mercoledì 10 giugno 2015

I MUSEI DI MANTOVA

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Il Museo Diocesano Francesco Gonzaga nasce in risposta a due esigenze importanti: da un lato come tutela della vasta quantità di oggetti sacri e arredi liturgici confluiti in sacrestie e oratori in seguito a riforme religiose, estinzioni di confraternite, abbandoni di chiese e cappelle, dall'altro come strumento divulgativo al pubblico del patrimonio artistico ecclesiastico inteso come rapporto tra cultura, arte e liturgia.
Raccogliendo in un'unica sede espositiva il patrimonio artistico, culturale e religioso di tutto il territorio della Diocesi mantovana, il Museo assolve da una parte la fondamentale funzione di conservazione e di catalogazione dell'opera d'arte, dall'altra quella non meno importante di esporre l'opera stessa alla fruizione pubblica.
Inserendo le opere d'arte sacra (tele, statue, oreficerie, corali miniati, paramenti,…) in un percorso museale viene conservato il riferimento alla chiesa d'origine e alla memoria della devozione popolare, e si sottolinea la continuità storica della Chiesa sul territorio.
Numerose opere affluite dalle parrocchie della Diocesi, che ne rimangono proprietarie, sono non di rado utilizzate per le liturgie solenni. L'idea di adibire parte del monastero di Sant'Agnese dei Padri Agostiniani a sede espositiva nacque grazie all'interessamento di monsignor Luigi Bosio negli anni Settanta e all'impegno di monsignor Ciro Ferrari nel decennio successivo.
La mostra del 1974 “Tesori d'arte nella città dei Gonzaga” rivelò la straordinaria ricchezza del patrimonio artistico della Diocesi di Mantova, ponendosi come antecedente della formazione del Museo Diocesano di Arte Sacra.

La legge istitutiva del Corpo Nazionale Vigili del Fuoco del 1941 prevedeva la realizzazione di un museo storico. Tuttavia, solo molti anni dopo, il Comando provinciale Vigili del Fuoco di Mantova riusciva a realizzare questo obiettivo, raccogliendo e restaurando mezzi e materiali di varie epoche attraverso acquisizioni nelle caserme dei Vigili del Fuoco di tutta Italia.
Nel 1991, in occasione del 50° anniversario dell'istituzione, veniva inaugurato il primo museo storico italiano dei Vigili del Fuoco. Il museo è stato allestito in alcuni edifici del complesso monumentale del Palazzo Ducale di Mantova, adibiti anticamente in parte a uso militare e scuderie (ex caserma Gonzaga), in parte riconducibili a una struttura teatrale (ex Teatro vecchio).
Il museo si sviluppa su quattro ampie sale collegate tra di loro da grandi aperture ad arco e raccoglie mezzi e testimonianze dal XVIII al XX secolo, consentendo di cogliere la straordinaria evoluzione tecnica dei mezzi del Corpo dei Vigili del Fuoco in questi secoli.
Nella prima sala (ex scuderie) sono esposti i mezzi più antichi, tra cui una pompa a mano del XVIII secolo che veniva azionata dai cittadini riuniti come volontari. Tra le curiosità, una bicicletta dei pompieri dotata di manichetta e varie moto, semplici o con sidecar.
Nella seconda e terza sala sono disposti automezzi storici, anfibi, autopompe anche di grandi dimensioni: particolare interesse destano le scale in acciaio, tra cui una lunga 26 metri ancora in perfette condizioni ideata dal tedesco Conrad Dietrich Magirus. Nella quarta sala si possono ammirare uniformi di varie epoche, i primi estintori a polvere antesignani degli odierni a schiuma, caschi di varie epoche e paesi e, al centro della sala, un elicottero del 1956. Sono inoltre esposti su tutto il percorso museale molteplici documenti, quali fotografie e articoli di giornali.

Il Museo Tazio Nuvolari, affidato dal Comune all’Automobile Club di Mantova, erede testamentario dei trofei e della memoria di Nuvolari, è stata debitamente ristrutturata al fine di adeguare i locali dell’ex Archivio storico a luogo di conservazione e fruizione delle memorie del “Mantovano volante”. I lavori, condotti su progetto dell’architetto Franco Mondadori, sono stati interamente finanziati dall’associazione “Amici del Museo Tazio Nuvolari Onlus” a cui hanno aderito molti privati e aziende mantovane. Il risultato è un dono alla cittadinanza che non solo potrà finalmente rivivere le gesta sportive di uno dei mantovani più illustri, ma anche visitare un edificio storico rinascimentale, fino ad ora inaccessibile al pubblico.

