sabato 21 marzo 2015

DONGO

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Dongo è il luogo della cattura di Benito Mussolini e dei gerarchi della repubblica Sociale Italiana, che vennero portati nella sede comunale, Palazzo Manzi, per ufficializzare l’arresto. Il paese di Dongo sorge alla foce del torrente Albano, lungo il tracciato dell'Antica Via Regina; Dongo si trova anche sull'antico percorso che, attraverso il Passo San Jorio, collega il lago di Como alla Val Mesolcina.

Un documento del 1465 è il primo a segnalare la presenza nella zona di importanti miniere di ferro. Queste miniere e gli impianti per il trattamento del ferro nel 1771 divennero di proprietà di Pietro Rubini, che nel 1789 costruì' il primo altoforno a carbone di legna per la produzione della ghisa, nel 1839 la società diventerà Rubini Scalini Falck, da cui nascerà' l'industria siderurgica Falck.


All'altezza della Piazzetta Rubini venne catturato dai partigiani Benito Mussolini il 27 aprile 1945 in fuga da Milano verso la Valtellina; fu ucciso nella frazione di Giulino nel comune di Tremezzina (oggi Mezzegra), il giorno seguente.

Nel tentativo di sfuggire alla disfatta definitiva della Repubblica Sociale Italiana e sperando ancora in un sussulto dei suoi con la possibilità di trattare un accordo di resa a condizione, Mussolini abbandona il 18 aprile 1945 l'isolata sede di Palazzo Feltrinelli a Gargnano, sulla sponda occidentale del lago di Garda, e si trasferisce a Milano, dove arriva in serata prendendo alloggio nella prefettura; il giorno precedente aveva discusso nell'ultimo consiglio dei ministri sulla possibile resistenza nel Ridotto della Valtellina.

Nella notte, insieme a Pavolini, giunge a Menaggio un convoglio militare tedesco in ritirata composto da trentotto autocarri e da circa duecento soldati della FlaK, la contraerea tedesca, al comando del tenente Willy Flamminger diretto a Merano attraverso il passo dello Stelvio. Mussolini con i gerarchi fascisti e le rispettive famiglie al seguito, decide di aggregarvisi. La colonna, lunga circa un chilometro, alle cinque del mattino parte da Menaggio, ma alle sette, appena fuori dall'abitato di Musso, viene fermata ad un posto di blocco delle Brigate Garibaldi; dopo una breve sparatoria, e in seguito a lunghe trattative, i tedeschi ottengono il permesso di poter proseguire a condizione che venga effettuata un'ispezione, e che siano consegnati tutti gli italiani presenti nel convoglio, nel sospetto che vi fosse il Duce con qualche gerarca in fuga. Mussolini, su consiglio del capo della sua scorta SS, il sottotenente Fritz Birzer, indossa un cappotto e un elmetto da sottufficiale della Wehrmacht, si finge ubriaco e sale sul camion numero 34 della Flak, occultandosi in fondo al pianale, vicino alla cabina di guida, ricoperto da una coperta militare. A nessun altro italiano sarà concesso di tentare di seguire nascostamente Mussolini nel convoglio.

Intanto, durante l'attesa in cui si svolgevano le trattative, Ruggero Romano con il figlio Costantino, Ferdinando Mezzasoma, Paolo Zerbino, Augusto Liverani, Nicola Bombacci, Luigi Gatti, Ernesto Daquanno, Goffredo Coppola e Mario Nudi si consegnano al parroco don Enea Mainetti, nella canonica di Musso, che li affiderà ai partigiani. Il sacerdote venne a conoscenza della presenza di Mussolini nella colonna e ne diede comunicazione a "Pedro".

Verso le ore 16 del 27 aprile, durante l'ispezione della colonna tedesca in piazza a Dongo, Mussolini viene riconosciuto dal partigiano Giuseppe Negri sotto una panca del camion n. 34. Viene perciò prontamente disarmato del mitra e di una pistola Glisenti, arrestato e preso in consegna dal vicecommissario di brigata Urbano Lazzaro "Bill" che lo accompagna nella sede comunale, dove gli viene sequestrata la borsa di cui era in possesso.

