Chi finisce in carcere con una condanna per pedofilia non deve solo fare i conti con la sentenza sancita dal giudice ma anche con il pregiudizio degli altri carcerati.I bimbi non si toccano, reciterebbe una legge tacita in vigore tra i carcerati di tutto il mondo. Capaci di battezzare a sangue i neo arrivati macchiatisi di uno dei crimini più orrendi.
E proprio a causa della specificità del reato commesso sono confinati in un’ala ben precisa della struttura. È una prassi in vigore da tempo. Anche perché poi gli altri tendono a fare comparazioni. Chi è in carcere per truffa o per furto si sente comunque un po' migliore rispetto a chi ha commesso atti pedofili o legati alla sfera sessuale. D’altra parte questa separazione permette ai condannati per pedofilia di prendere coscienza di quanto sia terribile il reato commesso. Il fatto che abbiano una pena per un reato grave da scontare non significa che debbano essere lasciati in balia degli altri carcerati. Anche perché in carcere la concentrazione di persone con tratti caratteriali dissociali è maggiore rispetto all’esterno. Di conseguenza il rischio di aggressioni è più alto.
La mediatizzazione dei casi di pedofilia, constatabile negli ultimi anni, ha accresciuto il livello di guardia sulla tematica. "I detenuti hanno la possibilità di leggere i giornali. Sanno che magari arriverà un determinato personaggio, autore di reati pedofili. Si creano attese e aspettative, c'è chi vuole vedere queste persone in faccia, dobbiamo fare ancora più attenzione quindi".
In alcune occasioni i condannati per reati sessuali su minori hanno la possibilità di mescolarsi con gli altri carcerati. "Ma solo in circostanze in cui noi abbiamo il massimo controllo e possiamo dunque intervenire rapidamente in caso di difficoltà – ammette un direttore di un carcere –, capita ad esempio per quanto riguarda le feste o le celebrazioni. Per il resto, forse è meglio che stiano separati. E sono loro stessi a rendersene conto, si sentono più protetti. Va ricordato che non di rado questi detenuti hanno un età molto maggiore rispetto alla media degli altri e sono dunque più vulnerabili”.
Per il trattamento specifico delle persone condannate per i reati nella sfera sessuale, oltre ai colloqui individuali è stata aggiunta anche una terapia di gruppo. Momenti in cui i condannati hanno la possibilità di ripercorrere i loro errori, esplicitandoli di fronte agli altri. "Questo lavoro di gruppo – evidenzia il direttore – viene portato avanti indipendentemente dalle sedute di psicoterapia individuale. Lo scopo principale è quello di sviluppare la presa di coscienza da parte dei detenuti. Funziona un po' come in una comunità di recupero".
Gli altri detenuti li chiamano "infami", traditori dell'etica carceraria. Per gli agenti di polizia penitenziaria sono "protetti", gente che va tutelata dalla violenza dei reclusi comuni, dalle intimidazioni e dagli atti di intolleranza che colpiscono anche collaboratori di giustizia e detenuti appartenenti alle forze dell'ordine. Sono stupratori, pedofili, molestatori, torturatori di donne e bambini. Quelli che assistenti sociali, psicologi ed educatori del carcere chiamano sex offender, autori di reati sessuali.
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