Nel palazzo liberty di via Calvi, progettato dall'architetto mantovano Aldo Andreani nel 1913, sede centrale della Camera di Commercio di Mantova, è stata collocata la significativa collezione d'arte di proprietà camerale. Si tratta di un prestigioso gruppo di dipinti antichi e di una sostanziosa raccolta di quadri e sculture del XX secolo, testimonianza della vita artistica mantovana intesa nella sua linea maggiore.
Le opere d'arte della collezione camerale sono l'autobiografia di una cultura, di un'epoca, di una città, Mantova, che è un esempio particolare della congiunzione tra cultura ed economia. Le opere antiche sono composte dai Ritratti dei Consoli dell'anno 1450 , affreschi attribuibili a Gerolamo di Giovanni da Camerino, che traggono ispirazione diretta dai modelli aulici degli “Uomini illustri”; dalle Cinque figure allegoriche dipinte da Giorgio Anselmi negli anni 1772-1773 per celebrare il governo virtuoso ed illuminato di Maria Teresa d'Austria; dal Cristo morto di Felice Campi del 1794.
La collezione del ‘900 annovera molti dei nomi eccellenti della pittura e della scultura mantovana del secolo. Evidente è la predilezione per il paesaggio ed i soggetti lombardi che attraversa le scuole e tutti gli orientamenti della pittura locale: il novecentesimo anni Venti, il realismo elegiaco, il chiarismo, le nuove tendenze degli anni Sessanta. Infine è presente una cospicua serie di opere di ispirazione astratta. Con l'istituzione del Premio “Camera di Commercio – Francesco Bartoli”, alla memoria del grande studioso e critico d'arte mantovano, l'Ente acquisisce ogni anno, a seguito di una valututazione autorevole ed autonoma di una commissione di esperti, opere nuove che vanno ad arricchire ulteriormente la collezione.

Nel Palazzo Valenti Gonzaga ha sede la Galleria Museo Valenti Gonzaga. I locali sono costituiti da oltre 500 mq; sono strutturati come "open space" e si compongono della "Galleria" d`ingresso, della Camera del "Figliuol Prodigo", della "Cappella", della "Stanza del Trionfo del Tempo sulla Fama" e della "Stanza degli Stemmi".
Tutti gli ambienti sono costellati ed impreziositi da affreschi attribuiti al pittore fiammingo di Anversa Frans Geffels (1625-1694) e da 18 statue, che si ritengono essere opera dello scultore - stuccatore comasco Giovan Battista Barberini (1625-1691).
La facciata del Palazzo è opera dell`architetto Nicolò Sebregondi (1595-1652) (lo stesso autore della Villa Favorita, fatta costruire dal Duca di Mantova Ferdinando Gonzaga (1587-1626), figlio secondogenito di Vincenzo I ed Eleonora de`Medici).
La Galleria Museo Valenti Gonzaga si estende e comprende inoltre, un piccolo giardino pensile ed i quattrocenteschi, ampi locali rustici (ghiacciaia, farineria e refettorio).

Il museo permanente della Gazzetta di Mantova raccoglie la testimonianza dei 350 anni di storia del giornale della città, il quotidiano più antico d'Italia e si trova al primo piano del palazzo di piazza Mozzarelli 7 a Mantova: la linotype, la macchina di costruzione americana usata in tipografia fino al 1981, è stata collocata all'ingresso, un monumento all'editoria moderna, che trasformava gli articoli in righe di piombo.
Del numero più antico della Gazzetta arrivato ai giorni nostri, risalente al 27 novembre 1665, è esposta una copia perfetta, dato che l'originale è conservato presso l'Archivio di Stato di Modena.

