lunedì 28 marzo 2016

PAGNONA

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Pagnona è un comune situato nell'Alta Val Varrone

I primi insediamenti lungo le boscose pendici del monte Legnone hanno origine antichissima: risalgono alla medio-tarda età del bronzo. A testimoniare la presenza di questi primi abitatori furono i ritrovamenti di un'ascia di bronzo databile intorno al XVI secolo a.C. (Questi reperti sono oggi l'unica testimonianza della civiltà celtica nella valle) e di una scure di analogo materiale risalente con ogni probabilità all'VIII secolo a.C. Oltre al ritrovamento di questi due cimeli, avvenute tra il 1883 e il 1885, furono rinvenute alcune suppellettili in ferro e ceramica di chiara fattura celtica, costruite tra il IV e III secolo a.C. che provano la presenza dei Celti Lepontici nella valle.

Il paese sorge sul versante meridionale del Monte Legnone, posto a 850 metri di altitudine, nei pressi scorrono due torrenti, il Varroncello a est ed il Varrone a sud. Comune in provincia di Lecco, fa parte della Comunità Montana della Valsassina, Val Varrone, Val d'Esino e Riviera, è uno dei sei borghi della Val Varrone, confina a est con Premana, a ovest con Tremenico, a Nord con Colico e con la provincia di Sondrio. La superficie del territorio comunale e pari a Kmq 8,96. Grazie alla sua posizione geografica gode di un clima mite, infatti nella stretta gola della valle il paese è protetto su due versanti dalla catena del Legnone, su di un terzo dalle cime della muggiasca, l'unico sbocco è rappresentato dal fondo valle che si apre sul lago.

All'ingresso del paese, sulla sinistra, si entra in Via Torre, dove ancora si può intuire la struttura di un antico Forte.
Fino alla fine del 1800, era considerata frazione del paese, in quanto divisa dallo stesso da un ampio vallone, ora ricoperto dalla strada. All'inizio di Via Centrale, sulla destra, sorge un'edicola, forse la chiesa di S. Michele, citata nel 1200 da Goffredo da Bussero.
Proseguendo, si entra all'interno fra strette viuzze e ripide scalette, si possono vedere case del periodo medievale. Del 1600, sono portali antichi e vari affreschi. Paride Cattaneo della Torre, nella sua "Descritione della Valsassina" annota come a Pagnona vi sia un'alta torre circondata da una gran muraglia, fatta costruire nel 1150, al tempo delle "maledette fazioni tra Guelfi e Ghibellini".
Tuttora visibile, è stata completamente ristrutturata e adibita a casa d'abitazione. Anche la Chiesa, posta in posizione isolata, in basso a ovest dell'abitato, è di origini medievali. Paese nativo di Giovanni Maria Tagliaferri (1809 - 1879), incisore e pittore, capostipite di una dinastia di artisti, prolungatasi fino agli anni '60 del secolo scorso.

La chiesa dedicata a Sant' Andrea apostolo, è stata costruita nel 1200 circa, a margine del paese, dove si trova tuttora. Era allora una chiesetta con il pavimento lungo circa 11 metri e largo circa 7, di modestissime dimensioni, ma sufficientemente grande per la popolazione di allora. L'antica struttura, fu consacrata da San Carlo Borromeo nel 1566. Non completa in tutte le sue parti, mancavano, infatti, elementi essenziali come il battistero, il tabernacolo, il campanile, che fu costruito soltanto nel 1665. Le campane erano collocate su pilastrelli, non se ne conosce però nè il numero nè le dimensioni. Solo nel 1831 si hanno notizie quasi certe sulle campane. Pare infatti che ve ne fossero tre, due di queste consegnate poi allo stato il 19 novembre del 1942 per le fabbricazioni di guerra, vennero in seguito restituite ma una di queste tornò a casa in venti pezzi, (proprio quella che fra tutte pare avesse un suono melodioso), così almeno ricordano alcuni anziani del paese. Si tentò anche di rifonderla, ma questa operazione non ebbe successo. Le attuali cinque campane fuse dalla ditta Achille Mazzola di Valduggia (Vercelli), furono consacrate il 27 agosto 1956 da S. E. Rev. ma Mons. Sergio Pignedoli.
Nel 1763 venne costruita la sacrestia e nel 1770 l' altare maggiore.
Nell' anno 1902 vi furono due avvenimenti che modificarono in meglio la chiesa di S. Andrea. Il 12 dicembre di quell' anno fece la sua comparsa la luce elettrica.
Risale invece al 24 dicembre 1927 l' inaugurazione dell' organo, donato dall’allora parroco don Giuseppe Rattini.
É il 1940 quando viene costruita la tribuna.
Il tesoro conserva notevoli testimonianze della storia della chiesa, fra cui una Croce processionale tardogotica e un'altra cinquecentesca, un calice e una pisside pure cinquecenteschi, diverse oreficerie sacre fra XVII e XIX secolo e un servizio di paramenti e altri arredi secenteschi di provenienza veneziana.
S. Carlo Borromeo, nella Visita Pastorale del 1566, lasciò come ricordo a Pagnona il proprio piviale che, ancora oggi, si conserva. Questo piviale, in occasione del quarto centenario dell'ingresso del Santo Pastore nella Diocesi Milanese, passò di parrocchia in parrocchia.
L'altare di S. Carlo, a sinistra, presenta la pala (Madonna col Bambino e i SS. Carlo, Giovanni Battista e Ambrogio), esemplata su un dipinto del Talpino di uguale soggetto; la struttura secentesca con Angeli lignei reggicandelabro; il paliotto in cuoio, opera siglata e datata 1752 di Giovanni Battista Tagliaferri, probabile avo della celebre famiglia di pittori pagnonesi attivissimi fra Otto e Novecento come decoratori delle chiese lombarde. Sono perdute le Storie di S. Carlo già laterali, mentre si conserva un altro paliotto in cuoio forse riconducibile al Tagliaferri. Una tela secentesca collocata sulla parete destra, raffigurante S. Lucia con offerente e nella lunetta Madonna col Bambino e i SS. Rocco e Sebastiano, è forse di provenienza veneta. L'altare, barocco, in parte rifatto nel 1953, venne consacrato insieme con la chiesa dal Vescovo Missionario Mario Civelli il 19 settembre 1954. Possiede un bellissimo quadro della Madonna Addolorata della Scuola del Dolci di Venezia, dono dei pagnonesi residenti in quella città; possiede pure una bellissima pianeta donata, almeno si dice, dalla moglie di un Doge di Venezia.
Durante il periodo della  della Repubblica Cisalpina venne asportata una lampada e otto candelieri in argento massiccio.

Da ricordare è la Festa Patronale della Madonna Addolorata che si svolge ogni anno la terza domenica di settembre.


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venerdì 25 marzo 2016

L'ANNUNCIAZIONE DI MARIA



« E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. »
(Vangelo secondo Giovanni, I,14)
L'Annunciazione della Beata Vergine Maria è l'annuncio del concepimento verginale e della nascita verginale di Gesù che viene fatto a sua madre Maria (per il Vangelo secondo Luca) e a suo padre Giuseppe (per il Vangelo secondo Matteo) dall'arcangelo Gabriele.

La tradizione della Chiesa è unanime nel riconoscere nell'annuncio dell'angelo a Maria, e nella sua docile accoglienza, l'inizio della storia della definitiva ed eterna alleanza in quanto momento in cui "il Verbo si fece carne". L'Eterno attraversa le soglie del tempo e si fa storia. La missione di Gesù comincia già nel grembo della madre, come testimonia il vangelo della Visitazione in cui il bambino nel grembo di Elisabetta, la cugina di Maria, sussulta di gioia e la stessa Maria si lancia nel canto del Magnificat, che è un canto di vittoria.

Il distacco del cristianesimo dalle altre religioni avviene infatti proprio nel mistero dell'Incarnazione: in nessun altro credo è concepito un Dio che assume in sé la natura umana e la fa propria, con l'unica differenza della assenza di ogni forma di peccato. La nascita e poi la vita pubblica di Gesù daranno piena attuazione alla sua missione, fino al suo compimento nelle vicende pasquali. Ma tutto nacque dal 'fiat' di Maria; ne è dimostrazione che il Gesù risorto è lo stesso di quello pre-pasquale, come Egli stesso tiene a dimostrare nelle apparizioni agli apostoli. È al momento dell'Annunciazione, e non nella Risurrezione, che si verifica l'unione ipostatica definitiva tra natura umana e natura divina in Gesù Cristo.

Nell'Antico Testamento, Dio aveva parlato ai patriarchi, ai profeti e ai sapienti; con l'Annunciazione si rivolge ad una giovane donna. Il breve passo evangelico di Luca è un condensato di testimonianze: l'umiltà della scena, una giovane e povera fanciulla in una città secondaria di una terra di provincia, la Galilea, fa da contrasto alle promesse dell'angelo, espressioni della forza e della manifestazione di Dio. Contrasto che sarà compreso dalla stessa Maria, e di lì a poco esaltato nel canto del Magnificat. Espressioni e manifestazioni di Dio peraltro tutte care alla teologia dell'Antico Testamento; in questo modo, l'autore vuole evidenziare che la vicenda di Gesù si inserisce fin dall'inizio in quella storia di salvezza già cominciata con l'antico Israele, e lo fa considerandola nella sua interezza: dai patriarchi (Giacobbe), all'esperienza dell'Esodo (l'ombra che richiama la nube quale segno della presenza di Dio nel deserto), all'epoca dei re (il trono di Davide), fino alla recente, per quel tempo, tradizione apocalittica (con la tipica espressione 'Figlio di Dio').

Alcuni autori hanno visto un parallelo tra il racconto della nascita di Samuele nell'Antico Testamento (raccontata nel Primo libro di Samuele) e il racconto dell'annunciazione e della nascita di Gesù elaborato da Luca.

Il 'fiat' di Maria richiama l'"eccomi" delle figure più importanti dell'Antico Testamento: Abramo, Mosè, Samuele, ed altri; Profeti e uomini di Dio che seppero riconoscere la volontà e il piano di Dio, e poi perseguirlo. La docilità alla parola del Signore era diventata un messaggio fondamentale nella predicazione dei Profeti, i quali denunciarono una religione basata sulla pratica dei soli sacrifici prescritti.

Gesù stesso riprenderà questa istanza nella sua predicazione: "Non chiunque mi dice 'Signore, Signore' entrerà nel Regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio" (Mt 7,21), e la interpreterà personalmente fino alle estreme conseguenze.

I Padri della Chiesa e i grandi maestri spirituali di tutti i tempi hanno così visto in Maria non solo la persona che ha permesso il concreto iniziare della definitiva alleanza, ma anche un modello di fede per ogni credente. Come Abramo era stato il padre della fede per l'AT, credendo alla promessa del Signore di riservargli una discendenza numerosa nonostante la tarda età, è ora Maria a credere ad una discendenza benedetta nonostante una sua esperienza personale e contesto sociale che contrasti con questo, anche se per motivi opposti a quelli di Abramo. E come il sì di Maria ha permesso a lei di generare Gesù nella carne, così il sì di ogni credente dovrà condurre Cristo nella sua vita, anche fisica e concreta. Il cristianesimo non è la religione dei pensieri, ma delle scelte di vita che determinano cambiamenti nella dimensione sia della mentalità che della conduzione materiale dell'esistenza.