Tutti gli altri componenti italiani al seguito vengono arrestati: si tratta di più di cinquanta persone, più le mogli e i figli al seguito. Tra di essi la maggior parte dei membri del governo repubblicano, più alcune personalità politiche, militari e sociali accompagnati dai loro familiari. Qualcuno si consegna spontaneamente, altri tentano di comprarsi una possibilità di fuga offrendo ingenti somme e valori alla popolazione locale. Gli occupanti di un autoblindo cercano di resistere ingaggiando una sparatoria, Pietro Corradori e Alessandro Pavolini fuggono buttandosi nel lago ma vengono ripresi e Pavolini rimane ferito. Il giorno seguente sedici di essi, tra gli esponenti più in vista del regime, saranno sommariamente fucilati sul lungolago di Dongo; tra gli altri, che rimangono agli arresti a Dongo e saranno trasferiti a Como, un'ulteriore decina di essi, in due notti successive, viene prelevata ed uccisa.

Il fermo della colonna motorizzata tedesca e il susseguente arresto di Mussolini e del suo seguito era stato effettuato dai partigiani della 52ª Brigata Garibaldi "Luigi Clerici", comandata da Pier Luigi Bellini delle Stelle, nome di battaglia “Pedro”. Il suo commissario politico era Michele Moretti “Pietro Gatti”, vice commissario politico Urbano Lazzaro “Bill” e il capo di stato maggiore Luigi Canali “Capitano Neri”. Tra i gerarchi al seguito del dittatore, furono arrestati anche Francesco Maria Barracu, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alessandro Pavolini, Ministro segretario del PFR, Ferdinando Mezzasoma, Ministro della Cultura Popolare, Augusto Liverani, Ministro delle Comunicazioni, Ruggero Romano, Ministro dei Lavori Pubblici, Paolo Zerbino, Ministro dell'Interno. Fu arrestato anche Marcello Petacci, fratello di Claretta, che a bordo di un'Alfa Romeo 1500 recante bandiera spagnola, seguiva il convoglio con la convivente Zita Ritossa, i figli Benvenuto e Ferdinando e la sorella. Esibendo un falso passaporto diplomatico spagnolo si dichiarava estraneo al convoglio, spacciandosi per diplomatico spagnolo. Anche Clara era in possesso di un passaporto spagnolo intestato a Donna Carmen Sans Balsells. Tra i fermati c'è anche la presunta figlia naturale del Duce, Elena Curti.

Nello stesso tempo, i prigionieri rimasti a Dongo, vengono interrogati e schedati dal "capitano Neri" e separati in tre gruppi distinti: Bombacci, Barracu, Utimpergher, Pavolini e Casalinuovo vengono anch'essi trasferiti a Germasino, i ministri rimangono rinchiusi nei locali del municipio e gli altri, autisti, impiegati, militari tra cui l'agente dei servizi segreti Rosario Boccadifuoco, distribuiti nell'ex caserma dei Carabinieri ed in case private. I Petacci, di cui non si era ancora scoperto la vera identità, vengono alloggiati all'albergo Dongo. La partigiana "Gianna", in collaborazione con l'impiegata comunale Bianca Bosisio, esegue l'inventario di tutti gli ingenti valori ed i beni sequestrati.

Per "oro di Dongo" si intendono comunemente tutti i beni sequestrati dalla 52ª Brigata Garibaldi "Luigi Clerici", tra quelli in possesso di Mussolini e i gerarchi al momento della cattura. Tali beni sono stati parzialmente inventariati il 28 aprile 1945 nel Municipio di Dongo, dalla partigiana Giuseppina Tuissi "Gianna" e dall'impiegata comunale Bianca Bosisio. Nel tardo pomeriggio del medesimo giorno, il capo di stato maggiore della brigata, Luigi Canali, nome di battaglia “Capitano Neri”, firma un ordine di consegna temporaneo di tutti i beni recuperati ed inventariati dalla Tuissi, alla federazione comunista di Como, di cui Gorreri è responsabile. L'utilizzazione fatta di tali valori, è tuttora oggetto di congetture.

Il 7 maggio 1945, il “Capitano Neri” scompare misteriosamente e il suo corpo non sarà più ritrovato. Il 22 giugno successivo, la "Gianna", dopo essere stata diffidata dall'intraprendere ricerche sulla fine dell'ex-comandante, nonché minacciata da Dante Gorreri e da Pietro Vergani, comandante delle formazioni garibaldine della Lombardia, è uccisa e gettata nel Lago di Como nei pressi di Cernobbio. Anche il suo corpo non sarà più ritrovato. Il 5 luglio riemerge invece dal lago il corpo di Anna Maria Bianchi, amica e confidente della Tuissi, annegata dopo essere stata torturata e ferita con due colpi di rivoltella.

Nel 1946 Gorreri è eletto all'Assemblea Costituente, sui cui banchi siederà sino al 1948.

