martedì 31 marzo 2015

MERCOLEDI' SANTO

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Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito!

In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariòta, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù.
Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.
Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto». 
Vangelo   Mt 26, 14-25


Il Mercoledì Santo ricordiamo la triste storia di uno che è stato Apostolo di Cristo: Giuda. Così ne parla S. Matteo nel suo Vangelo: Uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse: “Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?”. E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnarlo.

Perché la Chiesa ricorda questa vicenda? Perché possiamo renderci conto che tutti noi potremmo comportarci come Giuda. Perché possiamo chiedere al Signore che da parte nostra non lo tradiremo, non ci allontaneremo da lui, non lo abbandoneremo. E non soltanto per le conseguenze negative che questo potrebbe comportare per le nostre vite personali, che sarebbe già molto; ma perché potremmo trascinare altri, che hanno bisogno di essere aiutati dal nostro buon esempio, dal nostro incoraggiamento e dalla nostra amicizia.

In alcuni luoghi dell’America le immagini di Cristo crocifisso mostrano una piaga profonda sulla guancia sinistra del Signore. Si dice che rappresenta il bacio di Giuda. Tanto grande è il dolore che i nostri peccati provocano in Gesù! Diciamogli che vogliamo essergli fedeli: che non vogliamo venderlo – come Giuda – per trenta monete, per delle meschinità, quali sono i nostri peccati: la superbia, l’invidia, l’impurità, l’odio, il risentimento... Quando una tentazione minaccia di farci cadere, pensiamo che non vale la pena cambiare la felicità dei figli di Dio – tali noi siamo – con un piacere che finisce subito e lascia in bocca il gusto amaro della sconfitta e dell’infedeltà.

Dobbiamo sentire il peso della Chiesa e di tutta l’umanità. Non è stupendo sapere che ognuno di noi può influire sul mondo intero? Nel posto dove ci troviamo, facendo bene il nostro lavoro, avendo cura della famiglia, servendo gli amici, possiamo aiutare tanta gente a essere felice. San Josemaría Escrivá scrive che nel compiere i nostri doveri di cristiani, dobbiamo essere come la pietra caduta nel lago. – Produci, con il tuo esempio e con la tua parola, un primo cerchio... e questo un altro... e un altro, e un altro... Fino ad arrivare nei luoghi più remoti.

Chiediamo al Signore di non tradirlo più e di saper respingere, con la sua grazia, le tentazioni che il demonio, ingannandoci, ci dovesse presentare. Dobbiamo dire di no, decisamente, a tutto ciò che ci allontana da Dio. Così nella nostra vita non si ripeterà l’infelice storia di Giuda.

Se ci sentiamo deboli, ricorriamo al Santo Sacramento della Penitenza! Lì ci aspetta il Signore, come il padre della parabola del figliol prodigo, per abbracciarci e offrirci la sua amicizia. Viene continuamente incontro a noi, anche quando siamo caduti in basso, molto in basso. È sempre il momento di ritornare a Dio! Non reagiamo con lo scoraggiamento, né col pessimismo. Non pensiamo: che cosa mai potrò fare io, che sono un mucchio di miserie? La misericordia di Dio è più grande! Che cosa mai potrò fare io, se ogni volta cado per la mia debolezza? Il potere di Dio, che ci fa rialzare dalle nostre cadute, è ancora più grande!

Grandi furono i peccati di Giuda e di Pietro. Entrambi tradirono il Maestro: l’uno consegnandolo nelle mani dei persecutori, l’altro rinnegandolo per tre volte. Eppure, quale diversa reazione ebbero! Per entrambi il Signore aveva in serbo torrenti di misericordia. Pietro si pentì, pianse per il suo peccato, chiese perdono e fu confermato da Cristo nella fede e nell’amore; col tempo, saprà dare la vita per il Signore. Giuda, invece, non si affidò alla misericordia di Cristo. Fino all’ultimo momento gli furono lasciate aperte le porte del perdono di Dio, ma non volle oltrepassarle con la penitenza.

Nella sua prima enciclica Giovanni Paolo II parla del diritto di Cristo a incontrarsi con ciascuno di noi in quel momento-chiave della vita dell’anima, che è quello della conversione e del perdono (Redemptor hominis, 20). Non priviamo Gesù di questo diritto! Non togliamo a Dio Padre la gioia di darci l’abbraccio di benvenuto! Non rattristiamo lo Spirito Santo, che desidera restituire alle anime la vita soprannaturale!

Chiediamo a Santa Maria, Speranza dei cristiani, di non permettere che ci scoraggiamo per i nostri errori e per i nostri peccati, anche se ripetuti. Ella ci ottenga da suo Figlio la grazia della conversione, il desiderio efficace di ricorrere umili e contriti alla Confessione, il sacramento della misericordia divina, cominciando e ricominciando ogni volta che è necessario.

Una celebrazione che sottolinea l’unione di tutti i sacerdoti della diocesi attorno al vescovo. E’ la Messa del Crisma, che nella diocesi di Grosseto viene celebrata nel pomeriggio di mercoledì santo a conclusione della Giornata sacerdotale, che tutto il clero vive con il vescovo come tempo di ritiro e di preghiera insieme.

 Durante la Messa il vescovo consacrerà gli oli santi: il crisma, l’olio dei catecumeni e l’olio degli infermi. Ciascuna parrocchia ritirerà i propri vasetti i cui santi oli verranno utilizzati durante l’intero anno per l’amministrazione dei sacramenti del battesimo (olio dei catecumeni), della cresima (crisma) e dell’unzione degli infermi (olio degli infermi).
Inoltre i sacerdoti rinnoveranno le promesse fatte nel giorno della loro ordinazione presbiterale.
La concelebrazione con il vescovo e il rinnovo delle promesse vogliono sottolineare l’unità del sacerdozio ministeriale, proprio di chi ha scelto di donare la sua esistenza per il regno di Dio, ma la liturgia vuol essere un segno di ringraziamento anche da parte di tutti coloro che sono stati chiamati al servizio nella Chiesa.



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L' ISOLA DI SAN BIAGIO

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Dall'isola si possono ammirare panorami mozzafiato a 360 gradi.

Proprio di fronte a San Felice del Benaco, incastonata nella Baia dello Smeraldo, fa bella mostra l'isola di San Biagio, dai più conosciuta come l'Isola dei Conigli.

Un tempo utilizzata come postazione per la caccia (XVII sec) e in seguito come sito di prova per armi di grosso calibro, è oggi proprietà dell'omonimo campeggio con accesso a pagamento per i turisti e gratuito per i clienti del campeggio.

La si può raggiungere in barca o con un attraversamento a piedi di 10 minuti partendo dal Porto Torchio di Manerba del Garda.

Il panorama è davvero stupendo e l'acqua, con fondale di scogli, molto invitante.

A soli 200 metri si può ammirare l'incantevole Isola di Garda o Borghese, mentre più al largo domina lo Scoglio dell'Altare, posto di culto per i pescatori di un tempo che si fermavano, a bordo delle loro barche, davanti allo scoglio, per assistere alla Santa messa.

Lo Scoglio dell'Altare è un luogo noto agli appassionati di immersione, che possono ammirare la grotta dimora fissa del pesce persico reale, oltre a scogli ricoperti di magnifiche spugne gialle.


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L' ISOLA DEL GARDA

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L'isola di Garda, conosciuta anche come isola Borghese, è la più grande isola del lago omonimo.

Distante poco più di 200 metri da Capo San Fermo, promontorio che divide il golfo di Salò dalla baia dello Smeraldo, misura all'incirca un chilometro di lunghezza ed è larga in media 600 metri.

A sud dell’isola si trova una catena di scogli e bassi fondali, alla fine dei quali emerge l’isolotto di San Biagio, conosciuto anche come Isola dei conigli; in prossimità dell'isola si trova lo scoglio dall’Altare, così chiamato in quanto si racconta che su di esso una volta all’anno venisse celebrata una messa alla quale assistevano i pescatori provenienti da tutto il lago a bordo delle loro barche.

Amministrativamente l'isola appartiene al territorio comunale di San Felice del Benaco.

L'isola fu abitata sin dall’epoca romana, quando era conosciuta come Insula Cranie. Ciò è provato dal rinvenimento di numerose lapidi gallico-romane (ora conservate al museo romano di Brescia) e da resti di templi votivi.

Abbandonata nei secoli di decadenza dell'Impero Romano, per lungo tempo l'isola fu rifugio dei pirati, che assaltavano le imbarcazioni che percorrevano le rotte del lago di Garda.

Nell'879 viene per la prima volta menzionata in un decreto di Carlomanno di Baviera, che documenta la donazione dell’isola ai frati di San Zeno di Verona.

Non si sa per quanto tempo l'isola rimase proprietà dei monaci, in quanto la successiva notizia la vede facente parte, intorno al 1180, del feudo concesso dall'imperatore Federico Barbarossa agli avi di Biemino da Manerba.

Nel 1220 san Francesco d'Assisi, di ritorno da un viaggio in oriente, giunse a visitare l'isola e, reputandola luogo ideale per una comunità di frati, grazie al suo carisma convinse il proprietario Biemino da Manerba a donargli l'area scogliosa della parte settentrionale, ove venne realizzato un piccolo romitorio.