L'opinione che la fa risalire all'età apostolica si può scartare senz'altro (elle ne s'appuie sur aucun argument sérieux, Cabrol); e si possono scartare allo stesso modo, perché apocrifi, altri testi dal sec. III al IV, mentre anche nei secoli IV e V non ne troviamo menzione esplicita anche là dove sarebbe stato naturale parlarne. Eppure alcuni fatti, alcune fonti letterarie e induzioni plausibili da altre testimonianze e documenti permettono di affermare che la festa dell'Incarnazione, almeno in alcune località, era celebrata fin da quel tempo. A renderla popolare contribuì senza dubbio la condanna di Nestorio e l'esaltazione della Vergine come madre di Dio (ϑεοτόκος) fatta nel concilio di Efeso nel 431. Ma, poiché la festa cadeva in Quaresima, ed essendovi divergenze circa la data precisa, nella Spagna il decimo concilio nazionale di Toledo trasportò la festa all'epoca dell'Avvento, il 18 dicembre. E la concezione rigida, secondo la quale non si dovevano celebrare feste in Quaresima, perdurò, oltre che nella liturgia mozarabica della Spagna, anche nel rito ambrosiano, che dedica alla Vergine la sesta domenica del proprio Avvento, forse nei riti di Aquileia e di Napoli; nella liturgia nestoriana. Anche varî testi liturgici dimostrano che anticamente tra la festa dell'Annunciazione e l'Avvento i rapporti furono assai stretti. Ma già il concilio in Trullo (Costantinopoli 692) aveva stabilito che l'Annunciazione si celebrasse in Quaresima: papa Sergio (687-701) dispose che nelle quattro feste della Vergine si compisse una processione solenne.



La Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa celebrano questo evento il 25 marzo (per la Chiesa ortodossa il 25 marzo del calendario giuliano cade il 7 aprile del calendario gregoriano) di ogni anno. La liturgia che celebra la solennità dell'Annunciazione del Signore viene rinviata se coincide con una domenica di Quaresima o altre solennità del tempo pasquale.

In molte nazioni (per esempio in Toscana fino al XVIII secolo) al giorno dell'Annunciazione era fissato il capodanno, per cui il sistema di calcolo degli anni era detto Stile dell'Incarnazione).

Come ogni data relativa agli eventi dell'infanzia di Gesù, anche quella del 25 marzo per l'Annunciazione è stata stabilita in riferimento a quella del Natale, e quindi, come questa, è stata indicata solamente dalla tradizione della Chiesa, mancando al riguardo riferimenti precisi nei Vangeli. Quale momento del concepimento, l'Annunciazione è stata simbolicamente collocata nel giorno al 9º mese prima del Natale, e questo avvenne presto dopo l'istituzione della festa del Natale e la sua collocazione al 25 dicembre, che avvenne in Occidente intorno alla metà del IV secolo d.C. (in Oriente alla fine dello stesso secolo).

Tale collocazione ha anche però un valore teologico e liturgico: l'Annunciazione, quale momento storico dell'inizio dell'Incarnazione e quindi della storia della salvezza, viene così a cadere nello stesso periodo in cui la tradizione ebraica poneva l'inizio del suo anno religioso, cioè nel mese di nisan (marzo/aprile), e fino all'Alto Medioevo proprio il 25 marzo segnava l'inizio del ciclo liturgico annuale del cristianesimo, poi spostato allo stesso Natale ed infine all'Avvento, ma anche l'inizio del calendario civico (come ad esempio in Firenze). Questo fatto fu favorito anche dalla coincidenza con importanti ciclicità astronomiche: infatti, se la collocazione del Natale fu volutamente fatta coincidere con il periodo del solstizio invernale, l'Annunciazione viene così a cadere in quello dell'equinozio primaverile.

Dal punto di vista liturgico, la ricorrenza dell'Annunciazione è una solennità, e contrariamente a quanto comunemente si reputa, è una festa del Signore, e non di sua madre Maria. Secondo il calendario liturgico cattolico occidentale, il 25 marzo cade spesso nel tempo di Quaresima; in alcuni anni, invece cade nella Settimana santa o nell'Ottava di Pasqua. Succede quindi non di rado che la solennità dell'Annunciazione sia rinviata, o perché deve cedere il posto a una domenica di Quaresima (e in tal caso, è spostata al giorno successivo, lunedì 26 marzo, come è accaduto nel 2007 e nel 2012), o perché, dato che la Settimana Santa e l'Ottava di Pasqua prevalgono sull'Annunciazione, la solennità viene rimandata al lunedì dopo la Domenica in albis (come nel 2008, spostata a lunedì 31 marzo, o nel 2002 e 2013, spostata a lunedì 8 aprile).

Forse nessun altro passo biblico o altra verità teologica ha trovato tanta eco nella tradizione di preghiera del popolo cristiano, almeno nella sua componente cattolica.

Il dialogo e la storia dell'Annunciazione costituiscono l'inizio e il motivo di fondo dell'Ave Maria, da quasi un millennio tanto diffusa nel cristianesimo cattolico quanto lo stesso Padre nostro.

L'Annunciazione è anche il primo dei 20 misteri che costituiscono la preghiera del Rosario, nel quale sono meditati, attraverso la preghiera alla SS. Madre, i Misteri della vita di Gesù Cristo, principalmente, e della stessa Maria, a cominciare, appunto, dall'Annunciazione.

L'Annunciazione costituisce invece completamente da sé la preghiera dell'Angelus, tradizionalmente recitata allo scoccare del mezzogiorno, ormai assunta a forma di preghiera pubblica dagli stessi Pontefici la domenica mattina in Piazza San Pietro a Roma, preceduta da brevi meditazioni sui fatti di cronaca e vita contemporanea.

L'annunciazione è stato nei secoli un soggetto molto utilizzato dai pittori. Tipicamente vi sono rappresentati Maria e l'angelo alle due estremità dello spazio della rappresentazione, rivolti l'uno verso l'altro. L'angelo può essere ancora in volo, o appena atterrato (Leonardo da Vinci lo dipinse mentre ripiega le ali), oppure essere stante davanti a Maria, o inginocchiato o al passo. Talvolta ha una mano sollevata col gesto della benedizione, che nella tradizione bizantina più antica significava invece il gesto di prendere la parola. In ogni caso è tipico l'attributo del giglio bianco, simbolo di purezza verginale, portato a Maria. Talvolta sono rappresentate anche le parole dell'Ave Maria, come lettere che gli escono dalla bocca o come cartiglio scritto che l'angelo regge in mano.

Maria è spesso rappresentata seduta, magari interrotta dalla lettura, talvolta con le braccia incrociate in senso di accettazione e umiltà, talvolta inginocchiata o in piedi, talvolta mentre si protende verso l'angelo, magari a raccogliere il giglio che le viene porto, simboleggiando quindi ancora l'accettazione. Più raro, ma non inconsueto, è invece un moto di sorpresa e magari di ritrosia della Vergine, colta all'improvviso dall'annuncio divino.

Spesso viene rappresentata alle spalle di Maria la sua stanza da letto, magari visibile da una porta socchiusa: le lenzuole sono sempre ben tese e tutto è in ordine, a simboleggiare la purezza virginale delle abitudini di vita della donna, mai funestate da "incontri" nella sua camera da letto. A tale contingenza di vita si può riferire anche la rappresentazione di un piccolo giardino recintato, l'hortus conclusus.

Un terzo elemento ricorrente, ma non sempre presente è quello della colomba dello Spirito Santo che può irrompere nella stanza, diretta verso Maria, e che simboleggia l'arrivo dello Spirito e quindi il concepimento di Gesù. A volte dietro la colomba sta Dio, che la invia,o più raramente egli invia lo stesso arcangelo. Rara è la preparazione dell'angelo prima del suo invio sulla terra, che compare ad esempio in una tavola di Paolo Uccello. Tra le altre rappresentazioni simboliche accessorie può esserci la presenza, magari sullo sfondo, magari in un elemento decorativo della stanza, di Adamo ed Eva, il cui peccato si avvia ad essere lavato tramite l'accettazione di Maria e il futuro sacrificio di Cristo.

A partire dal Cinquecento l'allineamento classico delle figure inizia ad essere scompaginato verso rappresentazioni più nuove e dinamiche. Originalissima, in questo senso, appare l'Annunciazione di Recanati di Lorenzo Lotto, dove la Vergine è rivolta allo spettatore e l'angelo appare alle sue spalle, in profondità: aprirà la strada a tutte le originali soluzioni del Seicento.

In epoca più moderna si è giunti a rappresentazioni anche più complesse: per Dante Gabriele Rossetti Maria è un'adolescente impaurita dall'apparizione luminosa di un angelo che non è raffigurato direttamente sulla tela.

L'annunciazione non va confusa con una rappresentazione simile, ma di significato diverso, quale l'annuncio di morte a Maria. Gabriele in quel caso si trova a tornare dalla Vergine, questa volta però non le porge un giglio, ma una palma del martirio. Presente solo nei cicli mariani più estesi, questa scena si differenzia dunque per la diversa offerta a Maria e non va confusa con la vera e propria "annunciazione".

Di frequente l'Annunciazione si svolge sotto un portico, chiuso nel fondo da una balaustrata marmorea, oppure aperto per mezzo di arcate su giardini fioriti o su interni architettonici sontuosi. E libera circola l'aria e la luce nell'Annunciazione di Leonardo da Vinci, senza architetture superflue alla vita misteriosa della natura. Ma dal Quattrocento in poi è inutile classificare, per tipi a cui gli artisti si attengano, questa e altre rappresentazioni, mentre ogni grande maestro vi adatta al proprio genio e al proprio temperamento i dati iconografici trasfigurandoli nella propria arte. Lo provano alcune fra le tante rappresentazioni più celebri e più diverse tra loro: l'Annunciazione di Donatello in S. Croce a Firenze; quelle del Pinturicchio nella Collegiata di Spello, del Tiziano in S. Salvatore a Venezia, di Orazio Gentileschi nella Pinacoteca di Torino. Citiamo poi tra le più note annunciazioni di maestri stranieri, quelle dei fratelli Van Eyck a Gand, di Stephan Lochner nel duomo di Colonia, del maestro di Flémalle al Prado di Madrid, di Ruggero van der Weyden al Metropolitan Museum di New York e, tra le Annunciazioni di pittori moderni, quelle di D.G. Rossetti alla Tate Gallery di Londra e di M. Denis. (V. tavole C I - CX).

Una tradizione antichissima identifica la casa di Maria, in cui avvenne l'Annunciazione, con la grotta che oggi si trova nella cripta della Basilica dell'Annunciazione a Nazaret. La casa era costituita da una parte scavata nella roccia (la grotta) e una parte costruita in muratura. Quest'ultima rimase a Nazaret fino alla fine del XIII secolo, quindi venne trasferita prima a Tersatto (Trsat, Croazia) e dopo a Loreto, nelle Marche, in quanto la rioccupazione della Terrasanta da parte dei musulmani faceva temere per la sua conservazione.

Secondo la tradizione, essa fu miracolosamente portata in volo da alcuni angeli (perciò la Madonna di Loreto è venerata come patrona degli aviatori). Dai documenti dell'epoca risulta che in realtà il trasporto, avvenuto per nave tra il 1291 e il 1294, fu opera della famiglia Angeli Comneno, un ramo della famiglia imperiale bizantina. La Santa Casa, come essa è chiamata, si trova tuttora all'interno della Basilica di Loreto, ed è continuamente visitata da numerosi pellegrini.



