domenica 31 maggio 2015

IL MUSEO DELLA STAMPA A SONCINO

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A dare origine all'arte della stampa nella famiglia Soncino è Israel Nathan ben Samuel ben Moses Soncino, medico e prestatore a pegno. Spinge il figlio Joshua Solomon ben Israel Nathan Soncino ad iniziare la pratica della stampa spinto da motivazioni sia di carattere religioso legate alla diffusione dei testi sacri che economiche, come ben descritto nel colophon del primo libro edito dal figlio, il Masseket Berakot del 1483: "Tu costruirai l'edificio del mondo, innalzerai le corna della sapienza e produrrai libri mediante la stampa; in questo vi sono due utilità somme: l'una è che prestissimo se ne produrranno molti, fintanto che la terra sarà colma di sapere; l'altra che il loro prezzo non arriverà a quello dei libri scritti con la penna o con lo stilo e chi non avrà sostanze sufficienti per acquisti costosi li comprerà a vil prezzo e al posto dell'oro darà l'argento".

La tradizione ha sempre indicato in una tipica struttura a torre trecentesca la casa degli stampatori ebrei “Soncino” posta nel quartiere di Nord-Est del Borgo abitato un tempo dagli Ebrei dove sorgeva anche il cimitero ebraico e probabilmente la sinagoga.
La Pro Loco, nell’intento di valorizzare una vicenda storica che pone questa cittadina tra le poche in Italia e in Europa sede di stamperie del 1400, è riuscita a farne la sede di un piccolo Museo. L’inaugurazione ebbe luogo nel 1988, in occasione delle celebrazioni del V Centenario della stampa della Prima Bibbia Ebraica Completa ed in questi anni il numero di visitatori è andato continuamente aumentando raggiungendo nel 2002 le 30.000 presenze.

La facciata, che si sviluppa in altezza con tre piani, presenta delle monofore ogivali ed ospita oggi il Museo della Casa degli Stampatori.

In questo spazio espositivo, "lavora" da oltre 20 anni un appassionato competente e accattivante personaggio, chiave di successo di qualsiasi visita per neofiti, scolari e studenti: con sapiente dosaggio di informazioni e manualità istruzione e coinvolgimento diretto, egli trasforma una visita "scolastica" in un'indimenticabile occasione di stamperia antica e i più fortunati se ne vanno sorridenti con una stampa fresca d'inchiostro tra le mani.

Al piano terra si possono ammirare le attrezzature di una vecchia stamperia, nelle cassettiere sono riposti caratteri di diverso stile, in legno ed in piombo e le lettere dell’alfabeto ebraico.

Vi sono sistemate alcune macchine da stampa manuali del fine del secolo scorso e dell’inizio del 1900, ma si può ammirare anche la fedele ricostruzione di un torchio in legno del 1400 e un torchio a leva in ferro della ditta Dell’Orto di Milano datato 1853 con il quale viene stampata per ogni gruppo una copia della prima pagina della Bibbia. Viene illustrata la storia della stampa e degli stampatori ebrei e vengono poste in funzione anche altre macchine manuali da stampa della fine del secolo scorso e dell’inizio del 1900.

Al primo piano, in tre ambienti elegantemente arredati, sono esposti gli originali o le copie dei libri stampati dal “Soncino” ed una importante raccolta delle pubblicazioni relative ai famosi stampatori. Le sale vengono spesso utilizzata anche come sede di mostre di grafica di alto livello nazionale ed internazionale.Nella saletta del secondo piano, il visitatore più attento potrà assistere alla proiezione di un interessante filmato che racconta la vicenda degli stampatori “Soncino” nel suo contesto storico ed ammirare la mostra didattica sulla storia della stampa.

La famiglia Soncino (in ebraico: משפחת שונצינו) era una famiglia di stampatori tipografi ed editori italiani, ebrei aschenaziti che operò in Italia, in Grecia e in Turchia fra il 1483 e il 1527 prediligendo testi di carattere religioso. Il capostipite della famiglia (inteso come il primo a prendere il cognome Soncino) fu Israel Nathan ben Samuel ben Moses Soncino, detto anche Donato da Soncino, che fu anche l'ispiratore della futura bottega della stampa che pubblicò fra le più mirabili opere stampate dell'epoca. Gaetano Zaccaria Antoniucci nel 1870 indica Donato da Soncino come "Celebre Medico", indicando l'orientalista Giovanni Bernardo De Rossi come fonte di tale notizia, e indicando Israel Nathan ben Samuel ben Moses Soncino come autore di un indice del Canone di Avicenna.

Appartenenti a quello che è definito il filone dei Baalei tosafos, i cosiddetti Tosafisti, discendenti del celebre commentatore medievale della Bibbia Rashi acronimo di Rabbi Shlomo Yitzhaqi (רבי שלמה יצחקי) conosciuto con il nome latinizzato di Salomone Isaccide o Salomone Jarco dal quale non è dato sapersi con quale grado di parentela, ma discendenti diretti di Rabbi Moshé Shapiro, che visse nella prima metà del sesto secolo.

Provenienti dalla città tedesca di Spira in Alsazia, la famiglia è presente in Italia e per la precisione a Treviso, dove Moses ben joseph, il primo membro della famiglia ad essere documentato in Italia, ottiene una concessione di prestito a pegno e viene definito, a livello documentale, prestatore de Alemania. Presenti a Treviso più di un membro della famiglia, alla fine del XIV° Secolo, vengono riconosciuti con il cognome "Da Spira". Il cognome Soncino viene dato loro dalla città in cui si stabiliscono e dove iniziano l'opera di stampa libraria, il borgo italiano di Soncino, oggi nella provincia di Cremona, allora sotto il Ducato di Milano. Accusati di atti sacrilegi (non è dato sapersi se veri o presunti) nel 1400 la famiglia deve allontanarsi dalla città di Treviso per raggiungere Cremona, dove Moses da Spira aveva precedentemente (e saggiamente) acquistato un terreno e ivi costituito una società di prestiti con Bonaventura da Zanatano e con Manuele fu Matassia. Moses e la famiglia rimangono cinque anni a Cremona poi si spostano a Mantova, nel 1405.Il figlio di Moses, Shemuel detto Simone da Spira, anche lui prestatore di pegni che ha vissuto a Marostica, a Bassano del Grappa e infine ad Orzinuovi si trasferisce a Soncino il 9 Maggio 1454 su licenza scritta e benestare di Francesco Sforza. Proprio a Bassano del Grappa Simone da Spira gestisce un banco dei pegni per sei anni, su concessione del comune stesso, dal 1435 al 1442.

Durante un viaggio a Pfirt, in Alsazia, Simone da Spira combatte contro le schiere dell'inquisitore Giovanni da Capestrano, il quale è alla ricerca di scismatici, eretici ed ebrei. Questo episodio verrà in seguito ricordato da Gershom Soncino sul frontespizio del Sefer Ha mispar di Eliahau Mizrachi e del Sefer Miklol di David Kimchi.

Figlio, probabilmente adottivo come indicato dallo storico De Rossi, di Simone da Spira è Israel Nathan ben Samuel ben Moses Soncino, il primo della famiglia "Da Spira" a variare il nome in "Soncino".

Sull'inizio delle attività di stampa ebraica in Europa vi sono state molte discussioni in passato ed è ancora oggi assai difficile stabilire con certezza di chi e quale fu il primo laboratorio di stampa dedicato all'editoria ebraica ad essere attivo nel mondo, anche perché molti dei libri stampati in ebraico, insieme a molti preziosissimi manoscritti, andarono perduti nelle varie vicende di persecuzione degli ebrei occorse nel tempo. Vi sono studi recenti che indicano la Famiglia Soncino come "unici stampatori in ebraico nel mondo" per almeno una decade, quella che va dal 1494 al 1504. In contrasto con questa tesi c'è quella del Riccardo Calimani che invece sostiene che "Dal 1497 al 1503 nessun libro ebraico fu stampato in Italia". L'attività di stampa in ebraico ha dei precedenti a Reggio Calabria (1475) e a Piove di Sacco nel Padovano, per poi comparire a Mantova e a Ferrara. Il celebre ebraista Giulio Bartolocci indicava il laboratorio dei Soncino come il primo a stampare in ebraico: "Ex hoc oppido primo prudierunt in italia impressores librorum haebraicorum ex Judaicis", così come Cristoforo Volfio che scrive: "...interim haclenus mihi contra omnem dubitationem videtur pisitum prima integrorum librorum haebraice exciussorum initia in Italia apud Judaeus Soncinates quaerenda esse." Non si hanno notizie relativamente a dove i Soncino avessero appreso l'arte della stampa, o se usufruissero del servizio di esperti provenienti da altri luoghi. Abramo Conath, un medico che aveva fondato una stamperia a Mantova, descrisse bene il processo faticoso di apprendimento dell'arte della stampa e le difficoltà che aveva incontrato.

Non c'è alcuna indicazione certa sulla tipologia di torchio che i Soncino utilizzarono nel loro laboratorio, ne tantomeno si ha certezza sul numero di torchi installati. Attualmente, presso il Museo della Stampa di Soncino, allestito presso quello che fu il laboratorio dei Soncino, è installata la riproduzione di un torchio mediceo perfettamente funzionante il quale è sicuramente quello che si avvicina di più al torchio o ai torchi utilizzati dai Soncino al tempo, pur non essendoci alcuna certezza in merito. Per certo i Soncino utilizzarono dei torchi da stampa di fattura eccelsa, e ciò lo si deduce dall'uniformità e dalla bellezza delle stampe che si sono salvate dalle ingiurie degli uomini e del tempo. L'arte della stampa era relativamente moderna, in quel tempo, e sicuramente il "macchinario" in questione fu preparato ad-hoc e ivi installato. Logico è pensare che i Soncino avessero già avuto modo di vedere un torchio da stampa in azione prima ancora di iniziare l'avventura che li porterà ad essere gli unici stampatori ebrei in attività in Italia dall'ultimo decennio del Quattrocento al quarto del Cinquecento, peraltro con un livello qualitativo altissimo.

Detto Simone Ibreo, Simone da Spira, Samuele Ibreo, Samuele da Spira. Il 9 Maggio 1454 il Duca di Milano Francesco Sforza autorizza tale Symon ibreo del fu Moisé da Spira a stabilirsi in Soncino insieme ad un compagno di viaggio (di cui non c'è documentazione, ma ci sono dati certi relativi alla presenza di un fratello, padre di Israel Nathan, di nome Samuele, il quale potrebbe essere il compagno di viaggio di Simone da Spira), al fine di esercitare l'arte feneratoria (il prestito senza garanzie oggettive) ed il prestito a pegno. Il documento, facente parte delle Corrispondenze Ducali, è conservato nell'archivio di San Fedele a Milano. Simone da Spira proveniva da Orzinuovi, e prima ancora aveva avuto dei banchi di pegno nel Veneto e a Brescia. Negli archivi Milanesi e Veneziani c'è molta documentazione sugli spostamenti di Simone da Spira da e per Brescia, Cremona e Soncino, in quanto esso, come tutti gli ebrei, doveva rendere conto alle autorità del luogo in cui operava e chiedere permessi per poter spostare o iniziare le nuove attività.

