sabato 21 marzo 2015

GIULINO DI MEZZEGRA

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Il paese sorge sulla riva occidentale del Lago di Como, in Tremezzina, lungo la SS 340, che la collega a Como e Sondrio.

Dal 1928 al 1947 Mezzegra fu frazione del comune di Tremezzina.

Nella frazione di Giulino vennero giustiziati dai partigiani Benito Mussolini e Claretta Petacci il 28 aprile 1945 dopo sentenza di condanna del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale).

Nella frazione di Pola ha residenza il cantautore comasco Davide Van de Sfroos, diventato famoso per le sue canzoni in dialetto laghée.

Il comune fa parte dell'associazione degli Azzano d'Italia, undici fra comuni e frazioni che portano nel loro nome il termine Azzano e che hanno i cittadini che si chiamano azzanesi: Azzano d'Asti, Azzano Decimo, Azzano Mella, Azzano San Paolo, Castel d'Azzano e sei frazioni.

Giulino (Giülin in dialetto tremezzino, pronuncia fonetica IPA: /ʒyːˈleŋ/) è una frazione del comune di Tremezzina, in provincia di Como, passato alla storia perché fu il luogo dove il 28 aprile 1945 vennero giustiziati Benito Mussolini e la sua amante Claretta Petacci.

Il paese, parte della Comunità Montana del Lario Intelvese, sorge in collina, nei pressi della riva settentrionale del Lago di Como dove si trova Mezzegra, da cui dista circa 2 km. Da Como dista circa 30 km ed altrettanti dalla frontiera italo-elvetica verso Lugano. L'arteria stradale più vicina ad essa è la SS 340 che collega Como con Sondrio.

Giulino fu frazione del comune di Mezzegra, ma nel 1928 venne aggregato al neonato comune di Tremezzina col nome di Giulino di Mezzegra. Nel 1947, con la soppressione del comune di Tremezzina, viene restituito al comune precedentemente soppresso di Mezzegra come sua frazione riprendendo il precedente nome di Giulino.

Mentre stava cercando di fuggire vestito da soldato tedesco, Benito Mussolini venne catturato dai partigiani a Dongo il 27 aprile 1945. Durante la notte venne condotto insieme a Clara Petacci a Bonzanigo, frazione di Tremezzina, e ospitato presso la famiglia De Maria, partigiani e conoscenti del capitano Neri.

Il mattino successivo, 28 aprile, arrivò l'ordine di fucilazione portato da Milano dal colonnello Valerio, nome di battaglia del partigiano Walter Audisio. Lo stesso Audisio eseguì la condanna capitale "In nome del popolo italiano" del Duce e di Petacci alle ore 16:10 davanti a Villa Belmonte, in via XXIV Maggio. Questa è la ricostruzione accreditata dalla maggior parte degli storici, rimaneggiata più volte anche dallo stesso Audisio, ma senza modificarne lo schema generale. Esistono alcune ricostruzioni di quegli avvenimenti, anche in contraddizione tra loro, che non concordano coi tempi, con gli esecutori e con le modalità dell'esecuzione.

Alle 15.15 Walter Audisio "Valerio" invia "Pedro" a Germasino a prendere i prigionieri e, a sua insaputa, parte da Dongo con una Fiat 1100 nera in direzione di Bonzanigo, dove l'ex dittatore è tenuto prigioniero con la Petacci. Sono con lui Aldo Lampredi "Guido", Michele Moretti “Pietro”, che conosceva i carcerieri ed il luogo essendoci già stato la notte prima e l'autista Giovanni Battista Geninazza.

Moretti è armato di mitra francese MAS 38, calibro 7,65 lungo; Lampredi è armato di pistola Beretta modello 1934, calibro 9 × 17 mm. L'arma di Walter Audisio, un mitra Thompson, sarà successivamente riconsegnata al commissario politico della divisione partigiana dell'Oltrepò, Alberto Maria Cavallotti, senza essere stata utilizzata.

