giovedì 21 aprile 2016

L'INSEGNANTE DI SOSTEGNO



È un docente specializzato nella didattica speciale per l'integrazione di alunni diversamente abili (comunque certificati "in situazione di handicap" nei modi e nei termini previsti dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104). Gli insegnanti di sostegno sono di norma presenti nelle scuole dell'ordinamento scolastico italiano, nelle classi ove sia presente uno o più alunni "certificati".

Essi assumono la contitolarità della classe e pertanto firmano i documenti di valutazione di tutti gli alunni. Predispongono il Piano Educativo Individualizzato per ciascun alunno diversamente abile presente nella classe in sintonia con gli Operatori Socio Sanitari, la famiglia, i docenti contitolari. In esso si definiscono i criteri di verifica e valutazione. Può succedere che, a seguito di carenza di insegnanti di sostegno specializzati, il posto venga ricoperto da insegnanti senza l'esperienza e la formazione necessaria.

L'insegnante di sostegno è assegnato alla classe e non all'alunno come erroneamente si pensa. La risorsa è finalizzata ad attuare interventi di integrazione attraverso strategie didattico metodologiche specifiche, con agli insegnanti curricolari poiché insieme hanno la responsabilità della realizzazione del processo di integrazione scolastica. “Com'è noto, la funzione del docente di sostegno rappresenta la fondamentale risorsa attraverso cui l'integrazione scolastica si concretizza. All'inserimento dei diversamente abili nelle classi corrisponde la pari dignità professionale tra i docenti all'interno degli organi collegiali della scuola a cui si aggiunge, per la categoria dei professori (di sostegno), il riconoscimento di una responsabilità tecnica piuttosto articolata rispetto alla gestione delle classi in cui operano in qualità di specialisti. È appena il caso di sottolineare che il docente specializzato deve essere, anche e soprattutto un mediatore pedagogico, deve avere conoscenza e consapevolezza del principio ermeneutico e possedere abilità comunicative” (Giovanni Bocchieri, capo segreteria tecnica del Ministro Gelmini, 2010).

Il tema dell’inclusione scolastica in questo momento storico diventa un argomento importante per gli insegnanti, gli attori istituzionali e anche le famiglie. Oggi nel processo di inclusione i genitori hanno spostato il fulcro della loro attenzione non più sulla rivendicazione delle ore di copertura per il sostegno, ma sul progetto educativo da costruire in collaborazione con tutti gli attori della comunità scolastica vista come comunità educante e inclusiva. Le buone pratiche scolastiche devono, in effetti, veder coinvolte tutte le componenti scolastiche, come previsto dai Principi Guida per promuovere la qualità dell’inclusione nella Scuola Inclusiva (Agenzia Europea per lo Sviluppo dell’Istruzione degli Alunni Disabili 2003). L’ obiettivo fondamentale è quindi lo sviluppo delle competenze dell’alunno negli apprendimenti, nella comunicazione e nella relazione, nonché nella socializzazione; ma questi obiettivi sono raggiungibili solo attraverso la collaborazione e il coordinamento di tutte le componenti in questione nonché grazie alla presenza di una co-progettazione pedagogica e una programmazione puntuale e logica degli interventi educativi, formativi, riabilitativi, come previsto dal P.E.I.

La progettazione per la realizzazione del processo di inclusione riguarda tutti gli insegnanti, perché l’intera comunità scolastica è chiamata ad organizzare i curricoli in funzione dei diversi stili di apprendimento, a promuovere le diverse attitudini, a costruire in modo alternativo i luoghi di apprendimento, a favorire e potenziare gli stili cognitivi e ad adottare i materiali e le strategie didattiche in relazione ai bisogni e alla capacità specifiche degli alunni. Solo con un approccio pedagogico attivo e aperto diventa possibile che gli alunni esercitino effettivamente il proprio diritto allo studio, inteso come successo formativo per tutti. Si può anche affermare che la mancanza di interventi didattici non differenziati crea una disparità di trattamento che produce diseguaglianza nell’accesso ai saperi e alle conoscenze.

Nella classe, la presenza di alunni con disabilità certificata è una realtà variegata ed eterogenea, inoltre a fianco a questi abbiamo degli alunni con disturbi specifici di apprendimento, delle situazioni psicosociali problematiche, delle situazioni famigliari difficili e anche degli alunni che presentano dei comportamenti complessi da gestire; a questo aggiungiamo gli alunni figli di migranti. L’alunno non è più il ricevente passivo in un processo di comunicazione ma un soggetto che porta le sue istanze: questo può essere visto come un problema oppure come una opportunità per la scuola. Se vogliamo favorire il successo formativo di tutti occorre partire dalle risorse degli alunni. Le esperienze scolastiche dimostrano come la diversità deve essere accolta positivamente nel processo di apprendimento, la scuola inclusiva deve accogliere tutti gli alunni rendendoli partecipi sui piani cognitivo, relazionale e psicologico. Ma spesso l’insegnante di sostegno si trova in una situazione di grosso disagio, perché da un lato vive un atteggiamento di delega da parte dei suoi colleghi disciplinari, e dall’altro lato diventa l’unico docente responsabile dell’intera azione didattica-educativa per l’alunno segnalato e certificato; questo ha delle ricadute sulla gestione pedagogica dell’attività didattica con il gruppo classe.

