venerdì 12 giugno 2015

IL FORO ROMANO A BRESCIA



Nel cuore storico di Brescia sono presenti consistenti resti archeologici relativi agli edifici monumentali dell’area capitolina della città antica.
In età romana Brescia – Brixia - era infatti una delle città più importanti dell’Italia settentrionale, situata lungo la cosiddetta via Gallica (arteria che collegava alcuni tra i più significativi centri di origine celtica a nord del Po), allo sbocco di vallate alpine di antico insediamento (la Valle Camonica e la Valle Trompia), tra il lago d’Iseo e il lago di Garda, e immediatamente a nord di una fertile ed estesa area di pianura, valorizzata a partire dall’età augustea con imponenti lavori di organizzazione agraria (centuriazioni).

Nell’area archeologica situata al centro del tessuto urbano sono ancora visibili gli edifici più antichi e più significativi della città: il Santuario di età repubblicana (I secolo a. C.), il Capitolium (73 d. C.), il Teatro (I-III secolo d. C.), il tratto del lastricato del decumano massimo, su cui insiste oggi via dei Musei. L’area si apre inoltre sull’odierna Piazza del Foro, che conserva vestigia della piazza di età romana (I secolo d. C.).
Resti archeologici (foro e impianto termale; basilica) sono inoltre visitabili al di sotto di palazzo Martinengo, oggi sede della Provincia. Oltre a questi edifici di età romana, fanno parte dell’area anche palazzi nobili di età medievale, rinascimentale e moderna, che “salgono” direttamente dalle rovine antiche (Palazzo Maggi Gambara e Casa Pallaveri, entrambi di proprietà comunale).

In questa zona ben circoscritta della città si legge quindi una stratigrafia ininterrotta di testimonianze che si estendono dal II secolo a. C. sino all’Ottocento. Nel 1830, a seguito di scavi intrapresi in quest’area, nel Capitolium fu posta la sede del Museo Patrio, primo museo cittadino a inaugurare la vocazione museale di quest’area.

Dal 1998, è stato avviato un progetto organico di recupero dell’area archeologica del Capitolium. Esso consiste nell’approfondimento delle conoscenze in merito all’area nel suo completo recupero archeologico e architettonico, nella sua valorizzazione e nella completa e definitiva apertura alla fruizione pubblica. Tale apertura, oltre a restituire al pubblico la più importante porzione urbana della città di epoca antica, va a costituire il completamento degli itinerari museali del Museo della città, allestito nel vicino complesso monumentale di Santa Giulia, e di un percorso archeologico tra i più significativi e meglio conservati d’Italia, riconosciuto Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’UNESCO con il sito I Longobardi in Italia. I luoghi del potere (568-774 d. C.).

Il Capitolium o Tempio Capitolino è un tempio romano, il nucleo dell'antica Brixia romana.

La costruzione dell'edificio è da attribuire a Vespasiano, nel 73 d.C.. La sua "paternità" è confermata dalla scritta originale riportata sul frontone: IMP. CAESAR.VESPASIANUS.AUGUSTUS. / PONT. MAX. TR. POTEST. IIII. EMP. X. P. P. CAS. IIII / CENSOR

Il tempio fu realizzato sopra un precedente tempio repubblicano e la sua edificazione si deve alla vittoria dell'Imperatore sul generale Vitellio, nella pianura tra Goito e Cremona. Distrutto da un incendio durante le incursioni barbariche che afflissero l'Europa nel IV secolo d.C. e mai più ricostruito, venne sepolto da uno smottamento del colle Cidneo durante il medioevo. Il tempio fu riportato alla luce solamente nel 1823 grazie all'appoggio del Comune di Brescia e dell'Ateneo, che demolirono le case popolari e il piccolo parco (Giardino Luzzaghi) realizzati anni prima sul terreno ormai spianato al di sopra della costruzione, riportando alla luce l'antico centro della Brixia romana.