Israel Nathan era nipote e figlio adottivo di Samuele e conseguentemente nipote di Mosé da Spira. Detto anche Mosé Soncino, Israele Mosé Soncinate o Donato Soncino. Ebbe tre figli maschi. Stimato medico e abile feneratore, Israel Nathan scrisse l'epilogo del "Mahzor" di Casalmaggiore nel 1486. Fu dal suo suggerimento che il figlio Jushua Salomone Soncino intraprese l'attività di stampa. Morì a Brescia nel 1492 o forse nel 1493, sicuramente nel periodo che va fra Settembre 1492 e Gennaio 1493. La data esatta della morte di Mosé Soncino è incerta, ma sicuramente cade nel nel lasso di tempo indicato sopra, in quanto il figlio Gersom Soncino scrive nell'epigrafe del volume Mechaberròth seu poeticarum compositionum del Rav. Immanuel, finita di stampare fra la fine dell'anno ebraico, che cadeva in Settembre, e l'inizio dell'anno cristiano, che cadeva nel Gennaio del 1493: Per manum minimi tipogr. Gersom tipogr. filii sapientis R. Mosis memoria justi sit in benedictione, ex semine Israel viri soncinatis In memoria di Mosé. Alcune fonti parlano di Israel Nathan Soncino come di un rabbino, altri lo indicano come medico, altri come prestatore di pegni. Queste ultime due sono le più accreditata, e si da per certo che l'attività di stampa fu avviata grazie all'avvento di un monte di pietà francescano istituito nel 1472 poco distante dalla casa degli stampatori a Soncino, il che sembrerebbe aver demolito le basi che sorreggevano l'attività di prestito a pegno del Nathan. Una ulteriore prova dell'attività di stampa e di prestito a pegno di Israel Nathan Soncino viene da un atto giudiziario del 1488 dove il Nathan viene incarcerato, su ordine di Ludovico il Moro e interrogato da Bernardino D'arezzo con la trascrizione dell'interrogatorio da parte del notaio Materno Figino, insieme ad una serie di altri personaggi, sempre di religione ebraica, con l'accusa di scrivere "maledizioni contro il Papa nei testi ebraici". L'intervento di Papa Innocenzo VIII° scongiurò l'incarcerazione degli accusati, i quali però furono costretti a pagare una penale di 19.000 ducati da pagarsi in tre rate, pena la galera. In questi atti è riportata l'attività sia di stampa sia di prestito a pegno di Israel Nathan Soncino.

Paolo Ceruti, nella "Biografia Soncinate" del 1840, indica Israel Nathan Soncino come un medico, padre di due figli (e non tre come si evince da altri testi).

Citato da diverse fonti e probabilmente Figlio di Israel Nathan ben Samuel ben Moses Soncino, indicato come collaboratore con i fratelli nella stamperia di Soncino esso non figura in alcuna opera, ma è pressoché certa la sua presenza nel contesto dell'officina di stampa. Muore nell'anno 1490. In alcune stampe di Salonicco viene riportato il nome di Mosé Soncino, ma probabilmente si tratta di un discendente che porta lo stesso nome di quest'ultimo ma del quale non si ha memoria.

Detto anche Salomone Soncino, Giosuè Soncino o Giosué salomone Soncino. Di lui si hanno poche notizie, quantomeno dal punto di vista biografico. Fu un prolifico stampatore, a lui sono attribuite alcune delle opere più straordinarie della produzione dei Soncino. Fu Giosué Salomone Soncino che pubblicò il primo libro della stamperia Soncino, il "Talmud Babilonese Berakot", detto anche "Talmud Soncino", un'opera conosciuta e studiata ancora oggi in tutto il mondo. Nel 1488 convoca a Soncino Abramo Chaiìm, figlio del Rabbino Rav. Chaiìm, uno stampatore pesarese di grande esperienza nei testi sacri(aveva stampato diverse opere a Ferrara e un celebre Pentateuco a Bologna), e con questi nel contesto dell'officina di stampa fu prodotta la famosa "Bibbia intera" del 1488. In seguito Giosué Soncino scompare dal testo dei libri prodotti nella stamperia di Soncino lasciando posto ad un generico "Soncinati", per poi ricomparire a Napoli, nel 1492 dove si unisce ad un altro gruppo di stampatori ebrei, dove nei testi prodotti da questa nuova società comprare come Giosué Salomone Soncinate, lasciando così l'officina di Soncino in mano al fratello Gerson.

Gerson da Soncino, Gerson ben Moisé, Hieronimo Soncino, Jeronimo Soncino, Girolima Soncino oppure Girolamo Soncino, Gerson da Soncino fu il più celebre fra gli stampatori soncinati. Figlio di Mosé Soncino (Israel Nathan ben Samuel ben Moses Soncino), Gerson Soncino conosceva oltre alla lingua ebraica quella latina e la greca. Furono suoi maestri i rabbini francesi R. Belvenia, R. Terabóth, R. Merabel, e R. Mosè Bazla. Fu nipote di terzo grado dello stampatore Giosué Salomone detto anche Giosua Salomone. Nella sua vita viaggiò molto, e vi sono documenti che ne riportano la presenza in Savoia, a Ginevra, in Francia alla ricerca di manoscritti Si specializzò nella pubblicazione di testi talmudici, ma non disdegnò altri generi. Il suo primo lavoro fu il "Praeceptorum Kotzensis" del 1488. Nel 1490, per ragioni sconosciute, si trasferisce a Brescia. A Brescia pubblica il "Mecahabberóth seu poeticarum compositionum" del Rabbino lmmanuel, nel 1491. A questo segue un testo della Torah (detto Pentateuco): Meghilloth, seu sacris voluminibus and Aphtaróth, seu Prophetarum lectionibus. La sua produzione fu notevole e di altissimo livello qualitativo. Molti gli spostamenti: Fano, Pesaro, Ortona, Rimini, Salonicco e alla fine anche Constantinopoli. Morì a Costantinopoli probabilmente nel 1534. Nella sua carriera tipografica Gerson Soncino utilizzò caratteri mobili Latini, Greci ed Ebraici incisi da Francesco da Bologna che venne accreditato come il creatore dei caratteri corsivi attribuiti ad Aldo Manuzio. A tutt'oggi la diatriba sul nome e sull'identità di Gershon ben Moses Soncino è aperta. Lo storico ottocentesco Gaetano Zaccaria Antonucci e il Cav. Zefirino Re sostenevano che Gershon e Girolamo fossero due persone distinte, mentre il Cav. Luigi Tonini nel Estratto degli atti della deputazione di storia patria per le provincie della Romagna - anno IV° Pagina 121-168, Bologna, 1866 sosteneva che si trattasse di una sola persona, definendolo "Gersone" o "Girolamo" a seconda della località in cui stampava. Il Tonini parla di Girolamo-Gersone come "Figlio di Leonardo Soncino", aprendo così una ulteriore porta sulla confusa genealogia della famiglia. Sia Antonucci che Z. Re definiscono l'ipotesi del Tonini "Troppo autorevole per non essere tenuta in considerazione". In seguito lo stesso Antonucci trova un documento che riguarda un certo Magister Hieronimus q. Leonardi impressor et habitator Arim. constituit procuratorem etc. nella Collezione Zanotti, P.6 P. 248 citato in un rogito dell'8 aprile 1524. Antonucci e anche Z. Re fanno notare in seguito che sia Girolamo che Gersone Soncino si fossero recati a Rimini, Pesaro e Fano, e molte edizioni fossero firmate da uno o dall'altro, ma, a dispetto di questa ipotesi, mai contemporaneamente. L'unico documento non-librario che documenta uno dei due è una richiesta di "licenza di stampa" fatta al Consiglio di Rimini e rilasciata con il titolo di Librorum Impressorum Egregius nel 1518. La tesi che si tratti di due distinte persone viene sostenuta in seguito anche dagli storici Bianchi, Sacchi e Rebolotti. Gli ebraisti ottocenteschi Füvst e Zunz dichiararono che Gerson e Girolamo erano un'unica persona. I documenti storici indicano che Israel Nathan Soncino avesse tre figli, per cui l'ipotesi che Gershon-Girolamo sia una persona sola è piuttosto fondata, ma ancor oggi non provata.

Nel "Pentateuco, cantici (e altri libri) stampato a Napoli nel 1491, l'epigrafe reca la seguente dicitura: "Vedete se nel mondo vi sia altro esemplare così accurato e con tanta intelligenza elaborato. A chi interroga chi abbia stampato quest'opera, rispondete: I figli di Soncino la eseguirono, nella città di Napoli l'anno CCLI". E con questo si apre la discussione relativa a chi fossero questi "Figli di Soncino" che si recarono a Napoli per stampare l'opera in questione. Molte sono le ipotesi, e Gaetano Zaccaria Antoniucci ne deduce che lo stampatore in questo caso sia Giosué e non Girolamo (Antoniucci è convinto che si tratti di due persone distinte). Un'altra evidenza è il plurale della frase "i figli di Soncino". Tale era l'accuratezza che è piuttosto lungi dall'essere considerato un errore, tant'é che l'epigrafe in se avrebbe riportato, nel caso del solo Giosué come tipografo, "il figlio di Soncino" e di seguito il nome. E' altresì possibile che insieme al Giosué vi fosse un fratello (Mosé Iuniore?) a coadiuvarne il lavoro. Antoniucci ritiene impossibile che il Gersone (Girolamo) possa essere a Napoli in quel periodo, di conseguenza uno dei "Figli di Soncino" deve essere Giosué. Ma rimane comunque il dubbio di quale sia il nome del secondo. In Soncino e in Brescia vi sono, nello stesso periodo, opere a firma di Gersone-Girolamo. Un altro motivo di discussione è relativo all'epigrafe, a firma del padre di Giosué, Mosé Iuniore e Girolamo, Israel Nathan Soncino, il quale dice testualmente: "Tu costruirai l'edificio del mondo..." e in tale frase è indubbio che si rivolga ad uno solo dei tre figli.

Eleazar ben Gershon Soncino detto anche Elizer, figlio di Gerson Soncino. Tipografo a Costantinopoli dal 1534 al 1547. Il suo "Miklol" (concluso nel 1534), fu iniziata dal padre Gersom. Pubblicò il "Meleket ha-Mispar," nel 1547 e il "responso di Isaac ben Sheshet" nel 1547.

Si hanno notizie di alcuni tipografi stampatori che portano il cognome Soncino in anni successivi alla morte dell'ultimo discendente conosciuto, Eleazar Soncino. A Pavia nel 1565 viene edito il libro Istitutiones Juris Canonicis che porta in calce i nomi degli stampatori: Girolamo, Bartolomeo e Costanzo Soncini.

Molti furono gli spostamenti dell'attività dei Soncino, legati alle persecuzioni subite nel corso del tempo, sia di carattere politico che religioso. Non è certo se con la dipartita dei Soncino venissero a mancare anche le officine di stampa ad essi collegate, ed è ancora oggetto di studio. A onor del vero, essendo documentata una certa permanenza nel tempo delle varie officine di stampa sia a Soncino che a Fano, Rimini, Pesaro, Casalmaggiore, Brescia e in seguito Salonicco e Costantinopoli, ed essendo le edizioni stesse (marchiate) l'unica documentazione disponibile a provare la permanenza in un luogo (tolta la "Licenza di Rimini" del 1518), si presuppone che i Soncino avessero una sorta di attività multipla in molteplici località della penisola, aprendo poi le officine di salonicco e di Costantinopoli. L'attività inizia a Soncino fra il 1483 e il 1486 per poi passare a Casalmaggiore sempre in provincia di Cremona nel 1486; fra il 1488 e il 1490 ritorna a Soncino; poi Napoli fra il 1490 e il 1492; poi a Brescia fra il 1491 e il 1494; poi a Barco in provincia di Brescia fra il 1494 e il 1497. Ghershom (Girolamo) Soncino si ferma a Venezia per un certo periodo di tempo, fra il 1498 e il 1503, dove entra in contatto con Aldo Manuzio per il quale scrive la Introductio perbrevis ad hebraicam linguam In seguito i rapporti fra il Soncino e Manuzio si deteriorano e Ghershom Soncino convince Francesco Grifo a seguirlo a Fano fra il 1503 e il 1506; poi a Pesaro fra il 1507 e il 1520 (con spostamenti ancora Fano nel 1516 ed a Ortona nel 1519); Soncino è a Rimini dal 1521 al 1526. Alcuni membri della famiglia si spostarono successivamente a Costantinopoli fra il 1530 e il 1533 e altri invece a Salonicco fra il 1532e il 1533. Il marchio dei Soncino era una torre, presumibilmente la torre di Casalmaggiore. In seguito al processo di Milano contro Israel Nathan Soncino e altri imputati ebrei, accusati di stampare testi "sacrilegi contro la religione cristiana", tenutosi fra Marzo e Maggio del 1488, la famiglia Soncino decide di lasciare il borgo di Soncino per portarsi a Brescia. Non vi sono certezze sulla permanenza o meno della stamperia nel paese di origine, Soncino anche se vi sono documenti che indicano con poco margine di errore una certa discendenza di stampatori che si dichiarano "discendenti di Mosé di Spira a Soncino".

Quella che fu la casa della famiglia degli stampatori, è stata trasformata in un museo e recentemente restaurata. Nel museo, oggi, viene stampata per i visitatori la prima pagina della "Bibbia Soncino" a mezzo di un torchio da stampa mediceo ricostruito sulla base delle caratteristiche dei torchi antichi, presumibilmente di una tipologia simile a quella utilizzata dagli stampatori Soncino.