Giunti a casa De Maria, sempre sorvegliata da "Sandrino" e "Lino", sollecitano Mussolini, trovato stanco e dimesso, e la Petacci a lasciare rapidamente l'abitazione. In strada i prigionieri sono fatti sedere nei sedili posteriori della vettura e vengono accompagnati nel luogo precedentemente scelto per l'esecuzione poco distante: si tratta di un angusto vialetto, via XXIV Maggio a Giulino, in posizione assai riparata davanti a Villa Belmonte, una graziosa residenza di villeggiatura. Qui i due sono obbligati a scendere.
Moretti e Lampredi sono inviati a bloccare la strada nelle due direzioni, mentre a Mussolini viene fatto cenno di dirigersi verso il cancello. Sembra smarrito, Claretta piange. "Valerio" sospinge Mussolini verso l'inferriata e pronuncia la sentenza: "Per ordine del Comando Generale del Corpo Volontari della Libertà sono incaricato di rendere giustizia al popolo italiano" e, rivolgendosi a Claretta che si aggrappava all'amante: "Togliti di lì se non vuoi morire anche tu". Tenta di procedere nell'esecuzione ma il suo mitra si inceppa; Lampredi si avvicina, estrae la sua pistola, ma anche da questa il colpo non parte, chiama allora Moretti che, di corsa, gli porta il suo mitra. Con tale arma il "colonnello Valerio" scarica una raffica mortale di cinque colpi sull'ex capo del fascismo. La Petacci, postasi improvvisamente sulla traiettoria del mitra, è colpita ed uccisa per errore. Viene poi inferto un colpo di grazia al cuore di Mussolini con la pistola. Sul luogo dell'esecuzione furono poi rinvenuti proiettili calibro 7,65, compatibili con quelli del mitra francese del Moretti. Sono le ore 16.10 del giorno 28 aprile 1945.

L'edizione locale dell'Unità, il giorno seguente, riporta il fatto con questo titolo a tutta pagina: "Mussolini e i suoi accoliti giustiziati dai patrioti nel nome del popolo"; mentre l'edizione nazionale del 1º maggio riporta in prima pagina un'intervista col partigiano - di cui non viene fatto il nome - che "ha giustiziato il Duce", intitolata: "Da una distanza di 3 passi sparai 5 colpi a Mussolini".


In realtà Walter Audisio cadde in ben 22 contraddizioni nel raccontare la fucilazione di Mussolini; la stessa testimonianza dell'allora diciannovenne Dorina Mazzola abitante del luogo, sposta esecuzioni e orari da tutt'altra parte. Il muro del cancello di Villa Belmonte è troppo basso per una fucilazione in piedi e stranamente si sono trovati proiettili nel muro del cancello ma non nell'edicola religiosa alle spalle del muro, come se si fosse sparato a dei corpi sdraiati e non in piedi. I corpi di Mussolini e della Petacci sono crivellati di colpi alle spalle che fa supporre una dinamica dell'esecuzione ben diversa da quella raccontata dai tre esecutori.

Nella testimonianza di Dorina, che fu ripetutamente minacciata di tacere, parla anche di una lussuosa macchina fotografica che riprese i corpi dei due subito dopo la morte, avvenuta secondo Dorina fuori della famosa "Casa De Maria", verso le 10 per il duce e un po' prima di mezzogiorno per la Petacci (forse fu eliminata successivamente come testimone scomodo).

A chi si dovevano far esaminare le foto eseguite da strane persone in borghese e armate di mitra? Quelle foto sembrano voler fornire a qualcuno in alto, la prova che l'imbarazzante ex duce fosse definitivamente morto. Eliminato Mussolini, sparì anche il prezioso carteggio che recava con lui, con cui minacciava di fare i conti con mezzo mondo. Scomparve anche il famoso "Oro di Dongo".

In settembre Churchill, estenuato dalla campagna elettorale del 1945 in cui venne sorprendentemente sconfitto, si recò proprio da queste parti a rilassarsi con la pittura (lo statista inglese era un discreto artista) sul Lago di Como; si disse che venne per recuperare alquanto scomode lettere scritte da lui in precedenza al Duce.

I loro cadaveri vennero in serata portati a Milano con un camion assieme ai 16 gerarchi fucilati a Dongo e il 29 aprile in piazzale Loreto, furono tutti appiccati a testa in giù ad una pompa di benzina e poi esposti alla furia popolare. Adolf Hitler, informato del fatto, ne rimase profondamente turbato e temendo il vilipendio sul suo corpo, ordinò di essere subito cremato dopo morto.

Le varie versioni dei fatti, fornite o riferite da Walter Audisio, pur differendo su particolari minori, descrivono la stessa meccanica dell'evento. L'ultima descrizione degli stessi, pubblicata postuma, a cura della moglie di Audisio, è sostanzialmente confermata dal memoriale di Aldo Lampredi, consegnato nel 1972 e pubblicato su L'Unità nel 1996.

A Giulino, sul muro del cancello di Villa Belmonte fu posta una croce artigianale, presente sul luogo dell'esecuzione che ricorda ancora l'evento. Solo recentemente, su richiesta degli ex combattenti di Salò, è stata aggiunta una piccola teca in ferro battuto contenente le foto di Mussolini in abiti borghesi e della Petacci. In merito a questi avvenimenti, Giulino è stata proscenio della parte finale del film di Carlo Lizzani Mussolini ultimo atto (1974).



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