Nel 1227 l'eremo accolse sant'Antonio di Padova e nel 1304, secondo la tradizione, avrebbe ospitato anche Dante Alighieri, che avrebbe ricordato il luogo nella Divina commedia con i versi:

« Loco è nel mezzo là dove 'l trentino
pastore e quel di Brescia e 'l veronese
segnar poria, s'e' fesse quel cammino »
(Inferno, Canto XX)

Nel 1429 vi giunse san Bernardino da Siena, che in veste di vicario generale dell'ordine francescano fece trasformare il romitorio in un vero e proprio monastero, mettendo egli stesso mano al progetto per la chiesa, il chiostro, le celle e i giardini.

La morte di padre Francesco segnò tuttavia l'inizio della decadenza della comunità religiosa dell'isola. Dal 1685 al 1697 il convento ospitava solo i frati novizi in ritiro e, nel 1798, l'oramai vetusto monastero venne definitivamente soppresso da Napoleone Bonaparte.

Dopo essere passata al demanio, la proprietà cambiò negli anni successivi molti padroni, per giungere nel 1817 nelle mani del conte Luigi Lechi di Brescia, che fece costruire una residenza sulle rovine del monastero e eseguì importanti opere di restauro e costruzione, tra le quali il porticciolo, costruito nel 1830 su progetto dell'architetto Rodolfo Vantini. Nell'isola dimorò per molto tempo la cantante lirica Adelaide Malanotte, amante del Lechi, meravigliosa interprete delle opere del Rossini. Nel 1837 il conte cedette l'isola al fratello Teodoro, ex generale dell'esercito napoleonico, il quale fece aggiungere al complesso le terrazze sul fronte della casa.

Nel 1860 l'isola fu espropriata dallo Stato per costruirvi una fortezza militare, ma il progetto venne in seguito abbandonato e nel 1870 l'isola arrivò nelle mani del duca Gaetano de Ferrari di Genova. Lui e la moglie, l'arciduchessa russa Maria Annenkoff, si dedicarono alla progettazione ed alla realizzazione del parco, con la costruzione di muri di contenimento verso il lago e il trasporto di terra fertile in cui vennero impiantate essenze autoctone. Prima della morte del duca, avvenuta nel 1893, concepirono insieme il progetto di un lussuoso palazzo da costruirsi al posto della vecchia casa Lechi. La villa, in stile neogotico-veneziano che ricorda il Palazzo ducale di Venezia, venne realizzata tra il 1894 e il 1901 su progetto dell’architetto genovese Luigi Rovelli. Il palazzo fu arricchito da terrazze sistemate a giardino all'italiana, con elaborati disegni di siepi e cespugli fioriti.

Alla morte dell'arciduchessa la proprietà passò alla figlia Anna Maria – in seguito sposa del principe romano Scipione Borghese – la quale ne fece la propria residenza e arricchì il parco con essenze esotiche.

Nel 1927, alla morte del Principe l’Isola passò in eredità alla figlia Livia, sposata con il Conte Alessandro Cavazza di Bologna che la lasciò in eredità al figlio Camillo che alla sua prematura morte la lasciò a sua  alla moglie Charlotte ed ai loro sette figli.

Questi oggi continuano ad occuparsi con passione del parco e del palazzo che abitano e che accolgono personalmente i visitatori.

Dal 1 Maggio 2002 e' possibile visitare questo luogo di rara bellezza.
La visita dell'Isola del Garda è aperta a gruppi di numero compreso tra 25 e 60 persone. L'imbarcazione che porta sull'isola parte da Barbarano di Salò o Gardone Riviera ed impiega circa 10 minuti.
La visita guidata è in tre lingue (italiano, inglese e tedesco) e dura all'incirca 2 ore.
Durante la visita vengono illustrate la storia e le varie leggende riguardanti l'isola tra l'800 e il '900. Il percorso inizia con una bella passeggiata attraverso i giardini situati davanti alla villa, e prosegue con la visita di due sale interne seguita da un piccolo rinfresco offerto dalla proprietaria dove è possibile degustare vari prodotti locali tra i quali olio e vino.
La visita è condotta personalmente dalla proprietaria dell'isola coadiuvata da alcune guide.

Oltre alla straordinaria villa, ricca di particolari architettonici sorprendenti, l'Isola del Garda deve il suo incomparabile fascino ai magnifici giardini all'italiana e alla vegetazione rigogliosa e intatta, ricca di piante locali, esotiche, essenze rare e fiori unici.


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PARCO ARCHEOLOGICO ROCCA MANERBA

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Cammina, cammina, arrivarono in un bosco folto e rigoglioso dove crescevano insieme lecci e roverelle; profumati tappeti di fiori si piegavano ai loro passi, mentre piccoli uccelli variopinti cantavano nel fitto della boscaglia. Da un lato si ergeva un monte dallo strano profilo, dall’altro si adagiava un grande lago appena increspato da onde scintillanti… "
(da Andar per sentieri)

Non è la descrizione di un paesaggio fiabesco ma un luogo reale dove, lasciata la fretta e il rumore della vita quotidiana, è possibile immergersi in una natura multiforme e piena di sorprese: è il Parco Naturalistico della Rocca di Manerba. Esso, in uno spazio relativamente circoscritto, racchiude una varietà di specie vegetali davvero unica: piante che appartengono a climi diversi convivono accomunate dalla presenza rassicurante del lago.

La Rocca di Manerba è posta su uno sperone roccioso a picco sul Lago di Garda molto facile da raggiungere in macchina dal centro di Manerba del Garda.

Si può accedere alla rocca attraverso il sentiero che attraversa il parco, taglia per  il pianoro del "Sasso" e si arrampica fino ai ruderi del castello.

Gli scavi archeologici nell’area del Sasso, area sottostante la Rocca, esposta al vento e interrotta da una scogliera a strapiombo sul lago, con un salto di 150 metri, sono state rinvenute tracce di un insediamento del Mesolitico che testimoniano la presenza di esseri umani circa da 8000 a 5000 anni fa.

Durante le ricerche archeologiche sono venute alla luce tre circuiti di mura di difesa databili fra il XII e XIII secolo di cui il più interno racchiude la sommità della Rocca.

Entro la cinta esterna gli scavi hanno identificato una sequenza stratigrafica che va dalla cultura di Lagozza (4000 a.C.) alla fortificazione medievale da cui il sito trae il nome.

Numerosi reperti archeologici dimostrano la presenza di insediamenti Etruschi, dei Galli Cenomani e dei Romani.

Nel 776 la Rocca fu l’ultimo baluardo di resistenza dei Longobardi ai Franchi di Carlo Magno, che un secolo dopo, donò i terreni circostanti ed in riva al lago, ai monaci di San Zeno di Verona.

Col tempo la proprietà della Rocca fu degli Scaligeri, dei Visconti ed infine della Repubblica Veneta.

L'ultima struttura medievale venne distrutta nel 1574, per ordine della Serenissima perché divenuta una fortezza inespugnabile di fuorilegge.

Sulla sommità della Rocca, grazie a lavori di restauro e valorizzazione archeologica e ambientale, è possibile vedere i resti dell’antico castello medievale e di altre antiche strutture accessibili attraverso una ripida strada asfaltata, chiusa alla circolazione nell’ultimo tratto dopo il Parcheggio.

Il percorso attraverso muri perimetrali, scalinate e ponticelli in legno è segnalato da bacheche descrittive.

I ruderi, nella parte dell'entroterra declinano verso un prato che offre ospitalità e riposo ai  visitatori. Inoltre dalla Rocca si arriva anche ad una splendida spiaggia.

Sul lato dei ruderi che guardano verso il lago, un ripido e in parte difficile sentiero, permette di scendere al Parco della Rocca di Manerba.

Accessibile anche dal basso, un grande bellissimo pianoro coperto da boschi e prati di 90 ettari che comprendono la Rocca stessa e tutto il tratto costiero denominato Parco Naturale Archeologico della Rocca e del Sasso.

Nei boschi che ricoprono gran parte del territorio del Parco si trovano rappresentate tutta gli alberi  ed i cespugli autoctoni, come il Carpino nero, la Quercia roverella, il Pungitopo, il Caprifoglio e l'Elleboro che convivono con alberi e cespugli propri della Macchia Mediterranea.

Il Centro Visitatori del Parco Archeologico Naturalistico della Rocca di Manerba del Garda ospita nella sua attuale sede espositiva  (vicino al parcheggio sotto la Rocca) anche il Museo Civico Archeologico della Valtenesi.

L’edificio, frutto del riadattamento di una costruzione preesistente  con l’aggiunta di un nuovo corpo di fabbrica, sorge in posizione “strategica” lungo la salita che conduce alla sommità della Rocca. La struttura è caratterizzata, sul lato ovest rivolto verso il lago e la campagna circostante, da un’ampia vetrata che, oltre a essere sorgente di grande luminosità per gli interni, enfatizza lo stretto collegamento del complesso con il paesaggio circostante.

