domenica 3 aprile 2016

I BIMBI ROM E LA SCUOLA

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Una realtà ancora più amara di quella che raccontano le statistiche ufficiali. Quella dei rom bulgari è una comunità abbastanza inserita, più integrata di altre. Se nel Paese d’origine il 40% di loro non lavorava, una volta arrivati in Italia la percentuale crolla al 6%. Lavorano tutti. Magari arrangiandosi, quasi sempre in nero, a volte in settori border line. Ma comunque lavorano. Solo il 20% dei bambini è iscritto a scuola, dicono i dati raccolti da una ricerca. Sono ancora meno quelli che la scuola la frequentano, scendiamo al 10%. E pure questa è una percentuale generosa perché, anche per chi frequenta, spesso sul registro ci sono più assenze che presenze. Un risultato molto peggiore di quello registrato nell’ultimo rapporto del ministero dell’Istruzione sulla cosiddetta dispersione scolastica. Dicono quelle tabelle che nella comunità rom la frequenza è al 30%.
Ma forse, quando dai fogli excel si passa alle interviste faccia a faccia, la situazione cambia. Di solito in peggio.
Nelle grandi città c’è anche un problema logistico, conta parecchio la difficoltà di raggiungere la scuola dai posti dove vivono, quasi sempre ai margini, senza trasporti. Ma nei paesi più piccoli c’è anche una scarsa volontà di reale integrazione e una scuola che non va a cercare davvero i suoi studenti. Lo dice anche quel 10% di genitori che viene contattato per iscrivere i figli a scuola ma poi non ce li manda. Come se le iscrizioni servissero più che altro a giustificare gli organici, a mantenere il posto dell’insegnante.

Quanti bambini rom frequentano le scuole dell'obbligo a Roma? Quanti di loro riescono a concludere gli studi? Finora nessuno ha avuto un'idea chiara di ciò che accade nelle scuole romane.

Un'Associazione ha provato a far luce sulla situazione attraverso il monitoraggio del percorso scolastico di un gruppo di 55 bambini rom residenti nel “villaggio attrezzato” di via di Salone, situato all'estrema periferia orientale della capitale ed inaugurato nel 2006, a seguito dello sgombero forzato del campo 'tollerato' di Casilino 900.

Lo sgombero forzato di quest'ultimo ha comportato non pochi disagi alla vita di centinaia di persone. In particolare, l'allontanamento dal campo non ha più permesso ai genitori di accompagnare personalmente i figli a scuola, interrompendo così i rapporti, costruiti negli anni, con gli insegnanti e con i genitori degli altri alunni.

Durante l'anno scolastico 2010-2011 i 55 bambini hanno usufruito del servizio della linea 40, messo a disposizione dal Comune. Nel suo tragitto la linea 40 accompagna i bambini in diverse scuole le cui distanze variano dai 13 ai 16 km. La conseguenza è che la maggior parte dei bambini trasportati giunge a scuola con un'ora, a volte due ore, di ritardo. Allo stesso modo all'uscita è necessario prelevarli in anticipo perché viceversa la permanenza oltre l'orario consentito potrebbe dar luogo ad abbandono di minore.

La somma dei ritardi giornalieri produce a fine anno un'assenza per ogni minore di circa un mese. Solo nel mese di gennaio 2011 l'Associazione ha monitorato che dei 55 minori che utilizzano la linea 40, solo 11 hanno avuto la frequenza superiore al 75% così come sancito dalla legge, e nessuno di loro ha frequentato i 16 giorni previsti dal calendario scolastico per quel mese.

Prendendo il caso di una scuola elementare di un quartiere romano frequentata da 21 bambini rom, la maggior parte frequenta solo un giorno a settimana, qualcuno arriva a quattro volte a settimana, ma nessuno frequenta ogni giorno. Le possibilità per loro di arrivare al diploma sono scarsissime, per non parlare dell'università. Nessuno di loro diventerà mai un medico, un avvocato o un ingegnere.

In un documento del 7 aprile 2011, la Commissione Europea ha stimato che solo il 43% dei bambini rom completa la scuola primaria, rispetto a una media europea del 97,5%. Solo il 10% quella secondaria. Secondo la Commissione “gli stati membri dovrebbero garantire che tutti i bambini rom, sedentari o no, abbiano accesso a un'istruzione di qualità e non siano soggetti a discriminazioni o segregazioni”.

Godono di un diverso livello di apprendimento: i bambini rom a causa del disagio sociale dal quale provengono hanno lacune didattiche che spingono i docenti ad impegnarli in attività parallele. E poi, naturalmente, c'è il problema dell'emarginazione sociale: i bambini rom all'interno della classe risultano spesso emarginati, vi sono addirittura classi di 'sostegno' organizzate durante l'orario scolastico composte solo da alunni rom e con diversa età anagrafica.

Storicamente i provvedimenti diretti solamente alle comunità rom e sinti, anche se presentati come azioni di discriminazione positiva, hanno di fatto prodotto politiche nazionali e locali discriminatorie e penalizzanti. Questo perché sono spesso ideate e attuate con scarsa comprensione delle condizioni socio-culturali, con risorse finanziarie non sufficienti e con una organizzazione inadeguata, condizioni dunque che producono un risultato opposto a quello per cui sono create, ossia un aumento della condizione di emarginazione.

