sabato 7 maggio 2016

SUPERGA

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La tragedia di Superga fu un incidente aereo avvenuto il 4 maggio 1949. Alle ore 17:03, il Fiat G.212 della compagnia aerea ALI, siglato I-ELCE, con a bordo l'intera squadra del Grande Torino, si schiantò contro il muraglione del terrapieno posteriore della Basilica di Superga, che sorge sulla collina torinese; le vittime furono 31. Nel 2015, in ricordo della tragedia, la FIFA ha proclamato il 4 maggio come "giornata mondiale del giuoco del calcio".

L'aereo stava riportando a casa la squadra da Lisbona, dove aveva disputato un incontro amichevole con il Benfica, organizzata per aiutare, con l'incasso, il capitano della squadra lusitana Francisco Ferreira, in difficoltà economiche. Nell'incidente perse la vita l'intera squadra del Torino, vincitrice di cinque scudetti consecutivi dalla stagione 1942-1943 alla stagione 1948-1949 e che costituiva la quasi totalità della Nazionale italiana. Nell'incidente perirono anche i dirigenti della squadra e gli accompagnatori, l'equipaggio e tre noti giornalisti sportivi italiani: Renato Casalbore (fondatore di Tuttosport); Renato Tosatti (della Gazzetta del Popolo, padre di Giorgio Tosatti) e Luigi Cavallero (La Stampa). Il compito di identificare le salme fu affidato all'ex Commissario Tecnico della Nazionale Vittorio Pozzo, che aveva trapiantato quasi tutto il Torino in Nazionale.

Lo spezzino Sauro Tomà, infortunato al menisco, non prese parte alla trasferta portoghese; non presero quel volo neanche il portiere di riserva Renato Gandolfi (gli fu preferito il terzo portiere Dino Ballarin, fratello del terzino Aldo, che intercesse per lui), il radiocronista Nicolò Carosio (bloccato dalla cresima del figlio), Luigi Giuliano (capitano della Primavera del Toro e da poco tempo in pianta stabile in prima squadra, fu bloccato da un'influenza) e l'ex C.T. della Nazionale nonché giornalista Vittorio Pozzo (il Torino preferì assegnare il posto a Cavallero). Invitato ad aggregarsi alla squadra per l'amichevole da Valentino Mazzola. Tommaso Maestrelli, pur giocando nella Roma, non prese il volo poiché non riuscì a rinnovare il passaporto presso la questura. Anche il presidente del Torino, Ferruccio Novo, non prese parte al viaggio perché malato d'influenza.

Il Torino fu proclamato vincitore del campionato a tavolino e gli avversari di turno, così come lo stesso Torino, schierarono le formazioni giovanili nelle restanti quattro partite. Il giorno dei funerali quasi un milione di persone scesero in piazza a Torino per dare l'ultimo saluto ai giocatori. Lo shock fu tale che l'anno seguente la nazionale si recò ai Mondiali in Brasile viaggiando in nave.

Il trimotore Fiat G.212, con marche I-ELCE, delle Avio Linee Italiane, decolla dall'aeroporto di Lisbona alle 9:40 di mercoledì 4 maggio 1949. Comandante del velivolo è il tenente colonnello Meroni. Il volo atterra alle 13:00 all'aeroporto di Barcellona. Durante lo scalo, mentre l'aereo viene rifornito di carburante, la squadra del Torino incontra a pranzo quella del Milan che è diretta a Madrid.

Alle 14:50 l'I-ELCE decolla con destinazione l'aeroporto di Torino-Aeritalia. La rotta seguita fa sorvolare al trimotore Cap de Creus, Tolone, Nizza, Albenga, Savona. All'altezza di Savona l'aereo vira verso nord, in direzione del capoluogo subalpino, dove si prevede di arrivare in una trentina di minuti. Il tempo su Torino è pessimo. Alle 16:55 l'aeroporto di Aeritalia comunica ai piloti la situazione meteo: nubi quasi a contatto col suolo, rovesci di pioggia, forte libeccio con raffiche, visibilità orizzontale scarsissima (40 metri).

La torre chiede anche un riporto di posizione. Dopo qualche minuto di silenzio alle 16:59 arriva la risposta: "Quota 2.000 metri. QDM su Pino, poi tagliamo su Superga". A Pino Torinese, che si trova tra Chieri e Baldissero Torinese, a sud est di Torino, c'è una stazione radio VDF (VHF direction finder), per fornire un QDM (Rotta magnetica da assumere per dirigersi in avvicinamento a una radioassistenza) su richiesta.