Antoniucci stesso ipotizza, per voce del De Rossi, che l'attività di stampa dei Soncino, o meglio di Mosé di Spira, fosse partita a Pesaro prima che a Soncino, e che l'attività nel borgo di Soncino fosse stata avviata già nel 1477 e non nel 1483. Francesco Predari nel "Dizionario di Geografia universale moderna" del 1864 addirittura pone la data di fondazione della stamperia Soncino al 1473, ma senza fornire la fonte di tale informazione.





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IL CASTELLO DI SONCINO

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Il Castello di Soncino è uno dei più tipici castelli lombardi dell'area del cremonese, eretto a partire dal X secolo ed avente un ruolo fondamentale nella difesa dell'area sino al Cinquecento
Le origini della rocca risalgono al X secolo quando venne realizzato un primo cerchio di mura attorno ad una primitiva struttura difensiva per contrastare la calata degli Ungheri. Nel Duecento il castello venne assediato diverse volte sia dai milanesi che dai bresciani alleati e altrettante volte ricostruito sino al 1283 quando il comune di Soncino deciderà la costruzione di una nuova rocca. Nel 1312 il castello viene occupato dai cremonesi e nel 1391 i milanesi lo utilizzano per la loro guerra contro i veneziani, il che portò dal 1426 a nuovi rafforzamenti sul cerchio esterno di mura.

Nel 1283 si trova menzionata una nuova Rocca, mentre nel 1312 il castello è occupato dai Cremonesi e nel 1391 i Milanesi ne faranno una testa di ponte contro i Veneziani la cui politica di espansione in terraferma avveniva ormai a danno del Ducato Milanese. Dopo la conquista di Brescia, avvenuta nel 1426, da parte della Serenissima le mura ed il castello vennero rinforzati intorno al 1427 per sostenere gli attacchi dei veneti. La pace di Lodi del 1454 sancì definitivamente i confini tra la Repubblica di Venezia ed il Ducato di Milano, assegnando a quest'ultimo anche Soncino. Nonostante ciò, Francesco Sforza fece rinforzare le mura ed il castello. Nel 1468 i Soncinesi avanzarono al Duca la richiesta di costruire una nuova rocca presso l'angolo di sud-ovest, in sostituzione della precedente. Francesco Sforza, ancora dubbioso della fedeltà degli abitanti, non accolse la proposta e si limitò a costruire un nuovo torrione. Galeazzo Maria Sforza nel 1469 inviò a Soncino gli architetti Serafino Gavazzi da Lodi ed il cremonese Bartolomeo Gadio, quest'ultimo autore anche del Castello Sforzesco di Milano, per approntare i progetti della nuova Rocca. I lavori però non ebbero inizio. Nel 1471 gli ingegneri ducali Benedetto Ferrini da Firenze e Danese Maineri, responsabile delle fortezze di Soncino e Romanengo, intrapresero delle opere di manutenzione dell'antica rocca, oltre alle mura, alle porte ed alla torre civica. Al Ferrini venne pure ordinato di stimare la spesa per la costruzione della rocca gadiana, ma i lavori non iniziarono che nel 1473 sotto la direzione del protomastro Bartolomeo Gadio il quale aveva richiesto la presenza del Maineri e del maestro da muro Giacomo De Lera, di Cremona, esponente della nota famiglia di architetti. I lavori verranno compiuti proprio dal De Lera. Lo stato di avanzamento dei lavori è testimoniato dalle due missive ducali del 1474 nelle quali è contenuta la richiesta di collocare un'insegna con l'impresa sforzesca sopra la porta della rocca. Insieme alla cerchia muraria la rocca costituiva un importante complesso fortificato, anche se non proprio all'avanguardia. Nonostante fosse stata interamente costruita dagli Sforza, la rocca risente degli influssi viscontei: il suo impianto quadrato con torri singolari sporgenti deriva dai castelli di pianura di Pandino, Pavia ed altri. La difesa si limita a potenziare alcuni elementi quali lo spessore dei muri, la maggiore altezza delle torri, la profondità del fossato, ecc. La torre circolare costituiva una novità, un elemento aggiornato che venne edificato però su un preesistente torrione circolare e non intenzionalmente. Anche il castello di Lodi presentava un'unica torre circolare, ancor'oggi visibile, innestata su impianto quadrato ed inserita nella cerchia muraria. Nel 1499 la rocca diverrà possedimento dei veneziani fino al 1509. In seguito passerà dai francesi nuovamente agli Sforza e nel 1535 al dominio Spagnolo. Nel 1536 Carlo V di Spagna elevò Soncino a Marchesato infeudandolo agli Stampa e da allora un lento declino interesserà la rocca: gli Stampa lo trasformeranno progressivamente in residenza, costruendo nuovi corpi di fabbrica addossati alle mura interne e trasformando le strutture esistenti, come la camera superiore della torre di sud-est che diverrà cappella. Nel XVI secolo pittori di fama quali Bernardino Gatti, decorarono alcune sale ottenute chiudendo gli spalti. Vincenzo Campi realizzò al pala d'altare della cappella con una perduta Deposizione di Cristo, mentre Uriele Gatti dipinse alcune sale al piano terreno. Purtroppo la decorazione è quasi completamente sparita e non ne rimangono che poche tracce. Nonostante alcuni tentativi di rafforzare le difese in occasioni d'interventi minacciosi, la rocca cadde in un progressivo abbandono, tanto da divenire magazzino di legname. Nel 1876 Massimiliano Stampa, ultimo marchese di Soncino, cedeva il complesso alla Municipalità per legato testamentario. Nel 1883 l'architetto Luca Beltrami venne incaricato di eseguire un rilievo e nel 1886 iniziò i lavori di restauro che comportò la demolizione di porticati ed altre strutture addossate agli spalti. Le merlature, i tetti delle torri vennero in gran parte ripristinati, mentre il ponte levatoio veniva sostituito da uno un muratura. I lavori terminarono nel 1895 con il restauro del rivellino. Situata in una piazza raccolta, si presenta con un rivellino un tempo chiuso da saracinesca. Al di sopra del portale vi è una finestrella con profonda strombatura dalla quale la sentinella poteva controllare la piazza d'armi. Oltrepassato il rivellino, si entra nella rocca vera e propria, preceduta da una piccola corte che fungeva da disimpegno per i movimenti delle truppe. Due scale addossate alle pareti interne conducono agli spalti, protetti da merlature poggianti su caditoie le quali venivano utilizzate per lanciare pietre e liquidi bollenti quali pece ed olio. Sul lato ovest del rivellino un tempo v'era un ponte levatoio che veniva, in caso di emergenza, calato sul ponte fortificato in modo da permettere l'evacuazione della rocca verso la campagna. L'accesso alla rocca era permesso da due ponti levatoi, uno pedonale ed uno carraio, per il passaggio di cavalli e carri. In caso di attacco e conquista del rivellino, la rocca poteva essere facilmente isolata. Varcato il secondo ingresso si giunge al cortile del castello. Al centro del cortile v'è una vera da pozzo, ricostruita nel XIX secolo, così come è stato messo in luce l'accesso ai sotterranei. La torre di nord-ovest, detta anche Torre del Castellano perché residenza del capitano della fortezza, ha anch'essa un ingresso alla quota del cortile, ma a differenza delle altre due quadrangolari, attraversate dal cammino di ronda posto alla quota degli spalti, presenta un passaggio interrotto da due passerelle levatoie in modo da consentire l'isolamento in caso di assedio. La torre diveniva così l'ultimo baluardo di difesa che poteva garantire la via di fuga degli assediati attraverso i sotterranei della torre ed un passaggio segreto posto sul lato ovest del fossato. Dal cortile, tramite un piccolo atrio con due porte che potevano essere saldamente chiuse dall'interno, si accede ad una stanza coperta da volta a botte. Sulla parete di fronte si apre una finestra, mentre sulla parete di sinistra possiamo ammirare un camino con cappa piramidale. Sulla destra si apre la scala che conduce ai sotterranei mentre vicino alla finestra, in un angolo, si trova un pozzo. Posta simmetricamente, all'ingresso si apre la porta della scala scavata nel muro perimetrale della torre, che conduce alla stanza superiore, anch'essa con volta a botte lunettata. La sala, un tempo decorata con affreschi, presenta un'ampia finestra con sedili in mattoni posti nell'ampio sguancio, era dotata di latrina ricavata nello spessore del muro. Lungo le pareti si trovano le uscite che conducono sugli spalti. Dall'atrio che conduce allo spalto occidentale, parte una scaletta che porta al piano della merlatura, ora coperto dal tetto. Ritornati al piano del cortile, è ora possibile scendere al pozzo interno. Si giunge ad una sorta di atrio che dà accesso alla prima sala sotterranea coperta da volta a botte ed illuminata da una finestrella, mentre un lato della stanza é interamente occupato da un rialzo a forma di bancone. Proseguendo, giungiamo ad un secondo andito che conduce al secondo sotterraneo, a destra, che poteva essere inondato in caso di necessità e che conduceva a due camminamenti, probabilmente vie di fuga. A sinistra si entra in una sala con volta a botte che conduceva, mediante la porta levatoia, al pontile a due arcate sul fossato e da qui ad un'uscita segreta. Mediante una scala sotterranea si risale alla corte centrale e raggiungiamo gli spalti tramite la scala addossata al lato est. Lo spalto orientale mette in comunicazione due torri quadrate, dotate di una stanza al piano terra coperte da volte e finestra strombata. Due porte portano rispettivamente al sotterraneo su due livelli ed al piano superiore aperto sugli spalti con due archi e volte a crociera. Da qui parte un'altra scaletta che conduce al livello degli spalti della torre sud - orientale, dove si possono notare ancora tracce di affreschi, utilizzata nella seconda metà del XVI secolo come cappella. Il più antico di questi affreschi raffigura una Madonna con il Bambino, probabilmente un ex-voto, della fine del XV secolo. Sotto uno strato d'intonaco è possibile ammirare un frammento d'affresco raffigurante il Leone di S. Marco, ricordo della breve dominazione veneziana. Sul terzo strato d'intonaco, risalente alla dominazione sforzesca, è possibile vedere un grande stemma sforzesco fiancheggiato da tizzoni accesi cui sono appese delle secchie, che dovevano illustrare il motto "Accendo e spengo", mentre ai lati, ripetuta controparte, possiamo ammirare l'altra impresa araldica raffigurante una mano nell'atto di sciogliere il cane alla catena legato all'albero. L'impresa araldica, che in seguito venne venduta agli Stampa, significava la libertà che fu portata al Ducato di Milano dagli Sforza. La volta è decorato con un motivo a pergolato, analogo a quello dipinto nella chiesa di S. Maria delle Grazie di Soncino. Il tema del pergolato non è infrequente nelle fortezze sforzesche: basti ricordare quello celebre che da il nome alla Sala delle Assi in Castello Sforzesco a Milano.