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giovedì 24 marzo 2016

IL PASSO DEL MALOJA

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Il passo del Maloja è un importante valico stradale svizzero delle Alpi Retiche occidentali.

Il toponimo "Maloggia" deriverebbe dall'antichissima radice mal, che indicherebbe un luogo posto in alta quota, mentre secondo altri deriva dal termine dialettale maloss, che indica l'ontano, una pianta molto diffusa nella zona.

Il passo della Maloggia fu sicuramente frequentato fin dall'antichità, ma fu con i Romani che acquisì importanza commerciale nei traffici verso le terre germaniche, anche se la vicinanza con l'altrettanto storico passo del Settimo (Pass da Sett) ne condizionò in parte il volume di traffico.

Restato sempre sotto il controllo elvetico, mantenne la propria importanza commerciale fino all'apertura del moderno tracciato, insieme a quello dello passo del Giulia, nel 1826-1828; l'evoluzione dei trasporti e la loro espansione, tuttavia, gli fecero preferire poco dopo vie più agevoli e dirette, sulle quali fosse più semplice tracciare grandi strade e ferrovie. Il passo non conobbe però decadenza, in quanto legò il proprio destino al sempre maggiore sviluppo del turismo, estivo e invernale, che avrebbe fatto dell'Engadina una delle zone privilegiate e più frequentate delle Alpi.

Si trova a 1.815 m di altitudine e mette in comunicazione la Valchiavenna/Val Bregaglia con l'Engadina, unendo le due cittadine di Chiavenna e St. Moritz, distanti 50 km. Si trova nel cantone Grigioni, distretto di Maloggia.

Dal punto di vista orografico separa le Alpi del Bernina (a sud-est) dalle Alpi dell'Albula (a nord-ovest), entrambe sottosezioni delle Alpi Retiche occidentali.

L'ampia insellatura del passo si apre tra le moli rocciose del Piz Lunghin a nord e del Piz da la Margna a sud, e la sua linea spartiacque segna il limite dell'Italia geografica (entro cui è ascritta la val Bregaglia) ed il confine tra il bacino del Mediterraneo, nel quale confluiscono le acque che scendono con il fiume Mera dalla Val Bregaglia, e il bacino del Mar Nero, verso cui dirigono le acque del fiume Inn, attraversando l'Engadina. La morfologia del passo è nettamente asimmetrica: sul lato della val Bregaglia il suo fianco precipita con una parete rocciosa fino al fondovalle e la strada vi si inerpica con numerosi tornanti; sull'altro versante si trova l'ampio piano dell'alta Engadina, con i suoi celebri laghi e la strada che non presenta alcun tornante per raggiungere il passo.

Il passo della Maloggia segna il confine tra l'Italia geografica e i territori transalpini, le cui acque sono tributarie del Mar Nero. Tale confine è anche linguistico, in quanto nella val Bregaglia, situata a sud dello spartiacque alpino, si parla lombardo e italiano, mentre nell'Engadina sono diffusi il romancio e il tedesco.

La vicinanza con le località di villeggiatura dell'Engadina, distanti pochi chilometri e capaci di attirare turisti lungo tutto l'arco dell'anno, segna il carattere turistico del passo. La stessa Maloggia, la località sulla culmine, è una piccola ma attrezzata stazione turistica con negozietti, alberghi, ristoranti e infrastrutture sportive varie, sulla riva del Lej da Segl; nota nella stagione invernale per essere il "capolinea" dei percorsi fondistici che percorrono l'intera Engadina, è anche punto di partenza per escursioni alpinistiche e sciistiche verso il Piz Lunghin, il Piz da la Margna, con le sue vette adiacenti, e le cime soprastanti la valle del Forno, sul lato nordorientale del gruppo del Masino, dove si trova un grande ghiacciaio vallivo. Da Maloja, attraverso la valle e il Passo del Muretto, è inoltre possibile passare in Italia giungendo in alta Valmalenco oppure, sull'altro versante, scendere a Bivio (unico paese oltralpe a parlata italiana) transitando dal passo Lunghin.

La Maloggia è nota anche per essere stata dimora, negli ultimi anni di vita, del pittore Giovanni Segantini, che vi si trasferì nel 1894 e qui venne sepolto nel 1899, dopo la morte che lo colse a pochi chilometri di distanza, sopra Pontresina, mentre stava dipingendo. Sono aperte al pubblico per le visite la casa che il pittore abitò e l'adiacente atelier, nel quale creò alcune delle sue opere più celebri, oggi conservate al Museo Segantini di St. Moritz; è inoltre percorribile una sorta di sentiero tematico, il Segantini Weg, che transita attraverso la piana del passo su percorsi che lo stesso Segantini seguiva durante le proprie passeggiate quotidiane, sul cui tragitto si incontra anche il piccolo cimitero nel quale il pittore italiano venne tumulato.

Valli spettacolari, natura incontaminata e una strada a serpentoni tra le più celebri del mondo, il Passo del Maloja è anche il punto di accesso alla valle Engadina. Il villaggio ai piedi del passo è un'oasi dove soggiornare per godere della natura che fa spettacolo sulle rive Lago di Sils.

E' in questo luogo che si verifica uno straordinario evento metereologico conosciuto come Serpente del Maloja. Un vero e proprio serpente di nebbia che si può osservare nelle prime ore del mattino, nel periodo autunnale.
Una nube si snoda lungo i versanti delle montagne quando sul Maloja sale aria umida dalla Bregaglia che si trasforma in nuvole o nebbia, formando un enorme serpentone bianco e spesso che aleggia per aria.

Le nubi ristagnano a bassa quota fino a scomparire nelle valli quando la temperatura inizia a salire. Questo fenomeno è reso spettacolare dai raggi del sole che illuminano la parte superiore. A seconda del vento, lo spettacolare serpentone può scomparire anche in tempi rapidi.

Il serpente di nebbia del Maloja è stato ripreso nel 1924 dal tedesco Arnold Fanck che gli dedicò il documentario "Das Wolkenphänomen von Maloja". Quindi, già nel secolo scorso è stata filmata questa "apparizione nebbiosa" che oggi è assai nota e visibile nelle prime ore del mattino della stagione autunnale.


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mercoledì 23 marzo 2016

GROSIO

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Grosio è un comune della provincia di Sondrio.
Si tratta di un antico borgo nel quale sono presenti diverse testimonianze artistiche, storiche ed archeologiche tra le più interessanti a livello provinciale.

Il popolamento nella zona risale all'età del bronzo ed è testimoniato dal maggior monumento archeologico valtellinese: la Rupe Magna. Come nella più famosa e vicina Valcamonica anche qui troviamo delle incisioni rupestri.

Durante il medioevo il paese fu feudo dei Venosta. Testimonianze di questo periodo sono i due castelli che sovrastano l'abitato, il primo di fondazione vescovile, detto di San Faustino, il secondo detto castello nuovo o dei Visconti che risale invece al periodo delle lotte tra guelfi e ghibellini.

Durante il seicento il paese ebbe frequenti contatti con la Repubblica di Venezia. Molti grosini si recavano nella Serenissima per lavoro o come soldati. Il costume tipico del paese, diverso dagli altri della zona, viene fatto risalire a questo periodo e a questi contatti. Secondo le leggende deriverebbe da quello di schiave circasse, balcaniche od ottomane, comperate e poi sposate dagli abitanti di Grosio che si erano trasferiti come emigranti a Venezia. A queste origini risalirebbe anche il costume tipico delle donne, che molte grosine anziane continuano a indossare. Un'importante testimonianza artistica è la villa Visconti Venosta, ora sede del museo comunale. Nel cinquecento Grosio diede anche i natali ad uno dei più noti pittori locali Cipriano Valorsa. Altri personaggi di origine grosina furono Emilio Visconti-Venosta, ministro degli esteri del Regno d'Italia e suo fratello Giovanni, autore di Ricordi di gioventù e del poemetto satirico Il prode Anselmo. Nella storia di Grosio va anche ricordata la famosa fonderia di campane "Giorgio Pruneri", La fonderia Pruneri operò ininterrottamente dal 1822 al 1915 e dal 1949 al 1956, salvo l'apertura straordinaria del 1926 in occasione della fusione del Monumento ai Caduti di Grosio. Di questa rimane in paese la via intitolata al fonditore e le meravigliose campane della Prepositurale, oltre a molti altri concerti nel comune, in Italia e nel mondo.

Durante la Grande Guerra vennero costruite nei dintorni di Casale Lago - Vernuga delle fortificazioni per difendere la zona da un eventuale avanzata dell'esercito Austriaco.

Negli anni del Fascismo a Grosio, nell'edificio in fianco al comune chiamato "Palazzaccio", viene scritto il motto "Bisogna essere forti nel coraggio mai voltarsi indietro, quando una decisione si è presa ma andare sempre avanti"

Nell'immediato dopoguerra si è dato il via alla costruzione di importanti opere per la produzione di energia elettrica per conto di AEM, in particolare la centrale idroelettrica di Grosio con il bacino artificiale in località Fusino.

Durante la Seconda Guerra Mondiale molti grosini vennero arruolati come soldati ed inviati sui campi di battaglia in tutto il mondo: ancor oggi vi sono delle commemorazioni per gli Alpini caduti nella sacca di Nikolajewka, in Russia.

Nel luglio del 1987 l'alluvione che ha ferito la Valtellina ha lasciato il segno anche a Grosio, e gli abitanti sono stati costretti ad evacuare la zona per motivi di sicurezza.

Per valorizzare il complesso archeologico di Grosio è stato costituito il Parco delle Incisioni Rupestri, con sede nella Villa-Museo Comunale Visconti Venosta. Del castello Faustino (o vecchio) si ha notizia già in documenti del 1150, mentre il Castello nuovo risale al 1350 circa, per volontà dei Visconti Venosta ed e uno dei più rilevanti complessi della valle: entrambi svolsero un'importante opera difensiva, vista la loro posizione particolarmente strategica. Importante la visita al centro storico; vi troviamo uno tra i monumenti più rappresentativi del paese: la chiesa di San Giorgio (secolo XIII) e il suo campanile in stile romanico. In via Roma, nei pressi della parrocchiale di San Giuseppe (1626), sorge il palazzo Visconti Venosta (secolo XVI), dimora estiva dell'illustre famiglia e oggi sede del museo civico, della biblioteca comunale e del Parco delle Incisioni Rupestri.

L'artigianato locale è incentrato sull'arte del merletto che si può ammirare nei costumi tradizionali, oltreché nella lavorazione del peltro finalizzata alla produzione di oggetti artistici, monili, trofei, vassoi e piatti.

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martedì 22 marzo 2016

LE CONDIZIONI CARCERARIE NEL MONDO

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Una giusta punizione per chi si è macchiato di orrendi crimini? Forse si, ma non bisogna mai dimenticare che, qualche volta, sono detenuti in questi luoghi orribili anche persone innocenti.