Questo atteggiamento ha generato una confusione tra il ruolo, la funzione dell’insegnante di sostegno e il suo intervento nella classe. Il punto di forza sia individuabile nel mettere al centro del processo di inclusione scolastica il ruolo dei docenti curriculari/disciplinari come attori, con l’insegnante di sostegno, di una progettazione educativa aperta. Sicuramente negli ultimi anni la silenziosa consuetudine di delega all’insegnante di sostegno dell’alunno disabile ha distorto la funzione che tale figura avrebbe dovuto assumere negli intenti della Legge 104/1992: gli insegnanti di sostegno assumono la contitolarità delle sezioni e delle classi in cui operano. Gli effetti di questa sono costanti ed evidenti nelle nostre scuole: accanto ad alcune significative esperienze di «buone prassi», infatti, molte di più sono le realtà in cui la presenza del docente di sostegno funge più da elemento «di difesa», un monoblocco inscindibile tra il docente e l’alunno certificato e «di conservazione» del sistema scuola, piuttosto che come risorsa aggiuntiva per favorire l’inclusione.

Nella collaborazione pedagogica tra insegnante curriculare e insegnante di sostegno i due principali pericoli da evitare sono:  Il sostegno come attività prevalentemente individuale centrata sui soggetti certificati. Spesso gli insegnanti di sostegno escono dall’aula con l’alunno con disabilità e passano buona parte del tempo in un rapporto di reciproca dipendenza didattica. In questo modo non lavorano più con il gruppo e finiscono anche per produrre una marginalizzazione dell’alunno disabile. La «personalizzazione» dell’azione educativa e didattica in questo caso non va disgiunta dal processo di «socializzazione» con tutte le conseguenti facilitazioni e mediazioni didattiche nel lavoro di gruppo. L’intervento didattico del sostegno concepito come centrato unicamente sull’alunno disabile rimane marginale e la sua presenza rischia di assumere un carattere prevalentemente assistenziale. Perciò la responsabilità pedagogica dell’azione inclusiva è sia dei docenti di sostegno che dei docenti curricolari, è anche una responsabilità della comunità scolastica globale.

Un punto critico nell’organizzazione scolastica attuale è riconducibile a come noi percepiamo gli «insegnanti specializzati»: per essere insegnanti di sostegno oggi si richiede una «specializzazione» che ha come oggetto di studio prevalentemente le materie pedagogiche e la didattica inclusiva, ma presuppone anche una formazione disciplinare precedentemente acquisita.

Essere un insegnante di sostegno non può essere una scelta dettata solo da una predisposizione naturale ad aiutare i più svantaggiati o da una vocazione nel sociale, ma è fondamentale possedere delle competenze specifiche.
Confrontarsi con un disabile non significa fare semplicemente “assistenzialismo”, ma significa rispetto per la persona, arricchimento umano oltre che professionale, desiderio di realizzare quegli obiettivi che le potenzialità e le risorse dell’alunno ci permetteranno di prefissarci.



L’insegnante di sostegno, oggi, viene ad assumere compiti nuovi, più specifici ed impegnativi, in quanto non è solo di sostegno al disabile ma lo è di tutto il gruppo - classe, contribuendo ad un’armonica integrazione e collaborazione reciproca.

Si tratta di una figura essenziale, significativa, sia all’interno del rapporto docente - alunno, sia all’interno del più vasto rapporto scuola - società, in quanto promotore di una scuola che sia tutta “integrante”, in grado di dare risposte adeguate ai bisogni apprenditivi e sociali di ciascuno alunno.

Impegnarsi per la dignità dell'alunno con situazione di disabilità significa lottare per una società migliore, nella quale ogni uomo possa cogliere in sé e negli altri un significato profondo che distingue e accomuna al tempo stesso: il valore persona.

L’approccio umanistico, centrato sulla persona, non pretende di imporre grandi sistemi teorici, ma semplicemente di proporre la crescita e la maturazione del singolo e dei gruppi attraverso una modificazione costruttiva e profonda dei rapporti interpersonali, basata sulla partecipazione affettiva (empatia), sull’abbandono dei ruoli stereotipati e sulla responsabilizzazione di ciascuno.
Genuinità, accettazione incondizionata ed empatia rappresentano alcuni tra i tratti più salienti della personalità dell’insegnante di sostegno.

