Numerosi sono i precursori sismici, ossia quelle anomalie di alcuni parametri geofisici, osservate prima di alcuni terremoti. Un esempio di anomalia potrebbe essere una quiescenza sismica ovvero l'assenza di terremoti per un determinato periodo di tempo in un' area considerata sismica. Studi per l'identificazione di precursori sismici sono condotti anche in Italia, grazie alla collaborazione con esperti di altri paesi dove questo tipo di metodologia è già collaudata. Si tratta comunque di previsioni approssimative che non possono essere utilizzate per dare un allarme alla popolazione. Altri esempi di precursori sismici sono la variazione inconsueta della velocità delle onde sismiche, variazioni nel contenuto di gas radon nelle acque di pozzi profondi, mutamenti nel livello delle acque di fiumi e di laghi, movimenti crostali.
Oltre ai fenomeni cosiddetti precursori è anche possibile attraverso l' individuazione delle aree sismogenetiche, lo studio della loro sismicità storica e recente, dell'assetto tettonico e geologico, definire la pericolosità sismica del territorio in base alla quale adottare adeguate misure di prevenzione che possano ridurre gli effetti dei terremoti.
I modelli più semplici, stabiliti negli anni '80, si fondavano sul ciclo regolare con la ripetizione di episodi sismici simili (si parla di "terremoto caratteristico") ad intervalli di tempo costanti (si parla di ricorrenza o di periodo di ritorno).
Tale modello sembra funzionare in alcuni casi, ma esistono circostanze più complesse. Da un lato, il terremoto non assorbe necessariamente tutta la deformazione accumulata. Dall'altra parte, le leggi di frizione sul piano della faglia sono abbastanza complesse da immaginare che possano variare durante i vari cicli, ad esempio aumentando se il sisma si fa attendere o, al contrario, diminuendo se la scossa è stata particolarmente violenta.
Questi meccanismi di retroazione positiva portano ad immaginare l'esistenza di lunghi periodi di quiescenza (significa che la faglia è bloccata da una frizione così forte che si rinforza con il passare del tempo), seguiti da sciami sismici di varia entità. Solo dopo un periodo di tempo abbastanza lungo, accumulando molti cicli sismici differenti, lo spostamento sarà comparabile alla velocità a lungo termine delle placche tettoniche.
La procedura si fonda sulla nozione di "periodo di ritorno". Attraverso la storia è possibile avere un'idea delle ricorrenze sismiche, ma anche attraverso lo studio di epoche preistoriche, chiamato paleo-sismicità (diversi millenni).
Nel caso di una recidiva stabile di un terremoto caratteristico stabilita su più cicli, è possibile prevedere che il sisma successivo si avvicinerà al terremoto caratteristico e si verificherà al termine del periodo di ritorno.
Qui si parla di previsione a lungo termine, tutt'altro che precisa. L'esempio della faglia di Parkfield (California) dimostra che vanno considerati anche questi ampi intervalli di incertezza.
In tutti gli altri casi, la previsione si limiterà ad identificare la localizzazione e l'estensione dall'area bloccata che accumula deformazione, così come la quantità di deformazione accumulata nel tempo in questa zona, ma non consentirà di formulare alcuna ipotesi sull'entità e la data del prossimo sisma.
La ricorrenza a lungo termine dei terremoti può essere valutata statisticamente, su scala regionale, senza conoscere il ciclo sismico di ciascuna faglia. La distribuzione del numero di terremoti che superano una data magnitudo segue una legge statistica denominata "di Gutenberg-Richter", fondamentale per il calcolo del rischio sismico a lungo termine, che stabilisce che un'unità di magnitudo supplementare divide per dieci il numero di terremoti.
Questa legge permette di prevedere, teoricamente, il possibile verificarsi (periodo di ritorno) di eventi di magnitudo elevata (spesso poco documentati) a partire dalla conoscenza, misurata con più precisione, degli eventi più piccoli.
Ma tale distribuzione è ottenuta supponendo che il tasso di sismicità sia costante e che la magnitudo di ciascun episodio sismico sia indipendente da quella dei terremoti precedenti: si tratta di un'approssimazione oggi ampiamente rimessa in discussione.
Infine, la definizione di una magnitudo massima per una data regione, resta molto dibattuta: si tratta di un'ulteriore difficoltà per determinati valutazioni del rischio sismico, incluse le aree a rischio speciale in Francia. La previsione a breve termine (qualche giorno), invece, resta impossibile finché non si dispone dei mezzi per identificare e osservare i meccanismi precedenti che innescano la rottura.