Luoghi in cui la violenza è legale, così come qualsiasi violazione dei diritti umani e civili: sono le peggiori carceri del mondo, posti in cui paghi quotidianamente la tua colpa e la grande vittoria è la sopravvivenza.
Per fortuna alcune volte queste strutture vengono anche chiuse, come il carcere di San Paolo in Brasile, conosciuto come Carandiru, attivo dagli anni venti al 2002. Qui avvenne il fatto considerato tra i più gravi in termine di violazione dei diritti umani, tristemente ricordato come il massacro di Carandiru, in cui vennero uccisi e giustiziati 111 carcerati disarmati. Le guardie dissero che erano intervenuti per difesa, ma nessun poliziotto riportò delle ferite e i sopravvissuti raccontarono che molti furono uccisi a sangue freddo mentre riposavano nelle loro celle.

La prigione siriana di Tadmor è uno dei luoghi più oppressivi del pianeta. Sembra che la prigione sia stata progettata con l’intento di essere disumana. Nel 1980, il presidente Hafez al-Assad, sopravvissuto ad un attacco brutale, ordinò ai suoi soldati di uccidere ogni detenuto come rappresaglia.
Diyarbakir è un carcere della Turchia, conosciuto per essere estremamente disumano. Ha un passato oscuro e drammatico, quando venivano incarcerati anche bambini per far loro scontare la pena dell’ergastolo. La violenza di questo carcere non è dovuto ai prigionieri, ma alle guardie carcerarie.
La Sante si trova a Parigi ed è conosciuto come un luogo estremamente brutale dove numerosi detenuti si sono tolti la vita a causa delle condizioni di vita insopportabili. Anche se i carcerati non possono stare nella loro cella per più di quattro ore al giorno, proprio per cercare di limitare le violenze, questo carcere è ancora una delle peggiori prigioni del mondo.
Gitarama si trova in Ruanda ed è meglio conosciuta come l’inferno in terra. È stata progettata per contenere 500 detenuti, ma ne ospita oltre 6000. Molti prigionieri sono costretti a stare in piedi in mezzo agli escrementi, cosa che porta alla decomposizione o all’infezione dei piedi. Gli arti dei prigionieri che si infettano cominciano a marcire costringendoli a farsi amputare.
LA Sabaneta si trova in Venezuela ed è una delle prigioni più violente del mondo. Le strutture carcerarie furono progettate per ospitare circa 15.000 detenuti ma, in realtà, i detenuti sono più di 25.000. Tristemente conosciuta per i suoi episodi di violenza, come la rivolta del 1994 che ha causato la morte di 108 prigionieri o come gli scontri del 1995 con 164 morti e 624 feriti.



Alcatraz è una delle più famose prigioni del mondo. Situata sull’isola di Alcatraz, al largo della costa di San Francisco, questa prigione è stata la patria di alcuni dei criminali più pericolosi nel corso della storia. Uno di loro era Al Capone. Alcatraz ha chiuso i battenti nel 1963, a causa degli alti costi di mantenimento, nonché della sua pessima reputazione.
San Quintino è stata costruita nel 1852 ed è conosciuta come il più antico carcere della California. Nel 2006 violenti scontri portarono alla morte di 2 detenuti ed al ferimento di 100 di loro. Molti rapporti hanno evidenziato l’estrema pericolosità di questo carcere, oltre alle disumane condizioni di vita all’interno di esso.
Rikers Island di New York è diventata tristemente leggendaria per le violenze tra i detenuti. Si trova nel Bronx e le guardie carcerarie temono ogni giorno per la propria vita a causa dei comportamenti violenti a cui assistono.
Bang Kwang si trova a circa dieci chilometri da Bangkok (Thailandia) ed è soprannominata l’Hilton di Bangkok, anche se non ha nulla di un hotel. Tristemente nota per le torture inflitte ai prigionieri, questa prigione ha celle piccolissime dove vengono stipati i prigionieri, incatenati alle gambe per i primi tre mesi della pena .Lo usano come attrazione turistica, dove lasciano passare i turisti per un giorno intero per sentire quello che provano i detenuti.
A parte questo dato curioso, a Bang Kwang i carcerati si trovano praticamente tutto il giorno legati ai ceppi del letto, e non importa se non stanno bene o se sono gravemente malati, di certo le medicine non arrivano alle loro stanze. Inoltre, qui le esecuzioni sono annunciate con 2 ore di anticipo.

In Thailandia in stanzoni di 9 metri per 4 vengono accalcate anche 60 persone. I racconti ci arrivano anche e soprattutto da italiani che hanno vissuto l’esperienza del carcere thailandese per reati legati alla droga. C’è l’obbligo di inchinarsi ogni volta che passa un secondino, condizioni igieniche molto più che precarie, un piatto di porcellana e due secchi d’acqua come bagno. Oltre a questo, ovviamente, i racconti di chi c’è stato parlano di strumenti di tortura sparsi ovunque, grida disperate arrivare da qualsiasi luogo: un posto dimenticato da tutti.

Non ricevono una sorte migliore i detenuti russi, dove prigioni non sono altro che luoghi in cui il carcerato è in una situazione costante di isolamento, con sole tre visite permesse all’anno: è il caso del carcere di Medjin dove vige un regime duro, di lavoro forzato, e non c’è niente che sia rivolto alla riabilitazione del singolo.

Sconvolgente la situazione in Cina, dove con i Laogai ci troviamo di fronte ad uno dei sistemi carcerari più disumani di sempre. Le testimonianze e le denunce fatte per ciò che accade in questi luoghi, parlano di lavoro dei carcerati per 18 ore al giorno, di denutrizione usata come punizione, di pratiche snervanti di lavaggio del cervello, di torture crudeli con gli strumenti più svariati. Si parla perfino di prelievo forzato degli organi ai detenuti.
La parola orribile è decisamente un eufemismo.

Uno dei peggiori penitenziari è sicuramente il campo di Al Khiam in Libano, dove pare che sia il personale israeliano a supervisionare il carcere e ad essere colpevole di infliggere ai detenuti torture e punizioni ben lontane dalla rieducazione.

Il carcere di Evin, in Iran, è tra le peggiori carceri del mondo. I detenuti durante la rivoluzione venivano uccisi estraendo lentamente il sangue dalle loro vene, oltre ovviamente a torture orribili dedicate soprattutto ai prigionieri oppositori. In tutto il paese sono sparsi luoghi orribili che portano con sè un orrore indicibile, come per esempio le sedie affilate su cui i detenuti sono costretti a sedersi per ore e ore.

ADX SuperMax (Stati Uniti) è una prigione di una sicurezza tanto elevata che i prigionieri arrivano a diventare completamente pazzi lì dentro. Una delle regole più impressionanti è che devono stare 22 ore al giorno nelle loro celle che misurano solo 2 metri per 3 e non hanno contatti con altri detenuti.


Nairobi (Kenia) le celle sono costruite per ospitare tre persone, ma in realtà arrivano a convivere un minimo di dodici persone. Un carcere dove vige la legge del più forte e dove esistono leggi interne tra detenuti.

Una situazione diffusa a macchia d’olio in tutto il mondo, anche nel nostro paese, dove non esiste il reato di tortura e dove i casi di persone uccise all’interno di strutture dello stato sono tante, troppe.
Tantissimi gli interventi di Amnesty International e di numerose associazioni umanitarie per cambiare le cose, ma per ora i risultati sembrano essere pochi.



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lunedì 21 marzo 2016

TIRANO

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Tirano è il comune reso celebre per il suo Santuario dedicato alla Madonna di Tirano, e per essere capolinea della pittoresca linea ferroviaria Tirano-Sankt Moritz (Ferrovia del Bernina).

Sull'etimologia del nome "Tirano" gli storici e gli specialisti, in varie epoche, si sono dati battaglia e alcuni optano per “inter amnes” cioè tra i fiumi: infatti, il paese si trova tra i fiumi Adda e Poschiavino.

Fu abitata già in epoca preistorica, come dimostrano le incisioni rupestri, i pugnali del XVIII secolo a.C. e la stele dell'età del rame ora sita presso l'Antiquarium Tellino. Sulla base dei reperti ritrovati pare accertata la presenza di etruschi e celti sull'area, ma si può ad oggi a giusta ragione ritenere che il nucleo originario della città di Tirano abbia avuto origini romane e che sia sorto ai piedi del pendio di Roncaiola giungendo sino alle sponde dell'Adda già in età imperiale.

Col crollo dell'Impero, la città venne conquistata dai Longobardi e successivamente passò entro le dipendenze della Diocesi di Como. Tirano nella storia si è sempre trovata in una posizione strategica di primaria importanza, di cui si occuparono le Cancellerie di Parigi, Vienna, Venezia e Madrid. Infatti, chi possedeva il castello ed il relativo borgo fortificato possedeva le chiavi d’accesso all’Engadina, al lago di Como, all’Impero germanico ed alla Serenissima Repubblica di Venezia, i cui confini includevano la vicina Valcamonica. A Tirano il Castello del Dosso venne costruito proprio per iniziativa vescovile, e sarà alla base della contesa tra guelfi e ghibellini nel paese, fervente la rivalità tra l'influenza dei comaschi e dei milanesi sul borgo.

Dopo una breve signoria dei Capitanei di Stazzona, Tirano cadde come tutta la Valtellina sotto la dominazione dei Visconti che divennero nel contempo signori di Milano e Como. Nel 1457 anche la città venne obbligata a prestare giuramento all'effimera Repubblica Ambrosiana per poi tornare sotto il dominio ducale con gli Sforza, ai quali rimase sino al 1487 quando i Grigioni occuparono Bormio e, scendendo per la Valtellina, depredarono e saccheggiarono l'area abitata tiranese.

Ludovico il Moro fece costruire per questo motivo le mura attorno alla città di Tirano, all'interno delle quali il Duca di Milano, temendo di perdere la città e il suo territorio, si apprestò pertanto a fortificarla con la costruzione di una cerchia di mura difensive. L'architetto Giovanni Antonio Amadeo, eletto nei ranghi degli ingegneri ducali, nel 1488 si era recato a Piattamala (frazione di Tirano) per procedere al "restauro delle fortificazioni" locali, poiché il duca aveva ragione di temere della nuova politica aggressiva degli Svizzeri. Alla sconfitta degli sforzeschi, però, assieme a tutto il Ducato di Milano, Tirano passò nelle mani dei francesi che dal 1512 dovettero cederla alla Repubblica delle Tre Leghe grigioni.

Avvenimento chiave nella storia di Tirano fu la miracolosa apparizione della Madonna il 29 settembre 1504, con la successiva edificazione del santuario dedicato alla Beata Vergine, che divenne ben presto il baluardo del cattolicesimo contro la diffusione della riforma protestante promossa dalle Leghe grigionesi.

La sua vocazione commerciale si focalizza nel 1514 quando, su autorizzazione del governo grigione, nelle zone adiacenti al santuario e per più giorni si teneva la fiera di San Michele, una vera e propria fiera internazionale che durava due settimane, nella quale i mercanti erano ospitati con le loro merci nei fondaci (alcuni ancora esistenti) e dove i prodotti di Venezia, d'Austria e di Francia venivano commercializzati.

Nel 1580 il paese accolse la visita pastorale dell'Arcivescovo di Milano, San Carlo Borromeo, che trascorse nella cittadina una notte intera in preghiera al Santuario, della cui Madonna era fervente devoto e che favorì con ogni suo mezzo come già aveva fatto per un altro santuario mariano post-tridentino, quello di Corbetta (MI). Dopo pochi anni, il vescovo di Como, Feliciano Niguarda, si recò in visita pastorale a tutta la Valtellina, e dagli atti del suo viaggio si possono oggi trarre dati di rilievo per la ricostruzione delle vicende storiche del paese alla fine del XVI secolo.