La Torre circolare è l'unica ad avere questa caratteristica forma e presenta al livello dei camminamenti una sala rotonda con calotta circolare al centro della quale si trova un pilastro a forma di cilindro che conduce sul tetto del baluardo, di forma conica e di molto sopraelevato rispetto alle altre torri, di modo che l'area potesse essere usata come torre d'avvistamento. Questa torre, eretta nel Cinquecento, presenta altresì molte tracce ad affresco di stemmi e di una crocifissione oggi in forte stato di degrado. La presenza di questo particolare affresco fa pensare che qui un tempo fosse posta la cappella che, a seguito delle trasformazioni volute dai marchesi Stampa, venne trasferita in un'altra torre. Al livello degli spalti la torre presenta un andamento cilindrico, ma verso l'interno presenta un angolo rientrante con le pareti allineate agli spalti stessi. All'incrocio di queste pareti si apre una porta che immette in una stanza rotonda coperta da calotta sferica e con due aperture a doppia strombatura che servivano per puntare le spingarde a difesa del lato sud e del ponte. Vicino alla porta vi è una scaletta con andamento elicoidale che conduce alla merlatura con ordine di piombatoi. Nel pilastro cilindrico posto al centro della stanza vi è una scaletta a chiocciola che conduce alla sommità del tetto conico della torre, una sorta di belfredo che assolveva alla funzione di torretta d'avvistamento. Questa dislocazione, al di sopra dei tetti, permetteva una visione più ampia del territorio circostante. La parte inferiore della torre è costituita da una stanza bassa coperta da volta ed appena illuminata da aperture poste a filo del terreno, probabilmente un magazzino di munizioni. Tra la volta ed il pavimento della stanza superiore vi è uno spessore di circa tre metri, il che fa supporre che vi esistesse una stanza intermedia. La tradizione la vuole identificata come la sala del tesoro, ma che però potrebbe essere, forse, una struttura di consolidamento del bastione della cinta muraria a sostegno della torre cilindrica. Anche durante i restauri ottocenteschi eseguiti da Luca Beltrami, non si è mai trovata l'apertura per questa stanza. A differenza delle altre torri, questa presenta una sola sala sotterranea, di forma circolare e coperta da volta. Tornati in cortile, ammiriamo il corpo di fabbrica addossato alla cortina muraria meridionale. L'edificio è un'aggiunta cinquecentesca tesa a trasformare la rocca in residenza signorile. Le pareti recano tracce di stemmi sforzeschi, mentre la parete occidentale presenta una nicchia ad arco entro cui è affrescata una Crocifissione, ormai sbiadita. Probabilmente questa era la parete di fondo della cappella e l'affresco doveva assolvere alla funzione di pala d'altare. In seguito alle trasformazioni subite dalla rocca nella metà del XVI secolo, la cappella venne demolita per far posto ai nuovi corpi di fabbrica destinati a residenza e fu in quell'occasione che il luogo sacro venne spostato sugli spalti della torre sud orientale.





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LE CITTA' DELLA PIANURA PADANA : SONCINO

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Soncino è un paese dentro la cerchia muraria e nella ragnatela delle viuzze medievali dove la vita fluisce in un'atmosfera assorta, quasi trasognata. L'impianto urbanistico e il paesaggio architettonico, entrambi modesti ma singolari, fanno da sfondo e palcoscenico ad una storia lunghissima, originalissima e forse unica.
Il borgo di Soncino sorge al centro della pianura lombarda, sulla sponda destra del fiume Oglio che lo separa dalla vicina Provincia di Brescia. Proprio questa sua posizione strategia ne ha sempre fatto un ambito oggetto di conquista da parte delle potenze allora dominanti.
Il 18 novembre 2004 è stato riconosciuto il titolo di città dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Ha tre frazioni: Gallignano, Villacampagna e Isengo. Il 18 luglio 2008 è ufficialmente entrato a far parte del Club "I borghi più belli d'Italia".

Dista circa 35 km da Cremona, 32 km da Brescia, 34 km da Bergamo e 59 km da Milano.

Soncino si trova nella Pianura Padana, al centro della Lombardia al confine tra le province di Cremona, Brescia e Bergamo. Sorge sulle rive del fiume Oglio in una zona ricca di fontanili e risorgive. È sede culturale del Parco dell'Oglio Nord.

Il toponimo Soncino viene fatto risalire all’epoca delle invasioni germaniche dopo la disgregazione dell’impero romano: periodo in cui secondo la tradizione si collocherebbe la fondazione di Soncino. Il significato più probabile è “re delle acque”. Tuttavia non ci sono attualmente resti materiali, né si possiedono fonti documentarie che attestino questa tradizione.

L'origine di Soncino non è del tutto chiara: alcuni ritrovamenti archeologici sporadici (punte di freccia, raschiatoi in selce e un tesoretto in bronzo e rame) possono solo presumere un passaggio, un transito di popolazioni preistoriche attraverso il territorio soncinese, che in quest'epoca (dal periodo neolitico all'inizio dell'età del ferro) era bagnato dalle acque paludose del lago Gerundo. Il dosso su cui sorge l'odierno centro storico di Soncino doveva allora emergere dalle acque e, quindi, poteva essere un luogo molto ben protetto e sicuro.

L'arrivo dei celti (V-III secolo a.C.) coincide, probabilmente, con la nascita di una zona di confine. Inizialmente tra i celti e gli etruschi, che erano per lo più stanziati sulla sponda bresciana e mantovana del fiume Oglio. In seguito l'Oglio fu confine per due popolazioni celtiche gli Insubri ed i Cenomani.

Risalgono all'epoca romana (II secolo a.C.-IV secolo d.C.) numerosi ritrovamenti di materiale laterizio oltre che due ville ed alcune fornaci sempre nella zona settentrionale del comune di Soncino presso la frazione di Gallignano, che sembra essere la prima veramente abitata. Questo perché si trova ad un'altitudine superiore e, quindi, non interessata dalle acque del Lago Girondo. Anche in questo periodo il territorio soncinese si trova lungo una zona di confine, infatti è ancora incerto se appartenesse alla regione augustea X (Venetia et Histria) o XI (Transpadana). L'invasione delle popolazioni germaniche che provocò la caduta dell'Impero romano d'Occidente, coincide con il periodo tradizionale della fondazione di Soncino. Secondo i principali storici soncinesi furono i Goti, una popolazione di origine germanica, a stabilire un primo insediamento sul dosso attuale.

All'epoca delle invasioni ungare (IX-X secolo) nel Nord Italia si assiste alla nascita di numerose fortificazioni, fenomeno che probabilmente ha interessato anche Soncino, determinando una progressiva frammentazione del territorio. Il 1118 è una data fondamentale, infatti Soncino viene istituito a "borgo franco" segnando il passaggio dalla zona d'influenza bergamasca a quella cremonese. Questa istituzione comporta una notevole espansione demografica ed economica. Il controllo dell'attraversamento del fiume Oglio permette di incamerare notevoli ricchezze. Incominciarono, però, i violenti contrasti con i bresciani che nel 1118 fondarono il borgo franco di Orzinuovi per limitare il potere cremonese nella zona; divenne il secondo borgo franco in Italia ottenendo un proprio potere autonomo.

Nel XIII secolo, sotto la guida di Buoso da Dovara, avviene la prima importante militarizzazione di Soncino. Viene risistemata la vecchia rocca e si costruisce interamente in muratura la cinta muraria. È uno dei periodi più floridi di Soncino, così come in gran parte dei comuni del Nord Italia. L'aumento della ricchezza consente anche migliorie dal punto di vista dei pubblici servizi come la grandiosa costruzione del sistema idrico-fognario che permette anche il funzionamento dei numerosi mulini.

Con il privilegio del 1311 Soncino viene sottoposto direttamente all'Impero (diventa terra separata) senza il controllo di nessuna altra città, come lo era stato prima con Cremona. È il periodo, quindi, di maggiore indipendenza. I privilegi concessi erano di natura prettamente economica che intendevano favorire l'espansione commerciale di questo territorio. Nel 1313 lo stesso Enrico VII, con diploma imperiale, investe in feudo Soncino a Giovanni I conte del Forese. Un'infeudazione più sulla carta che reale e, certamente, non impedì l'assoluta indipendenza e libertà della comunità soncinese.

Nel periodo visconteo (1385-1454) Soncino diventa la più importante roccaforte di difesa lungo la linea di confine del fiume Oglio tra Milano e Venezia. Per ben tre volte nel XV secolo la Repubblica di Venezia riuscì ad impadronirsi di Soncino, dando sempre prova di buon governo. Si sviluppa grandemente l'attività imprenditoriale sia con la famiglia degli ebrei che con alcune famiglie locali, soprattutto Amadoni e Azzanelli continuando anche nel secolo XVI. Ciò permette una diffusione maggiore dei famosi pannilana soncinesi, ormai richiesti su tutti i mercati europei.

La seconda grande militarizzazione del borgo soncinese avviene nell'epoca sforzesca (1454-1536) con il rifacimento completo della cerchia muraria e con la costruzione della nuova rocca. Gli Sforza ebbero grande considerazione di Soncino per la sua posizione strategicamente importante all'interno dello scacchiere militare dell'Italia settentrionale, per questo lo dotarono di imponenti strutture difensive.

Con l'arrivo degli spagnoli (1536) inizia il periodo di decadenza del comune soncinese. L'infeudazione ad opera di Carlo V in favore dei marchesi Stampa limita i numerosi privilegi avuti nei secoli passati da Soncino. Lo stanziamento di numerose truppe militari spagnole contribuisce, inoltre, all'impoverimento del territorio ed alla progressiva e costante perdita di vitalità economica. Tra il XVIII e la prima metà del XIX secolo avviene la completa smilitarizzazione ad opera prima degli austriaci mediante l'abbattimento delle quattro porte medioevali e poi di Napoleone. Questi ultimi avvenimenti determinarono la fine della storia indipendente del borgo soncinese.

Soncino è un borgo con un centro storico di impronta medioevale ancora completamente racchiuso in una cinta di mura del XV secolo.

La Rocca sforzesca (XV sec.) è un importante struttura militare formata da un cortile principale attorniato da quattro torri, tre a pianta quadrata ed una cilindrica. Antistante al cortile principale, verso il borgo, sorge un caratteristico rivellino separato dalla Rocca e dal borgo da quattro ponti levatoi.
Cerchia delle mura e sotterranei. Lungo i due chilometri di mura medioevali sorgono sei torrioni ed in diversi punti si stanno recuperando interessanti strutture sotterranee che facevano parte della difesa militare quattrocentesca.
Il museo bellico è collocato al piano terra della torre di Nord-Ovest del castello e conserva una collezione di divise garibaldine, cimeli e documenti della I e II guerra mondiale: elmetti di varie forme, mostrine, fotografie, lettere, piccoli diari, gavette e borracce segnate dai proprietari con il proprio nome. Sono esposte inoltre sciabole, pugnali, pistole, medaglie, proiettili e una mitragliatrice con raffreddamento ad acqua.

Ospitato all’interno della splendida cornice della Rocca Sforzesca, il Museo civico ripercorre, attraverso un percorso cronologico e tematico articolato in diverse sezioni, le tappe del popolamento nel territorio dalla preistoria fino al XVII secolo inoltrato.
La scelta della sede espositiva si rivela particolarmente adeguata per le caratteristiche dell’edificio, palinsesto strutturale e simbolo storico della città.
Pregevole la sezione dedicata alla seconda età del Ferro che si caratterizza per la presenza di splendidi corredi celtici di armati databili alla metà del III secolo a.C.; alla fase più recente della medesima epoca si collocano invece le sepolture di Isengo (fine II- metà I secolo a.C.), testimoni della progressiva romanizzazione delle popolazioni a seguito alla conquista della Gallia Cisalpina.
L’età romana è documentata dai numerosi reperti recuperati in località Bosco Vecchio a Gallignano, uno tra i pochi siti pluristratificati della Provincia di Cremona; l’esistenza di una villa rustica con annessi impianti produttivi per la fabbricazione di materiale laterizio è confermata dai marchi di fabbrica impressi, recanti i nomi dei produttori (F.P.Q., Q.DELLI, Q.VAL, Q.V.H.).
Il percorso di visita si chiude con una sala dedicata al Borgo e alla Rocca Sforzesca dove trova spazio la selezione di ceramiche rinascimentali recuperate durante gli interventi di pulitura e sgombero dei cunicoli e dei bastioni delle mura.

All’interno delle mura, testimoni della ricchezza idrica di Soncino e dello sviluppo del commercio manifatturiero, ci sono i mulini ad acqua distribuiti sul territorio come quello di S.Angelo ancora esistente, che utilizzavano la forza motrice idrica; ma era soprattutto sotto al tratto meridionale delle mura che si concentravano gli insediamenti produttivi grazie alla presenza di una segheria affiancata al  mulino di San Giuseppe, la quale sfruttava l’ultimo salto delle acque che andavano poi ad irrigare le bassure dell’Oglio

La Torre Civica è una struttura difensiva edificata nel 1128, al Palazzo Vecchio fu affiancato il Palazzo dei Consoli con una nuova torre civica, a canna quadrata con un'altezza di 31,50 m (successivamente rialzata fino agli attuali  41,80 m ).

A metà '200, il podestà e signore Buoso da Dovara vi aggiunse il Palazzo Pretorio sotto le cui arcate trovò sepoltura Ezzelino da Romano (1249).

