Rita da Cascia, (Margherita Lotti Roccaporena, 1381 – Cascia, 22 maggio 1457), monaca agostiniana a Cascia (PG), fu proclamata santa da papa Leone XIII nel 1900.
Molta parte della vita di Rita risulta oscura dal punto di vista della documentazione storica. Tra le pochissime fonti più o meno coeve, si annoverano l'iscrizione e le immagini dipinte sulla "cassa solenne" (datata 1457), il Codex miraculorum (elenco di miracoli registrato dai notai su richiesta del comune di Cascia, preceduto da una breve biografia scritta dal notaio Domenico Angeli, anch'essa del 1457), e una tela a sei scomparti con episodi della vita (1480 circa). La prima ricostruzione agiografica completa a noi giunta risale soltanto al 1610, ad opera di padre Agostino Cavallucci, agostiniano. Su tale testo si modelleranno tutte le successive biografie della santa. Cavallucci si basò sulla tradizione orale (in particolare quella interna al monastero di Cascia e quella degli abitanti di Roccaporena), e sulle poche fonti iconografiche precedenti, probabilmente servendosi, per il resto, di topoi agiografici consolidati.
Il luogo di nascita è concorde per Roccaporena, una frazione montagnosa a circa cinque chilometri da Cascia (provincia di Perugia), all'epoca uno dei castelli ghibellini facenti parte del contado del comune di Cascia. Le date di nascita e morte sono incerte. Esse dipendono dall'altezza cui si pone la data di morte, ovvero il 1447 per alcuni, o il 1457 per altri, dopo quarant'anni di vita monacale. Da qui si risale, per la nascita, al 1371, o al 1381.
Secondo le biografie tradizionali, Rita nacque da Antonio Lotti e Amata Ferri, genitori già anziani, molto religiosi, nominati dal Comune come "pacieri di Cristo" nelle lotte politiche e familiari tra guelfi e ghibellini, e in discrete condizioni economiche, come proprietari di terreni agricoli
Un giorno i genitori di Rita si erano recati al lavoro dei campi, portando con se la bambina, e l'avevano adagiata all'ombra di un albero.
Era delizioso il mirare la piccola Rita dentro un cestino di vimini; ora dormiva ed ora apriva gli occhietti ed agitava le manine.
Non era sola; l'Angioletto la custodiva. Ecco apparire un folto sciame di api e circondarla; parecchie di esse le entrarono nella boccuccia e vi deposero il miele, però senza pungerla.
Nel frattempo un mietitore, che lavorava in quei pressi, con la falce si era fatto un taglio alla mano.
Lasciò il lavoro e corse verso Cascia per la medicazione. Passando vicino alla bambina e vedendo quello sciame di api, si fermò un istante ed agitando le mani tentò di liberarla da quell'assalto pericoloso.
Improvvisamente la mano cessò di sanguinare e la ferita si chiuse. Il miracolato mandò grida di gioia e di stupore, tanto che accorsero i genitori di Rita. Le api allora si sbandarono.
Verificato il prodigio della mano e quello delle api, che non avevano punto la bocca della piccina, padre e madre di Rita s'inginocchiarono presso il cesto di vimini e ringraziarono Dio.
Rita avrebbe desiderato farsi monaca tuttavia ancor giovanetta (circa a 13 anni) i genitori, oramai anziani, la promisero in sposa a Paolo Ferdinando Mancini, un uomo conosciuto per il suo carattere rissoso e brutale. S. Rita, abituata al dovere non oppose resistenza e andò in sposa al giovane ufficiale presumibilmente verso i 17-18 anni.
Dal matrimonio fra Rita e Paolo nacquero due figli gemelli maschi; Giangiacomo Antonio e Paolo Maria che ebbero tutto l'amore, la tenerezza e le cure dalla mamma. Rita riuscì con il suo tenero amore e tanta pazienza a trasformare il carattere del marito e a renderlo più docile.
La vita coniugale di S. Rita, dopo 18 anni, fu tragicamente spezzata con l'assassinio del marito, avvenuto in piena notte, presso la Torre di Collegiacone mentre tornava a Cascia.
Rita fu molto afflitta per l'atrocità dell'avvenimento, cercò dunque rifugio e conforto nell'orazione con assidue e infuocate preghiere nel chiedere a Dio il perdono degli assassini di suo marito.
Contemporaneamente S. Rita intraprese un'azione per giungere alla pacificazione, a partire dai suoi figlioli, che sentivano come un dovere la vendetta per la morte del padre.