Al piano terra il percorso archeologico, con pannelli esplicativi e didattici bilingui (in Italiano e Inglese) e una scelta di reperti esposti all’interno di vetrine, illustra i contesti insediativi indagati nel territorio di Manerba del Garda: il sito pluristratificato della Rocca e del Sasso, occupato dall’uomo dal periodo mesolitico (8000-5000 a.C.) al XVI secolo della nostra era; quello della Pieve di Santa Maria, dove, sui resti di una villa romana affacciata sul lago, sorsero dapprima strutture abitative altomedievali e poi l’edificio religioso, con le sue varie fasi; infine, quello di località S. Sivino, sulle rive del lago, con resti di un abitato palafitticolo dell’Età del Bronzo che fa parte del patrimonio mondiale UNESCO.
Nell’esposizione sono mostrati al pubblico reperti provenienti da ricerche di superficie e da scavi stratigrafici condotti nelle località Sasso e Riparo Valtenesi, Rocca, Pieve e San Sivino. Parte di questi manufatti - esposti per la prima volta nel 1972 in una mostra che sintetizzava i risultati delle ricerche archeologiche nel territorio - divennero poi parte integrante dell’allestimento del Museo Civico Archeologico della Valtenesi, prima presso locali vicino alla Pieve di Santa Maria e poi, dal 1989, nella sede di piazza Simonati. Il criterio seguito nell’allestimento del percorso espositivo è topografico, cioè per contesti insediativi circoscritti, all’interno di ciascuno dei quali si sono seguite, dal periodo più antico al più recente, le diverse vicende che hanno interessato ciascun sito.
Si sono creati, così, quattro nuclei principali, aventi lo scopo di fornire - attraverso i risultati di accurate ricerche di superficie, degli scavi e degli studi finora condotti e alcuni dei quali ancora in corso - un quadro dell’insediamento umano nella zona, sempre passibile di ulteriori approfondimenti e variazioni.

Al primo piano la sezione naturalistica - attraverso numerosi pannelli con splendide fotografie delle specie arboree e faunistiche che popolano il Parco e due plastici, uno con la riproposizione attuale del territorio naturale del Parco e l’altro con la ricostruzione del castello medievale - sottolinea la notevole valenza ambientale di questo meraviglioso contesto che ha costituito, insieme alla posizione protesa a controllo del basso lago e la vicinanza a vie di transito, sia d’acqua che di terra, importanti fin dalle epoche preistoriche, il motivo per cui l’uomo l’ha scelto per frequentarlo e insediarvisi per così lungo tempo.
Alcune delle specie arboree, già presenti fin dalle epoche preistoriche e conservatesi tra i resti carbonizzati delle offerte rituali nel sepolcreto dell’Età del Rame del Riparo Valtenesi, popolano tuttora il parco e fanno parte delle presenze più decorative, mentre i pesci del lago costituirono sicuramente fin dal Mesolitico la base dell’alimentazione delle popolazioni locali.
Il settore espositivo dedicato alla parte naturalistica ripropone, con una serie di fotografie di grande effetto corredate da testi scientificamente rigorosi e didascalie didattiche, le sensazioni che il visitatore proverà percorrendo i sentieri del Parco.
Ogni ambiente naturale viene “fissato” nei suoi caratteri principali e descritto nell’ambito di uno o più pannelli espositivi, a loro volta raggruppati per titolo e per colore di fondo. Così, immaginandoci di camminare durante una bella giornata di primavera, inondata dal caldo sole di maggio e pervasa dal profumo dei mille fiori appena sbocciati, potremo contemplare il profilo roccioso della Rocca e capirne l’origine, distingueremo flora e fauna dei boschi, ammireremo i colori dei prati aridi del Sasso e gli animali che li popolano, le rare orchidee e gli arbusti e le erbe di indole mediterranea, poi la campagna coltivata e la sua storia, infine gli uccelli acquatici e i pesci abitatori delle acque del lago, secondo un percorso logico di accompagnamento alla scoperta della natura del Parco.

Narra un antica legenda che un ferocissimo lupo abitasse sulla rupe di Manerba, occupando un antro a picco sul lago impedendo a chiunque di avvicinarsi.

Dopo vari tentativi di cattura, gli abitanti misero una taglia sulla testa del lupo e fra i giovani che si presentarono ne vennero scelti tre: un giovane di Moniga, uno della Raffa e uno della Pieve vecchia.

Il giovane di Moniga, cacciatore, cercò di attirare il lupo con un’esca viva, ma non ebbe successo e fini per essere spinto giù dalle alte scogliere.

Quello della Raffa, pescatore, tentò di catturare il lupo con una  grande rete ma anch’esso finì come l'altro.

Il giovane della Pieve, contadino, dopo aver chiamato il lupo con finti ululati, affrontò la belva innalzando una croce gridando di arretrare.

Miracolosamente il lupo indietreggiò fino a cadere dalla rupe e morire.

Si narra che, mentre il popolo di Manerba festeggiava il vincitore, erigendo una grande croce in vetta alla Rocca, nel lago i corpi dei due sfortunati giovani si trasformarono in due grandi scogli.



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APRILE....DOLCE DORMIRE....

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« Aprile,
dolce dormire. »

« Nel mese d'aprile,
aspro ragliare e dolce dormire. »

Aprile, dolce dormire è un proverbio popolare a sfondo laico, dato che si occupa delle abitudini indotte dalle caratteristiche meteo del mese di aprile, tra le quali vi è anche il primo caldo, una sorta di agiatezza e soprattutto un senso di stanchezza causato dal tepore di questo periodo annuale.

Anche se i due eventi non sembrerebbero molto collegati, bisogna ricordare che in questo mese, e soprattutto in quello successivo, gli asini iniziano ad entrare in amore e quindi ragliano a profusione non curandosi troppo del dolce sonno del malcapitato loro vicino.


« Aprile,
dolce dormire
e forte sospirare;
i granai sono vuoti
e le botti cominciano a sonare. »


Questo proverbio contadino ci ricorda che proprio nel momento dell'anno in cui il lavoratore tende alla pigrizia, le riserve iniziano a scarseggiare.


« Aprile,
dolce dormire
gli uccelli a cantare
e gli alberi a fiorire. »

In questo mese, la natura, anziché dormire, si ravviva completamente.


« Con giorni lunghi al sonno dedicati
il dolce Aprile viene. »

Il passo della Canzone dei dodici mesi di Francesco Guccini dedicato al mese di aprile fa riferimento a questo proverbio con le parole.


« Quando tuona d'aprile
buon segno per il barile. »
« D'aprile
ogni goccia val mille lire. »

« La prim'acqua di aprile
vale un carro d'oro con tutto l'assile. »

Le prime piogge di aprile sono auspicate e invocate perché utili soprattutto ai contadini ed il loro valore è inestimabile.

Aprile ogni goccia un barile è un proverbio popolare a sfondo laico, appartenente al genere agricolo-meteorologico, dato che si occupa delle caratteristiche meteorologiche del mese di aprile, tra le quali vi è anche la pioggia, che è propedeutica per l'agricoltura e soprattutto per la vite.

I morti venivano cremati, il corpo di Sant' Andrea bruciò ma il cuore rimase intatto.

« ...le dolci acque di aprile...
valgon più che il trono di Salomone. »

In alcune regioni, come la Sardegna al posto del trono di Salomone, viene indicato il carro d'oro di Re Davide. E questa è un'antica leggenda sarda che si riferisce ad una celebre frase pronunciata da Sant'Andrea, che si rivolse al popolo prima di salire in cielo. La leggenda prevede una serie di incantesimi particolari che riguardano le mele ed il santo, dato che il suo cuore non bruciò assieme al resto del corpo, ma, secondo la leggenda si convertì proprio in una mela che talvolta riappare e fa compiere prodigi.

« Val più un'acqua tra aprile e maggio
che i buoi col carro. »


Aprile è il quarto mese dell'anno in base al calendario gregoriano, ed il secondo della primavera nell'emisfero boreale, dell'autunno nell'emisfero australe, conta 30 giorni e si colloca nella prima metà di un anno civile.

Secondo alcune interpretazioni, il nome deriva dall'etrusco Apro, a sua volta dal greco Afrodite, dea dell'amore, a cui era dedicato il mese di aprile. Secondo altre teorie, il nome deriva invece dal latino aperire (aprire) per indicare il mese in cui si "schiudono" piante e fiori.


L'ariete (21 marzo - 20 aprile) è il primo segno dello zodiaco: passionale, impulsivo e testardo è un segno energico ed attivo.

Il segno dell’Ariete è il primo dello zodiaco, quello che apre la strada agli altri. Davanti a sé apparentemente non ha nulla, tutto è da costruire, appunto per questo è il simbolo degli inizi, degli avvii.
E’ anche il segno della primavera, perché proprio nel giorno dell’equinozio inizia il suo mese di decorrenza. In questo periodo l’aria si fa più calda, le forze della terra cominciano a svegliarsi e a manifestarsi, lo slancio vitale è percepibile nell’aria, lo stesso slancio vitale che caratterizza il temperamento di chi nasce in Ariete, che è espansivo, dinamico, impulsivo, irruente, aggressivo.
La sua scoppiettante energia lo porta ad agire, a dirigersi verso un obiettivo incurante di ciò che accade attorno. E’ il più entusiasta di tutti i segni, quello che ama prendere iniziative, che sa guidare gli altri verso una tappa.