Al breve dominio veneziano si deve la torretta dei Matéi (o Mori 1506) che il terremoto del 1802 abbatté assieme a due campate del fabbricato, risparmiando però l'ala meridionale della metà '400 che s'affaccia sulla piazza maggiore del borgo.Durante la succesiva ricostruzione, la facciata venne integrata con l'orologio zodiacale  (il quadrante con i simboli astrologici in terra cotta è del 1977.
             
Secondo la tradizione nel palazzo venne rinchiuso Ezzelino da Romano, dopo che fu sconfitto nella battaglia di Cassano il 27 Settembre 1259 dal soncinese Giovanni Turcazzano. Narrano le cronache che Ezzelino si lasciò morire dopo pochi giorni. Per tradizione ogni mercoledì mattina alle ore 9:00 (in origine a mezzo giorno) il campanone della torre civica fa risuonare i lugubri rintocchi dell'agonia che ricordano la fine del tiranno.
L'interno del palazzo ospita nella bella sala della giunta l'importante Archivio Storico Civico, con documenti al partire dal 1311 e una raccolta di quadri.

Lungo i due chilometri di mura medioevali, nella parte settentrionale, sorgono sei torrioni a intervalli regolari, a pianta circolare con alta scarpa e tamburo cilindrico separato da una cornice a toro, che servivano quale strumento di difesa. Al loro interno vi erano ricavati dei magazzini dove potevano essere concentrati gli strumenti di difesa.Al contrario, la parte meridionale delle mura non presenta torrioni difensivi.

Si può osservare oggi  la particolare conformazione della struttura fortificata, alta sul piano di campagna con andamento prima rettilineo e poi inflesso delle mura. La tessitura non sempre uniforme dell'apparato murario e gli sporti su beccatelli che a tratti si evidenziano, testimoniano i molti rifacimenti e le numerose riparazioni
                                 
Oggi alcuni tratti di mura sono stati riutilizzati come base d'appoggio per costruire alcune case.

La Casa degli Stampatori,secondo la tradizione era la casa della famiglia di ebrei che a Soncino stamparono nel 1488 la prima bibbia ebraica completa al mondo ad opera di Ghershom Nathan Soncino e poi presero il nome dal borgo di Soncino. Attualmente è sede del Museo della Stampa..

Il quatrrocentesco Palazzo degli Azzanelli è il risultato della trasformazione di un precedente palazzo, acquistato dalla famiglia di mercanti soncinesi.
Il palazzo presenta un'elegante facciata decorata da monofore trilobate in cotto con putti e modanature a tortiglione, con cornice a marcapiano in cotto, decorata da festoni, ghirlande e putti reggi ghirlanda. Il cortile assume invece una monumentalità seicentesca nell'ampiezza degli archi ribassati e nella solidità delle colonne con entasi. Un tempo il palazzo presentava una ricca decorazione costituita da piastrelle in ceramica policroma.

La Pieve di S. Maria Assunta (XII sec.) è la chiesa più importante del borgo, fondata nel XII sec. fu una delle prime chiese della diocesi di Cremona. Venne rimaneggiata a più riprese, di cui l’ultima nel XIX sec. diede l’impostazione attuale. Rilevanti al suo interno un affresco raffigurante la trinità ariana, un dipinto di Mathias Stormer e due sculture lignee.
La Chiesa di San Giacomo (XIV sec.) nasce originariamente come un luogo di sosta dei pellegrini diventa poi un convento degli agostiniani (che vi ergono la torre eptagonale). Il culmine della sua importanza lo raggiunge con i domenicani che si insediano nel XV sec. e poco alla volta creano tre chiostri e soprattutto insediano una farmacia ed un importante biblioteca. Il convento fu retto come priore da Michelangelo Ghislieri divenuto poi Papa San Pio V. Pregevoli all’interno una pietà in terracotta policroma dello De Staulis e le vetrate di Fra Ambrosino da Tormoli. Contiene le spoglie di Stefana Quinzani, domenicana, venerata come beata dalla Chiesa cattolica.
Chiesa di Santa Maria delle Grazie (XV sec.) notevole esempio di architettura rinascimentale, eretta nel 1492 per i Carmelitani. Ancora oggi appare completamente affrescata con notevoli dipinti tra i quali emergono il Giudizio universale sulla controfacciata e le opere di Giulio Campi. Da ammirare anche l'elegante interno che presenta una preziosa decorazione in terracotta nello stile dello scultore Giovanni Antonio Amadeo in collaborazione con Agostino De Fondulis. Attualmente è retta dalle suore dell’Istituto Sacra Famiglia.

La chiesa di S. Pietro Martire si trova nel quartiere Ghibellino; situata nella via omonima, fu sede della Confraternita dei Crocesignati che si costituì nel 1451 ed ebbe quale prima sede la distrutta chiesa di S.Lino.

In seguito venne ospitata nell'Oratorio di S.Pietro Martire dei Disciplini, che erano già insediati nel castro davarese da circa un secolo.

I primi contrasti sorsero nel XVI secolo, ma divennero insanabili nel Settecento, allorché i Crocesignati denunciarono apertamente la pratica medioevale della flagellazione che i Disciplini ancora praticavano. L'autorità civile intervenne per vietare quella pratica, ma nel 1762 i Crocesignati dovettero lasciare la sede dei Disciplini che verò loro metà del valore dell'antica chiesa affinché potessero costruirne una nuova.

Nel 1765 venne eretto il nuovo Oratorio dei Crocesignati i quali ottennero di potervi traslare la dedicazione a S.Pietro Martire, mentre l'Oratorio dei Disciplini fu intitolato al Santo Crocefisso. Nel 1771, quando la confraternita fu soppressa, la chiesa passò sotto la giurisdizione della pieve. La chiesa presenta un'elegante facciata a doppio ordine con lesene e frontone triangolare.

L'interno, a navata unica, presenta due cappelle laterali. Sulla parete di fondo dell'abside possiamo ammirare la Madonna col Bambino tra Santa Caterina da Siena, S.Raimondo da Penyafort ed il Beato Francesco Cropello da Soncino, opera eseguita nel 1601 dal manierista cremonese Cesare Ceruti.

Notevoli sono pure le sculture lignee policrome raffiguranti S.Rocco ed il Cristo Morto, eseguite nel XVIII secolo. Quest'ultima è ospitata nell'urna che sino al 1784 aveva accolto le spoglie della Beata Stefana Quinzani e che, dopo la sua traslazione a Colorno, venne qui collocata.

L'area su cui sorge la chiesa corrisponde all'antica area incolta inglobata all'interno della nuova cinta muraria voluta da Buoso da Dovara nel XIII secolo. Qui si trovava, un tempo, un Oratorio dedicato a S.Giorgio.

La chiesa di S. Pietro Apostolo edificata nel XII, posta fuori le mura, subì un pesante rifacimento nel XVII secolo, mentre nel 1915 venne allungata di una campata con conseguente ricostruzione della facciata, dal lineare impianto classicheggiante.

L'interno, a navata unica con volta a botte, presenta quattro cappelle per lato intervallate da pilastri e colonne di ordine ionico. In alcune parti della chiesa si possono ammirare i frammenti della decorazione risalente ai secoli XIV e XV. Nella seconda cappella sinistra vi sono due affreschi votivi raffiguranti la Madonna con Bambino, mentre nella quarti vi sono frammenti raffiguranti una figura di Santo Incoronato, probabilmente S. Luigi di Francia o re Davide. Sopra le porte del presbiterio si possono ammirare altri frammenti raffigurante un altro Santo Incoronato, mentre a sinistra troviamo un Cristo Crocifisso, mentre l'affresco sopra il confessionale della quarta cappella a sinistra, raffigurante probabilmente i santi Cosma e Damiano, risale al XVI secolo. La cappella della Madonna presenta una Madonna del Latte, affrescata nel XV secolo e trasportata agli inizi del XVII dall'altare precedente. Fu in quell'occasione che l'affresco venne ampliato con l'aggiunta di S. Lucia e S. Agata ai lati, mentre sopra venne affrescato il Padre Eterno e due angeli che incoronano la Vergine. Nella lunetta vi è affrescata un'Annunciazione. Sul secondo altare destro troviamo una copia antica raffigurante S. Antonio da Padova, opera di Carlo Francesco Nuvolone ed eseguita nel XVII secolo per la chiesa di Trenzano. Al secondo altare troviamo un Battesimo di Cristo, opera secentesca di scuola veneta, mentre al terzo troviamo una pala raffigurante S. Anna, la Vergine e S. Fermo, opera di scuola lombarda del XVIII, probabilmente del Picciotti. Alle pareti del presbiterio troviamo, a destra, S. Pietro liberato dal carcere, del casalasco Paolo Araldi, che lo dipinse alla fine del XVIII secolo, mentre a sinistra troviamo l'Immacolata ed i Santi Francesco d'Assisi e Margherita da Cortona, opera settecentesca di Giandomenico Cignaroli. Pregevoli sono pure l'altare maggiore e le balaustre.

La Chiesa dei SS. Paolo e Caterina già appartenente all'ex-convento omonimo, presenta una navata unica con doppia volta ad ombrello. Sull'altare conserva un grande affresco raffigurante la Crocifissione con la Madonna, S. Giovanni, S. Paolo e la Beata Stefania Quinzani, opera attribuita a Francesco Carminati che la dipinse nel XVI secolo. A destra troviamo una copia in stucco del primo sepolcro cinquecentesco della Beata Stefania, che si trovava nella chiesa pubblica. Alle pareti laterali vi sono monumenti sepolcrali ottocenteschi appartenenti alla famiglia Galantino. Il più sontuoso è quello di Francesco Galantino. In controfacciata troviamo una Conversione di S. Paolo, opera eseguita nel 1579 dal bresciano Grazio Cossali.

A Soncino ci sono altre chiese:Sant' Imerio a Gallignano, San Bartolomeo a Isengo, San Bernardo a Villacampagna.

Il Museo della seta di Enzo Corbani è all'interno dell'ex Filanda Meroni e vi sono esposti antichi strumenti per l'allevamento del baco e lavorazione della seta.

Soncino è sede culturale del Parco Oglio Nord e sul territorio comunale sorgono due riserve naturalistiche sul fiume stesso: la Riserva naturale Bosco de l'Isola e la Riserva naturale Bosco di Barco. Inoltre nel territorio comunale è presente anche una porzione del Pianalto della Melotta (PLIS) Parco Locale di Interesse Sovraccomunale. Dal punto di vista naturalistico hanno rilevanza anche due canali: il Naviglio Grande Pallavicino e il Naviglio Nuovo Pallavicino.

Il paesaggio naturalistico più rilevante è il Terrazzo Alluvionale del fiume Oglio, tutta la porzione di territorio a Sud del borgo e delle mura plasmato nei secoli dal lento scorrere dell'Oglio.

Interessante dal punto di vista naturalistico il Parco del Tinazzo, che sorge a un paio di km a nord del borgo sulla strada Calciana. Creato dalla famiglia Cerioli nell'800 custodisce accanto a tipiche piante locali, di cui alcune secolari, anche essenze provenienti da altri continenti.

Nel territorio comunale esiste anche un sito di interesse archeologico dove probabilmente sorgeva una villa romana.

Gallignano è la maggiore frazione del comune di Soncino, conta oggi circa 1000 abitanti tra il nucleo principale e le numerose cascine e la località San Gabriele.

La genesi più accreditata del paese dice che i primi insediamenti umani furono per la lavorazione dell'argilla in zona Bosco Vecchio, cascina esistente fino agli anni 90 del secolo scorso, poi a San Gabriele, situato lungo la via romana ricordata come barbaresca. San Gabriele, ora località di 15 cortili organizzati con un evidente criterio urbanistico di comunità, non crebbe a causa della pericolosità della via romana: dopo la caduta dell'impero la popolazione si spostò a fondare Gallignano, l'attuale località di riferimento per una vasta campagna. A Gallignano è presente il gruppo archeologico Aquaria che ha censito molte prove a suffragare la probabile cronologia appena esposta.

Da visitare in paese la chiesa parrocchiale e un palazzo privato in cui sostò Napoleone.

A San Gabriele un palazzo privato di proprietà della famiglia Manenti e la chiesetta santuario di Villa Vetere, posta in aperta campagna, ricostruita dopo il terremoto di Soncino del 1802, su un preesistente luogo di culto documentato dal 1600 ma con ogni probabilità risalente ai tempi dei primi insediamenti. Ovunque nel territorio ci sono risorgive di acque di falda, qui particolarmente vicina alla superficie e da tempo immemorabile scavata e condotta sui prati.