Nel 1606 vennero pubblicati per la prima volta i "Capitoli novi della magnifica università di Tirano", un insieme di leggi per la regolamentazione della vita dei cittadini di Tirano, sul modello di regolamenti che similmente si erano diffusi in Svizzera, anche se i rapporti con i Grigioni si fecero sempre più aspri soprattutto per i numerosi attriti di stampo religioso che ponevano come sempre i cattolici valtellinesi in contrasto con la maggioranza protestante della Repubblica delle Tre Leghe. Il nuovo credo aveva trovato una certa diffusione presso la classe dirigente di Tirano, mentre il popolo supportava perlopiù il clero il quale temeva di perdere i propri secolari privilegi e la propria influenza sul borgo.

La posizione strategia della città di Tirano la rese importante come luogo di passaggio per gli eserciti, divenendo un punto strategico per le operazioni militari del Seicento.
Nel 1619, pertanto, venne convocato a Tirano un sinodo protestante e nel contempo se ne svolse uno cattolico a Como presso la sede della diocesi. Questo atto era volutamente provocatorio e come tale, il 19 luglio 1620, ebbe inizio a Tirano il cosiddetto "Sacro Macello di Valtellina", una vera e propria rivolta che i cattolici intransigenti valtellinesi guidarono contro i sostenitori del protestantesimo, il che costrinse anche i Grigioni ad abbandonare molti punti chiave in città ed a fare ritorno entro i confini svizzeri. Malgrado questo tentativo avesse portato ad una separazione temporanea della Valtellina dai dominatori retici, già dal 1639, con il "Capitolato di Milano", la Valtellina fece ritorno sotto il dominio dei Grigioni, i quali però riaffermarono la tolleranza religiosa verso la maggioranza di fede cattolica.

Nel Settecento Tirano rimase sotto la dominazione grigione, ma già sul finire del secolo incominciarono a sentirsi le prime avvisaglie della Rivoluzione Francese con piccole e grandi insurrezioni che interessarono l'abitato. Il 10 ottobre 1797, con l'Editto di Passariano, l'allora Generale Napoleone Bonaparte decretò l'unione della Valtellina alla Repubblica Cisalpina, sotto la reggenza di Francesco Melzi d'Eril, e dei Grigioni alla nuova Repubblica elvetica, oggi Confederazione svizzera. Fu con l'amministrazione rivoluzionaria, paradossalmente, che a Tirano si creò il primo apparato amministrativo stabile e funzionale che fece ricadere l'area del tiranese nel Dipartimento dell'Adda e dell'Oglio, migliorando anche le comunicazioni interne con la costruzione di una strada che congiungeva Colico a Sondrio.

Irreparabile si rivelò il sequestro dei beni preziosi appartenenti al tesoro del Santuario della Madonna di Tirano nel 1798, operato dalle forze francesi per il sostegno delle truppe che inviarono tali ricchezze alla capitale Milano per poi essere disperse.

A complicare la situazione, l'8 dicembre 1807 si abbatte su Tirano una calamità naturale: a causa delle molte piogge del periodo, un'enorme frana scende a valle del Monte Masuccio andando a sbarrare il corso del fiume Adda, creando una barriera di 43 metri che minaccia anche il borgo di Lovero. La disgrazia sembrava essersi fermata quando, nel maggio dell'anno successivo, con lo scioglimento della neve accumulatasi nell'area durante l'inverno, la parte alta della diga naturale creatasi con la frana cedette e scese torrenzialmente mista ad acqua sino all'abitato tiranese spazzando via vigneti, terreni coltivati, case e distruggendo il ponte di comunicazione della cittadina.

Dopo il Congresso di Vienna, la Valtellina e Tirano vennero annesse alla Lombardia e divennero parte del Regno Lombardo-Veneto del quale condivideranno tutte le sorti, godendo ad ogni modo di un periodo di florido benessere dato da una serie di opere stradali che gli austriaci compirono nell'area, potenziando la viabilità della Valtellina e fortificarono le rive dell'Adda e proteggendo il paese da possibili esondazioni. Parallelamente venne costruita una Strada Regia che segnò definitivamente la crescita del paese che si trovò ben presto al centro di nuovi sbocchi commerciali con l'area lombarda.

Effetti quasi del tutto nulli ebbero i moti rivoluzionari del 1820 e del 1848 nell'area valtellinese. Una risonanza ben maggiore ebbe invece la vittoria franco-piemontese alla Battaglia di Magenta che spinse i consiglieri comunali di Tirano, il 6 giugno 1859, a votare un documento con il quale l'area del tiranese veniva annessa spontaneamente al nuovo stato italiano, patto suggellato pochi giorni dopo dal trionfale ingresso di Giuseppe Garibaldi, già vincitore nella Battaglia di Varese.

Con la proclamazione del Regno d'Italia nel 1861, Tirano conobbe un ulteriore periodo di sviluppo, anche se a partire dalla seconda metà del XIX secolo iniziò copioso il fenomeno dell'emigrazione. Questo fatto permise comunque il raggiungimento di alcuni obbiettivi di sviluppo fondamentali, come ad esempio la costruzione della ferrovia locale che giunse agli inizi del XX secolo, e nel 1902 venne edificato il tratto Sondrio-Tirano, mentre nel 1909 nacque la tratta St.Moritz-Tirano.

Dopo i due conflitti mondiali, Tirano conobbe il boom economico degli anni '50 e '60 con un conseguente aumento del fenomeno del contrabbando data la vicinanza con le aree della Svizzera. Oggi il paese è una meta turistica per le vicine località sciistiche.

Paese situato a circa 2 km dal confine con la Svizzera, è un importante centro turistico e luogo d'incontro di diverse vie di comunicazione: si trova infatti in corrispondenza dell'intersezione tra la Strada Statale n. 38 (cosiddetta "Statale dello Stelvio") e della strada che porta al Passo del Bernina ed in Engadina ed inoltre è capolinea delle linee ferroviarie Tirano-Milano (Ferrovie dello Stato) e Tirano-Sankt Moritz (Ferrovia Retica).

Sorge a un'altitudine di 450 m ed è contornato dalle montagne: a sud le Alpi Orobie valtellinesi, a nord il massiccio del Bernina e a nord-est quello dello Stelvio. L'abitato è situato nei pressi della confluenza dei fiumi Adda e Poschiavino e delle valli in cui questi scorrono, rispettivamente la Valtellina e la Val Poschiavina, quest'ultima pressoché interamente ubicata in territorio svizzero.

Adagiata sul fondovalle, attraversata nel centro dal fiume Adda e in periferia dal Poschiavino, Tirano si è sviluppata principalmente attorno al borgo antico e alla zona di Madonna di Tirano. Giungendo a Tirano dalla bassa valle subito si viene accolti dal Santuario della Madonna di Tirano che domina la bella piazza, transito obbligato per la Svizzera.
Il Viale Italia, lungo corridoio urbano, unisce le due anime della città e conduce al centro storico che, al riparo dal traffico cittadino, sorprende per la tranquillità. La bellezza delle vie storiche non è stata intaccata dal commercio, presente in maniera di discreta.
Sul versante retico le frazioni Baruffini e Roncaiola dominano la costiera interamente coltivata a vigneto, offrendo lo scenario dei terrazzamenti candidati a Patrimonio Universale dell’Unesco, mentre la frazione Cologna, sul versante orobico, è zona di coltivazione di meli.

La parte storica, che sorge sulla riva sinistra dell’Adda è, a tratti, ancora circondata dalle possenti mura volute dal Castello di S. Mariaduca di Milano Ludovico il Moro verso la fine del XV secolo, e dominata dalle rovine della poderosa Torre del castello di Santa Maria, familiarmente detto Castellaccio, di recente restaurate.
In buono stato di conservazione sono le tre porte da cui si accedeva al borgo: la Porta Poschiavina collegante con i Grigioni e l’Engadina, la Porta Bormina verso Bormio e il passo dello Stelvio e la Porta Milanese attraverso la quale accedeva chi pervenisse dal Lago di Como o dal Passo dell’Aprica. Nel borgo è situata la collegiata di San Martino con il bel campanile in stile romanico lombardo del XV secolo, oltre a Palazzo Marinoni, anticamente convento degli Agostiniani nel XV secolo ed ora sede municipale, i Palazzi Palazzo Marinoni Quadrio, Salis, Merizzi, Visconti Venosta, Parravicini, Buttafava, Torelli (XVII- XVIII secolo). Numerose e di pregio quindi le dimore patrizie, di famiglie di conti e visconti che furono culla di uomini illustri nel campo della politica e delle scienze e che sempre si distinsero per il loro attaccamento all’Italia. Tra i “Mille” di Garibaldi vi era infatti un tiranese, Palazzo Salisnei primi governi dopo l’Unità figurava un ministro degli esteri tiranese, tra i progettisti del Canale di Suez un tiranese, un lungo elenco... E a portare il tricolore sul pinnacolo della “Madunina” durante le Cinque giornate di Milano fu un tiranese. Una posizione strategica di primaria importanza, di cui si occuparono le Cancellerie di Parigi, Vienna, Venezia e Madrid. Chi possedeva il castello ed il relativo borgo fortificato possedeva le chiavi d’accesso all’Engadina, al lago di Como, all’Allemagna ed alla Serenissima Repubblica di Venezia i cui confini includevano la Valcamonica.

Il più antico edificio di culto dedicato a Sant'Adalberto di Como è scomparso.

Il Santuario della Madonna di Tirano, che sorge nella parte settentrionale dell'abitato, è da considerarsi il monumento religioso più importante della Valtellina.

L'evento miracoloso alla base della costruzione del santuario stesso ebbe luogo il 29 settembre 1504 a Tirano, in un orto, quando la Madonna apparve al beato Mario Omodei, chiedendogli di edificare in quel luogo un tempio in suo onore. Egli fu quindi il primo promotore della costruzione del Santuario, iniziata il 25 marzo (giorno dell'Annunciazione di Maria Vergine) del 1505 e terminata nella sua parte esteriore nel 1513. Per la consacrazione della chiesa si dovette attendere sino al 14 maggio 1528 quando, completati gli interni, il santuario venne benedetto dal vescovo di Como Cesare Trivulzio.

La Collegiata Prepositurale di San Martino anticamente sottoposta alla chiesa parrocchiale di Villa di Tirano, se ne distaccò già dal 1589 con un atto siglato dal vescovo di Como, Feliciano Ninguarda, che proprio in quell'anno si recò in visita pastorale nel comune.

Fu questo, probabilmente, uno dei motivi che vede tradizionalmente contrapposti i due paesi, le cui tensioni portarono nel 1629 il vescovo di Como, Lazzaro Carafino, a concedere alla chiesa di San Martino il titolo di collegiata, stabilendo una volta per tutte il primato tiranese su quello di Villa di Tirano, malgrado le proteste della popolazione villasca.

L'origine della chiesa di San Martino è incerta: probabilmente doveva sorgere in questo stesso luogo una chiesa medioevale della quale sono rimaste alcune tracce visibili, mentre altri studi hanno riportato l'origine della struttura addirittura al VII secolo.