La legge quadro n. 104/'92 e la normativa successiva a questa costituiscono il caposaldo legislativo dei processi di integrazione, culturale e sociale, per soggetti interessati da diverse situazioni di handicap, fissa per l’insegnante specializzato una serie di compiti che, almeno sulla carta, ne fanno una figura chiave nel così articolato e complesso mondo scolastico, di una scuola che pone sempre più al centro delle sue modalità operative la diversità, vista quale risorsa irrinunciabile per una scuola di qualità.

Teoricamente quindi l’integrazione diventa un fattore di qualità della scuola e dell’intera società, anche perché ne viene coinvolto tutto il contesto in cui è inserito l’alunno H, da quello familiare a quello sociale.

Un alunno disabile diventa con le sue problematiche e la ricchezza della sua diversità un patrimonio irrinunciabile; ma anche la diversità di ogni insegnante determina un dato positivo se inquadrata all’interno di un riferimento pedagogico preciso ed organico.

Al concetto basilare dell’integrazione si deve affiancare un altro concetto fondamentale affinché questa si realizzi pienamente, quello di collaborazione, una collaborazione che si deve compiere a diversi livelli.

In primo luogo, collaborazione come obiettivo educativo: gli insegnanti devono proporre agli alunni forme di collaborazione nel percorso educativo e didattico al fine di creare all’interno del gruppo classe il clima positivo ai processi integrativi.

In secondo luogo, collaborazione come metodologia operativa per gli insegnanti: la professionalità docente deve necessariamente mirare al lavoro di gruppo per conseguire gli obiettivi che in sede di programmazione generale vengono collegialmente definiti.

In terzo luogo collaborazione come progettualità e pianificazione, quali presupposti necessari per qualsiasi lavoro di rete.
Alla luce di tutto ciò l’insegnante di sostegno acquista sempre più un ruolo di leadership e di coordinamento consoni alla sua specializzazione; un ruolo di supervisione e di guida degli interventi inseriti nella circolarità del lavoro di rete consoni alle sue competenze specialistiche e metodologiche.

Acquista soprattutto valore di risorsa irrinunciabile per la scuola e per la società, poiché si pone quale mediatore necessario nei collegamenti fra i soggetti che devono rendere reale e consolidata l’integrazione, un’integrazione che deve allontanarsi sempre più da una dimensione teorica ed occasionale per diventare reale ed inserirsi sempre più in una dimensione di normalità.

Lo stile assertivo sia senz’altro adeguato ed efficace nel rapporto delicato e importante che un’insegnante di sostegno deve quotidianamente instaurare non solo con i soggetti con bisogni educativi e formativi speciali, ma anche con il gruppo - classe e nei confronti della comunità degli insegnanti verso i quali è volta la sua azione di coinvolgimento e di collaborazione.

La figura docente deve oggi possedere competenze relazionali ed affettive adeguate oltre che disciplinari.

Per ottenere buoni risultati bisogna stimolare interesse per l’apprendimento negli alunni con esempi, con riferimenti al loro vissuto esperienziale, dimostrando l’utilità degli insegnamenti nella vita pratica.

Bisogna, inoltre, sapersi rapportare con gli alunni sapendo ascoltare i loro bisogni; è necessario che il docente riesca a creare in classe un clima relazionale favorevole alla nascita di uno spirito di gruppo. Un docente che basa il suo lavoro sull’interattività, che non crea rivalità e che allo stesso tempo cerchi di tenere conto delle dinamiche di gruppo nella classe, limita al minimo le situazioni di disagio ed è in grado di fornire vere occasioni di crescita per gli allievi.

Il compito principale dell'insegnante di sostegno è proprio la creazione delle condizioni per socializzare e apprendere o, meglio, imparare a stare con gli altri, "imparare stando con gli altri e facendo con gli altri", nella convinzione condivisa che l'apprendimento non può prescindere ed essere avulso da un contesto relazionale, che si apprende per comunicare e che il rapporto con i pari è, a quest'epoca, determinante per la strutturazione della personalità al fine di agevolare il suo difficile rapporto con le discipline, traducendo l'insegnamento disciplinare in insegnamento unitario.

Ciò è possibile e auspicabile attraverso la mediazione didattica, ricercando e attivando le strategie più adatte. E' un lavoro che richiede una continua sperimentazione e una illuminata creatività seppure mai nulla deve cedere all'improvvisazione o ad una pratica di routine. È il lavoro dell'insegnante, il suo ruolo, o meglio, la sua "funzione", termine che ne sottolinea maggiormente gli aspetti dinamici.

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