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LA TOUR EIFFEL

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Simbolo di Parigi e della Francia, la Tour Eiffel riscuote un successo che, al momento della sua costruzione nel 1889, nessuno avrebbe davvero potuto immaginare. Viene visitata ogni anno da quasi 7 milioni di persone ed è diventata nel corso dei decenni un monumento dal quale è impossibile prescindere.
Icona di Parigi e icona della Francia, la Tour Eiffel, la grande “signora di ferro”, domina la ville lumière dall'alto dei suoi 324 metri. Emblema vertiginoso della Rivoluzione industriale nel cuore di Parigi, attrazione principale dell'esposizione universale del 1889, la Tour Eiffel ringiovanisce continuamente e dimentica la propria età. Ornata d'oro non appena cala la notte (dal 1985), scintilla per cinque minuti all'inizio di ogni ora dal 2000 (un'installazione provvisoria poi divenuta permanente). Con la sua silhouette fragile, elegante e vertiginosa, quando venne realizzata da Gustave Eiffel nel 1889, la Tour Eiffel doveva essere una costruzione temporanea.

La tour Eiffel venne costruita da Gustave Eiffel in occasione dell'esposizione universale del 1899. Situata all'estremità del Campo di Marte, a pochi passi dalla Senna; questo monumento parigino é ben presto divenuto il simbolo della Francia e della capitale.
Inizialmente alta 300 metri, la sua altezza é ulteriormente aumentata, fino a raggiungere i 324 metri, in seguito all'istallazione di numerose antenne sulla sua cima.
La tour Eiffel é stata la torre più alta del mondo per più di quarant'anni, fino alla costruzione nel 1930 del Chrysler Building, a New York.
Utilizzata in passato per svariati esperimenti scientifici, serve oggi da emettitore per numerosi programmi radiofonici e televisivi.

Contestata inizialmente da una parte della popolazione parigina, la tour Eiffel fu in origine, in occasione dell'esposizione universale del 1899, la vetrina della tecnologia francese.
Le sue enormi dimensioni e la sua forma inconfondibile, la hanno fatta diventare ben presto l'emblema indiscusso della nazione, amata e apprezzata da tutti i francesi.
La Torre presenta 1665 scalini (1710 inizialmente). L'altezza della torre aumenta di 6-7 cm in seguito a forte caldo e si ritrae con le basse temperature.
Costruita in 2 anni, 2 mesi e 5 giorni, dal 1887 al 1889, da 300 operai, venne inaugurata ufficialmente il 31 marzo 1889.
Accoglie ogni anno più di 6 milioni di visitatori provenienti da ogni parte del mondo.

Inizialmente a Eiffel era stato concesso di lasciare in piedi la Torre per 20 anni, ma vista la grande utilità di questa struttura sia a causa del grande sviluppo che in quegli anni ebbero le comunicazioni via etere sia come laboratorio per studi scientifici, le fu permesso di restare anche per le generazioni future.

Eiffel, che all'inizio non aveva altra ambizione che celebrare con questa costruzione i progressi della tecnica, si sentì presto obbligato a trovare delle utilità scientifiche alla sua Torre, come misurazioni meteorologiche, analisi dell'aria, esperienze come quella del pendolo di Foucault, e così via. Egli stesso contribuì da allora a tali ricerche che portarono all'installazione di un barometro, di un parafulmini e di un apparecchio per la radiotelegrafia.

Non sarebbe stato solo un oggetto di curiosità per il pubblico, sia durante l'esposizione che dopo, ma avrebbe reso ancora servigi alla scienza e alla difesa nazionale. Proprio la difesa nazionale, infatti, salvò la torre dalla distruzione cui era stata destinata dopo solo un ventennio di vita.

Dal 1898 Eiffel aveva consentito a Eugène Ducretet di realizzare esperimenti di telegrafia senza fili fra la Torre e il Panthéon, e offerto alla direzione dello scienziato di finanziarli egli stesso. Il generale Ferrié, che divenne poi amico di Eiffel, riuscì nelle prime comunicazioni di questo tipo sostenendo la causa della torre contro la demolizione.

Fu così che la Tour Eiffel permise di comunicare con le navi da guerra e con i dirigibili, oltre che di intercettare i messaggi del nemico. In questo modo fu possibile, poi, l'arresto di Gertrude Zelle, detta Mata Hari, e mobilitare in tempo i taxi parigini per inviarli sul fronte della Marna, dove divennero per sempre i "taxi della Marna", grazie all'antenna radio installata sulla sommità della torre.

Dal Capodanno del 2000 sulla torre sono installati quattro potenti fari ruotanti che, coprendo ciascuno un arco di 180°, illuminano tutta la città ogni sera.

Trecento metalmeccanici assemblarono 18 038 pezzi di ferro forgiato, utilizzando 2 milioni e mezzo di bulloni (che furono sostituiti, durante la costruzione stessa, con rivetti incandescenti). Considerate le condizioni di sicurezza esistenti a quell'epoca, è sorprendente osservare che solo un operaio abbia perso la vita durante i lavori del cantiere (durante l'installazione degli ascensori).

La torre è alta con la sua antenna 324 m (le antenne della televisione sulla sommità sono alte 20 m), pesa circa 8 000 tonnellate, ma le sue fondamenta discendono di appena 15 m al di sotto del livello del terreno. Per il suo mantenimento servono anche 50 tonnellate di vernice ogni 7 anni. A seconda della temperatura ambientale l'altezza della Torre Eiffel può variare di diversi centimetri a causa della dilatazione del metallo (sino a 15 cm più alta durante le calure estive). Nelle giornate ventose sulla cima della torre si possono verificare oscillazioni sino a 12 cm.

 Nel 2006 è stata al nono posto tra i siti più visitati della Francia, ed è il monumento a pagamento più frequentato del mondo con 6 893 000 visitatori nel 2007. Dalla sua apertura, nel 1889, è stata visitata da circa 250 milioni di persone. Dal 1964 è classificata come Monumento storico di Francia.

La struttura, che con i suoi 324 m è la più alta di Parigi, venne inaugurata il 31 marzo del 1889 e fu aperta ufficialmente il 6 maggio dello stesso anno, dopo appena due anni, due mesi e cinque giorni di lavori. La sua manutenzione, dal 1981 al 2005, è stata curata dalla Societé Nouvelle d'Exploitation de la Tour Eiffel (SNTE). Dal 2006 al 2014 essa è affidata alla Société d'Exploitation de la Tour Eiffel (SETE).
Per salire fino in cima vi sono due possibilità: i 1665 scalini oppure due ascensori trasparenti. La struttura è divisa in tre livelli aperti al pubblico, raggiungibili sia con l'ascensore sia con le scale. I meccanismi degli ascensori sono quelli originali del 1889 e percorrono, all'anno, 100,000 km. A sud-est della torre si allunga una distesa erbosa da cui un tempo partivano i primi voli in mongolfiera.

Quando fu costruita, si registrò una certa resistenza da parte del pubblico, in quanto si pensava che sarebbe stata una struttura poco valida esteticamente (ancor oggi è poco apprezzata da alcuni parigini, che la chiamano "l'asparago di ferro"). Nel 1909 la Torre Eiffel rischiò di essere demolita perché contestata dall'élite artistica e letteraria della città, ma fu risparmiata solamente perché si rivelò una piattaforma ideale per le antenne di trasmissione necessarie alla nuova scienza della radiotelegrafia. Tuttavia è generalmente considerata uno degli esempi di arte in architettura più straordinari e costituisce indiscutibilmente uno dei simboli di Parigi più rappresentativi nel mondo, proposta per le sette meraviglie del mondo moderno.

Al terzo livello Gustave Eiffel aveva creato un appartamento in cui riceveva gli ospiti più illustri; oggi vi si trovano le statue di Eiffel insieme a Thomas Edison e alla figlia Claire durante l'incontro avvenuto durante la Fiera Mondiale del 1889 in cui Edison portò un esemplare di Fonografo