L'attuale impianto della struttura risale invece alla metà del XVII secolo, quando la chiesa venne completamente ricostruita dalle fondamenta, inglobando solo minime parti della precedente struttura. La facciata risale invece al 1870 ed è un progetto del celebre architetto milanese Carlo Maciachini; gli affreschi del pronao sono del pittore valtellinese Giovanni Gavazzeni.

La chiesa di Sant'Agostino è una chiesa di modeste dimensioni che si trova nella cerchia del centro cittadino, presso l'attuale Palazzo Marinoni che ne era anticamente il convento annesso. Gestita dagli agostiniani, dopo la soppressione degli ordini religiosi di fine Settecento passò al clero secolare che l'amministra tuttora.

La struttura, semplice ma raffinata, si compone di un'unica navata interna.

La struttura dell'Oratorio di San Pietro è un luogo di culto di origine medioevale che veniva utilizzato come luogo di riunione e preghiera dei Disciplini o Confratelli di San Pietro. Successivamente, l'oratorio venne dedicato a San Filippo Neri durante la prima metà del XVII secolo e i confratelli iniziarono il restauro della struttura. La struttura è composta da un locale per le riunioni, da una piccola cappella per le preghiere dei confratelli, da alcune cantine e da un deposito stabile per il grano. Di rilievo è un portale in pietra verde, che si affaccia sull'attuale via Torelli, che venne realizzato nel 1629, come riporta un'iscrizione, la quale indica anche le lettere "SD" per "Schola Disciplinorum".

Il fatto che Tirano sia stata per secoli crocevia di viandanti e di pellegrini è testimoniato dallo xenodochio di Santa Perpetua, risalente all'XI secolo, ove venivano ospitati coloro che dal milanese e da Venezia si recavano in Germania, e che ancora domina Madonna di Tirano col piccolo campanile della sua chiesetta situata sopra il santuario che vanta affreschi alto medioevali.

A poca distanza, sempre sulla stessa antica strada ma in territorio svizzero, si incontra lo xenodochio di San Romerio, costruito a 1.800 metri di altitudine su una rupe a strapiombo sul lago di Poschiavo e strettamente collegato al precedente. Fondati, pare, da nobili milanesi, i due conventi possedevano un ricco patrimonio fondiario e vennero ceduti nel 1517 al Santuario della Madonna.

La chiesa San Rocco, posta in località Rasica, si presenta agli occhi del visitatore con una forma tipicamente ottagonale e nella sua forma originale risale al Cinquecento. A proposito di questa chiesa si narra che Gian Giacomo Medici, Duca di Melegnano (il famoso Medeghino), nipote del pontefice Pio IV, durante uno dei suoi infruttuosi tentativi di impadronirsi della Valtellina, avrebbe inviato a Tirano nel 1531 un suo emissario travestito da frate per provvedere alla costruzione di un edificio a forma di chiesa che avrebbe dovuto invece fungere da fortezza. Gli abitanti, accortisi dell'imbroglio, insorsero scacciando il falso frate e portarono a compimento la struttura sul progetto di una chiesa, dedicandola al culto di San Rocco.

Palazzo Salis rappresenta un chiaro esempio di residenza nobiliare in Valtellina nel XVII secolo. Fu costruito a partire dagli inizi del Seicento da Giovanni Salis, governatore della Valtellina, partendo da un nucleo preesistente della famiglia Venosta, ed è caratterizzato nell'ampia facciata da un'impostazione tardo cinquecentesca con uno splendido portale a bugnato che riprende gli stilemi cari all'architettura toscano-medicea, realizzato su disegno di Jacopo Barozzi detto "il Vignola". Gli interni, oggi visitabili in un magnifico circuito museale di 11 sale, tutte affrescate e restaurate, mostra prevalentemente apparati decorativi di epoca barocca. In questo palazzo si ricorda anche il soggiorno di Giuseppe Garibaldi qui giunto durante le operazioni risorgimentali per la liberazione della Valtellina, e l'eroe del Risorgimento, il Conte Ing.Ulisse Salis.

La struttura oggi conosciuta come Palazzo San Michele era un tempo denominata col nome di "hostaria granda" ed era annessa al santuario mariano come luogo ove i pellegrini che vi giungevano potevano trovare ospitalità e ristoro. Successivamente divenuto casa padronale, il palazzo è costituito da un vasto cortile con due lati porticati da colonnati che si stagliano su due ordini di logge aventi archi a tutto sesto. I pilastri inferiori hanno base ottagonale.

Di origine probabilmente rinascimentale, l'attuale Palazzo Visconti Venosta - Quadrio Curzio è un elegante palazzo cittadino del centro storico di Tirano. Caratteristica è la loggia barocca centrale al palazzo che si staglia con tre aperture, la centrale delle quali è sostenuta da due eleganti colonnine sorrette da pilastrini a base quadrata, mentre sul retro le colonne sono sostituite da sculture di angeli in volo. Di grande rilievo è anche il portale di marmo bianco sottostante la loggia che fa da ingresso ad un piccolo cortile porticato ove sono ravvisabili stucchi e fregi di epoca rinascimentale.

Palazzo Merizzi fa risalire il proprio impianto originale al XVI secolo. L'ingresso è contraddistinto da due ampli portali in pietra con archi a tutto sesto di cui uno immette sul cortile d'onore realizzato quasi integralmente nel XVIII secolo. Questo ha una pianta quadrata ed è porticato da colonne e pilastri. Gli interni, contraddistinti da un gran numero di stanze con decorazioni d'epoca, presenta due famosi saloni foderati di pannelli in legno intagliato e dipinto con decorazioni in stile Luigi XIV risalenti appunto al Seicento.

Il Palazzo Parravicini è situato nel centro storico della città, nell'omonima via. La costruzione, eretta nel XVI secolo, presenta una facciata elegante ed in stile, accompagnata da un'antica fontana sul fronte e una cappella di famiglia eretta nel 1664.

Palazzo Pievani distrutto da una frana del monte Masuccio, viene ricostruito nel 1582. Il Palazzo comprende la Chiesetta di San Giacomo e il relativo campanile del XII secolo, unico sopravvissuto alla distruzione. La parte residenziale del Palazzo e la Chiesetta si affacciano sulla Piazza privata Antonio e Mario Pievani.

Palazzo Marinoni ha origini quantomai antiche in quanto, prima delle modifiche subite, era un convento di agostiniani annesso alla vicina chiesa di Sant'Agostino, appunto. Il convento venne chiuso dopo le soppressioni del giuseppinismo della fine del Settecento e venne privatizzato. Attualmente accoglie il municipio della città di Tirano.

Il Palazzo Torelli è uno dei due edifici di rilievo nell'area del tiranese di proprietà dell'antica famiglia locale dei Torelli. Questo palazzo, di stile barocco, venne voluto nel XVIII secolo dalla famiglia Misasi che a quell'epoca ne era proprietaria, per poi passare ai Torelli. Qui nacque e visse il famoso statista Luigi Torelli.

Edificata nella prima metà del XIX secolo, la Torre Torelli è un chiaro esempio della diffusione del gusto neogotico in Italia, tipico del periodo. La struttura è corredata da doccioni a forma di drago di stile medioevale.

Dopo la costruzione delle mura ludoviciane a Tirano, vennero erette anche tre porte per consentire l'accesso alla città e vennero realizzate in corrispondenza delle vie commerciali e militari di maggior rilievo. Esse sono ancora presenti nel centro storico dell'abitato e portano i nomi di Porta Milanese (in direzione di Milano), Porta Poschiavina (in direzione del torrente Poschiavo) e Porta Bormina (in direzione di Bormio).

Indicato anche come "Castello del Dosso" o "Castellaccio", il castello di Tirano è indubbiamente uno degli edifici più antichi della città. Esso è posto per ragioni strategiche in posizione dominante sull'abitato e sin dal medioevo ha svolto la funzione di principale baluardo di difesa della città e della sua vallata. Della sua storia sappiamo che esso era già presente nel 1140 quando proprietario dello stabile era il vescovo di Como, Ardizzone, che ne fece residenza per i prelati comaschi quando questi si trovavano in visita in Valtellina, e successivamente passò nelle mani della nobile famiglia degli Omodei. Smantellato dai Grigioni quando presero possesso della città, esso non venne più ricostruito e giace ad oggi allo stato di rudere.

Tipici della zona sono, oltre a formaggi e salumi, la vasta produzione di mele nelle zone sul versante orobico ed i vini (basti ricordare lo Sforzato) prodotti sui tipici vigneti a terrazzo del versante retico, dominati dalle frazioni Baruffini e Roncaiola.

Diffusa a Tirano è la lavorazione del peltro, finalizzata alla produzione di oggetti artistici, monili, trofei, vassoi e piatti.

La squadra di calcio di Tirano è l'Unione Sportiva Tiranese, che milita nel campionato regionale di Prima Categoria. Nel 2010 è stata promossa al campionato regionale di Promozione, in seguito a un ripescaggio.

Il 28 maggio 2008 ha ospitato l'arrivo della 20ª tappa (Rovetta-Tirano) del Giro d'Italia con la vittoria di Emanuele Sella.

Il 29 maggio 2010 ha ospitato il passaggio della 20ª tappa del Giro d'Italia con la vittoria di Johann Tschopp.

Il 25 maggio 2011 ha ospitato l'arrivo della 17ª tappa (Feltre-Tirano) del Giro d'Italia con la vittoria di Diego Ulissi.

Tirano offre varie strutture per il tempo libero quali cinema, biblioteca, campo sportivo, piscina, tennis, Campo sportivo, bocciodromo, tiro a segno, ma permette anche di uscire facilmente dalla dimensione cittadina intraprendendo piacevoli passeggiate tra i vigneti o lungo il fiume Adda, sulla sponda del quale si snoda la pista ciclo-pedonale del Sentiero Valtellina. Per gli amanti di escursionismo, mountain bike, alpinismo e sport invernali, la posizione strategica consente di spostarsi agevolmente per esplorare le risorse offerte dalla media e alta Valtellina, oltre che della Valposchiavo.



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LA VALGRIGNA

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La Val Grigna è una valle della Lombardia orientale, tributaria laterale della Valle Camonica e pertanto appartenente, dal punto di vista amministrativo, alla Provincia di Brescia.

La valle prende il suo nome dal torrente che l'attraversa, la Grigna (il nome è etimologicamente femminile e lo si ritrova così nel dialetto e nei proverbi). Il suo imbocco si colloca presso il comune di Esine, nella media Valle Camonica, e prosegue lungo i territori di Berzo Inferiore, Bienno e Prestine. Si conclude in testata al Passo di Croce Domini (1892 m).

La valle giace a sud del Parco regionale dell'Adamello, segnandone il confine meridionale. Dal punto di vista orografico separa le Alpi Retiche meridionali a nord dalle Prealpi Bresciane e Gardesane a sud.

Il territorio della Val Grigna è un mosaico di paesaggi multiformi come vette, pianori, versanti, conche lussureggianti di foreste, prati e pascoli. Questa zona testimonia l’inscindibile legame tra l’Uomo e le Terre alte perché qui le attività rurali si intrecciano da sempre con l’attività mineraria. Per visitare la Foresta della Val Grigna abbondano strade forestali, percorsi di bassa e media difficoltà e molteplici sentieri tematici che permettono di scoprirne i tesori. Questa terra poggia su un fragile equilibrio e, dato il grande disinteresse economico per l’ambiente montano, ha sofferto di un graduale abbandono.