Il Museo della Città di Palazzo San Sebastiano ha sede nel cinquecentesco omonimo Palazzo di proprietà comunale. Il museo fu inaugurato il 19 marzo 2005.
Il palazzo fu edificato tra il 1506 e il 1508 per essere la dimora preferita del marchese Francesco II Gonzaga, il quale vi morì nel 1519. Gerolamo Arcari e Bernardino Ghisolfo ne diressero i lavori e incaricati delle decorazioni degli ambienti interni furono pittori come Lorenzo Leonbruno, Matteo e Lorenzo Costa il Vecchio. Nel salone superiore vi erano le nove tele del Mantegna raffiguranti i Trionfi di Cesare, oggi conservate a Hampton Court presso Londra.
Già dopo la morte del committente, pur rimanendo residenza signorile il palazzo non ebbe più il ruolo privilegiato riconosciutogli da Francesco II: gli arredi e i quadri più preziosi vennero trasferiti in altra sede, e la residenza fu data in uso ai rami laterali della famiglia quali i Gonzaga di Novellara, di Gazzuolo e di Castiglione delle Stiviere. In questo palazzo il futuro S. Luigi Gonzaga cedette la primogenitura al fratello Rodolfo. Il palazzo viene dimenticato ritornando d'interesse pubblico a partire dalla metà del Settecento, quando il governo austriaco lo adibì a deposito e a caserma. Tale utilizzo ne accelerò il degrado con la pressoché totale sparizione delle decorazioni murarie. Anche la struttura originaria venne pesantemente manomessa, in particolare quando nel 1883 il Palazzo venne utilizzato come lazzaretto. Altre ristrutturazioni ci furono nel XX secolo, divenendo l'edificio sede di bagni pubblici, di una colonia elioterapica, di scuole, di depositi e di circoli ricreativi.
Il recupero iniziò nel 1999 con l'obiettivo di ripristinare per quanto possibile il progetto originale e recuperare almeno in parte le decorazioni murarie interne ed esterne. Il restauro ha permesso di recuperare preziosi frammenti degli affreschi che decoravano esternamente il Palazzo, seguendo il gusto tipico degli edifici mantovani della seconda metà del quattrocento. I restauri si sono conclusi nel 2003 riproponendo al pubblico la Loggia dei marmi e cicli di affreschi nella Camera del Crogiuolo, nella Camera delle Frecce e nella Camera del Sole.
I terremoti dell'Emilia del 2012 hanno provocato danni ad alcune sale del palazzo gonzaghesco.
Nel Museo della Città sono esposte una parte delle opere appartenenti alle Collezioni Civiche che già nell'Ottocento costituivano il Museo Patrio. Quanto proposto ha l'ambizione di raccontare i momenti più emblematici della storia di Mantova e rappresentarne la sua grande civiltà artistica. Sette sono le sezioni tematiche:
La città e l'acqua - Piano Terra, Loggia dei marmi
Emblematica gentilizia - Piano Terra, Sala del Porcospino e Sala del Crogiolo
La città del Principe - Primo Piano, Sala dei Trionfi
Il culto dell'antico - Primo Piano, Camera de' Brevi
La rinascita dell'antico, Mantova quasi Roma - Primo Piano, Sala delle Frecce
I "Trionfi di Cesare" del Mantegna - Primo Piano, Sala Est
Esempi di pittura a Mantova tra Quattrocento e Cinquecento - Secondo Piano, Galleria Superiore
Il Museo del Risorgimento di Mantova fu inaugurato il 3 marzo del 1903 nel 50º anniversario del martirio di Belfiore. Dopo diverse sedi e vicissitudini, nel 2005 le raccolte del Museo del Risorgimento, privo di sede, sono state formalmente accorpate al nuovo Museo della Città di Palazzo San Sebastiano.

L'Accademia nazionale virgiliana, è stata fondata nel 1768 da Maria Teresa d'Asburgo imperatrice d'Austria, unitamente al figlio, Giuseppe II d'Asburgo, futuro imperatore. veniva decisa la denominazione di Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere. Essa è la più antica e prestigiosa istituzione culturale tuttora esistente in Mantova.
Denominata con decreto datato 4 marzo 1768, "Reale accademia di scienze e belle lettere", l'istituzione era strutturata alla stregua di una scuola universitaria, articolata in differenti discipline e classi, e traeva origine dal secolare filone di sodalizi culturali risalenti alla signoria Gonzaga (come nel caso della Accademia dei Timidi poi detta degli Invaghiti).
Fu durante l'occupazione francese di Mantova, che sotto l'impulso del governatore della città, il generale napoleonico de Miollis, che l'accademia assunse la denominazione di Virgiliana, in onore di Publio Virgilio Marone. Nel 1983 l'Accademia ha assunto altresì la qualifica di Nazionale.
L'Accademia è ospitata nel palazzo di fondazione cinquecentesca, restaurato dall'architetto neoclassico Paolo Pozzo. Al suo interno è possibile ammirare il teatro di Antonio Bibiena, inaugurato nel 1769 e dove Mozart suonò tredicenne il 16 gennaio 1770.
L'Accademia è composta da 90 accademici ordinati in tre classi: lettere e arti, scienze matematiche fisiche e naturali e scienze morali. Ad essi si aggiungono 60 soci corrispondenti, 20 per ciascuna classe.
Oltre alla rassegna annuale "Atti e Memorie", l'Accademia cura la pubblicazione di varie collane, edite dalla casa editrice Leo S. Olschki di Firenze.
Attuale presidente è Piero Gualtierotti succeduto a Giorgio Zamboni.