Isengo è la piccola frazione di circa un centinaio di abitanti che sorge a nord-ovest del capoluogo; ha qui sede lo stadio delle Robinie, impianto calcistico e centro nevralgico della comunità. Nel suo territorio sono state ritrovate diverse testimonianze archeologiche.

Villacampagna è la frazione posta lungo la strada per Cremona. È stata sede di una delle prime case dell'Istituto Sacra Famiglia.

Nel quartiere San Martino sorge il palazzo dei Conti Covi: una costruzione che segue l'andamento della strada con un bel portale a tutto sesto e ghiera di pietre bugnate.Sono interessanti all'interno le rinascimentali assette dei soffitti, e all'esterno la fascia ornamentale in tera cotta. In origina il palazzo doveva presentarsi in forme non dissimili da quelle di palazzo Azzanelli ; l'interno era spesso impreziosito da soffitti a cassettoni con tavolette dipinte a soggetti araldici e cavallereschi.Nel cornicione si compongono motivi di serie tardo medievale e rinascimentale: putti alati, inginocchiati che reggono festoni sui quali un tempo si affacciavano angeli musicanti e tutt'ora affiancano ghirlande racchiudenti lo stemma del nobile casato.
Ancora ben conservati sono i cortili, porticati e colonnati dei secoli V e VI secolo. Il più caratteristico è ora sede dell'enoteca "Ai cinque frati" che presenta una serie di colonne in marmo con dei capitelli fogliati quattrocenteschi.

La Piazza San Martino così denominata in onore del patrono del Borgo, S.Martino di Tours(316c.-397).
                                                   
A seguito di questo i Soncinesi fecero un voto e nel 1276 eressero una chiesa dedicata al Santo.L'oratorio che affiancava la chiesa era di una sola navata con tetto a capriate e pavimento in mattoni.(oratorio)

Le pareti erano decorate con affreschi e l'interno prendeva luce da tre finestre: due rettangolari e una rotonda;il portale in legno posto sulla facciata era l'unico accesso alla chiesa.La cappella maggiore ospitava l'altare in mattoni al di sopra del quale si poteva ammirare una statua lignea di S.Martino. Dietro l' altare la sacrestia.

Il 7 dicembre 1775 l'oratorio venne profanato per esigenze viabilistiche e al suo posto si aprì l'attuale piazza del mercato.

Accanto alla piazza si trovano i "Portici Rossi", fatti costruire tra il 1878 e il 1879 dal comune sull'area di antiche abitazioni civili destinati al mercato di pollame ed ortaggi, denominati così dalla popolazione in riferimento al pavimento in mattoni a coltello.
 Formelle in calda terracotta rossa decorano le pareti con la rappresentazione di mesi, vecchi mestieri e giochi infantili, opera del gruppo Deca.

Leonardo Da Vinci nei suoi scritti annota: a Sonsino sol cremones accanto a un disegno di canali irrigui. Una probabile testimonianza di un suo passaggio a Soncino.

Nel corso dell’anno si tengono diverse manifestazioni sia di lunga tradizione sia più recenti. Le principali sono: Festa di Primavera (quarta domenica di maggio) – Sagra delle Radici (quarta domenica di ottobre) – Rievocazione storica (primo week-end di ottobre) Halloween a Soncino (31 ottobre di sera) – Carnevale (si festeggia la domenica e il martedì grasso) – Sagra di S.Luigi (seconda domenica di settembre) – Soncino Fantasy (25 aprile) – Festa del Fiume (seconda e terza settimana di giugno). Inoltre le sagre delle tre frazioni sono le seguenti: per Gallignano è il 21 ottobre S. Imerio, per Isengo è il 24 agosto S.Bartolomeo e per Villacampagna è il 4 maggio S.Gottardo.

Il borgo è particolarmente attivo dal punto di vista culturale, infatti sono attivi diversi gruppi culturali. Oltre all’associazione Pro Loco, sono presenti altre associazioni che si occupano dell’aspetto turistico, come per esempio la Cooperativa il Borgo. Nella frazione di Gallignano da diverso tempo è presente l’associazione Aquaria che si interessa di archeologia sia dal punto di vista dei ritrovamenti sia della cura del Museo Archeologico. Altro gruppo particolarmente attivo è l’Associazione Castrum Soncini che si occupa di speleologia urbana, ovvero del recupero del patrimonio sotterraneo del centro storico, inoltre organizza manifestazioni rievocative. Il gruppo Deca invece si dedica alla lavorazione dell’argilla ed alla creazione di oggettistica in ceramica. Sono attive in città anche sedi locali di Lions Clubs International e Rotary International. Particolarmente importante è la Banda civica, ovvero l’Orchestra di fiati della città di Soncino, come recita la nuova denominazione. Sorta nel lontano ‘800 recentemente si è profondamente rinnovata con la partecipazione di maestri diplomati. Ciò ha portato alla pubblicazione di diversi CD e alla partecipazione a concorsi internazionali, tra cui si ricorda la vittoria del Flicorno d’Oro (Riva del Garda), Concorso per Bande di Valencia (Spagna), Concorso di Kerkrade (Paesi Bassi). Per quanto riguarda, invece, la musica leggera sono attivi alcuni gruppi tra cui il gruppo Kèi del furmai che propone canzoni pop-rock in dialetto soncinese. A Soncino è presente una delle migliori bande musicali italiane: La Banda Civica Musicale di Soncino, vincitrice di importanti premi internazionali come il "Concorso Internazionale per Bande" organizzato dal Comune di Valencia in Spagna. Dal 2001 ha cambiato denominazione in Orchestra di fiati città di Soncino, per poi tornare attualmente al nome originario.

Particolarmente attivi anche i diversi gruppi che si occupano di solidarietà. Oltre alle ormai consolidate Avis e Croce Verde sono presenti anche le seguenti associazioni: Scout Agesci, Gruppo F.Moreni, Caritas, Gruppo H – Quartiere Brolo, Argo, Acli, Centro Ricreativo Anziani, Protezione civile IL GRIFONE.

Il terremoto di Soncino avvenuto il 12 maggio 1802 con intensità pari a 8÷9 gradi della scala Mercalli.

Una prima scossa fu avvertita il giorno precedente, l’11 maggio verso le 18, con abbassamento del livello delle acque nei pozzi e presenza di odore di zolfo.

La scossa principale avvenne il giorno 12 verso le ore 9,30 e il suo epicentro dovrebbe essere posto nella media valle dell’Oglio nei dintorni della città di Soncino interessando una ventina di paesi.

A Orzinuovi si ebbero i danni maggiori con danni su 400 degli oltre 500 edifici del centro abitato. Si ebbero crolli nelle chiese di San Domenico, di San Francesco, nella Chiesa della Madonna, nell’Ospedale dei Poveri e nel convento di Santa Chiara.

A Soncino si rilevarono danni alla chiesa parrocchiale, alla chiesa di San Giacomo, alla chiesa di Santa Maria delle Grazie, con il crollo di un’arcata, alla chiesa di San Bernardo, cui danni ad una parte del campanile. A Soncino si ebbero anche 2 morti (oppure 2 feriti molto gravi). Baracche di legno improvvisate accolsero la popolazione che si dedicò a pratiche devozionali e penitenziali. Danni furono rilevati anche nella frazione di Gallignano e nel comune di Ticengo.

A Romanengo crollò la chiesa parrocchiale, tanto che venne ricostruita ex novo dopo pochi anni.

Si ebbero danni anche a Crema, con fenditure e crepe nella Cattedrale, nell’Arco del Torrazzo, nella chiesa di San Bernardino degli Osservanti; crolli al campanile del santuario di Santa Maria delle Grazie, le cappelle della basilica di Santa Maria della Croce furono scoperchiate.

Una fenditura si ebbe nel territorio di Credera Rubbiano con fuoriuscita di abbondate acqua.

La scossa fu avvertita distintamente anche a Lodi, Cremona e Brescia. Altre scosse si susseguirono fino al 24 giugno dello stesso anno.

L’economia locale è ancora molto legata all’agricoltura, il vasto territorio è in gran parte occupato da aziende agricole legate all’allevamento di bovini e suini. Soncino è il comune della provincia di Cremona con il maggior numero di allevamenti zootecnici. Per ciò che riguarda l’industria i settori più presenti sono quello cartario, siderurgico, laterizio. Esiste anche una zona industriale tra le statali per Cremona e Crema.

Un particolare prodotto dell'agricoltura locale è la cosiddetta "Radice di Soncino", una radice dal gusto amarognolo coltivata solo nella zona. Ad ottobre si tiene una sagra dedicata a tale prodotto.

Dalla stagione 2012/2013, Soncino ha una nuova squadra di calcio: la "San Paolo Soncino" (colori sociali bianco-rosso del gonfalone cittadino), nata dalla fusione tra la U.S.D. San Paolo Gallignanese e lo S.C. Soncino. La nuova società partecipa al campionato di seconda categoria. Sono attive le seguenti società sportive: San Paolo Soncino (calcio - seconda categoria)- Soncino Sporting Club (nuoto) – S.C. Imbalplast (ciclismo) – Gruppo Atletica Arvedi Soncino (atletica) – U.S. Acli Vassalli Karate Soncino (arti marziali) – Gruppo Alpinisti Anonimi (alpinismo) – Circolo Sportivo il Biliardo (biliardo) - Boneless Club (skate & bmx) - A.S.D Rainbow center (fitness e arti marziali) - Bronx Soncino (calcio - livello amatoriale).

Persone legate a Soncino:
Cabrino Fondulo, condottiero. Fu un abile militare che si fece valere nelle varie guerre tra le signorie del periodo. Ciò gli valse anche la nomina di Capitano delle milizia a Bologna e la cittadinanza di Firenze, nel 1420.
Beata Stefana Quinzani, fondatrice di un convento domenicano e grande esempio di santità, è salita all'onore degli altari con papa Benedetto XIV il 14 dicembre 1740.
Santa Paola Elisabetta Cerioli, fondatrice della Congregazione dei religiosi e delle religiose della Sacra Famiglia di Bergamo. È stata proclamata santa da Giovanni Paolo II il 16 maggio 2003.
Piero Manzoni, artista famoso per i suoi Acrhome e Merda d'artista; appartenente alla corrente dello Spazialismo insieme a Lucio Fontana.
Lisa Morpurgo (nata Dordoni), scrittrice e famosa esperta di astrologia.
Antonio Gussalli,(1806-1884), letterato.
A Soncino morì il celebre condottiero Ezzelino da Romano. La leggenda vuole che il suo corpo sia sepolto, assieme al suo tesoro, "all'ombra del campanile" della chiesa principale. Ancor oggi, settimanalmente, la campana della Pieve di Soncino batte un rintocco in ricordo della morte di Ezzelino.
Dal 1548 al 1550 fu priore del convento di San Giacomo di Soncino Michele Ghislieri, divenuto poi Papa Pio V e successivamente Santo. Famoso per la battaglia di Lepanto e per la sua attività di inquisitore.
Marianna de Leyva, meglio nota come la Monaca di Monza citata dal Manzoni ne "i Promessi Sposi", passò parte della sua infanzia a Soncino in quanto, rimasta orfana, venne affidata alla zia, sposata al Marchese Stampa. In particolare dimorò nella Rocca Sforzesca.
Altro particolare personaggio legato a Soncino attraverso la nobiltà locale è la Marchesa Luisa Casati, sposa del Marchese Camillo Casati Stampa di Soncino (Muggiò, 1877 - Roma, 1946). Fu un eccentrico personaggio di inizio Novecento che raccolse attorno a sé i maggiori artisti europei degli anni venti e trenta tra cui Gabriele D'Annunzio, Jean Cocteau, Filippo Tommaso Marinetti, Jack Kerouac, per i quali fu musa ispiratrice, mecenate e, spesso, amante.
Lara Consolandi, nuotatrice. Ha partecipato ai campionati mondiali ed europei di nuoto con buoni piazzamenti.
Eleonora Soldo, ciclista. Campionessa europea su pista e di altri titoli continentali.
Giovanni Zavaglio, calciatore. Ha giocato come attaccante negli anni sessanta con Atalanta, Catanzaro, Verona, Venezia e Cremonese. Militando nei campionati di serie A, B e C.
Renato Cappellini, calciatore. Ha giocato come attaccante con Inter, Roma, Fiorentina, Como, Genoa, Varese e Chiasso. Vincitore con l'Inter dello scudetto 1965/1966. Conta 2 presenze e un goal in Nazionale.
Mino Denti, ciclista. Vincitore del Tour de l'Avenir nel 1966. Ciclista di fama mondiale.
Sergio Borgo, calciatore. Ha giocato con Lazio e Pistoiese. Vincitore con la Lazio dello scudetto 1973/1974; è stato direttore generale del Novara fino al 2008.
Giacomo Losi, calciatore. Gioca dal 1954 al 1969 nella Roma come difensore. Soprannominato dai tifosi "Core de Roma", vince con la sua squadra la Coppa delle Fiere (oggi Coppa Uefa) nel 1961 e 2 Coppe Italia nel 1964 e 1969. Conta 11 presenze in nazionale. Oggi è allenatore della Nazionale Italiana Attori
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sabato 30 maggio 2015

BORGO GRADELLA A PANDINO



Gradella (anticamente Gardella) è una frazione del comune italiano di Pandino, in provincia di Cremona facente parte dell'associazione de I borghi più belli d'Italia.