Il suo destino è stato decisamente diverso: non venne infatti distrutta, salvata dall'immenso successo riscosso tra il pubblico in occasione delle esposizioni universali del 1889 e del 1900, oltre che dagli esperimenti scientifici che Eiffel rese possibili. Dopo una carriera dedicata unicamente alla radiofonia (prime trasmissioni radiografiche nel 1898 e prima trasmissione della radio pubblica nel 1925) e successivamente alle telecomunicazioni (fino al digitale terrestre), ha visto affluire i turisti a partire dagli anni Cinquanta, fino a diventare il secondo luogo turistico della Francia dopo i giardini del castello di Versailles. Da allora, i numeri delle sue visite sono in costante aumento. Oggi, dei 7 milioni di visitatori annuali, il 75% viene dall'estero e considera la Tour Eiffel un passaggio obbligato del soggiorno nella capitale. La “signora di ferro” occupa inoltre un'ottima posizione in ogni servizio dedicato a Parigi ed è stata usata come scenografia e ispirazione per numerosissimi film, in particolare da La fine del mondo di Abel Gance, nel 1930. Smisurata, possiede tutto il necessario per incarnare Parigi, la Francia e l'immaginario parigino.
Un monumento fuori dal comune, ricco di ristoranti e di attrazioni. È stata riverniciata una ventina di volte e si è anche alleggerita di 1340 tonnellate superflue in occasione della grande campagna di restauro del 1985. Per raggiungere i primi due piani, occorre prendere gli ascensori oppure salire le scale – 704 gradini fino al secondo piano. La salita offre una visita atipica nel cuore della struttura metallica della Torre, regalando delle viste uniche della capitale.
Il secondo piano permette di ammirare la Parigi dei monumenti, la cattedrale di Notre-Dame, il Louvre e la sua piramide, l'Arco di Trionfo e persino, in lontananza, il castello di Versailles. Ogni piano offre al visitatore un'ampia scelta di soste visive, culturali o gastronomiche: percorso “epopea Tour Eiffel” e Cineiffel al primo per scoprire delle immagini insolite della Torre, ristorante gastronomico Le Jules Verne al secondo, ricostruzione dell'ufficio di Gustave Eiffel e bar à champagne vertiginoso in cima… La sera, dalla Torre alla quale si può accedere fino alle 23, la ville lumière si svela in tutta la sua bellezza, regalando uno spettacolo di luci vivaci e colorate con, sullo sfondo, un cielo notturno spruzzato di stelle.                                
Con il Champ-de-Mars, magnifico parco parigino che si apre ai suoi piedi e, dall'altro lato della Senna, lo spiazzo del Trocadéro con la sua sublime vista della Torre, la signora Eiffel è da molto tempo teatro di illuminazioni spettacolari ed eventi significativi: i fuochi d'artificio il 14 luglio, lo spettacolo pirotecnico del 2000, la torre blu per la presidenza francese dell'Ue o multicolore per i suoi 120 anni, installazioni varie come la pista di pattinaggio e un giardino…. Dall'inizio è stata inoltre fonte d'ispirazione per artisti, pittori (Bonnard, Vuillard, Dufy, Chagall…), cantanti e scrittori. Il pittore cubista Robert Delaunay (1885-1941) le ha dedicato buona parte della propria opera. Durante la Belle Epoque, la cantante di cabaret Mistinguett si stupiva che fosse ancora al suo posto mentre il cantante Jacques Dutronc, negli anni Settanta, si preoccupava che avesse freddo ai piedi… Più che un monumento, è diventata “l'anima” della ville lumière, nel firmamento della Senna e del cielo di Parigi. “Edificio inutile e insostituibile, mondo familiare e simbolo eroico, testimone di un secolo e monumento sempre nuovo, oggetto inimitabile e incessantemente riprodotto…”, diceva Roland Barthes (La tour Eiffel, Delpirre éditeur, 1964.

La Torre Eiffel è illuminata da oltre 350 proiettori di 1000 watt cad., mentre la sera scintilla con oltre 22.000 lampadine e 900 luci di festa. L'idea di far scintillare la torre è stato pensata per festeggiare il passaggio all'anno 2000. La società, "Scieté Nouvelle d'Exploitation de la Tour Eiffel", che cura la manutenzione della Torre ha regalato ai parigini la possibilità di vederla brillare tutte le sere. Ogni singolo viaggio dell'ascensore riesce a trasportare 110 persone direttamente al secondo piano; é obbligatorio utilizzare le scale per poter andare fino in cima.
Quello del piede nord, con una capacità di 110 persone, é il principale ascensore della torre; costruito nel 1965 dalla ditta Schneider-Creusot e rinnovato nel 1995, permette di accedere al primo e al secondo piano della torre.
I turisti che desiderano proseguire la loro salita fino in cima dovranno cambiare d'ascensore giunti al secondo piano. In caso di grande affluenza viene aperto anche il piede Ovest della torre che presenta gli stessi servizi di quello Nord.
Il piede Sud permette di accedere direttamente al ristorante Jules Vernes mentre quello Est é riservato a coloro i quali desiderano effettuare una scalata della torre a piedi.

Fatta eccezione per i visitatori che decidono di salire a piedi, il primo piano é quello che viene visitato per ultimo, scendendo dal secondo.
Molti turisti rinunciano alla visita del primo piano pensando d’aver visto abbastanza dalla cima e dal secondo piano.
In realtà, il primo piano é il più vasto; ospita il padiglione Ferrié che contiene numerosi spazi espositivi, un cinema, un ristorante, negozi e anche un ufficio postale per inviare delle cartoline direttamente dall’alto della torre. Da segnalare, in particolar modo, la pompa idraulica originale che forniva l’acqua ai motori degli antichi ascensori che collegavano il secondo piano con la cima, un telescopio elettronico per scoprire Parigi dall’alto e una scatola magica con immagini virtuali rappresentanti Gustave Eiffel.
La vista panoramica offerta dal primo piano é veramente unica e permette d'abbracciare con un solo colpo d’occhio la Senna e il Campo di Marte.
Le ampie vetrate del ristorante "Altitude 95" danno sulla Senna e sul Trocadero.

Il secondo piano rappresenta una tappa obbligata per coloro i quali desiderano proseguire fino in cima. Presenta svariati elementi d'interesse tra i quali un rinomato ristorante, "le Jules Vernes" che presenta un accesso diretto dal piede Sud della torre. La cima della Torre Eiffel offre la più bella vista panoramica della capitale francese. L'accesso é possibile solamente a piedi.


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MARTEDI' SANTO

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In quel tempo, mentre Gesù era a mensa con i suoi discepoli, si commosse profondamente e dichiarò: «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: «Dì, chi è colui a cui si riferisce?». Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose allora Gesù: «È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò». E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. E allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui. Gesù quindi gli disse: «Quello che devi fare fallo al più presto».
Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo; alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte. Quand'egli fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete, ma come ho gia detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire».
Simon Pietro gli dice: «Signore, dove vai?». Gli rispose Gesù: «Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m'abbia rinnegato tre volte».

Giovanni (13,21-33.36-38)




Gli Apostoli lasceranno solo Cristo durante la Passione. A Simon Pietro che, pieno di presunzione, affermava: Darò la mia vita per te!, il Signore rispose: Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte.

Poco tempo dopo la predizione si avvera. Tuttavia, poche ore prima il Maestro aveva dato loro una lezione chiara, per prepararli ai momenti di oscurità che si avvicinavano.

Accadde il giorno dopo l’entrata trionfale a Gerusalemme. Gesù e gli Apostoli erano usciti da Betania molto presto e, a causa della fretta, probabilmente non avevano mangiato niente. Fatto sta che, dice S. Marco, il Signore ebbe fame. E avendo visto di lontano un fico che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se mai vi trovasse qualche cosa; ma giuntovi sotto, non trovò altro che foglie. Non era infatti quella la stagione dei fichi. E gli disse: “Nessuno possa mai più mangiare i tuoi frutti”. E i discepoli l’udirono.

Al tramonto tornarono al villaggio. Data l’ora avanzata, non fecero caso al fico maledetto; ma il giorno dopo, martedì, nel ritornare ancora una volta a Gerusalemme, tutti videro l’albero, una volta frondoso, che mostrava i rami nudi e secchi. Pietro lo fece notare a Gesù: Maestro, guarda: il fico che hai maledetto si è seccato. Gesù allora disse loro: “Abbiate fede in Dio! In verità vi dico: chi dicesse a questo monte: Levati e gettati nel mare, senza dubitare in cuor suo ma credendo che quanto dice avverrà, ciò gli sarà accordato”.

Durante la sua vita pubblica, Gesù chiedeva una sola cosa per fare miracoli: la fede. A due ciechi che lo supplicavano di guarirli, aveva domandato: Credete voi che io possa fare questo? – Gli risposero: Sì, o Signore! Allora toccò loro gli occhi e disse: Sia fatto a voi secondo la vostra fede. E si aprirono loro gli occhi. Raccontano anche i Vangeli che in molti luoghi non poté operare guarigioni perché le persone non avevano fede.

Anche noi dobbiamo interrogarci: a che punto è la nostra fede? Confidiamo pienamente nella parola di Dio? Domandiamo nell’orazione ciò di cui abbiamo bisogno, sicuri di ottenerlo se è per il nostro bene? Insistiamo nel supplicare di ottenere ciò che ci è necessario, senza scoraggiarci?

San Josemaría Escrivá ha commentato questa scena del Vangelo. Gesù si avvicina al fico: si avvicina a te e a me. Gesù ha fame e sete di anime. Sitio! Ho sete!, grida sulla Croce. Sete di noi, del nostro amore, delle nostre anime e di tutte le anime che dobbiamo condurre a Lui, lungo la via della Croce, che è la via dell’immortalità e della gloria del Cielo.

Si accostò al fico, ma vi trovò soltanto foglie (Mt 21, 19): che vergogna! È così anche nella nostra vita? Accade anche a noi, tristemente, che facciano difetto la fede e la vibrazione dell’umiltà, e non appaiano né sacrifici né opere?

I discepoli si meravigliarono per il miracolo, ma la lezione fu inutile: pochi giorni dopo negheranno il loro Maestro. La fede deve modellare la vita intera. Cristo pone questa condizione: vivere di fede per essere poi capaci di muovere le montagne. Sono tante le cose da rimuovere... nel mondo, ma innanzitutto nel nostro cuore. Tanti ostacoli alla grazia! Fede, quindi; fede operativa, fede disposta al sacrificio, fede umile.