Le caratteristiche di un alunno nomade sono da ascriversi alle sue abitudini e al suo ambiente. Egli è:
un bambino libero, perché ha intorno a sé spazi ampi e poche regole a cui sottostare;
autosufficiente, perché ha imparato presto a provvedere a se stesso, ed è quindi, già adulto capace di inventare strategie per la sopravvivenza (ne consegue la brevità del periodo infantile - fantastico);
bisognoso di affetto, per il precoce abbandono a sé stesso da parte degli adulti. Quando scende dalle braccia della madre, il bambino spesso resta affidato a sorelle di poco più grandi;
timoroso ed ansioso verso i non zingari, da cui è abituato a difendersi.
Inoltre, in genere in casa riceve una continua reinterpretazione di quanto apprende fuori.

Le difficoltà che un bambino zingaro incontra nell'ambiente scolastico derivano proprio dalle sue peculiarità:
il suo essere libero in ampi spazi all'aperto lo fa sentire costretto nella struttura scolastica (intesa come edificio, banchi, cattedre...); egli inoltre non è abituato a ricevere ordini e ad accettare regole delle quali non capisce e non accetta il valore;
la sua autosufficienza lo porta da una parte ad avere maggiore stimolo nella creazione dei giochi; nel contempo, gli sono negati gli stimoli culturali e verbali, che hanno i suoi coetanei;
è bisognoso di affetto, ma, al tempo stesso, si rivela estremamente timido ed introverso;
il suo timore verso i non zingari lo induce ad essere reticente nel comunicare le proprie esperienze di vita;
l' uso della lingua materna gli crea maggiori difficoltà nell'ambito linguistico espressivo per incapacità di trasposizione e ricezione della lingua italiana;
presenta labilità di attenzione e memoria.


Lo scolaro nomade rivela notevoli capacità nelle attività espressive, motorie, grafico-pittoriche, musicali e pratico manuali.
E' particolarmente abile nelle operazioni aritmetiche concrete.
La sua accettazione, nei confronti della scuola, dipende dal modo in cui l'ambiente scolastico lo accoglie. Ciò non significa solo che egli deve sentirsi tranquillo e ben accetto (cosa essenziale) ma che deve essere messo in grado di superare le grosse difficoltà di apprendimento per arrivare a dei risultati concreti di alfabetizzazione, che è ciò che lui stesso e la sua famiglia si aspettano dalla scuola.

Dalle indagini svolte è evidente l'alto tasso dell'evasione dell'obbligo scolastico. Inoltre, degli alunni iscritti, la maggior parte sono Sinti o Rom italiani; gli slavi, specie quelli di recente immigrazione, sono quasi del tutto inadempienti.

Con questi gruppi si è lavorato molto in alcune città dove è più attiva l'azione di stimolo del volontariato nei confronti dei pubblici poteri (Roma, Milano, Torino, Emilia, Sardegna).

A Roma, negli anni scorsi è state organizzato con l'aiuto della Regione, un servizio di collegamento fra campi sosta e scuole che prevedeva la sensibilizzazione dei genitori zingari, le pratiche di iscrizione, il trasporto, i rapporti con la scuola, il doposcuola al campo. Durante l'estate, l'attività continuava nei centri estivi per i piccoli Rom, organizzati dal Comune.

Non sempre una buona frequenza porta a risultati positivi e quindi all'ammissione dei bambini alla classe successiva, anche alle elementari.
Ciò a volte dipende dal fatto che le famiglie partono per gli spostamenti estivi in aprile-maggio, facendo perdere al bambino proprio il periodo in cui avviene la valutazione finale. La scuola considera l'alunno come trasferito e non lo valuta. La famiglia non lo iscrive ad un'altra scuola, perché si sposta frequentemente ed ha bisogno di bambini per il lavoro. Quindi nessuno esprime il giudizio finale.
Non vedendosi richiedere il nulla osta al trasferimento, le scuole di provenienza per un certo periodo, hanno rinviato i bambini alle prove suppletive, che si tengono entro la fine di agosto. Ma questo è ancora periodo di viaggio per i nomadi, che rientrano alla base invernale verso la fine di ottobre.

Durante la ricreazione i bambini Rom vengono isolati dagli altri bambini, forte è il loro senso di estraneità. Spesso piangono, hanno paura degli addetti ai servizi sociali, pensano che li portino via (cosa che accade non di rado).

Dal punto di vista dell’apprendimento, hanno difficoltà con la lingua italiana. Per la mancanza di spazio e di luce nelle abitazioni dei campi, i quaderni vengono lasciati a scuola, così anche i più svelti accumulano un gap nell’apprendimento con gli alunni italiani. Per evitare bocciature alle scuole elementari, gli alunni Rom vengono promossi con livelli minimi di alfabetizzazione. Alle medie è un disastro. Il gap diventa insormontabile. La difficoltà di comprendere il linguaggio formalizzato delle lezioni e dei libri di testo, determina la decimazione delle presenze degli scolari maschi, mentre le femmine già in età matrimoniale si perdono. I maschi che continuano la scuola, si assuefanno alla marginalità scolastica, in attesa di passare alle scuole serali CTP prima dei diciotto anni, tollerati perché Rom. I CTP organizzano corsi di istruzione per immigrati. Qui si generano tra immigrati e Rom conflitti razziali. La commistione con africani, ad esempio, rende i Rom ostili (“i negri fanno schifo”); mentre gli africani considerano i Rom, “sporchi zingari”. Molto spesso questa conflittualità porta all’abbandono scolastico da parte dei Rom.