Quello della Val Grigna è un territorio frequentato e abitato dall’uomo fin dall’antichità; del resto è noto che gli abitati preistorici si collocavano prevalentemente in aree montane, mentre i fondovalle e le pianure furono occupate solo successivamente. Queste montagne, sulle vie di transito e commercio tra Val Trompia, Val Sabbia e Valle Camonica erano molto frequentate.
Insediamenti mesolitici sono stati individuati sia all’interno della proprietà regionale che nelle sue immediate vicinanze. In questi siti sono state rinvenute stazioni di lavorazione della selce, materiale di base per produrre manufatti impiegati nella vita quotidiana delle antiche popolazioni che d’estate popolavano queste montagne insieme alle mandrie, per poi svernare sul fondovalle camuno o giudicariense.
In epoche successive, nell’Età del Rame (c.a 800 anni a.C.) l’area della Val Grigna fu oggetto di grandi attività estrattive. La miniera di rame di Campolungo è tra le più antiche nell’arco alpino. Alle “bocche”e porzioni sondate, agli impianti di lavaggio e siti di frantumazione scoperti dovrebbe corrisponder un vasto complesso sotterraneo sconosciuto che l’Università di Bergamo evidenzierà con sofisticati sistemi di indagine.
Miniere successive di ferro, sul margine esterno della foresta, in località Piazza Lunga, sono invece più note. L’estrazione, durata secoli, presuppone un’attiva produzione forestale: era indispensabile la carbonizzazione della legna per ottenere il combustibile necessario ai processi termici e chimici, base dell’estrazione metallifera. La fiorente industria del ferro oggi è presente nella “Valle dei magli” posta ai piedi della foresta ValGrigna, seppur come attività di nicchia: testimonianza dell’attività economica sviluppatasi un tempo su questi monti.
Con la pratica dell’alpeggio è più recente lo sviluppo della zootecnia montana. Grazie alla ricolonizzazione della montagna, dal 1600 vi sono in Val Grigna numerosi edifici d’alpe, fabbricati rurali che sono la traccia architettonica della presenza umana nelle terre alte.

Il territorio della Valgrigna offre molte possibilità di escursioni: lo spartiacque principale è attraversato dal sentiero CAI n. 80 e dal Sentiero delle Tre Valli che varca per un lungo tratto il territorio nella sua parte più elevata da nord-ovest a sud-est; a questi itinerari escursionistici si collega la rete dei sentieri che raggiungono i numerosi alpeggi e le valli limitrofe della foresta regionale, con uno sviluppo complessivo di circa 60 Km.

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ALDA MERINI



Alda Merini è stata una poetessa, aforista e scrittrice italiana.
Alda Giuseppina Angela Merini nasce il 21 marzo 1931 a Milano in viale Papiniano 57 in una famiglia di condizioni economiche modeste. Il padre, Nemo Merini, era dipendente presso le assicurazioni la "Vecchia Mutua Grandine ed Eguaglianza il Duomo" , la madre, Emilia Painelli, casalinga. Alda era secondogenita di tre figli, tra Anna, nata il 26 novembre 1926 ed Ezio, nato il 23 gennaio 1943, che la scrittrice fa comparire, sia pure con un certo distacco, nelle sue poesie. Della sua infanzia si conosce quel poco che lei stessa scrisse in brevi note autobiografiche in occasione della seconda edizione dell'Antologia dello Spagnoletti: "ragazza sensibile e dal carattere malinconico, piuttosto isolata e poco compresa dai suoi genitori ma molto brava ai corsi elementari: ... perché lo studio fu sempre una mia parte vitale".

Dopo aver terminato il ciclo elementare con voti molto alti, frequenta i tre anni di avviamento al lavoro presso l'Istituto "Laura Solera Mantegazza" in via Ariberto a Milano tentando di essere ammessa al Liceo Manzoni, ma non riesce in quanto non supera la prova di italiano. Nello stesso periodo si dedica allo studio del pianoforte, strumento da lei particolarmente amato. Esordisce come autrice giovanissima, a soli quindici anni, sotto la guida di Giacinto Spagnoletti che scoprì il suo talento artistico. Nel 1947, la Merini incontra "le prime ombre della sua mente" e viene internata per un mese nella clinica Villa Turro a Milano. Quando ne esce alcuni amici le sono vicini e Giorgio Manganelli, conosciuto a casa di Spagnoletti insieme a Luciano Erba e David Maria Turoldo, la indirizza dagli psicoanalisti Fornari e Musatti.

Giacinto Spagnoletti sarà il primo a pubblicarla nel 1950, nell’Antologia della poesia italiana contemporanea 1909-1949, con le liriche Il gobbo, datata 22 dicembre 1948, e Luce, del 22 dicembre 1949, dedicata a Giacinto Spagnoletti. Nel 1951, su suggerimento di Eugenio Montale e di Maria Luisa Spaziani, l'editore Giovanni Scheiwiller pubblica due poesie inedite dell'autrice in, Poetesse del Novecento. Dal 1950 al 1953 frequenta per lavoro e per amicizia Salvatore Quasimodo. Terminata la difficile relazione con Giorgio Manganelli, il 9 agosto 1953 sposa Ettore Carniti, proprietario di alcune panetterie di Milano. Nello stesso anno esce, presso l'editore Schwarz, il primo volume di versi intitolato La presenza di Orfeo. Nel 1955 esce la seconda raccolta di versi intitolata, Paura di Dio con le poesie scritte dal 1947 al 1953, alla quale fa seguito Nozze romane e, nello stesso anno, edita da Bompiani, viene pubblicata l'opera in prosa, La pazza della porta accanto.

Nasce in quello stesso anno la prima figlia, Emanuela, e al medico curante della bambina, Pietro De Pascale, Alda Merini dedica la raccolta di versi Tu sei Pietro, pubblicata nel 1962 dall'editore Scheiwiller. Dopo,Tu sei Pietro inizia un difficile periodo di silenzio e di isolamento, dovuto all'internamento al "Paolo Pini", che dura fino al 1972, con alcuni ritorni in famiglia durante i quali nascono altre tre figlie. Si alterneranno in seguito periodi di salute e malattia, probabilmente dovuti al disturbo bipolare, della quale hanno patito anche altri grandi poeti ed artisti quali Charles Baudelaire, Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, George Gordon Byron, August Strindberg e Virginia Woolf. Nel 2007 con Alda e Io – Favole, scritto a quattro mani con il favolista Sabatino Scia, vince il premio Elsa Morante Ragazzi. Il 17 ottobre 2007 la poetessa ottiene la laurea honoris causa in, "Teorie della comunicazione e dei linguaggi" presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Messina, tenendo una lectio magistralis sui meandri tortuosi del suo vissuto.

Nel 1979 la Merini ritorna a scrivere, dando il via ai suoi testi più intensi sulla drammatica e sconvolgente esperienza dell'ospedale psichiatrico, testi contenuti in quello che può essere inteso, come scrive Maria Corti "il suo capolavoro": La Terra Santa con la quale vincerà nel 1993 il Premio Librex Montale. Ma le pene della scrittrice continuano: il 7 luglio 1983 muore il marito, ed Alda, rimasta sola e ignorata dal mondo letterario, cerca inutilmente di diffondere i propri versi. Racconta Maria Corti che lei stessa si era recata presso i maggiori editori italiani senza alcun successo fintanto che, nel 1982, dopo aver raccontato a Paolo Mauri la sua amarezza, le offrì uno spazio sulla sua rivista per trenta poesie da pubblicare sul nº 4, inverno 1982 - primavera 1983, che, insieme a lei, aveva scelto da un dattiloscritto di un centinaio di testi; in seguito, insieme all'editore Scheiwiller, avrebbero aggiunto altre dieci liriche, e nel 1984 veniva dato alla stampa La Terra Santa.

In quel periodo la Merini affitta una camera della propria abitazione ad un pittore di nome Charles, iniziando a comunicare telefonicamente con l'anziano poeta Michele Pierri, che, in quel difficile periodo di ritorno nel mondo letterario, aveva dimostrato di apprezzare la sue poesie. Nell'ottobre del 1983 Alda e Michele si sposano e vanno a vivere a Taranto. Alda è curata e protetta dal marito, che prima di andare in pensione era un medico, ex primario di Cardiologia all'ospedale SS. Annunziata. In questo periodo, scrive venti poesie-ritratti de, La gazza ladra, probabilmente risalenti al 1985, inedite fino al volume Vuoto d'amore, oltre alcuni testi per Pierri. Sempre a Taranto porta a termine L'altra verità. Diario di una diversa.

Nel luglio del 1986, dopo aver sperimentato nuovamente gli orrori dell'Ospedale Psichiatrico di Taranto, fa ritorno a Milano ed inizia una terapia con la dottoressa Marcella Rizzo, alla quale dedica più di una poesia. Nello stesso anno riprende a scrivere e ad incontrare i vecchi amici, tra cui Vanni Scheiwiller, che le pubblica "L'altra verità. Diario di una diversa", il suo primo libro in prosa che, come scrive Giorgio Manganelli nella prefazione al testo, "... non è un documento, né una testimonianza sui dieci anni trascorsi dalla scrittrice in manicomio. È una ricognizione, per epifanie, deliri, nenie, canzoni, disvelamenti e apparizioni, di uno spazio - non un luogo - in cui, venendo meno ogni consuetudine e accortezza quotidiana, irrompe il naturale inferno e il naturale numinoso dell'essere umano" al quale seguiranno Fogli bianchi nel 1987, La volpe e il sipario (1997) e Testamento (1988). Nel 1987 è finalista nel premio letterario Premio Bergamo.
Sono questi, per la Merini, anni fecondi dal punto di vista letterario e di conquista di una certa serenità. Nell'inverno del 1989 la poetessa frequenta il caffè-libreria Chimera, situato poco lontano dalla sua abitazione sui Navigli, e offre agli amici del caffè i suoi dattiloscritti. Sarà in questo periodo che nasceranno libri come, Delirio amoroso (1989) e Il tormento delle figure (1990). Negli anni seguenti diverse pubblicazioni consolidano il ritorno sulla scena letteraria. Nel 1991 escono Le parole di Alda Merini e Vuoto d'amore a cui fa seguito nel 1992 Ipotenusa d'amore; nel 1993 viene dato alle stampe La palude di Manganelli o il monarca del re, il volumetto Aforismi, con fotografie di Giuliano Grittini e Titano amori intorno . È questo l'anno in cui le viene assegnato il Premio Librex Montale per la Poesia, premio che la consacra tra i grandi letterati contemporanei e la accosta a scrittori come Giorgio Caproni, Attilio Bertolucci, Mario Luzi, Andrea Zanzotto, Franco Fortini.

Nel 1994 vede la luce il volume Sogno e Poesia, da L'incisione di Corbetta, con venti incisioni di altrettanti artisti contemporanei. Nel 1995 viene pubblicato da Bompiani il volume, La pazza della porta accanto e da Einaudi Ballate non pagate. Il musicista pugliese Vincenzo Mastropirro musica alcune liriche tratte da "Ballate non pagate" (Einaudi editore). Sempre nel 1994 esce nelle Edizioni Melusine Reato di vita, autobiografia e poesia. Nel 1996, con il volume La vita facile, le viene assegnato il Premio Viareggio e nel 1997 il Premio Procida - Elsa Morante.