La origini di Gradella risalgono al periodo alto medioevale (probabilmente tra l'VIII e il IX secolo) e doveva trattarsi di un presidio longobardo munito di un castello probabilmente abbattuto nel XIII secolo.

Originariamente, il borgo aveva nome Gardella. L'ipotesi più probabile è che esso derivi dal germanico gard (luogo fortificato) ed ell (in germanico alod, possesso), quindi significherebbe possesso della fortificazione.

Il primo riferimento scritto in cui compare il nome di Gradella è, tuttavia, del 1186 quando Federico Barbarossa concede a Milano vari possedimenti, tra i quali figurano Gradella, Pandino, Agnadello e Rivolta.

Successivamente, con il trattato di pace tra Lodi e Milano del 1198, i milanesi consegnano ai lodigiani le giurisdizioni civili e criminali sulla circoscrizione ecclesiastica di Lodi, che comprendeva anche Gradella che passerà sotto il controllo della Diocesi di Lodi.

Nel 1442 la metà lodigiana del territorio di Gradella (Gradella Inferriore) entrerà a far parte, con Spino d'Adda e Nosadello, di un feudo concesso alla famiglia milanese dei Landriani. L'altra metà, (Gradella Superiore), rientra nel territorio del Ducato di Milano e farà parte del Feudo di Pandino, che passa nelle mani delle famiglie Visconti, Sforza, Sanseverino, Duarte, e infine alla famiglia dei marchesi d'Adda.

A partire dal 1558 Onofrio Maggi, membro di una nobile famiglia bresciana, ma residente a Milano dove svolgeva il ruolo di cancelliere e capitano di giustizia, iniziò ad acquistare terreni nella zona di Gardella.

Nel 1692 Il marchese d'Adda e il signor Capra (la cui famiglia aveva rilevato il feudo di Spino d'Adda, Gradella e Nosadello nel 1637) rimettono i loro possedimenti in Gradella Superiore e Inferiore alla Regia Camera Ducale di Milano.

Il 24 aprile di quello stesso anno, essendo la famiglia Maggi divenuta oramai proprietaria del borgo (a quell'epoca abitato da 49 famiglie), dove aveva fatto erigere la villa padronale, e dei terreni circostanti, Girolamo, discendente, di Onofrio, ottenne l'investitura da parte del re Carlo II di Spagna (sotto la cui giurisdizione ricadeva anche il Ducato di Milano) del Feudo di Gradella con il relativo titolo di conte.

Nel 1705 la località fu saccheggiata e gravemente danneggiata dalle truppe francesi che si opponevano agli austriaci guidati dal principe Eugenio di Savoia nell'ambito della Guerra di successione spagnola, per cui è a dopo questa data che risale l'impianto urbanistico attuale.

A seguito di tale conflitto, il Ducato di Milano diverrà dominio austriaco e, in base alla compartimentazione della Lombardia austriaca, Gradella diverrà un comune appartenente alla provincia di Lodi.

Nel 1796 il borgo sarà testimone del passaggio di Napoleone Bonaparte, allora generale della Prima Repubblica Francese, che qui si riposò prima della battaglia di Lodi combattuta contro gli austriaci.

In età napoleonica (1809-16) Gradella fu frazione di Pandino, recuperando l'autonomia con la costituzione del regno Lombardo-Veneto.

All'Unità d'Italia (1861) il paese contava 359 abitanti. Nel 1868 Gradella, assieme a Nosadello, fu aggregata al territorio del Comune di Pandino.

Negli anni trenta la proprietà di Gradella passo al conte Aymo Maggi, celebre per essere stato uno dei creatori e organizzatori della Mille Miglia, il quale dedicò molte attenzioni al borgo e ai suoi abitanti facendo costruire le scuole, l'asilo, l'acquedotto, i bagni pubblici e il campo sportivo.

Durante il Secondo conflitto mondiale il borgo fu in parte utilizzato come campo di detenzioni per soldati inglesi e del Commonwealth che venivano impegnati nella lavorazione dei campi.

Nel 1944 la villa padronale venne requisita dal comando germanico di Cremona e utilizzata per un certo periodo come quartier generale dal Generale Graziani, comandante delle forze armate della Repubblica Sociale Italiana, che vi s'incontrò con Mussolini, e il Feldmaresciallo Kesselring.

Nel 1982 la contessa Camilla Martinoni Caleppio, vedova del conte Aymo Maggi, cedeva tutte le proprietà possedute a Gradella, cessando così la secolare presenza della nobile famiglia nel borgo.

Nella proprietà subentrò, supportato dal sistema bancario, l'architetto piemontese Simone Appendino che prevedeva di fare di Gradella un circolo golfistico.

Non essendo tale progetto andato in porto, buona parte della proprietà, inclusa la villa padronale, fu in seguito acquisita a metà del anni anni ottanta dall'ingegner Bruno Beccaria, Cavaliere del Lavoro e imprenditore bresciano ex amministratore delegato dell'IVECO e a quel tempo Presidente del Gruppo Necchi di Pavia.

La nuova proprietà mantenne l'originaria impostazione agraria del borgo che implementò con nuovi investimenti volti al miglioramento e all'ampliamento dei fabbricati rurali in uso e alla conversione di quelli dismessi per uso residenziale nel rispetto della secolare fisionomia del borgo.

Tale sforzo sarà premiato nel 2005 con l'inclusione di Gradella nell'associazione de I borghi più belli d'Italia.

Secondo una leggenda diffusa dal sig. Beppe Consolandi nel 1951, il nome di Gradella deriverebbe da quello di Graziella, una principessa che anticamente regnava su queste terre, rapita da un drago e poi salvata da un valoroso cavaliere. Tale leggenda non ha fondamenta storiche, tuttavia affonda le sue radici nell'antico aspetto di questa zona, caratterizzata un tempo da boschi, mentre il drago è ricollegabile al leggendario mostro del Lago Gerundo (agglomerato di paludi poi bonificate). Attraversando il viale alberato che porta a Gradella sembra comunque di entrare in un ambiente fiabesco, cui concorre anche la tranquillità in cui il borgo è immerso, rotta solo dai rumori di una natura praticamente intatta.

L'amministrazione Comunale di Pandino ha fatto propria la volontà di preservare la frazione attraverso il piano regolatore, che vincola gli interventi edilizi al rispetto di un regolamento rigoroso che, impedendo nuovi insediamenti, concede solo il recupero del patrimonio edilizio esistente. Il tutto nel rispetto dei criteri costruttivi locali dominati da mattoni a vista, fronti porticate, rivestimenti esterni intonacati al rustico o in mattoni.

I colori delle case sono regolamentati da una tavolozza "terrosa" depositata presso l'Ufficio Tecnico Comunale.
I serramenti devono essere realizzati in legno e i tetti rigorosamente in coppi della tradizione.
Girellando per la strada del borgo non si può fare a meno di respirare un'atmosfera d'altri tempi, gustando il silenzio e spingendo lo sguardo verso il lungo viale d'accesso costellato dai pioppi.
Un luogo fuori dal tempo che sa offrirsi ai visitatori che vi trovano una serie di trattorie, bar e ristoranti vocati alla gastronomia della tradizione cremasca.
Il caseificio Conte Aymo, che prende nome dall'ultimo conte di Gradella, produce mozzarelle e formaggi tipici della pianura cremasca.

L’abitato rurale di Gradella è considerato nel piano regolatore del Comune di Pandino un centro storico degno di particolare attenzione. Si presenta con le caratteristiche case dipinte in giallo, profilate di mattoni rossi e con le corti comunicanti.

Le fronti porticate, il motivo ornamentale delle lesene in mattoni a vista, il legno come materiale costruttivo che si accompagna al laterizio, fanno di questo borgo un lembo poetico della Val Padana, un “mondo piccolo” che resiste all’invasione dei capannoni, delle villette geometrili, degli ipermercati, degli outlet.

Non è possibile l’espansione edilizia ma solo il recupero del patrimonio esistente, salvaguardando i criteri costruttivi tradizionali, i manti di copertura in coppi, i serramenti in legno, la gamma terrosa degli intonaci, i rivestimenti rustici.

L'attuale piazza di Gradella era, nel 1740, occupata dal cimitero parrocchiale. Il suo confine era oggetto di parecchie controversie fra i parroci gradellesi ed i conti Maggi, che si contendevano il possesso.

Nel mezzo della piazza vi erano due abitazioni proprietà dei conti Maggi, in queste abitazioni vivevano i lavoratori dei conti e potevano utilizzare lo spazio antistante le case per varie attività.

Vicino a queste abitazioni sorgevano degli orti, uno di questi orti confinava con il retro della chiesa del paese e col coro. In quest'orto vi era stata scavata una buca per il letame e questo, insieme all'umidità, danneggiò la chiesa e spinse i parroci a lottare per la chiusura della Chiesa.

Nel 1861 il cimitero fu trasferito al di fuori dell'abitato di fronte alla cappella che ricorda il luogo in cui era stato collocato l'antico lazzaretto sorto nel periodo delle peste del 1630 e nel 1865 la famiglia Maggi promosse la costruzione della nuova chiesa, dedicata alla Santissima Trinità e a San Bassiano, in sostituzione di quella preesistente di origine medioevale.

Quando nel 1934 si ebbe la necessità di sostituire le piante che fungevano da confine sulla strada comunale, il parroco del paese chiese di riunire il Consiglio di Fabbriceria per proporre di ricordare i caduti in guerra inserendo un’aiuola tra la strada e la piazza della chiesa. Il consiglio di Fabbriceria acconsentì e anche il Comune di Pandino, così sorse il Viale dei Caduti sul piazzale della chiesa.

La chiesa parrocchiale della Santissima Trinità e San Bassiano, edificio ricostruito a partire dal 1895.
Nello svolgersi di parecchi secoli, al cambiare della situazione demografica, la piccola chiesa supplì ai bisogni spirituali della gente, Svolse la sua funzione fino al 1895. Sorgeva nello stesso luogo occupato da quella attuale, ma disposta sull’asse est-ovest. Sul lato sud, vi erano il cortile e la casa prepositurale, mentre a nord confinava col cimitero. L’ingresso principale era raggiungibile attraverso la corte prepositurale, o dalla strada maestra, passando per il cimitero. Esso era coperto da un pronao, sostenuto da due colonne. Si pensa che la chiesa possa avere subito, durante i secoli precedenti, parecchi interventi per ripararla dal naturale logoramento dei materiali, non escludendo la possibilità di possibili aggiunte architettoniche. Successivamente furono avviate numerose opere di restaurazione della chiesa. Più volte deve essersi prospettato il problema di un ampliamento, dato lo spazio angusto e la misera condizione del locale. Il prevosto Stefano Mella fece le pratiche per un ampliamento con prolungamento, per fare il quale era necessario occupare parte dello spazio di proprietà della famiglia Maggi. Ma il Conte Onofrio non ritenne opportuno concedere l’area necessaria per il prolungamento.