Maria, con la sua fede, ha reso possibile l’opera della Redenzione. Giovanni Paolo II afferma che al centro di questo mistero, nel vivo di questo stupore di fede, sta Maria, alma Madre del Redentore (Redemptoris Mater, 51). Ella accompagna costantemente tutti gli uomini lungo i sentieri che conducono alla vita eterna. La Chiesa, scrive il Papa, contempla Maria profondamente radicata nella storia dell’umanità, nell’eterna vocazione dell’uomo, secondo il disegno provvidenziale che Dio ha per lui eternamente predisposto; la vede maternamente presente e partecipe nei molteplici e complessi problemi che accompagnano oggi la vita dei singoli, delle famiglie e delle nazioni; la vede soccorritrice del popolo cristiano nell’incessante lotta tra il bene e il male, perché “non cada” o, caduto, “risorga” (Redemptoris Mater, 52).

Maria, Madre nostra: ottieni per noi, con la tua potente intercessione, una fede sincera, una speranza sicura, un amore ardente.







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lunedì 30 marzo 2015

IL LAGO DEL FRASSINO

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Lungo la strada che da Peschiera conduce verso Pozzolengo, in prossimità della Chiesa dedicata alla Madonna del Frassino, si trova il laghetto che dall’omonimo Santuario prende il nome.
Esso si estende lungo il territorio compreso tra le frazioni di San Benedetto e Broglie ed ha una dimensione di circa 70/80 ettari per una lunghezza di 770 m ed una larghezza di 380. La profondità massima è di 15 metri. E’ alimentato da tre immissari mentre gli emissari di piccolissima portata sono due; appunto per queste caratteristiche il laghetto del Frassino gode di un livello delle acque pressoché costante con lievi variazioni nei periodi estivi ed invernali.
Benché visto dall’alto possa sembrare quasi un’appendice del lago di Garda, esso è in realtà del tutto indipendente dal suo fratello maggiore visto che si trova ad un’altitudine diversa. Probabilmente l’origine di questo piccolo specchio d’acqua è ancora da ricercarsi come effetto della ritirata dei ghiacciai quando le sedimentazioni da essi trasportate iniziarono a disegnare l’anfiteatro morenico ai piedi del grande lago.
E’ facile anzi presumere che le falde acquifere che lo alimentano sia del tutto indipendente dal Garda anche se la tradizione popolare vorrebbe che vi fosse nel suo fondale un lungo condotto che collega i due bacini.

Il Lago del Frassino è un piccolo lago di origine glaciale situato in Provincia di Verona, ai confini con la Provincia di Brescia. Si estende nell'entroterra del comune di Peschiera del Garda, tra le frazioni di San Benedetto di Lugana e Broglie. L'ambiente geografico e naturalistico nel quale il laghetto si integra è quello delle colline moreniche a sud del lago di Garda. Le dimensioni del bacino lacustre si aggirano intorno ai 75/80 ettari, per una lunghezza di 770 m e una larghezza di 380 m. La profondità massima è di 15 metri. Altezza media: 80 m s.l.m. Vi sono tre immissari e due emissari di piccola portata, perciò si hanno variazioni del livello dell'acqua molto lievi. Il laghetto del Frassino è un biotopo di rilevanza europea e un'oasi naturale protetta per le sue peculiarità faunistiche e floristiche.

Negli ultimi anni alcune ricerche ornitologiche (come quelle condotte dall'associazione Verona Birdwatching) hanno evidenziato la ricchezza dell'avifauna locale. Nell'oasi sono state segnalate moltissime specie di uccelli, almeno 160, di cui una quarantina nidificanti, ma il laghetto è fondamentale soprattutto come luogo sicuro per le anatre tuffatrici nei mesi invernali, in particolare il moriglione e la moretta. Altre anatre svernanti: moretta grigia, moretta tabaccata, germano reale, mestolone, alzavola, fischione, fistione turco e canapiglia, sporadiche orco marino, pesciaiola, quattrocchi, codone e volpoca. Comune il cormorano così come varie specie di aironi sia d'inverno che nei mesi estivi (nidificano il tarabusino, l'airone rosso e talora anche l'airone cenerino). Nidificano anche l'usignolo di fiume, la cannaiola comune, il cannareccione, il codibugnolo, cince, fringillidi oltre a picchio rosso maggiore e picchio verde; poi Folaga e Gallinella d'acqua. Anche alcuni rapaci frequentano il laghetto, solo il falco di palude e il lodolaio hanno nidificato sporadicamente. L'umido terreno circostante è ricco di specie floristiche rilevanti: oltre infatti agli arbusti paludicoli e ai canneti è da segnalare la presenza di un raro bosco planiziale con antichi pioppi e salici che consente la sopravvivenza a varie specie animali fra cui la Rana di Lataste (Rana latastei), specie minacciata e in estinzione.

Il Lago del Frassino è fondamentale soprattutto come luogo sicuro per le anatre tuffatrici nei mesi invernali, in particolare il moriglione e la moretta. Queste anatre vengono a svernare nell'area gardesana dopo avere volato per chilometri e chilometri provenendo perlopiù dall’Europa centro-orientale; la moretta con un viaggio più lungo poiché nidifica comunemente più a nord del moriglione, che invece preferisce zone temperate. Le anatre trascorrono le ore diurne sostando sulle acque del laghetto del Frassino per poi passare la notte nel vicino Benaco (Lago di Garda) dove possono nutrirsi grazie alla presenza di Dreissena polymorpha. Questo bivalve, detto cozza zebra, introdotto accidentalmente o di proposito in Europa occidentale, è divenuto nei mesi invernali la fonte energetica principale per la moretta. Il mollusco ha colonizzato pian piano i laghi europei, anche quelli prealpini italiani, primo tra tutti il Lago di Garda già alla fine degli anni ’60 del XX secolo. L’abbondanza alimentare è stata sicuramente un fattore determinante per queste anatre nello scegliere il Garda come sito trofico, ma l'incremento del contingente svernante si è creato anche per l'istituzione di norme di tutela. Pian piano il laghetto è divenuto un’oasi per queste due anatre tuffatrici, che hanno imparato a sfruttarlo per sostare e riposarsi in pace durante il giorno; la logistica poi è straordinaria: basta loro prendere il volo per pochi minuti e durante la notte si possono tuffare nelle acque del Garda, ricche dei molluschi di cui sono ghiotte. Nella seconda metà del XX secolo per queste due anatre si è registrata un’espansione numerica e di areale verso sud-ovest, dovuta, almeno per la moretta, in parte alla capacità di adattarsi e di insediarsi anche in piccoli invasi come i laghetti di parchi urbani, dall’altra proprio per la comparsa della Dreissena polymorpha. Dalle due dozzine di morette e moriglioni contati nel 1989, in qualche anno la presenza è salita a circa 4.000-5.000 individui. La moretta è sempre numerosa, contrariamente all’andamento nazionale, e il Laghetto del Frassino è oggi il sito italiano più importante per lo svernamento di questa specie: si contano qui, infatti, un terzo delle morette italiane.

Il Laghetto del Frassino è una specie di calamita per i birdwatcher durante i mesi invernali. Sulle sue acque, tra la fine di settembre e aprile, sostano migliaia di anatre tuffatrici, moretta e il moriglione, ma sono regolari anche le più sporadiche moretta tabaccata e moretta grigia. Nel gruppo di anatre si confondono spesso alcune rarità come moretta codona  o gobbo della Giamaica, pesciaiola e gabbiano pontico. Nel gennaio 2014 è stata anche segnalata una moretta dal collare. Si segnala che le sponde del lago sono proprietà privata e le visite sono ammesse previa autorizzazione del Settore faunistico ambientale della Provincia di Verona.

All’inizio degli anni ’90 del XX secolo le acque del Laghetto del Frassino furono considerate zona protetta per l’avifauna e sparirono così le oltre venti postazioni fisse di caccia che trovavano posto sulle sue sponde. Il Laghetto del Frassino fu segnalato come pregevole zona naturalistica già nel 1972 e successivamente tutelato solo dal punto di vista paesaggistico. A partire dal 1990 la Provincia di Verona adottò un provvedimento di tutela faunistica, tutela che riguardava esclusivamente lo specchio d’acqua. L'anno seguente venne esteso il perimetro dell'area da tutelare e dal 1996 quest'ultima venne dichiarata "oasi naturale di protezione". Con l’avvento di Rete Natura 2000 il Laghetto del Frassino è stato individuato dalla Regione Veneto come biotopo da salvaguardare ai sensi della Direttiva Habitat (92/43/CEE) e quindi incluso nell’elenco dei siti d’importanza comunitaria (S. I.C.) al n. IT3210003. Nel dicembre 2007, in seguito a un aggiornamento della rete Natura 2000 nella Regione Veneto, è stata finalmente istituita la Zona di Protezione Speciale (Z.P.S.) “Laghetto del Frassino”. Negli anni scorsi sono stati realizzati alcuni interventi di riqualificazione ambientale condotti da Veneto Agricoltura che hanno consentito di estirpare i rovi, contenere l'espansione di piante infestanti e rampicanti, rimuovere vecchie palizzate e inserire delle cassette-nido per uccelli. È stato anche costruito un ponte di legno e sono stati inseriti dei cartelli a scopo didattico e illustrativo in funzione del percorso di visita al pubblico.