Rita si rese conto che le volontà dei figli non si piegavano al perdono, allora la Santa prego il Signore offrendo la vita dei suoi figli, pur di non vederli macchiati di sangue. "Essi moriranno a meno di un anno dalla morte del padre".
I due figli, da lì a breve, morirono di malattia, quasi contemporaneamente. Tale sventura avvenne forse in un periodo compreso tra il 1401 e il 1403.
Abbandonata anche dai parenti del marito, Rita decise di prendere i voti ed entrare nel monastero agostiniano di Santa Maria Maddalena, a Cascia. Chiese per tre volte inutilmente il noviziato, che le venne rifiutato per ragioni non chiare; alcuni biografi pensano che rapprensentasse un ostacolo la presenza di una parente del marito mai vendicato tra le monache. Tuttavia, con tenacia, fede e preghiera, Rita convinse la famiglia Mancini ad abbandonare ogni proposito di vendetta. Dopo aver riconciliato i Mancini con le fazioni degli assassini, Rita riuscì ad entrare in monastero intorno al 1407. Secondo la tradizione agiografica che si rifà alla biografia di Cavallucci, Rita, in piena notte, venne portata in volo dal cosiddetto "scoglio" di Roccaporena (altura dove andava spesso a pregare) fino dentro le mura del monastero di Cascia dai suoi tre santi protettori (Agostino, Giovanni Battista e Nicola da Tolentino, quest'ultimo canonizzato soltanto nel 1446).
Le monache convinte dal prodigio e dal suo sorriso, la accolsero fra di loro e qui Rita vi rimase per 40 anni immersa nella preghiera.
Sempre secondo Cavallucci, la badessa del monastero mise a dura prova la vocazione e l'obbedienza di Rita, facendole annaffiare un arbusto di vite secco, presente nel chiostro del monastero. Il legno, dopo un po' di tempo, riprese vita e dette frutto. Nello stesso chiostro, oggi, è presente una vite risalente al XIX secolo.
Durante i quarant'anni di vita monacale, Rita non solo si dedicò alla preghiera, a penitenze e a digiuni nel monastero, ma uscì spesso per andare in servizio a poveri e ammalati di Cascia.
Era il Venerdì Santo del 1432, S. Rita tornò in Convento profondamente turbata, dopo aver sentito un predicatore rievocare con ardore le sofferenze della morte di Gesù e rimase a pregare davanti al crocefisso in contemplazione. In uno slancio di amore S. Rita chiese a Gesù di condividere almeno in parte la Sue sofferenze. Avvenne allora il prodigio: S. Rita fu trafitta da una delle spine della corona di Gesù, che la colpi alla fronte. Fu uno spasimo senza fine. S. Rita portò in fronte la piaga per 15 anni come sigillo di amore.
Per Rita gli ultimi 15 anni furono di sofferenza senza tregua, la sua perseveranza nella preghiera la portava a trascorrere anche 15 giorni di seguito nella sua cella "senza parlare con nessuno se non con Dio", inoltre portava anche il cilicio che le procurava sofferenza, per di più sottoponeva il suo corpo a molte mortificazioni: dormiva per terra fino alla fine quando si ammalo e rimase inferma negli ultimi anni della sua vita.
A circa 5 mesi dal trapasso di Rita, un giorno di inverno con la temperatura rigida e un manto nevoso copriva ogni cosa, una parente le fece visita e nel congedarsi chiese alla Santa se desiderava qualche cosa, Rita rispose che avrebbe desiderato una rosa dal suo orto. Tornata a Roccaporena la parente si reco nell'orticello e grande fu la meraviglia quando vide una bellissima rosa sbocciata, la colse e la portò a Rita.
Cosi S. Rita divenne la Santa della "Spina" e la Santa della "Rosa".
S. Rita prima di chiudere gli occhi per sempre, ebbe la visione di Gesù e della Vergine Maria che la invitavano in Paradiso. Una sua consorella vide la sua anima salire al cielo accompagnata dagli Angeli e contemporaneamente le campane della chiesa si misero a suonare da sole, mentre un profumo soavissimo si spanse per tutto il Monastero e dalla sua camera si vide risplendere una luce luminosa come se vi fosse entrato il Sole. Era il 22 Maggio del 1447.