Ogni terremoto è seguito da scosse di assestamento, altri episodi sismici di magnitudo solitamente inferiore a quella iniziale, che colpiscono dei segmenti o asperità della faglia principale, oppure delle faglie vicine. Tali scosse sono innescate da un aumento delle pressioni statiche o dinamiche e dall'indebolimento transitorio delle faglie interessate.
Il tasso di sismicità di queste repliche decresce inversamente al tempo trascorso dal sisma (legge di Omori) e la magnitudo della scossa di assestamento principale è, in media, inferiore di circa una unità a quella della scossa principale.
Come in tutti i terremoti, anche le repliche obbediscono alla legge di Gutenberg-Richter. Ancora una volta, queste leggi statistiche ben note sulla correlazione spazio-temporale tra i terremoti permettono delle previsioni probabilistiche affidabili, ma necessariamente imprecise per quanto riguarda il luogo, la magnitudo e il periodo di repliche più importanti.
È possibile (benché raro) osservare repliche di magnitudo equivalente a quella della scossa principale: in questo caso si parla di sciame sismico, una sorte di effetto "domino" tra un segmento di faglia e l'altro. Si possono anche osservare, in casi molto rari, delle repliche di magnitudo superiore. In tal caso si parla di precursore sismico per distinguere il sisma iniziale.
In generale, diversi studi hanno dimostrato statisticamente, ma anche con approccio deterministico, che il verificarsi di uno sciame sismico porta ad un aumento netto delle possibilità di altri episodi sismici violenti nelle vicinanze. Probabilità il cui valore resta comunque inferiore al 10% per il mese seguente, quindi difficile da sfruttare per eventuali allerte.
Il meccanismo di rottura è caratterizzato quindi da un'ampia variabilità per diversi motivi legati al processo d'iniziazione della rottura (detto nucleazione), alla complessità delle faglie, all'eterogeneità dello stress accumulato, o alle proprietà di frizione della faglia che variano con il tempo e la velocità degli spostamenti.
Inoltre, ora sappiamo che l'innescarsi della rottura sismica è molto sensibile alle sollecitazioni statiche e dinamiche dovuta ad altri sismi, anche a grandi distanze (diverse migliaia di chilometri), la nozione di "distanza di innesco" è relativa all'entità della sorgente sismica.
Dunque la nozione di terremoto caratteristico è stata messa da parte in favore di modelli di rottura più complessi caratterizzati da cicli variabili (per durata e magnitudo), ai quali si aggiungono anche i cosiddetti "mega terremoti" (superquakes) senza che si sappia con esattezza se questi rientrino nelle legge di Gutenberg-Richter e facciano parte di un "super-ciclo" o meno.
Le misure geodetiche e sismologiche permettono da una quindicina di anni di mappare l'accoppiamento inter-sismico tra grandi placche (solitamente nelle zone di subduzione) e di stabilire quali sono le aree bloccate (e quindi più soggette a rotture durante un terremoto di grandi dimensioni).
Ma anche le zone in cui l'accoppiamento è più debole (o nullo) sono monitorate. Queste infatti modificano il tasso di spostamento e la valutazione del ciclo sismico. Inoltre, è importante individuarle perché possono fungere da "barriera" nella propagazione della rottura sismica.
Infine, alcuni episodi di slittamento lento (chiamati terremoti lenti o "slow slip events", più lenti dei terremoti classici, ma più veloci del movimento secolare delle placche) sono stati osservati in diverse zone di subduzione.
Questi eventi, a volte, sono equivalenti a terremoti di magnitudo 7.5. Il loro contributo al ciclo sismico è difficile da stimare perché dipende dalla loro capacità di rilasciare tutte o parte delle tensioni accumulate e quindi di ritardare il sisma successivo o ridurne la magnitudo oppure, al contrario, preparare il campo ad una rottura successiva, laddove avviene lo slittamento lento, o ancora ad innescare una rottura in un segmento adiacente dovuta all'aumento di tensioni.
Tutto questo rende ancora più difficile prevedere il verificarsi di grandi terremoti a breve termine, a meno che non si riesca ad individuare le fasi d'iniziazione della rottura sismica in modo che diventino dei marcatori. È difficile perché, a differenza dei meteorologi che dispongono di misure eterogenee (profili temperatura, pressione, igrometria) che permettono di prevedere il tempo, i sismologi non hanno a disposizione dei sensori posizionati all'interno della crosta terreste. Tutte le misurazioni si ottengono dalla superficie e soltanto in modo indiretto riescono ad informare gli scienziati su quanto accade nelle profondità della terra.
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