L'area dove sorge ora il museo archeologico, all'interno del perimetro del Palazzo Ducale di Mantova, dalla metà del ‘500 alla fine del '800 ospitava la sede del teatro di Corte dei Gonzaga . Divenuta di proprietà comunale, vi fu edificato il mercato dei Bozzoli dei bachi da seta, poi destinato al commercio ortofrutticolo ed infine donato dal comune di Mantova al Ministero per i Beni e le Attività Culturali affinché se ne cominciasse la ristrutturazione e la trasformazione in museo archeologico destinato a raccogliere i numerosi reperti provenienti dagli scavi nella provincia di Mantova.
Il progetto del restauro si è posto l'obiettivo di conservare le caratteristiche ambientali e architettoniche di un notevole esempio di architettura paleoindustriale di fine '800, mantenendone l’aspetto esterno originario, la struttura interna del tetto a capriate sorretto da pilastri disposti su due file. L'enorme edificio originario è ora tagliato da tre solai allo scopo di un utilizzo razionale dello spazio interno.
Pur utilizzando solo parzialmente l'edificio restaurato, nel museo è già proposta l'esposizione di collezioni di reperti che spaziano dal neolitico e dall'età del bronzo, all'epoca etrusca, celtica, romana, medievale e rinascimentale, materiali tutti rinvenuti nel territorio mantovano. Dall'11 aprile 2014 sono definitivamente esposti all'interno di una teca in cristallo gli Amanti di Valdaro, due scheletri del neolitico ritrovati presso Valdaro in prossimità di Mantova nel 2007, così denominati perché i due scheletri, un uomo e una donna, furono rinvenuti abbracciati.

Gli Amanti di Valdaro, talvolta chiamati anche amanti di Mantova, sono due scheletri del neolitico ritrovati presso Valdaro in prossimità di Mantova nel 2007. Il nome dato ai resti umani perché i due scheletri, un uomo e una donna, sono stati rinvenuti abbracciati tra loro, anche con gli arti inferiori.
Nel febbraio del 2007 la sovraintendenza ai beni culturali di Mantova comunicava il ritrovamento di una sepoltura neolitica nell'ambito degli scavi su una villa romana in zona Valdaro nel comune di San Giorgio di Mantova. L'eccezionalità del ritrovamento consisteva nel fatto che i due scheletri rinvenuti erano stati sepolti di fianco, faccia a faccia, incrociandoli in un abbraccio che coinvolgeva anche gli arti inferiori. Si tratta dell'unico esempio di sepoltura doppia (bisoma) in Italia Settentrionale. Le foto dei due scheletri provocarono grande emozione popolare e diedero grande celebrità al ritrovamento. A ciò contribuì anche l'approssimarsi della festa di San Valentino durante la quale su molti media, ovunque nel mondo, furono pubblicate come simbolo d'amore eterno le foto dei due amanti.
Gli amanti di Valdaro hanno avuto un forte impatto sulla cultura popolare anche fuori dall'Italia, addirittura la band anarco-metal Quitting Heaven nel 2009 ha espressamente dedicato loro una canzone dal titolo Skeleton Kiss (il bacio dello scheletro).
Fin dall'inizio si pose con insistenza il problema di dare una collocazione espositiva ai due scheletri anche per incentivare il turismo museale a Mantova sulla scia di quanto avvenne a Bolzano per Ötzi la mummia di Similaun. A varie riprese sono stati esposti eccezionalmente durante eventi celebrativi a Mantova, come ad esempio durante il Festivaletteratura nel 2011. Infine, a sette anni dal ritrovamento, l'11 aprile 2014 sono stati definitivamente esposti all'interno di una teca in cristallo al Museo archeologico nazionale di Mantova.