S. Rita da Cascia è stata beatificata ben 180 anni dopo il suo decesso e proclamata Santa a 453 anni dalla sua morte.
In seguito a numerosi episodi “impossibili” quali guarigioni o apparizioni di api , fiori e frutti nei luoghi frequentati da Rita durante l’arco della sua vita, i suoi devoti la definiscono la santa delle “cose impossibili” e a lei si rivolgono per ottenere grazie che ritengono difficili da realizzare.Per rinnovare la forza di questo messaggio di pace e fratellanza, Cascia ogni anno si illumina di decine di migliaia di fiaccole il 21 maggio notte, per rievocare il momento del trapasso di Rita avvenuto nel 1457.
Nella storia dei Santi non è nuovo il fenomeno delle api. Anche attorno alla culla di Sant'Ambrogio e di San Giovanni Crisostomo, detto « Bocca d'oro », volitarono sciami di api, simboleggiando, secondo l'interpretazione degli storici, il dolce miele dell'eloquenza, che sarebbe uscito dalla loro bocca.
Rita non sarebbe diventata una banditrice del Vangelo, non avrebbe avuto il dono dell'eloquenza come i due Santi or ora nominati; in lei il miele delle api potrebbe significare, secondo il giudizio dei biografi, il miele spirituale della grazia di Dio.
Le api riapparvero nel monastero di Cascia quando Rita morì, non più bianche, ma nere, quasi in segno di cordoglio. Dopo parecchi secoli le api sono ancora lì e sono chiamate le « messaggere alate di Santa Rita ».
Il prodigio delle api ha ispirato pittori e poeti, cosicchè si hanno molti quadri e poesie, che rievocano quanto avvenne alla Santa nella campagna di Rocca Porena.
Il suo corpo venne collocato dapprima in una cassa semplice, detta "cassa umile", e non fu mai inumato a causa dell'immediata devozione dalla quale venne investito. I primi miracoli vennero registrati dai notai nel Codex miraculorum (Codice dei miracoli) a partire dal 1457 e fino al 1563 (in totale, quarantasei miracoli). In seguito ad un incendio, nel 1457, venne realizzata la cosiddetta "cassa solenne", decorata con immagini della Santa e con un breve testo in dialetto casciano quattrocentesco che riassume gli ultimi anni della sua vita. La cassa è ancora oggi conservata nella cella dove morì, nella parte antica del monastero di Cascia. Nel 1743 la salma fu traslata in un'urna in stile barocco, e nel 1947 nell'attuale teca di vetro all'interno della basilica.
La venerazione di Rita da Cascia da parte dei fedeli iniziò subito dopo la sua morte e fu caratterizzata dall'elevato numero e dalla qualità degli eventi prodigiosi, riferiti alla sua intercessione, tanto che acquisì l'allocuzione di "santa degli impossibili". La sua beatificazione avvenne, però, dopo varie vicissitudini, soltanto nel 1628, 180 anni dopo la sua morte, durante il pontificato di Urbano VIII, già vescovo di Spoleto. Leone XIII, nel 1900, la canonizzò come santa. I credenti suoi devoti la chiamano "santa degli impossibili", perché dal giorno della sua morte sarebbe "scesa" al fianco dei più bisognosi, realizzando per loro miracoli prodigiosi, eventi altrimenti ritenuti irrealizzabili. La devozione popolare cattolica per santa Rita è tuttora una delle più diffuse al mondo, ma, fin dal 1600 e per opera degli agostiniani, è particolarmente radicata, oltre che in Italia, in Spagna, Portogallo e America Latina.
Con la riforma dell'anno liturgico del Martirologio Romano, il 22 maggio, sua festività, è diventata memoria.
I resti della santa sono conservati a Cascia, all'interno della basilica di Santa Rita, facente parte dell'omonimo santuario e fatta erigere tra il 1937 e il 1947. Il corpo è rivestito dall'abito agostiniano cucito dalle monache del monastero, come voluto dalla badessa Maria Teresa Fasce, e posto in una teca all'interno della cappella in stile neobizantino.
Ricognizioni mediche effettuate nel 1972 e nel 1997 hanno confermato la presenza, sulla zona frontale sinistra, di tracce di una lesione ossea aperta (forse osteomielite), mentre il piede destro mostra segni di una malattia sofferta negli ultimi anni di vita, forse associata ad una sciatalgia. Era alta 1 metro e 57 cm. Il viso, le mani e i piedi sono mummificati, il resto del corpo, coperto dall'abito agostiniano, è in forma di semplice scheletro.
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