Per quanto riguarda l’integrazione dei Rom nella società maggioritaria dobbiamo considerare la specificità della cultura Rom fondamentalmente di tipo orale. I valori e i comportamenti di ruolo vengono trasmessi per contagio psicologico e apprendimento imitativo diretto, tanto più rigido, quanto più separato, chiuso e autoreferente è il contesto. Bisogna tener conto che una parte consistente, se non la maggior parte, della popolazione dei campi non è alfabetizzata.L’esperienza degli operatori volontari all’interno dei “Campi” Rom mette in luce una delle maggiori difficoltà di inserimento dei Rom nella società maggioritaria.La cultura orale non contempla il saper leggere e scrivere. Ciò comporta l’impossibilità di comprendere le normative e, più semplicemente, le indicazioni scritte, che sono alla base del sistema sociale della società maggioritaria. Negli uffici delle amministrazioni locali, nelle ASL, negli ospedali, nelle scuole, per non parlare dei tribunali, le difficoltà di comunicazione dei Rom sono all’ordine del giorno. Non solo, il non saper leggere rende difficile ai Rom sapersi destreggiare nella toponomastica urbana. La mancanza di alfabetizzazione è tanto più grave se consideriamo, l’altissima mortalità scolastica dei minori Rom i cui genitori non comprendono l’importanza dell’obbligo scolastico.

Il campo, così, come microcosmo autoreferente e separato, li ri-inghiottisce, chiude loro la possibilità di aprirsi a esperienze innovative e conduce alla assunzione di modelli ripetitivi, non di rado coniugati con la criminalità. Non è peregrina l’ipotesi per cui il campo sia funzionale a generare una connivenza omertosa per le attività illegali.

Sfera pubblica e società civile: difficoltà di inclusione. Per quanto attiene i processi di integrazione e inclusione nella società maggioritaria, nonostante le dichiarazioni di buona volontà da parte delle istituzioni pubbliche sollecitate dall’Unione Europea  non è ancora superato l’approccio alla cosiddetta “emergenza nomadi” in un’ottica securitaria. Basti considerare l’accelerazione degli sgomberi, senza fornire alternative degne di una società civile.

Per comprendere la situazione dei minori, le abitudini e gli stili di vita della popolazione Rom bisogna partire dal contesto in cui si trova o è costretta a vivere la popolazione Rom: i cosiddetti “campi nomadi”, benché i Rom siano stanziali da decenni. Il campo è un microcosmo concluso e conchiuso, un sistema sociale totale autoreferente. L’autoreferenzialità è mantenuta e accentuata dal fatto che i campi sono separati, lontani dalla società maggioritaria, sia in senso sociale che urbanistico. La segregazione in spazi circoscritti e controllati ne fanno dei ghetti degradati, dove gli abitanti vengono discriminati su base etnica e in questa modalità vengono schedati con fotosegnaletiche e impronte digitali estese ai minori quattordicenni, non di rado ai più giovani, attraverso sistemi polizieschi pensati per la criminalità organizzata. Ecco di seguito una testimonianza di un Rom da un campo di Milano: “Sono arrivati alle cinque e mezzo, hanno circondato il campo, lo hanno illuminato con le cellule fotoelettriche, sono venuti casa per casa, roulotte per roulotte, ci hanno fatto uscire, ci hanno buttato fuori, hanno fotografato le case e poi i nostri documenti. Hanno finito intorno alle sette e mezzo. Io credo che tutti debbano sapere e capire cosa sta succedendo: sono italiano, sono cristiano e sono stato schedato in base alla mia razza”.(da Figli dei “campi” Ass. 21 luglio, 2014)

Ora dobbiamo chiederci che percezione possono avere i minori, se non di paura, senso di impotenza, estraneità e ostilità nei confronti del mondo della società maggioritaria? Se volgiamo lo sguardo alla vita nei “campi”, sorprende chi entra, l’intensità della vita relazionale tra gli abitanti. Di fatto, non c’è distinzione netta tra la sfera privata e la sfera sociale nella cultura e nei modi di vita Rom. Nei campi, intensa è la partecipazione alle varie attività della vita quotidiana, la maggior parte delle quali vengono svolte all’aperto a cominciare dalla preparazione dei pasti; anche per l’angustia degli spazi abitativi interni: roulottes, continers e baracche. I bambini percepiti come la maggiore ricchezza, vivono insieme in uno spazio comunitario, liberi di scorrazzare per i campi dove vengono considerati figli di tutti. Se i genitori vanno in carcere, i figli vengono assistiti dalle altre famiglie.



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