L'Apollo di Mantova, con le sue varianti, è tra le prime forme di statuaria del tipo Apollo citaredo, in cui il dio solare raffigurato in piedi tiene la cetra nel suo braccio sinistro. Il primo esempio di questa tipologia di scultura greca è stato rinvenuto a Mantova e della città ha pertanto assunto anche il nome.
Questo Apollo è una copia imperiale romana datato tra la fine del I secolo e l'inizio del II, modello esemplare di Neoatticismo ispirato da un presunto originale in bronzo realizzato all'incirca verso la metà del V secolo a.C.; ha uno stile del tutto simile alle pere derivanti dalla scuola di Policleto, ma leggermente più arcaico. La cetra se ne stava appoggiata al braccio sinistro esteso in avanti.
Nell'esemplare conservato al museo del Louvre ed alto 1,13 m. rimane un frammento indicante la torsione fatta assumere dallo strumento musicale contro il muscolo bicipite brachiale del dio in posizione tesa.
In seguito sono state trovate più di una dozzina di repliche dello stesso tipo e fattura, tra cui quelle principali sono conservate al museo archeologico nazionale di Napoli (un bronzo trovato a Pompei antica) e al museo archeologico nazionale di Mantova. L'originale andato perduto sarebbe stato, come detto, prodotto in bronzo; a volte è stato indicato in qualità di possibile autore il maestro di Fidia, Egia o Egesia, ma non esistono esempi superstiti del suo lavoro a poter fare da modello comparativo.
Un'altra copia in ottone di epoca romana si trova al Fogg Art Museum, la più antica struttura museale d'arte dell'università di Harvard.

La collezione della Banca Agricola Mantovana costituisce, unitamente a quella formata dal Re d'Italia Vittorio Emanuele III ed esposta a Palazzo Massimo in Roma, la più completa raccolta di antiche monete e medaglie di Mantova e dei Gonzaga.
La collezione iniziò a formarsi nel 1986 con l'acquisizione della raccolta del notaio Casero di Milano, nella quale confluirono molti esemplari di proprietà di Giulio Superti Furga di Canneto S/Oglio (Mantova), rinomato studioso di numismatica.
Seguì nel 1993, l'acquisizione della prestigiosa collezione del Conte Alessandro Magnaguti (1887-1966), un erudito e facoltoso nobile mantovano che in quasi mezzo secolo costituì una importante raccolta di monete e medaglie dei Gonzaga, vincolata dal Ministero dei Beni Culturali perchè giudicata "di eccezionale interesse artistico e storico", e rappresentata nei volumi VII, VIII e IX di Ex Nummis Historia.
Altri esemplari acquisiti sul mercato antiquariale completano quella che è considerata oggi, con i suoi 2160 pezzi esposti, il più vasto museo visibile al mondo di monete e medaglie di Mantova e dei Gonzaga. Lo splendido stato di conservazione e la straordinaria rarità di molti esemplari, spesso unici ed inediti, costituiscono un patrimonio inestimabile.
Tra i vari artisti che hanno realizzato le monete e medaglie per la famiglia Gonzaga si ricordano Pisanello, Bartolo Talpa, Leone Leoni, Gaspare Molo e Gian Cristoforo Romano.
Alcune postazioni multimediali consentono al visitatore di comprendere al meglio il percorso espositivo, che illustra gli otto secoli di testimonianza storica ponendo in risalto gli esemplari di particolare qualità artistica.
La Biblioteca numismatica, costituita dalle principali opere di riferimento delle varie epoche storiche, è a disposizione, per la consultazione, nella Biblioteca della Fondazione Banca Agricola Mantovana situata nello stesso palazzo.
Nella Biblioteca sono disponibili gli otto volumi, pubblicati dalla Banca Agricola Mantovana con l'Electa di Milano, nei quali viene descritta e illustrata l'intera collezione, oltre agli esemplari mancanti.
I libri sono disponibili per la consultazione presso la Biblioteca numismatica della Fondazione Banca Agricola Mantovana.
La Galleria è stata realizzata nella sede della Fondazione Banca Agricola Mantovana, in un ambiente unico a pianta rettangolare allungata, di quattro metri di larghezza e ventiquattro di lunghezza, uno spazio ben dimensionato per la nuova funzione espositiva.
La Galleria ospita circa settanta quadri del '900 mantovano, una selezione di opere tratte dalla quadreria di proprietà della Fondazione Banca Agricola Mantovana.
Il progetto (a cura di "Studio Ambiente" dell'arch. Eristeo Banali) muove dalla necessità d'aumentare le superfici (pareti) per l'esposizione delle opere, intervenendo senza coinvolgere le strutture e la funzionalità dell'ambiente.



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