Giunti sulla perpendicolare di Pino, mettendo 290 gradi di prua ci si trova allineati con la pista dell'Aeritalia, a circa 9 chilometri di distanza, a 305 metri di altitudine. Poco più a nord di Pino Torinese c'è il colle di Superga con l'omonima basilica, in posizione dominante a 669 metri di altitudine. Si ipotizzò che - a causa del forte vento al traverso sinistro - l'aereo nel corso della virata potesse aver subìto una deriva verso dritta, che lo spostò dall'asse di discesa e lo allineò, invece che con la pista, con la collina di Superga; a seguito di recenti indagini è emersa la possibilità che l'altimetro si fosse bloccato sui 2000 metri e quindi inducesse i piloti a credere di essere a tale quota, mentre erano a soli 600 metri dal suolo.

Alle ore 17:03 l'aereo con il Grande Torino a bordo, eseguita la virata verso sinistra, messo in volo orizzontale e allineato per prepararsi all'atterraggio, si va invece a schiantare contro il terrapieno posteriore della basilica di Superga. Il pilota, che credeva di avere la collina di Superga alla sua destra, se la vede invece sbucare davanti all'improvviso (velocità 180 km/h, visibilità 40 metri) e non ha il tempo per fare nulla: non si ravvisano infatti, dalla disposizione dei rottami, tentativi di riattaccata o virata. L'unica parte del velivolo rimasta parzialmente intatta è l'impennaggio.

Alle 17:05 Aeritalia Torre chiama I-ELCE, non ricevendo alcuna risposta. Delle 31 persone a bordo non si salvò nessuno.



Attualmente i resti dell'aereo, tra cui un'elica, uno pneumatico e pezzi sparsi della fusoliera, ma anche le valigie di Mazzola, Maroso ed Erbstein, sono conservate in un museo di Grugliasco alle porte di Torino. Il Museo del Grande Torino e della leggenda granata, ospitato nella prestigiosa Villa Claretta Assandri di Grugliasco, è stato inaugurato il 4 maggio 2008, anniversario della tragedia. Attualmente, 8 dei 18 calciatori (i 2 allenatori e il giornalista Renato Casalbore), che perirono nell'incidente sono sepolti presso il cimitero monumentale di Torino; Romeo Menti è sepolto nel cimitero monumentale dell'Antella, nei pressi di Firenze.

A Montecitorio, la notizia della sciagura arriva mentre è in atto una discussione animata. Immediatamente i lavori vengono sospesi in segno di lutto. Il presidente del Consiglio De Gasperi è in Sardegna. Al posto suo, per Torino parte il sottosegretario Andreotti. Intanto, la strada per Superga è ormai preda di un gigantesco ingorgo: centinaia di automobili, migliaia di ciclisti, gente che a piedi sfida la pioggia. Tutti vogliono constatare di persona, ma tutti, compresi i familiari delle vittime, vengono bloccati ai cancelli della Basilica.I vigili del fuoco hanno ormai spento gli ultimi, flebili focolai. E' arrivato anche Vittorio Pozzo. Antica anima granata, conosce e ama quella squadra che anche lui ha contribuito a formare e che ha trasferito in azzurro quasi in blocco nell'ultima parte della sua epopea azzurra. Dal Torino il vecchio maestro si è distaccato a causa di un dissidio personale con Novo, proprio l'uomo che lo ha sostituito alla guida della Nazionale. Ma i ragazzi no, non c'entrano, per lui sono come figli.
Pozzo avanza con passo eretto fra i rottami, incrociando gente che corre, che grida, che piange.  «Su un lato del terrazzo - ricorderà dieci anni dopo - spazzando i rottami, qualcuno aveva già disposto quattro o cinque cadaveri. Erano i corpi, non martoriati, di Loik, di Ballarin, di Castigliano... Li riconobbi, e li nominai, sentendo uno dei presenti che aveva dato un'indicazione errata. Li conoscevo, oltre che dal viso, dagli abiti, dalle cravatte, da tutto. Fu allora che mi accorsi di un maresciallo dei carabinieri, che mi seguiva e prendeva nota di quanto dicevo. "Nessuno meglio di lei...", sussurrò, mettendosi sull'attenti. Fu allora, mentre rovistavo fra i resti di un po' di tutto che giacevano al suolo, che un uomo più alto di me ed avvolto in un impermeabile, mi mise una mano sulla spalla e mi disse in inglese: 'Your boys", i suoi ragazzi. Era John Hansen della Juventus, accorso fin lassù. Non so se piangessi, in quel momento. Dopo sì». A poche ore dall'incidente, l'Italia è già in lutto: il Grande Torino era da tempo al di sopra del tifo di parte e delle beghe di campanile. Era l'orgoglio di tutti; un simbolo della rinascita italiana dopo le piaghe di guerra; un inno alla gioventù, alla forza, alla lealtà. In un attimo era finito tutto, per un guasto, un errore o chissà che altro. L'aereo sembrava ora un'invenzione perversa: Carapellese e Lorenzi, compagni in azzurro dei granata, non vorranno più salirci, per tutta la vita. Boniperti ricorderà le parole che un giorno gli disse Loik, durante una trasferta della Nazionale: «Questa - e si riferiva all'aereo - sarà la nostra bara».


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