Il progetto, accantonato, venne ripreso dopo una decina di anni dal parroco Fontanella un’altra persona che amava molto Gradella. Il vescovo Rota, che amava molto Gradella, condivisa con il parroco del paese l’idea di edificare una nuova chiesa parrocchiale in luogo della piccola e ormai fatiscente. Successivamente si diede inizio ai lavori di costruzione, che proseguirono con un ritmo incessante, per cui il 19 ottobre del 1896, Monsignor Rota consacrò il nuovo edificio.

Aymo Maggi (1903-1961) è stato l'ultimo Conte di Gradella, e forse quello che più ha amato il borgo: quando se ne allontanava, non nascondeva la nostalgia che la lontananza gli procurava. Nel 1933 iniziò a scrivere il "Libro di memorie di Gradella", dove annotava le migliorie che secondo lui andavano apportate al paese stesso. Fu infatti il Conte a costruire un acquedotto per il borgo e a predisporre bagni pubblici; finanziò l'asilo per i bambini del posto e si preoccupò costantemente della pulizia e dell'abbellimento del borgo. Nel 1927 fu tra i fondatori della corsa automobilistica "Mille Miglia", gareggiando in prima persona. Nel 1948 i Gradellesi, ricambiando l'affetto del conte Aymo, gli donarono una pergamena di riconoscenza.

Ai margini del borgo emerge Villa Maggi, già esistente nel XVII secolo, che deve il suo aspetto attuale alle modifiche apportate nei secoli XIX e XX. Al centro di Gradella si erge la Chiesa Parrocchiale costruita a partire dal 1895 e dedicata alla Santissima Trinità e a San Bassiano, mentre innanzi al cimitero è collocata una piccola cappella sul luogo dove si trovava il lazzaretto, sorto durante la peste del 1630.
Tra le vie di Gradella, è possibile imbattersi in un gruppo di daini, portati qui dall'ultima contessa, Camilla Maggi, poiché questi animali erano una sua passione. I daini si sono perfettamente ambientati tra i bovini e gli equini allevati nel borgo, e oggi accolgono festosamente chiunque si avvicini loro.

Il borgo di Gradella merita una passeggiata fatta in tutta calma, per godersi l'abitato rurale con le caratteristiche case dipinte in giallo e profilate di mattoni rossi e le corti comunicanti. Ai margini del borgo emerge poi villa Maggi, già esistente nel XVII secolo, che deve il suo aspetto attuale alle modifiche attuate nei secoli XIX e XX. Al centro di Gradella si erge la Chiesa Parrocchiale dedicata alla S.S. Trinità e a S. Bassiano costruita a partire dal 1895, mentre innanzi al cimitero è collocata una piccola cappella sul luogo dove si trovava il lazzaretto, sorto durante la peste del 1630.

Il borgo di Gradella e i paesi limitrofi si prestano in modo eccezionale al cicloturismo. Sono poi molte le occasioni per partecipare alle manifestazioni organizzate dalle associazioni del luogo, come i raduni dei Boy-scout.

I prodotti caseari, dai formaggi al burro, in questo angolo di Lombardia sono di grande qualità: in particolare, è da ricordare il panarone, un tradizionale formaggio padano dal caratteristico gusto amarognolo, nato proprio a Pandino.

Altra specialità del territorio è il salame nostrano.

Vi sono alcuni ristoranti nella zona, ospitati in antichi cascinali, in cui si può fare una bella esperienza culinaria grazie ai prelibati tortelli cremaschi, preparati con amaretti, spezie ed erbe aromatiche, al foiolo cucinato con le verdure e all’irrinunciabile panarone.

Persone legate a Gradella:
Agostino Arrivabene, pittore figurativo attualmente residente a Gradella;
Bruno Beccaria (Brescia, 1915 - 2000), ingegnere e Cavaliere del Lavoro, fondatore (per conto del Gruppo FIAT) e amministratore delegato dell'IVECO, primo presidente di FIAT Auto S.p.A., acquistò il borgo di Gradella nella metà degli anni ottanta;
Aymo Maggi (Brescia, 1903 - 1961), ultimo conte Maggi a Gradella dove provvide a far costruire le scuole, l'asilo, l'acquedotto, i bagni pubblici e il campo sportivo. Fu pilota automobilistico nonché uno dei creatori e organizzatori della Mille Miglia. La piazza di Gradella è oggi a lui intitolata;
Onofrio Maggi, membro della nobile famiglia bresciana dei Maggi, fu cancelliere e capitano di giustizia di Milano nel XVI secolo da dove inizio ad acquisire le proprietà che sarebbero state il primo nucleo del futuro feudo di Gradella.



LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/05/le-citta-della-pianura-padana-pandino.html


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IL SANTUARIO DI SANTA MARIA DELL' APPARIZIONE A PANDINO

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Il santuario di Santa Maria dell'Apparizione (noto anche come santuario del Tommasone o Madonna del Riposo) è un luogo di culto mariano situato a Pandino.

Il moderno santuario si trova lungo la vecchia strada per Rivolta d'Adda, accanto ai resti di una più antica costruzione, ai margini settentrionali del centro abitato di Pandino.

Secondo la tradizione ad un giovane di nome Tommaso Damici nell'anno 1432 gli apparve la Madonna del Riposo in una località prossima alla cascina Falconera. Damici riuscì a convincere le autorità a costruire sul luogo dell'apparizione una cappella, entro la quale vi fu collocata una statua lignea.

C’era una volta, a Pandino, persa nella campagna, una vecchia cascina, proprio sulla curva, dove la strada si biforca : a destra si va ad Agnadello, diritto si arriva a Rivolta.
Per quasi duecento anni l’avevano abitata varie famiglie di agricoltori.
Si chiamava “Cascina Tomasone” e il nome le derivava da una vecchissima storia, tramandata dalla gente di padre in figlio.
Nel lontano 1432, quando Pandino aveva da pochi anni un Castello, pur essendo un piccolo borgo di soli quattrocento abitanti, nel cascinale abitava Tomaso Damici, un giovanotto robusto, detto anche Tomasone.
Era da poco rimasto orfano di genitori e conduceva la terra, che suo padre gli aveva lasciato, meglio che poteva.
A questo giovanotto, una notte, è apparsa la Madonna col Bambino in braccio, seduta sopra il ceppo di un noce, che un furioso temporale aveva abbattuto qualche giorno prima.
Quella notte egli stava andando a incendiare la cascina del suo vicino, Gaspare della Falconera, col quale aveva avuto un dissidio. Per tre volte egli è uscito di casa, tenendo delle brace accese in un coppo.
Ma giunto al cancello , ogni volta s’accorge che una bella signora forestiera sta riposandosi con un bimbo sulle ginocchia ed un libro in mano, proprio lì, su quel ceppo di noce che egli, a fatica, aveva trascinato in cascina, dopo averne a lungo discusso col vicino, che ne reclamava la proprietà. E ogni volta rientra in casa, sperando che la signora se ne vada.
Ma la terza volta la Madonna lo ferma , gli parla, si fa riconoscere , lo induce al perdono e chiede che venga costruita una chiesa, proprio lì, sul posto, come segno di pace.
Tomaso cade in ginocchio e si pente del gesto malvagio che stava attuando. Quando rialza la testa, la bella Signora è scomparsa. Ai piedi del ceppo di noce è sgorgata una fonte che prima non c’era.
Alle prime luci dell’alba, Tomaso corre in paese, parla con la gente, racconta a tutti la strana apparizione. I capi di Pandino insieme a donne, uomini e bambini, corrono al Tomasone.
E’ vero ! Lì c’è una pozza d’acqua cristallina che non c’era mai stata.
Arriva anche Ubone degli Uberti , il marmista, da sempre zoppicante e sofferente : arriva arrancando, dietro a tutti, con le sue stampelle : pieno di fiducia , immerge la gamba dolorante nella fonte del miracolo e la ritrae guarita. Butta le stampelle e grida il suo grazie a Maria.
Le madri pandinesi, nel corso dei secoli, hanno raccontato la storia di questo lontano miracolo ai figli bambini e poi, ogni volta, li portavano nella piccola chiesa di Santa Marta, di fronte al Castello, davanti ad una statua di legno dorato e dicendo :
“Ecco, questa è la Madonna del Tomasone, fermiamoci a dire un’ Ave Maria” :
Così i ragazzini pandinesi sono cresciuti per decenni, forse addirittura per secoli.

In seguito al consolidarsi della devozione, la cappella venne inglobata in un più ampio Santuario edificato alla fine del XV secolo. Sotto il portico antistante la Chiesa, venne conservata la cappella preesistente, nella quale continuò la devozione alla Vergine attraverso il suo simulacro.
Il Santuario quindi comprendeva: la cappella dell’apparizione, una fontana, la Chiesa con portico, ed una casa dove risiedeva un eremita addetto alla cura del luogo.
Nel seicento, per attribuire maggiore dignità e rilievo al culto della Vergine, la statua lignea fu spostata dalla nicchia esterna (che costituiva il reale luogo dell’apparizione) al più consono altare maggiore nell’abside del Santuario.

La descrizione più completa perviene grazie alla visita pastorale del Vescovo Fraganeschi del 1752. L’edificio appariva di discrete proporzioni, con portico in facciata; l’interno era ad una sola navata con ampio presbiterio contenente l’altare maggiore. L’altare ligneo custodiva la statua della Madonna (oggi nel nuovo Santuario) nascosta da una tela che recava dipinta la stessa immagine, e che, tramite un meccanismo, veniva sollevata durante le feste maggiori, mostrando così la statua ai fedeli.
Dietro l’altare si trovava un ampio coro illuminato da due finestre, tra le quali era collocata una tela con l’immagine di San Rocco, verso il quale nei secoli si era sviluppata una forte devozione parallela a quella per la Vergine.
Nella navata si trovavano due altari laterali, uno a destra, con statua di San Rocco, ed uno a sinistra, contenente un enorme quadro dell’Assunta. Questa grande tela di Andrea Mainardi, detto il Chiaveghino, dipinta nel 1586, è oggi conservata nella Chiesa Parrocchiale sul lato destro dopo l’ultima cappella. Fu commissionata per l’altare maggiore del Santuario, ma la costruzione del nuovo altare con l’immagine della Vergine ne fece venir meno la funzione, determinandone lo spostamento nell’altare laterale.

Le pareti erano ricoperte da numerosi affreschi di epoche diverse, recanti immagini di Santi. Ad oggi restano lacerti visibili di quanto rimane dell’antico Santuario.
Si possono riconoscere, da sinistra verso destra, San Fermo, i Santi Gioacchino ed Anna, San Defendente e San Carlo Borromeo in adorazione della Madonna di Loreto, le Sante Margherita e Lucia. Tutti gli affreschi sono inquadrati in una partitura pittorica che simula un susseguirsi di lesene in falsa prospettiva, che a loro volta inquadrano riquadri e nicchie.

Nella seconda metà del XVIII secolo, il lento declino del Santuario si concluse con la soppressione dovuta agli effetti di una riforma promulgata da Maria Teresa d’Austria nel 1755, che aveva coinvolto anche il patrimonio ecclesiastico.
La statua, simbolo della devozione dei pandinesi alla Madonna, venne quindi collocata sull’altare maggiore della Chiesa di S. Marta, con la promessa di essere riportata nella sua Casa appena fosse stato possibile.
Il Santuario, dopo reticenze da parte dell’amministrazione locale, dovette essere venduto a privati, che presto lo adibirono a cascinale. I proventi della vendita vennero destinati al pagamento dei debiti contratti dalla Comunità pandinese per la costruzione dell’ambizioso progetto della Chiesa Parrocchiale.

A distanza di oltre due secoli, giunse il momento tanto atteso, e, grazie all’infaticabile opera dell’allora Parroco Mons. Luigi Alberti, fu possibile riedificare un nuovo Santuario dove ricollocare la venerata immagine della Vergine del Riposo.
Posata la prima pietra il 23 Aprile dell’anno 1995, il Santuario venne consacrato il 5 Ottobre del 1997 dall’allora Vescovo di Cremona Mons. Giulio Nicolini.
Il nuovo edificio rispetta il significato dell’antico Santuario: vi si riconoscono infatti la fontana, memoria dell’antica vasca d’acqua, le opere Parrocchiali annesse (fra le quali la Casa dell’Accoglienza), che richiamano l’antico casolare dell’eremita, il portico, segno dell’accoglienza verso i pellegrini.





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