Nonostante l'importanza di questo luogo i corsi d'acqua vengono captati per irrigare i campi lasciando in certi periodi semiasciutto il piccolo lago. Ci sono stati sospetti scarichi illegali di sostanze inquinanti (almeno fino al 2012), insistenti richieste di permessi per costruire, sono stati appiccati incendi dolosi dal 6 al 9 marzo/2012. Negli ultimi mesi del 2014 si è iniziata ad alzare molta preoccupazione per la salvaguardia di questo luogo dal momento che nei prossimi anni è prevista in questa zona la costruzione della linea ferroviaria AV/AC Brescia-Verona; nei primi mesi del 2015 moltissime associazioni ambientaliste e animaliste hanno sottoscritto un comunicato in difesa di quest'area protetta e l'attenzione a questa problematica è molto alta.



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LUNEDI' SANTO

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Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. Equi gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell'unguento.
Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: «Perché quest'olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?». Questo egli disse non perché gl'importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me».
Intanto la gran folla di Giudei venne a sapere che Gesù si trovava là, e accorse non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I sommi sacerdoti allora deliberarono di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.
Giovanni (12,1-11)



La liturgia del Lunedì Santo ci fa uscire da Gerusalemme ancora tutta in agitazione per gli avvenimenti del giorno precedente e ci conduce nella calma atmosfera di Betània, in casa degli amici Marta, Maria e Lazzaro, presso i quali Gesù, per l'ultima volta, va a cercare un po' di ristoro fisico e morale.
Qui, in questo familiare incontro, possiamo ulteriormente scoprire le ricchezze di umana sensibilità del cuore di Cristo Signore.

Maria compie il gesto dell'unzione per intuizione d'amore, quasi presagendo la sorte cui il Maestro stava per andare incontro.
La donna sa quanto sia preziosa - ben più del nardo - la presenza del Signore tra di noi. Quello che a Giuda sembra troppo, per lei è ancora poco: il profumo versato vuole significare il dono di sé che ella nel profondo del cuore ricambia al suo Signore che va a morire per lei, per tutti.
La presenza di un discepolo ladro e traditore viene a turbare le ore ristoratrici dell'amicizia diffondendo diffidenza e aria di congiura. Al profumo di Maria che ha riempito la casa, al profumo dell'amicizia fedele viene a mescolarsi il cattivo odore dei pensieri del discepolo infedele.
Per Gesù è già iniziata la Passione e questa può essere considerata la prima stazione della sua Via Crucis.
Ancora più che per le sofferenze fisiche, infatti, egli patì per le sofferenze morali e spirituali.
Se già per qualsiasi uomo che abbia il vero senso dell'amicizia non c'è ferita più dolorosa del tradimento di coloro in cui poneva la propria fiducia e confidenza, tanto più ciò è vero per il Cristo, in cui ogni umano sentimento si trova al sommo grado di intensità.

Noi siamo tutti un po' carenti, se non anche traditori, nei confronti di Gesù, eppure si può dire che egli viene continuamente da noi in cerca di una Betània dove riposare tra amici, accettando il rischio di essere rifiutato o tradito.
E ciò egli lo fa per un unico, essenziale motivo: perché tutto quanto viene dal Padre - anche il tradimento permesso, anche la croce - è non solo accettabile, ma persino adorabile.Questo atteggiamento, come ogni altro comportamento del Figlio di Dio, diventa norma di vita per ogni uomo che, entrando in comunione con lui, ritrova la propria relazione filiale nei confronti di Dio.

Siamo dunque stimolati a rientrare in noi stessi per fare un coraggioso e leale esame di coscienza, mediante il quale ci avverrà forse di scoprire che oggi, nella nostra Betània, Gesù si trova circondato da più di un amico infido e che forse proprio noi, nei suoi confronti, non facciamo sempre la nobile parte di Maria.



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domenica 29 marzo 2015

LA RISERVA NATURALE DI CASTELLARO LAGUSELLO

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La riserva si trova in Lombardia, nell'Alto Mantovano, tra Castellaro Lagusello, frazione del comune di Monzambano e Cavriana. È inserita nel Parco regionale del Mincio.

Area a cavallo tra i comuni di Monzambano e Cavriana, al centro dell'anfiteatro morenico gardesano, caratterizzata prevalentemente da avvallamento intermorenico sul fondo del quale si trova il lago prospiciente il borgo di Castellaro.

L'area protetta è stata classificata dalla Regione Lombardia Riserva Naturale orientata nel 11.10.1984, mediante D.C.R. n°III/1738; rientra pertanto, con il n°377 cod.EUAP0289, nell'Elenco Ufficiale delle Aree Naturali Protette IV aggiornamento.
Successivamente con il decreto ministeriale 3 Aprile 2000 è stata inserita fra i Siti di Importanza Comunitaria ai sensi della direttiva 92/43/CEE. La superficie della riserva è di 209,72 ha.

L'antico abitato, alto al margine del laghetto, si specchia nelle sue calme acque.
Un cordone quasi continuo di colline avvolge il tutto in un cerchio irregolare. Dai loro fianchi, alimentati da numerose risorgive, scendono i fossi che confluiscono nel laghetto.
Sui versanti più ripidi strette strisce di bosco sono di tanto in tanto interrotte da prati aridi.
Lago, praterie igrofile, boschi e prati aridi costituiscono una componente di notevole valore naturalistico.
Il lago è uno degli ultimi laghetti intramorenici esistenti nell'area collinare.
Alla fine dell'ultima glaciazione infatti moltissimi laghetti andarono a formarsi nelle conche e negli avvallamenti che separavamo l'uno dall'altro i cordoni collinari formati dal ghiacciaio benacense. Durante il lungo periodo, circa 20.000 anni, trascorso da allora, il naturale interramento ha lentamente trasformato gran parte dei laghetti dapprima in zone paludose ed infine in praterie igrofile.
Saliceti ed ontaneti si addensano ai bordi del lago.
Il numero delle specie vegetali presenti è invero piuttosto limitato e l'ambiente, se confrontato con i boschi e i prati naturali delle colline circostanti, può a prima vista sembrare monotono.
Le rive sono segnate da una fitta cortina di canne palustri tra le quali allungano le loro infiorescenze tozze le tife. Nelle acque del lago vegetano la ninfea bianca e il nannufero. Sulle rive e nei fossi fiorisce l'hottonia palustre, l'iris giallo e il campanellino estivo.

Moltissime sono le specie di animali che, direttamente o indirettamente, trovano nel lago e nelle praterie umide che lo circondano fonte illimitata di nutrimento, nonché rifugio e protezione.
Il loro numero è infatti fra i più alti in assoluto, in rapporto agli ecosistemi esistenti in natura. Troviamo lo svasso maggiore, folaghe e gallinelle, il martin pescatore e il tarabusino, la cannaiola ed il canareccione, il cuculo, il migliarino di palude e il pendolino con il suo caratteristico nido, nitticore, garzette e aironi alla ricerca del cibo,nonché il falco di palude.
Molto interessante risulta il bosco di salici e ontani a sud del lago che, pur essendo di piccole dimensioni, è ancora ben conservato; esso potrebbe ospitare in futuro una piccola colonia di Ardeidi (Aironi) nidificanti, uccelli che già ora frequentano la zona.

Mentre i boschi vegetano sui versanti esposti a nord, su quelli esposti a mezzogiorno, dove l'aridità del suolo è più accentuata, troviamo alcuni prati aridi. Essi occupano aree molto ridotte, cosi scoscese che è stato impossibile metterle a coltura, ma la loro importanza, dal punto di vista floristico o più genericamente naturalistico, è notevole.

Il manto erboso è in prevalenza formato da graminacee.
Spiccano tra le erbe piccoli cespugli di ginestra spinosa, di citiso peloso e di coronilla minima. Qua e là si ergono fini cespugli di rosa selvatica o di roverella.
Caratterizzano questi ambienti alcune splendide fioriture primaverili, ad esempio quelle precocissime della potentilla primaverile o quelle, meno diffuse ma altrettanto belle, della Globularia punctata e della Veronica prostrata.

Lo stesso ontaneto, nei periodi di allagamento di fine inverno, costituisce il sito riproduttivo di alcuni interessanti anfibi.
A sud-ovest di Castellaro una stretta striscia di boschi riveste i versanti delle colline che guardano verso il laghetto.Questi boschi, tutti di ridotta superficie, vegetano sui versanti esposti a nord; per la loro forte pendenza e per la loro esposizione poco favorevole alle coltivazioni, sono stati rispettati dall'uomo.
L'albero che più di ogni altro dà la sua impronta a questi boschi è la roverella, la più frugale tra le querce nostrane.

E' un albero di piccole dimensioni e talora rimane allo stato arbustivo.
L'accompagnano spesso il cerro e il carpino nero. Nei suoli più freschi il cerro sostituisce quasi interamente la roverella.
Completano il manto arboreo l'orniello, l'olmo e l'acero campestre.

Tra gli arbusti che popolano il sottobosco troviamo il biancospino, il ciliegio canino, il nocciolo, il ligustro, lo scotano, l'emero, il ginepro e il nespolo.
Sempre presenti sono il pungitopo, l'edera e la vitalba.
Lo strato erbaceo è formato da un numero di specie piuttosto basso, ma molte di queste assumono un interesse sia per la loro rarità, relativamente ai nostri ambienti, sia per la loro bellezza.
Basta ricordare il giglio rosso, l'iris graminea e l'orchidea purpurea.