Il 12 dicembre 1949 Dante Gorreri è rinviato a giudizio in qualità di mandante dell'omicidio del “Capitano Neri” e con l'accusa di peculato per aver preso in consegna il cosiddetto “oro di Dongo” e averlo successivamente fatto sparire; insieme a lui sono incriminati: Pietro Vergani, per aver organizzato l'uccisione del Canali, e in qualità di mandante degli omicidi della Tuissi e della Bianchi; Domenico Gambaruto quale esecutore materiale dell'uccisione del “Capitano Neri”; Maurizio Bernasconi "Mirko", per l'uccisione della "Gianna"; Natale Negri ed Ennio Pasquali per quello della Bianchi. Gorreri è arrestato e resta in carcere quattro anni; nel 1953 è eletto deputato nelle liste del PCI e, avvalendosi dell'immunità parlamentare viene liberato.

Il 29 aprile 1957, presso la Corte d'Assise di Padova si apre il processo per la sparizione dell'"oro di Dongo" e i collegati delitti sopra riportati. In tale sede è ascoltato Enrico Mattei, responsabile amministrativo di tutte le formazioni partigiane durante la Resistenza, il quale testimonia che "il bottino delle azioni di guerra apparteneva alle formazioni che lo catturavano, e poteva essere messo a disposizione dei comandi". È sentito anche Luigi Longo, vicesegretario del PCI e, all'epoca, vicecomandante del Corpo volontari della libertà. L'esponente comunista afferma di non ritenere "esatto che al partito comunista siano arrivati dei valori; essi giunsero invece a un comando garibaldino autorizzato a disporre per i suoi reparti delle prede belliche". Il documento di consegna alla federazione del partito, firmato da Canali e controfirmato anche dai partigiani Michele Moretti e Urbano Lazzaro, tuttavia, recita diversamente.

Il 24 luglio successivo, uno dei giurati è ricoverato in ospedale e il processo è rinviato al 5 agosto. Tra le due date, il giurato ricoverato si suicida in ospedale e il processo è rinviato a nuovo ruolo. Non verrà più ripreso. Nel frattempo scatterà il meccanismo della prescrizione, assicurando a Gorreri l'impunità.

Il 4 maggio 1945 era pervenuto sul tavolo di Gorreri tutto il materiale cartaceo contenuto in due borse in possesso di Mussolini e requisito dai partigiani della 52ª Brigata Garibaldi al momento della sua cattura, a cui erano stati uniti altri documenti di Mussolini provenienti da una terza borsa sequestrata a Marcello Petacci, temporaneamente trattenuti da Aldo Lampredi.

Al comando comasco, il materiale è esaminato da una commissione formata, oltre che da Gorreri, anche dal nuovo prefetto di Como, Virginio Bertinelli, che verificano trattarsi di un carteggio comprendente 62 lettere, di cui 31 a firma del Primo ministro britannico Winston Churchill e 31 a firma Mussolini.

Dopo la visione degli stessi, si decide di commissionare la fotoriproduzione di tutti i documenti alla Fototecnica Ballarate di Como. Ne sono effettuate alcune copie, di cui l’originale rimane in possesso di Dante Gorreri, e una copia viene consegnata a Bertinelli, che la nasconderà all’interno di un "cavallo con maniglie" di una palestra di Como; un’altra copia è riposta da Gorreri nella cassaforte della federazione.

Il 2 settembre 1945, a nemmeno due mesi dalla conclusione della guerra in Europa, dopo aver perso le elezioni politiche e non più Primo ministro, Winston Churchill si reca sul lago di Como, a trascorrere una breve vacanza dietro il falso nome di colonnello Waltham e fa contattare Dante Gorreri dal capitano dei servizi segreti britannici Malcolm Smith.

Il 15 settembre 1945, nella trattoria “La pergola” di Como, Dante Gorreri consegna gli originali delle 62 lettere del carteggio Churchill-Mussolini al capitano Smith, in cambio della somma di due milioni e mezzo di lire in contanti. Le copie del carteggio in possesso del prefetto Virginio Bertinelli erano già state recuperate dal capitano inglese, il precedente 22 maggio.

La copia del carteggio riposta da Gorreri nella cassaforte della federazione comunista sarà trafugata nel 1946 da Luigi Carissimi Priori, ex capo dell’ufficio politico della questura di Como. In un’intervista rilasciata nel 1998 al giornalista Roberto Festorazzi, Carissimi Priori dichiarerà di aver consegnato il plico contenente le 62 lettere al presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, resistendo ad un'offerta di 100.000 sterline di alcuni agenti segreti inglesi.






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