Nel 1826, oltretutto, nell'intercapedine del muraglione che isola il tempio dal Colle Cidneo il gruppo dei bronzi romani, comprendente i quattro ritratti di epoca tardo-imperiale e la famosa Vittoria Alata, più altri oggetti, il tutto probabilmente seppellito per nasconderlo alla sistematica distruzione degli idoli pagani da parte dei cristiani. Il complesso fu parzialmente ricostruito fra il 1935 e il 1938 attraverso l'utilizzo di laterizi, i quali permisero la ricomposizione delle colonne corinzie, di parte del pronao e delle tre celle posteriori alla facciata. Il progetto avrebbe dovuto essere più ampio: si sarebbero infatti dovuti demolire praticamente tutti gli edifici che occupavano lo spazio del foro (tranne il Palazzo Martinengo e la chiesa di San Zeno al Foro) fino all'antica basilica in Piazza Labus, scavare fino all'originario livello del terreno e restaurare o ricostruire la maggior parte delle colonne del porticato attorno alla piazza. Sarebbero quindi stati posizionati dei ponti di collegamento per permettere una panoramica delle rovine dall'alto (la stessa Via Musei sarebbe diventata, in quel tratto, niente più che un ponte) con delle scale che vi scendevano in più punti. Il progetto non fu mai totalmente messo in pratica e ci si limitò a mettere a nudo e ristrutturare l'unica colonna del foro ancora integra, ancora oggi ben visibile in Piazza del Foro.

Alcuni elementi strutturali che affioravano dal terreno furono riutilizzati come materiale da costruzione, ad esempio le formelle che probabilmente decoravano il soffitto del pronao, reimpiegate nella facciata della chiesa del Santissimo Corpo di Cristo.

L'impianto del tempio è quello del classico capitolium romano a tre celle, cioè prostilo, con il colonnato solamente in zona anteriore e chiuso da un muro ai lati e posteriormente. In questo caso, comunque, l'impianto è un poco più articolato, essendo presente un corpo centrale più sporgente affiancato su entrambi i lati da altri due porticati della medesima altezza. Dietro l'avancorpo della facciata esastila (ovvero con sei colonne sul fronte principale) in stile corinzio, si aprono tre celle separate da intercapedini, ognuna ospitante un altare dedicato a tre rispettive divinità, oggi identificate come Minerva, Giove e Giunone. Pregevole e ben conservata è la soglia della cella centrale, la più ampia, realizzata in marmo di Botticino. Si trova in questa cella anche il più imponente dei tre podi, posti al centro di ognuno dei sacelli, sul quale si osserva uno zoccolo in pietra a due gradini. La cella centrale e quella di sinistra sono tutt'oggi provviste dell'originale pavimentazione, in marmo e breccia africana, ornati da bellissimi mosaici ben conservati e restaurati, mentre è andato perduto quello della cella di destra. La cella centrale del tempio, inoltre, ospita alle pareti un esteso lapidario istituito nel 1830 e ampliato nei decenni successivi, dove sono conservate ed esposte numerose opere romane in pietra tra cui are, iscrizioni onorarie e sepolcrali, stele funerarie, miliari e basi di monumenti.

È quasi accertata la presenza di una quarta cella, situata più a est, probabilmente dedicata a Bergimo, dio di provenienza celtica. È infine presente un'ultima cella, che faceva parte dell'antico tempio repubblicano sul quale venne poi edificato il Capitolium, situata al di sotto della struttura di epoca imperiale, risalente addirittura al I secolo a.C. e oggi chiusa al pubblico per il restauro dei bellissimi affreschi che ancora sono conservati al suo interno.

Il timpano, largamente ricostruito, era molto probabilmente ornato da alcune statue e la sommità (acroterio) doveva essere composta da un grande gruppo statuario. Delle antiche colonne del tempio, solamente una è ancora presente completamente integra per tutta la sua lunghezza, ovvero la prima a sinistra, ben riconoscibile perché interamente bianca e non completata dai mattoni. Questa colonna era inoltre l'unico resto che affiorava ai primi dell'Ottocento, quando la zona non era ancora stata indagata archeologicamente, tanto che la sua sommità veniva utilizzata come tavolino nel giardino sul retro di un piccolo caffè sorto in quel punto.