Il bosco è certamente uno degli ambienti in cui gli animali sono più difficilmente osservabili.
La vita che si svolge nascostamente fra le sue alte fronde, fra gli arbusti del sottobosco, fra le erbe del suolo, nella lettiera di foglie morte, sul fondo o nei cunicoli sotterranei è tuttavia intensissima.

In primavera i canti territoriali degli uccelli, gli animali che più si manifestano, ci danno efficacemente un'idea di questa vitalità: dovunque sentiremo cantare Merli, Usignoli, Capinere, Fringuelli e, qua e là, anche il più raro Pettirosso, il piccolissimo Scricciolo o il Rigogolo, dal bellissimo colore dorato, ma sempre nascosto tra le alte fronde;
fra di esse sentiremo il tubare del Colombaccio, abbondante in questi boschi, e della Tortora, o il verso rauco della Ghiandaia; ai margini del bosco risuonerà il canto monotono del Luì piccolo o quello più melodioso del Canapino e, dove la copertura è più fitta e il sottobosco più denso, sentiremo il verso acuto e insistente del Codibugnolo.

Le fioriture più importanti sono tuttavia altre: la splendida Pulsatilla montana, che fiorisce in aprile ai margini assolati dei boschi, e il giglio caprino che, all'inizio di maggio, invade i prati aridi. Più tardi fiorisce l'orchidea piramidale.Più rare sono l'orchidea fior di ragno e l'orchidea a fiore d'ape.


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LA STRAMILANO



Ogni giorno Milan esce fuori di man
Crescendo va diventa ‘sta città
Slarga fuori di qua sbatti fuori di là
Ti tiran su ti sfondan giù Milan

Stramilano
S.T.R.A.M.I.L.A.N.O.
Piano piano
Montemerlo confondi col Pincio e il navigli col Po
Vai lontano
A Parigi sull’autostrada a Berlino in metro
Stramilano
S.T.R.A.M.I.L.A.N.O.

Ogni vicolo fu strade non ce n’è più
Con lo sfondar son tutti boulevard
Terra di meneghin peggio d’un zebellin
Ti smollan qua ti sgonfian là Milan

Stramilano
S.T.R.A.M.I.L.A.N.O.
Piano piano
Montemerlo confondi col Pincio e il navigli col Po
Vai lontano
A Parigi sull’autostrada a Berlino in metro
Stramilano
S.T.R.A.M.I.L.A.N.O.



„"La Stramilano -  dice il sindaco Giuliano Pisapia - e' una tradizione, e' anche un festeggiamento, un momento di unita', di coesione sociale".

La Stramilano è una manifestazione podistica ideata nel 1972 da Renato Cepparo. L'evento, che si tiene a Milano, si ripete a cadenza annuale in primavera.

L'idea prese forma dopo l'insperato successo della Milano-Proserpio, una "passeggiata non competitiva" di 43 km che Renato Cepparo organizzò, all'inizio con pochi amici, e poi in forma "aperta" a chiunque volesse iscriversi a partire dal 18 settembre 1971.

La prima edizione della Stramilano, ideata e organizzata dallo stesso Cepparo, si svolse martedì 14 marzo 1972, con partenza alle ore 21 da viale Suzzani, vicino alla sede della rivista sportiva "Vai" di cui Cepparo era fondatore e direttore. Il percorso seguito passava per via Veglia, viale Marche e quindi tutta la cerchia della circonvallazione esterna, in senso antiorario, fino a ritornare al punto di partenza dopo 24,700 km. Ai 3.476 partecipanti ufficiali si aggiunsero circa 1.500 appassionati che non erano riusciti ad iscriversi. La temperatura fredda e qualche goccia di pioggia non avevano scoraggiato nessuno.

Negli anni successivi la Stramilano si affermò con grande successo grazie alla conduzione e organizzazione del presidente Francesco Alzati e del Gruppo Alpinistico Fior di Roccia. La manifestazione venne spostata ad una domenica mattina, all'inizio di aprile, con partenza da Piazza del Duomo ed arrivo all'Arena Civica, per un percorso di circa 22 km. La partecipazione si fece di anno in anno più massiccia fino a stabilizzarsi su di una media di 50.000 partenti: per questo motivo la corsa non competitiva è chiamata Stramilano dei 50.000.

Col tempo la manifestazione si trasformò. Il percorso venne abbreviato (nel 2008 è stato portato sui 12 km e nel 2009 si è ulteriormente abbassato a 10 km) ed alla marcia non competitiva si affiancò, dal 1976, la Stramilano agonistica, riservata agli atleti professionisti, sulla distanza della mezza maratona (21,0975 km).

Inoltre, accanto alla manifestazione principale viene organizzata anche la Stramilanina per i più piccoli, con un percorso di soli 6 km (ridotto a 5 km con l'edizione del 2009). Negli ultimi anni questo evento è stato preso come modello ed in città estere si realizza una manifestazione simile, ad esempio la Stralugano.
La partenza è situata in piazza Castello presso il Castello Sforzesco. Inizialmente si va in direzione nord-ovest verso una svolta in corso Sempione. In seguito il centro della città viene percorso circolarmente in senso orario, seguendo essenzialmente il percorso della circonvallazione esterna. Al km 18 si svolta di nuovo in corso Sempione, attraversando il quale si giunge al traguardo nell'Arena Civica.

La gara comincerà solo dopo i due colpi di cannone sparati dal Reggimento di Artiglieria a cavallo, accompagnati dalle trombe della fanfara dei Bersaglieri. I primi runner che partiranno sono coloro che decideranno di cimentarsi con la Stramilano 50mila. Da Piazza Duomo, infatti, alle ore 9.00 avrà inizio la maratona non competitiva e i runner dovranno correre per dieci chilometri.

La Stramilano dei 50.000 è la non competitiva più famosa d’Italia e una fra le più celebri del mondo: straordinaria corsa a ritmo libero aperta a tutti. Decine di migliaia di partecipanti di ogni età, provenienti dai 5 continenti, attraversano la città creando un infinito serpentone in direzione del Castello Sforzesco. Nata nel 1972, nel 2011 ha festeggiato la sua 40a edizione. Il percorso con la tradizionale partenza da piazza del Duomo raggiunge l’Arena Civica, sfruttando gli ampi viali della città. Il tracciato misura esattamente 10 chilometri. La distanza dovrà essere coperta nel tempo massimo di cinque ore, con un ritmo da camminata tranquilla.
Partenza da Piazza Duomo
Arrivo all’Arena Civica



Alle ore 9.30, invece, da Piazza Duomo partiranno i corridori della Stramilanina, mini atleti accompagnati da un adulto, che correranno per 5 chilometri. Un percorso più breve, tutto riservato ai più piccoli e a chi desidera essere protagonista dell’evento milanese ma non è troppo portato per la fatica fisica.
Anche la Stramilanina, la più breve e “movimentata” fra le manifestazioni inserite nel programma, prende il via da piazza del Duomo. L’immagine tipica della partenza è rappresentata da un mare di palloncini, fra l’allegria di piccoli e piccolissimi accompagnati da genitori, parenti e amici.
La prova, sulla distanza di 5 chilometri, prevede un tempo massimo di tutto respiro (quattro ore). Si tratta di un percorso speciale, disegnato proprio nel cuore di Milano, riservato ai bambini e ovviamente ai loro genitori, ma anche a chi desidera essere protagonista senza coprire distanze troppo impegnative.



Alle ore 11, infine, in Piazza Castello ci sarà la partenza di atleti professionisti e appassionati maratoneti che correranno per la Stramilano Half Marathon, per un totale di 21,097 chilometri..
Mezza maratona maschile e femminile Km 21,097, gara di corsa su strada sulla distanza di 21,097 Km.
Quello della Stramilano è uno dei circuiti cittadini più veloci e più famosi al mondo. Sulla classica distanza della mezza maratona (21,097 Km), i fuoriclasse internazionali e gli atleti delle categorie Senior, Amatori e Master, uomini e donne, si sfidano in una corsa di altissimo livello.
La distanza della Stramilano Agonistica Internazionale è certificata dai misuratori IAAF.
Il percorso è interamente pianeggiante è velocissimo: partendo dal Castello Sforzesco attraversa il centro cittadino, per concludersi nella suggestiva cornice dell’Arena Civica, fra gli applausi dei partecipanti alla Stramilano dei 50.000 e alla Stramilanina.




Un rifornito punto di ristoro a circa metà percorso aiuta ad arrivare in piena efficienza all’Arena Civica dove, ad attendere i protagonisti della Stramilanina, sono previsti giochi e animazioni, prima dell’arrivo dei campioni dell’Agonistica.
Partenza da Piazza Duomo
Arrivo all’Arena Civica.

Il traguardo finale sarà per tutti l'Arena Civica, dove ad accogliere grandi e piccoli maratoneti, prima della premiazione, ci saranno momenti di divertimento e di ristoro. A tutti i partecipanti, le autorità cittadine e gli sportivi più conosciuti consegneranno una medaglia da collezione, mentre ai vincitori andranno le coppe.



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