova strategia per potenziare le loro difese immunitarie compromesse. Dato che l’ormone Fgf21 viene prodotto anche dal fegato in risposta alla mancanza di cibo (per bruciare le calorie di riserva e aumentare la sensibilità all’insulina), è possibile che in futuro si possa stimolare la sua produzione con farmaci che mimano la restrizione calorica, in modo da favorire la perdita di peso e combattere il diabete di tipo 2.
Il Nordest dell'Italia, il nord della Spagna, e la Francia occidentale e meridionale, Andorra: ecco quali sono le regioni in cui si vive di più in Europa grazie anche alla dieta mediterranea e a uno stile di vita più sano. Sono i risultati di uno studio dell'Università di Porto, pubblicato sul britannico Journal of epidemiology and community health. La ricerca ha preso in esame la percentuale di uomini e donne che nel 2001 avevano tra i 75 e gli 84 anni e che, nel 2011, erano ancora vivi, arrivando agli 85 e 94. Le aree più scure nella mappa sono quelle in cui la percentuale di 'sopravvissuti' è via via più alta e, anche a colpo d'occhio, sembra che siano sia le donne che gli uomini dei Paesi della Loira, Ile de France e Provenza quelli con uno stile di vita più sano. Parimenti lo studio evidenzia anche quelle zone in cui la percentuale si abbassa a livelli preoccupanti: sono le aree industriali del Nord Europa, in particolare in Gran Bretagna, Olanda, Danimarca e Svezia ma anche nel Sud della Spagna. In Italia contrapposte al Veneto e alla Romagna che sono le aree in cui si vive di più, la zona attorno a Napoli in Campania e tra Bari e Foggia in Puglia mostrano una percentuale sensibilmente più bassa di anziani sopravvissuti nel periodo preso in esame.
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