Il tempio poteva essere ammirato dalla grande piazza un tempo antistante ad esso (l'omonima Piazza del Foro che oggi si apre davanti al tempio non si discosta di molto dalle originali dimensioni), che al tempo rappresentava sicuramente il centro nevralgico della vita politica e mondana, delle feste e dei mercati e che era delimitata da un porticato, di cui rimane un'unica colonna corinzia della quale si è già parlato. Sul pavimento al disotto di essa, è incisa quella che potrebbe essere una rudimentale scacchiera, probabile passatempo dei mercanti che avevano bottega qui. Al tempio si accedeva attraverso una scalinata che saliva direttamente dal decumano massimo, suddivisa su due o tre rampe, che conduceva alla terrazza circondante l'edificio, forse allora arricchita da due fontane. Sempre dal decumano massimo si poteva invece scendere per un'altra scalinata, in linea con quella che saliva al tempio, arrivando così sul foro e da lì ai portici (il decumano si posizionava perciò a metà altezza fra il foro e il tempio), creando uno sfondo monumentale alla piazza.

Il teatro fu costruito in epoca flavia, come il vicino Capitolium (al quale era collegato mediante un porticato), e rimaneggiato durante il principato di Settimio Severo, nel III secolo. Fu probabilmente danneggiato dallo stesso incendio che, nel IV secolo, fece in parte crollare l'edificio templare posto nelle immediate vicinanze e da un terremoto nel V secolo, il quale distrusse completamente la scena e il muro che dava sulla strada. Nonostante ciò venne utilizzato fino al 1173.

L'edificio fu riportato alla luce insieme al Capitolium nell'Ottocento, operando la demolizione di tutte le strutture sorte durante le diverse epoche sui resti del teatro, tranne Palazzo Maggi Gambara, che occupa tuttora la parte occidentale della cavea, poiché contenente diversi affreschi di grande valore storico e artistico.

Il teatro fu in parte costruito utilizzando il pendio naturale del colle Cidneo. La scelta dell'impianto è più vicina a quella degli antichi teatri della Grecia che a quelli romani, in cui la cavea era sorretta da sostruzioni. Ciò è oggi ben visibile, visto che le file più basse di gradinate, poggianti direttamente sul terreno, sono le uniche sopravvissute al tempo, mentre tutte quelle sostenute da archi murari sono scomparse a causa del crollo di questi ultimi. La vicinanza del Tempio Capitolino e del Foro, che ricorda per certi versi il teatro di Pompeo di Roma, indicava che il teatro era parte integrante della vita sociale e religiosa del cittadino. L'edificio era il più grande del nord Italia dopo il teatro di Verona e misurava 86 metri in larghezza e probabilmente 34 in altezza. La scena era lunga 48 metri. Il teatro poteva ospitare, secondo alcuni calcoli, circa 15000 persone. Come tutti i teatri romani è facilmente riscontrabile la forma a emiciclo, ancora oggi ben visibile. Il teatro era collegato al tempio attraverso una lunga aula, definita dei pilastrini poiché divisa da due file di pilastri con capitelli di ordine tuscanico.

Attualmente sono visibili i resti della cavea e della scena e del muro originario affacciato sulla strada. Altri resti sono nell'area di Palazzo Maggi o inglobati nell'edificio: al suo interno sono inoltre visibili pavimentazioni e resti in muratura di tarda epoca romana, risalenti ai primi anni dell'abbandono del foro. Negli anni sono stati proposti molti progetti di riqualificazione, ad esempio mediante la ricostruzione in legno delle gradinate crollate, ma nulla è stato mai messo in pratica. L'intervento, difatti, avrebbe senso se fosse risistemato lo stesso contesto, anche in materia di accessibilità: il teatro è infatti oggi molto sacrificato fra il Colle Cidneo e una stecca di edifici residenziali medievali a sud, scampati alle demolizioni, che andrebbero per forza demoliti, in parte o totalmente, se si volesse tentare di ricostruire anche un minimo di scena-fronte e un qualsiasi collegamento efficace con Via Musei, oggi limitato agli sbocchi dello stretto vicolo che lo raggiunge.

Il Santuario di età repubblicana (secondo quarto del I secolo a. C.) è un monumento conservato in modo sorprendente nel quale, a dispetto del tempo, sono sopravvissuti gli affreschi che decorano le pareti, i pavimenti a mosaico e alcuni arredi cultuali, caso speciale e unico in tutta l’Italia settentrionale.




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