Risale al 1996 anche la pubblicazione di una libretto edito da La Vita Felice intitolato Un'anima indocile, composto da poesie vecchie e nuove, da un diario-confessione, da brevi racconti e da un'intervista fatta all'autrice. Nello stesso anno conosce l'artista bergamasco Giovanni Bonaldi col quale stringe una forte e sincera amicizia e una stretta collaborazione per la pubblicazione di diversi libri d'artista. Nel 1997 viene pubblicata dall'editore Girardi la raccolta di poesie, La volpe e il sipario, con illustrazioni di Gianni Casari, dove è più che mai evidente la tecnica della poesia spontanea in forma orale e che altri trascrivono.

Fenomeno, questo, che «pur essendo tipicamente contemporaneo, di una scelta dell'oralità a svantaggio della scrittura, è per ora unico dentro all'universo della poesia contemporanea...». Si assiste pertanto, nell'autrice, al fenomeno di un'oralità che conduce sempre più verso testi assai brevi e, infine, all'aforisma. Nel novembre dello stesso anno viene pubblicato, con le edizioni dell'Ariete, il libro, Curva di fuga e presentato da Alda Merini presso il Castello Sforzesco di Soncino, in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria alla poetessa milanese. Sempre nel 1997 Bonaldi illustra con cinque disegni una raccolta di poesie ed epigrammi della Merini dal titolo, Salmi della gelosia, stampata dalle edizioni dell'Ariete.

Un altro libro d'artista con copertina in metallo, accompagna, nel giugno del 1997, i lavori di Giovanni Bonaldi, esposti alla Galleria ArsMedia di Bergamo, in occasione della prima mostra personale dal titolo, Certificazioni d'esistenza, presentata da Riccardo Barletta, dalla stessa Alda Merini e Lucio Del Pezzo. Dal 1997 al 1999 è ospite per tre edizioni consecutive al Premio Città di Recanati in occasione del quale legge alcuni versi di Giacomo Leopardi da L'infinito. Nel 1999 le edizioni Pulcinoelefante pubblicano 21 febbraio contenente una poesia di Alda Merini e una incisione di Bonaldi con intervento tattile.



Sono questi gli anni in cui la produzione aforistica della Merini diventa molto ricca, come testimonia nel 1997 "Il Catalogo Generale delle Edizioni Pulcinoelefante", edito da Scheiwiller. I minitesti di Alda Merini risultano essere più di cinquecento. Nel 1999 in Aforismi e magie, pubblicato da Rizzoli, viene raccolto per la prima volta il meglio di quel genere. Il volume viene illustrato dai disegni di Alberto Casiraghi, amico, poeta ed editore della Merini che ha sollecitato, raccolto e accompagnato con i suoi piccoli libri "Pulcinoelefante", questa nuova vocazione. È questo il periodo in cui viene insignita del titolo di vincitrice honoris causa del Concorso Nazionale Garzanti. La collaborazione con i piccoli editori - che comprendono, oltre Pulcinoelefante, lo Zanetto, La Vita Felice, il Melangolo e altri - ha portato ad altri "minitesti" come, tra gli ultimi pubblicati, Lettera ai figli, edito da Michelangelo Camilliti per l'edizione Lietocollelibri e illustrato da otto disegni onirici e surreali di Alberto Casiraghi. Da ricordare il volume edito da l'Incisione, Alda Merini, che contiene poesie inedite della poetessa e disegni dell'artista Aligi Sassu, opere stampate su torchio in litografia e serigrafia.

Nel 2000 esce nell'edizione Einaudi, Superba è la notte, un volume risultato di un lavoro minuzioso compiuto su numerose poesie inviate all'editore Einaudi e ad Ambrogio Borsani. I versi che compongono la raccolta sono stati scritti dal 1996 al 1999. Non essendo stato possibile dare al materiale un ordine cronologico i curatori si sono basati sull'omogeneità tematica e stilistica complessiva dell'opera. Per l'editore Gabriele Mazzotta, insieme con Alberto Fiz, cura il catalogo della mostra di Giovanni Bonaldi dal titolo Il peso non dorme. Sempre in questo anno le edizioni Il dodecaedro di Leonardo di Milano pubblicano una poesia inedita di Alda Merini con una incisione di Bonaldi dal titolo Splenduisti et vocasti. Tra il 2001 e il 2002 viene pubblicato in quaranta esemplari, dalle edizioni Lo Sciamano, un ulteriore libro d'artista dal titolo Amore di carta che raccoglie cinque incisioni di Giovanni Bonaldi e nove poesie inedite di Alda Merini. Nel 2001 posa seminuda per la copertina dell'album Canto di Spine del complesso degli Altera, nel quale sono messe in musica composizioni sue e di altri poeti e poetesse del Novecento.

Nel 2002 viene stampato dall'editore Salani un volumetto dal titolo Folle, folle, folle d'amore per te, con un pensiero di Roberto Vecchioni e nel 2003 la Einaudi Stile Libero pubblica un cofanetto con videocassetta e testo dal titolo Più bella della poesia è stata la mia vita. Nel mese di giugno, presso la Galleria ArsMedia di Bergamo vengono presentati gli ultimi lavori dell'artista serinese Bonaldi Giovanni; la mostra, introdotta da Alda Merini, è accompagnata da un catalogo curato da Sara Fontana. Nel 2003, a seguito dell'inaugurazione delle opere d'arte realizzate da Bonaldi Giovanni per la Cappella dell'Oratorio della Parrocchia di Mozzo, viene presentato il catalogo delle opere dal titolo L'ospitalità dell'Arca edito da Silvana Editoriale con contributi del Cardinale, Gianfranco Ravasi, del monsignor, Carlo Chenis, Giuseppe Laras, del mons, Pierangelo Sequeri, Silvia Gervasoni, la stessa Alda Merini e Franco Bonilauri.

Nel 2009 esce il documentario, Alda Merini, una donna sul palcoscenico, del regista Cosimo Damiano Damato, presentato alle Giornate degli Autori della 66ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Il film, prodotto da Angelo Tumminelli per la Star Dust International srl di Roma, vede la partecipazione di Mariangela Melato e le fotografie di Giuliano Grittini. Dall'incontro del regista con la poetessa nasce una grande amicizia e tante poesie inedite inserite nel documentario.

Molto importante è il carattere mistico della più recente poetica di Alda Merini, che è connessa alla prima vena creativa con cui esordì e che aveva in sé una forte componente di misticismo. Ambrogio Borsani, nel volume, Il suono dell'ombra, edito da Mondadori e che rappresenta la raccolta più completa dell'opera della Merini, cita una lettera indirizzata alla giovanissima Alda da una suora in cui quest'ultima risponde a una richiesta di Alda Merini di poter entrare in convento e prendere i voti. È dall'incontro e dall'amicizia tra Alda Merini e Arnoldo Mosca Mondadori che questa «vena» viene di nuovo stimolata, e nascono una serie di libri editi da Frassinelli che hanno come filo conduttore la mistica della poetessa. Mosca Mondadori propone a Merini una serie di temi di carattere spirituale, ne raccoglie e cura i versi: il primo libro pubblicato è L'anima innamorata (2000), cui seguono testi sempre di carattere religioso, tre dei quali (Corpo d'amore, Poema della croce, Francesco, canto di una creatura), introdotti da Monsignor Gianfranco Ravasi.

Nel 2002 viene pubblicato Magnificat, un incontro con Maria, corredato da disegni di Ugo Nespolo e rappresentato nel 2006 con Valentina Cortese al Teatro Lauri Rossi di Macerata per lo Sferisterio Opera Festival, nel 2003 La carne degli Angeli, con venti opere inedite di Domenico Paladino; poi Corpo d'amore (2004) con le opere di Luca Pignatelli, Poema della Croce(2005), Cantico dei Vangeli (2006), Francesco, canto di una creatura (2007), Mistica d'amore (2008), Padre mio (2009). Di questo lavoro avvenuto tra il 1997 e il 2009 sono viva testimonianza le registrazioni, raccolte nel libro e nel documentario Eternamente vivo (Frassinelli editore, regia di Daniele Pignatelli, a cura di Arnoldo Mosca Mondadori), grazie a cui è possibile ascoltare la voce di Alda Merini mentre crea i propri versi.

Nel 2003 e 2004 viene pubblicato da Einaudi Clinica dell'abbandono con l'introduzione di Ambrogio Borsani e con uno scritto di Vincenzo Mollica. Il libro è diviso in due sezioni: la prima, Poemi eroici, che comprende versi scritti alla fine degli anni novanta, la seconda, Clinica dell'abbandono, che raccoglie i versi degli ultimi anni. Questo volume riproduce, con alcune aggiunte, il testo del cofanetto con videocassetta Più bella della poesia è stata la mia vita. Nel febbraio del 2004 la Merini viene ricoverata all'Ospedale San Paolo di Milano per problemi di salute. Da tutta Italia vengono inviate e-mail a sostegno di un appello lanciato da un amico della scrittrice che richiede aiuto economico. Sorgono numerosi blog telematici e siti internet nei quali viene richiesto l'intervento del sindaco di Milano Gabriele Albertini. La scrittrice ritorna successivamente nella propria casa di Porta Ticinese.

Nel marzo del 2004 esce l'album, intitolato Milva canta Merini, che contiene undici motivi cantati da Milva tratti dalle poesie di Alda Merini, più una traccia cd rom. L'autore delle musiche è Giovanni Nuti. Il 21 marzo, presente la stessa Merini, in occasione del suo settantatreesimo compleanno, viene eseguito un recital al Teatro Strehler di Milano, in occasione della presentazione del disco; il disco venne riproposto poi con successo nello stesso teatro per un ciclo di serate musicali nel maggio 2005, sempre con la presenza della poetessa sul palco. Durante l'estate 2004 molte sono state le iniziative sorte per far conoscere in maniera più diffusa la poesia di Alda Merini.

Muore il 1º novembre 2009 a causa di un tumore osseo (sarcoma) all'Ospedale San Paolo di Milano. Dopo l'allestimento della camera ardente, aperta il 2 e il 3 del mese, i funerali di stato sono stati celebrati nel pomeriggio del 4 novembre nel Duomo di Milano. Nel 2010 esce postumo l'album Una piccola ape furibonda – Giovanni Nuti canta Alda Merini, contenente undici brani (otto poesie inedite) e una "traccia fantasma" con Alda Merini che canta con Giovanni Nuti Prima di venire. Nel marzo 2010 il Comune di Milano appone una targa sul muro dell'abitazione della poetessa sui Navigli. Nel 2013 è omaggiata da Norman Zoia (con lei a Milano nel 1990 alla sesta rassegna internazionale di poesia) a pagina 19 di passi perversi: Nobile grazia di Venere e coraggio di Madre / dolcezza dell'umano genere / diangelo di stile".

In memoria della sua persona e della sua opera, le figlie Emanuela, Barbara, Flavia e Simonetta, hanno dato vita al sito internet www.aldamerini.it, un'antologia in ricordo della poetessa, un elogio all'"ape furibonda", alla sua figura di scrittrice e madre.


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